Numerosissimi sono i passi che presentano la figura di Polidoro, dall’Iliade di Omero sino alla cantica infernale dantesca. Vengono in seguito proposti solo alcuni fra i maggiormente rilevanti. Si segnalano anche i versi del Canto dell'Orlando Furioso di Ariosto nei quali l'espediente della pianta di mirto parlante viene riproposto nella figura di Astolfo ingannato dalla maga Alcina.
Euripide, Ecuba
vv. 1-30
Ἥκω νεκρῶν κευθμῶνα καὶ σκότου πύλας
λιπών, ἵν᾽ Ἅιδης χωρὶς ᾤκισται θεῶν,
Πολύδωρος, Ἑκάβης παῖς γεγὼς τῆς Κισσέως
Πριάμου τε πατρός, ὅς μ᾽, ἐπεὶ Φρυγῶν πόλιν
κίνδυνος ἔσχε δορὶ πεσεῖν Ἑλληνικῷ, 5
δείσας ὑπεξέπεμψε Τρωικῆς χθονὸς
Πολυμήστορος πρὸς δῶμα Θρῃκίου ξένου,
ὃς τήνδ᾽ ἀρίστην Χερσονησίαν πλάκα
σπείρει, φίλιππον λαὸν εὐθύνων δορί.
Πολὺν δὲ σὺν ἐμοὶ χρυσὸν ἐκπέμπει λάθρᾳ 10
πατήρ, ἵν᾽, εἴ ποτ᾽ Ἰλίου τείχη πέσοι,
τοῖς ζῶσιν εἴη παισὶ μὴ σπάνις βίου.
Νεώτατος δ᾽ ἦ Πριαμιδῶν, ὃ καί με γῆς
ὑπεξέπεμψεν: οὔτε γὰρ φέρειν ὅπλα
οὔτ᾽ ἔγχος οἷός τ᾽ ἦ νέῳ βραχίονι. 15
Ἕως μὲν οὖν γῆς ὄρθ᾽ ἔκειθ᾽ ὁρίσματα
πύργοι τ᾽ ἄθραυστοι Τρωικῆς ἦσαν χθονὸς
Ἕκτωρ τ᾽ ἀδελφὸς οὑμὸς εὐτύχει δορί,
καλῶς παρ᾽ ἀνδρὶ Θρῃκὶ πατρῴῳ ξένῳ
τροφαῖσιν ὥς τις πτόρθος ηὐξόμην, τάλας: 20
ἐπεὶ δὲ Τροία θ᾽ Ἕκτορός τ᾽ ἀπόλλυται
ψυχή, πατρῴα θ᾽ ἑστία κατεσκάφη,
αὐτὸς δὲ βωμῷ πρὸς θεοδμήτῳ πίτνει
σφαγεὶς Ἀχιλλέως παιδὸς ἐκ μιαιφόνου,
Κτείνει με χρυσοῦ τὸν ταλαίπωρον χάριν 25
ξένος πατρῷος καὶ κτανὼν ἐς οἶδμ᾽ ἁλὸς
μεθῆχ᾽, ἵν᾽ αὐτὸς χρυσὸν ἐν δόμοις ἔχῃ.
Κεῖμαι δ᾽ ἐπ᾽ ἀκταῖς, ἄλλοτ᾽ ἐν πόντου σάλῳ,
πολλοῖς διαύλοις κυμάτων φορούμενος,
ἄκλαυτος ἄταφος (...). 30
«Vengo da porte d'ombra, dai recessi dei morti, dove l'Ade ha la sua reggia remota. Sono Polidoro, il figlio d'Ecuba - figlia di Císseo - e di Priamo. La lancia greca minacciava Troia quando mio padre, preso dal terrore, mi mise in salvo qui, da Polimèstore, un ospite che semina una splendida terra, e comanda i suoi cavallerizzi, in armi. Insieme a me mandò, di furto, oro e oro, perché, caduta Troia, i superstiti avessero. da vivere. Ero il figlio più piccolo: per questo mandò via me: con le mie membra giovani, non reggevo né lancia né armatura. Fino a che le frontiere erano intatte, e incolumi le torri della Troade, e arrideva il successo a mio fratello Ettore, in casa dell'ospite trace ero nutrito: un virgulto che cresce. Ma quando, insieme con la vita d'Ettore, cadde Troia e la reggia fu distrutta e mio padre crollò presso l'altare, assassinato dal figlio d'Achille, ahi! per quell'oro l'ospite m'uccide, gettando il corpo nel gonfio del mare, per godersela lui, quella ricchezza. Così, giaccio sul lido o nei marosi, sempre in balia del flusso e del riflusso, illacrimato, insepolto». [...]
vv. 45-55
Δυοῖν δὲ παίδοιν δύο νεκρὼ κατόψεται 45
μήτηρ, ἐμοῦ τε τῆς τε δυστήνου κόρης.
Φανήσομαι γάρ, ὡς τάφου τλήμων τύχω,
δούλης ποδῶν πάροιθεν ἐν κλυδωνίῳ.
Τοὺς γὰρ κάτω σθένοντας ἐξῃτησάμην
τύμβου κυρῆσαι κἀς χέρας μητρὸς πεσεῖν. 50
Τοὐμὸν μὲν οὖν ὅσονπερ ἤθελον τυχεῖν
ἔσται: γεραιᾷ δ᾽ ἐκποδὼν χωρήσομαι
Ἑκάβῃ: περᾷ γὰρ ἥδ᾽ ὑπὸ σκηνῆς πόδα
Ἀγαμέμνονος, φάντασμα δειμαίνουσ᾽ ἐμόν.
Φεῦ: (...)
«E la madre vedrà, di due figlioli, due cadaveri: quella poverina e me. Voglio una tomba, e apparirò nella risacca, ai piedi d'una schiava. Impetrai dai potenti di sotterra un sepolcro, e le braccia d’una madre. Questo è quanto volevo e l’otterrò. Ma ecco che la vecchia Ecuba avanza sgusciando dalla tenda d’Agamennone: il mio spettro la turba. Mi ritiro».
La tragedia euripidea presenta l’antefatto delle vicende tramite una ῥῆσις affidata a Polidoro, qui presentato quale figlio di Ecuba e fratello di Polissena. Si noti la curiosa scelta dell’autore nell’affidare il monologo di apertura all’εἴδωλον del personaggio che lamenta il sepolcro anticipando il parce sepulto virgiliano.
Dante Alighieri, Inferno, Canto XIII, vv. 22-39
Io sentia d’ogne parte trarre guai,
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24
Cred’io ch’ei credette ch’io credesse
che tante voci uscisser, tra quei bronchi
da gente che per noi si nascondesse. 27
Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
qualche fraschetta d’una d’este piante,
li pensier c’hai si faran tutti monchi». 30
Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 33
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno? 36
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb’esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi». 39
Il passo proposto è indubbiamente uno dei più riusciti e ricordati della cantica infernale dantesca, plurime le osservazioni che sarebbe necessario proporre per una comprensione approfondita del passo dal marcato fonosimbolismo di suoni aspri al “Cred’io ch’ei credette ch’io credesse”. Si evidenzia la ripresa della scena topica di incontro fra vivo-morto qui trasposta nel colloquio fra Dante e Pier della Vigna, la riproposizione del susseguirsi di interrogative dinamiche e la scelta non casuale del termine “pietade” seguito dal “pia”, evidenti allusioni all’eroe pius per antonomasia. Interessante, inoltre, la scelta della pena in riferimento al suicidio, sebbene quellod di Polidoro sia un omicidio. Dante inoltre riprenderà il famoso verso “Quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames” nel canto XXIII del Purgatorio interpretandolo però con un’accezione differente.
Ovidio, Metamorfosi, XIII
vv. 429-438
Est, ubi Troia fuit, Phrygiae contraria tellus,
Bistoniis habitata viris: Polymestoris illic 430
regia dives erat, cui te commisit alendum
clam, Polydore, pater Phrygiisque removit ab armis,
consilium sapiens, sceleris nisi praemia magnas
adiecisset opes, animi inritamen avari.
Ut cecidit fortuna Phrygum, capit impius ensem 435
rex Thracum iuguloque sui demisit alumni
et, tamquam tolli cum corpore crimina possent,
exanimem scopulo subiectas misit in undas.
Di fronte alla Frigia, là dov'era Troia, c'è una terra abitata
dal popolo dei Bìstoni. Vi sorgeva la magnifica reggia 430
di Polimèstore, al quale tuo padre Priamo t'aveva affidato
di nascosto, Polidoro, per sottrarti alla guerra in corso in Frigia.
Saggia idea, se non gli avesse affidato anche un grande tesoro,
un'esca per la sua avidità, il premio di un delitto.
Quando precipitò la fortuna dei Frigi, l'empio re dei Traci 435
prese una spada e l'immerse nella gola del suo pupillo,
e come se occultando il corpo si potesse cancellare il crimine,
dall'alto di una rupe gettò il cadavere in fondo al mare.
vv. 527-544
Omnia perdidimus: superest, cur vivere tempus
in breve sustineam, proles gratissima matri,
nunc solus, quondam minimus de stirpe virili,
has datus Ismario regi Polydorus in oras. 530
Quid moror interea crudelia vulnera lymphis
abluere et sparsos inmiti sanguine vultus?”
Dixit et ad litus passu processit anili,
albentes lacerata comas. “Date, Troades, urnam”
dixerat infelix, liquidas hauriret ut undas: 535
adspicit eiectum Polydori in litore corpus
factaque Threiciis ingentia vulnera telis!
Troades exclamant: obmutuit illa dolore,
et pariter vocem lacrimasque introrsus obortas
devorat ipse dolor, duroque simillima saxo 540
torpet et adversa figit modo lumina terra,
interdum torvos sustollit ad aethera vultus,
nunc positi spectat vultum, nunc vulnera nati
vulnera praecipue, seque armat et instruit iram.”
Tutto ho perduto, e perché accetti di vivere ancora un po',
un figlio carissimo solo mi rimane, un figlio
unico, il più piccolo dei miei figli maschi,
Polidoro, affidato in queste terre a un re di Tracia. 530
Ma intanto, che aspetto a lavare questa crudele ferita
con acqua pura, questo volto orrendamente cosparso di sangue?».
E si diresse col suo passo di vecchia verso la spiaggia,
strappandosi gli argentei capelli. «Datemi un'anfora, Troiane»,
aveva chiesto l'infelice per attingere acqua limpida: 535
ed ecco che qui scorge, gettato sulla riva, il cadavere
di Polidoro, con le orrende ferite infertegli dal re trace.
Le Troiane lanciano un urlo. Lei ammutolisce dal dolore,
il dolore le soffoca parole e lacrime che affiorano
dal profondo del cuore; irrigidita come un blocco 540
di marmo, un attimo fissa con gli occhi la terra ai suoi piedi,
l'attimo dopo leva uno sguardo furente verso il cielo,
ora osserva il viso, ora le ferite del figlio disteso,
soprattutto le ferite, e intanto si gonfia e si arma d'ira.
Ovidio introduce il personaggio di Polidoro con toni rasenti al patetismo rivolgendosi direttamente al personaggio le sue parole. Ecuba strappata agli altari dei figli viene condotta con violenza alla reggia di Polimestore, assiste al sacrificio della figlia Polissena, ma speranzosa di avere la possibilità di ricongiungersi con il più giovane dei figli si dirige verso un fiume per purificarsi dal sangue versato. Quelle acque pure però le riserbano una terribile sorpresa: il corpo dell’ultimo figlioletto giace inerte privo di vita fra le onde. La reazione delle Troiane è un urlo di orrore, Ecuba invece ammutolisce, quell’ultimo colpo infittole dalla sorte le impedisce di parlare, quasi che ella stessa sia ormai parte del regno dei morti. Il testo evidenzia con toni patetici le ferite di Polidoro, colpito da Polimestore. Il motivo dell’auri sacra fames si ritrova nel commento della voce autoriale (“consilium sapiens, sceleris nisi praemia magnas/adiecisset opes, animi inritamen avari”), la violenza dell’uccisione di un innocente, per di più un giovane fanciullo, si tramuta nel desiderio di vendetta che spingerà Ecuba ad avventarsi contro il re dei Traci.
Omero, Iliade, XXII
vv. 46-55
Καὶ γὰρ νῦν δύο παῖδε Λυκάονα καὶ Πολύδωρον
οὐ δύναμαι ἰδέειν Τρώων εἰς ἄστυ ἀλέντων,
τούς μοι Λαοθόη τέκετο κρείουσα γυναικῶν.
Ἀλλ᾽ εἰ μὲν ζώουσι μετὰ στρατῷ, ἦ τ᾽ ἂν ἔπειτα
χαλκοῦ τε χρυσοῦ τ᾽ ἀπολυσόμεθ᾽, ἔστι γὰρ ἔνδον: 50
πολλὰ γὰρ ὤπασε παιδὶ γέρων ὀνομάκλυτος Ἄλτης
εἰ δ᾽ ἤδη τεθνᾶσι καὶ εἰν Ἀΐδαο δόμοισιν,
ἄλγος ἐμῷ θυμῷ καὶ μητέρι τοὶ τεκόμεσθα:
λαοῖσιν δ᾽ ἄλλοισι μινυνθαδιώτερον ἄλγος
ἔσσεται, ἢν μὴ καὶ σὺ θάνῃς Ἀχιλῆϊ δαμασθείς. 55
Due altri miei figli, Licaone e Polidoro,
non li vedo tra i Troiani fuggiti qui dentro,
quelli che mi partorì Laotoe, illustre donna.
Se vivono ancora nel campo greco, li riscatteremo
Con oro e bronzo: ne abbiamo in abbondanza, 50
molto ne ha dato a sua figlia il vecchio Alte glorioso.
Se invece sono già morti e stanno nelle case dell'Ade,
è dolore per il mio animo e per la madre - noi demmo loro
ma per tutti gli altri durerà molto meno [la vita]
se non muori anche tu, ucciso da Achille. 55
Omero offre una versione differente in relazione alla genealogia di Polidoro. Il personaggio viene infatti presentato come figlio di Laotoe, la cui dote offerta dal padre Alte (γέρων ὀνομάκλυτος Ἄλτης), garantisce alla famiglia del marito ampie ricchezze. Il medesimo tesoro sarà però alla base dell’omicidio del giovane.
Ausonio, Epitaphia - Polydorus
Cede procul myrtumque istam fuge, nescius hospes:
telorum seges est sanguine adulta meo.
confixus iaculis et ab ipsa caede sepultus
condor in hoc tumulo bis Polydorus ego.
Scit prius Aeneas et tu, rex impie, quod me 5
Thracia poena premit, Troia cura tegit.
Va' via lontano e fuggi questo mirto, ospite ignaro:
Una pioggia [campo] di dardi è cresciuta sul mio sangue.
trafitto dai dardi e sepolto dallo stesso delitto.
Io Polidoro sono sepolto due volte in questo tumulo
Enea già da prima lo sa, ed anche tu, re empio sappi, che 5
la Tracia mi nasconde per vendetta, e Troia mi cela con amore.
L’Epitaphion dedicato a Polidoro di Ausonio si caratterizza per la peculiare scelta dell’oratio recta, i versi vengono infatti declamati dallo stesso defunto ricalcando il topos dell’epitaffio parlante. Il passo risulta particolarmente interessante in termini di corrispondenze lessicali con il testo virgiliano. Degna di nota è l’apostrofe all’ὁδοιπόρος Enea (in un primo momento definito nescius hospes con drammaticità lirica), l’imperativo “cede”, a ricalcare il parce virgiliano, e il parallelismo dell’ultimo verso con ritmo epigrafico (si pensi al “Mantua me genuit”…).