Ci sono vari metodi per valutare il proprio allenamento: come e perché è possibile misurarlo? Seguiamo i consigli di Luca Tocco
Gazzetta Active
Per valutare l’allenamento esistono strade diverse. Prima di esplorarle, però, è opportuna una premessa: l’analisi dell’esercizio fisico riguarda coloro che si prefiggono un obiettivo. Che sia di natura agonistica, come, ad esempio, correre i 10km in meno di 40 minuti, o che sia, motivato dalla ricerca del benessere psico-fisico, ad esempio perdere peso, poco importa. È importante, invece, comprendere che senza un risultato da raggiungere viene meno la possibilità di cogliere variazioni del nostro stato di forma, sia in positivo che in negativo.
Da quanto detto, potrà sembrare che per l’altra parte degli sportivi, ovvero per tutti coloro che non hanno di mira obiettivi specifici, queste considerazioni risulteranno prive di interesse. In realtà, però, sarà utile soffermarsi sui vantaggi a cui può portare un’analisi, seppure minima, della pratica sportiva. Questa, infatti, ci permetterà di vivere il nostro allenamento con più consapevolezza, portando razionalità e intervenendo con criterio tutte le volte che sarà necessario.
PERCHÉ MISURARE L’ALLENAMENTO?
Da dove nasce l’esigenza di valutare la prestazione sportiva? In primo luogo, come si diceva prima, per vedere quanto ci stiamo avvicinando o scostando dall’obiettivo che ci siamo prefissati. In secondo luogo, perché da una valutazione razionale del carico di lavoro deriva una migliore capacità di distribuzione e pianificazione dello stesso; e, dalla corretta alternanza di carico e “scarico” (la cosiddetta fase di recupero), segue una continuità di rendimento.
CARICO DI LAVORO: COS’È?
Ma cosa si intende per carico di lavoro? Il carico di lavoro è lo stimolo allenante che deriva dall’esercizio che si svolge. Obiettivo dell’allenamento è, infatti, quello di andare ad alterare l’omeostasi, la condizione di equilibrio in cui si trova l’organismo, per poi, attraverso meccanismi di compensazione messi in atto dal nostro corpo, sviluppare l’adattamento allo stimolo. Solo al raggiungimento di quest’ultimo, sarà opportuno introdurre un nuovo carico di lavoro, differente dal precedente e, sotto certi aspetti, maggiore.
Ma come è possibile misurarlo?
Esistono due approcci. Attraverso il carico esterno, determinato da tutte quelle componenti che costituiscono l’entità e l’intensità degli stimoli, nonché dalla loro densità, durata e frequenza con cui vengono proposti. Degli esempi ci permetteranno di comprendere meglio:
Intensità = forza del singolo stimolo: sollevare un peso di 10kg anziché uno da 5kg;
Densità = rapporto temporale tra fasi di carico e di recupero: 1 serie da 10 ripetizioni da 1km, anziché una corsa continua di 10km;
Durata = durata dell’azione del singolo stimolo o di una serie di stimoli: correre ripetute da 1500m anziché da 1000m;
Volume = durata e numeri degli stimoli per unità di allenamento: completare 1 serie da 20×400 anziché 2 serie da 10×400;
Frequenza = numero delle unità di allenamento quotidiane o settimanali;
Complessità = complessità del particolare tipo di stimolo.
Tutte queste componenti si riferiscono ad aspetti intrinseci al carico di lavoro. Esiste però un’altra via: quella di considerare tutte le reazioni funzionali individuali dell’atleta al carico esterno, sia sul piano fisico che psichico, contraddistinguendone il grado di percezione dello sforzo, ovvero il carico interno. La scala di percezione dello sforzo o scala RPE (Rate of Perceived Exertion) o scala di Borg è uno dei metodi di analisi che fa riferimento al carico interno. Secondo questa valutazione si va da un valore minimo di 6, che corrisponde al massimo della rilassatezza (stare seduti sul divano), fino ad un massimo di 20, corrispondente allo sforzo massimale, ovvero un’intensità massima poco sostenibile. Spesso la scala di Borg viene associata ad altri parametri come la frequenza cardiaca (solitamente espressa in % FC max) oppure il massimo consumo di ossigeno (% O2 max). Un’altra scala di valutazione è quella della misurazione della frequenza cardiaca (FC o HR o bpm). Altro metodo di valutazione del carico interno è quello di misurare le variazioni di lattato ematico attraverso il prelievo di sangue capillare (generalmente dai lobi o dai polpastrelli).
Entrambi gli approcci presentano vantaggi e svantaggi. È importante sottolineare, però, che anche l’analisi del carico interno è oggettiva tanto quanto quella del carico esterno, solamente che, in questo caso, vengono analizzate le reazioni dell’individuo all’esercizio, nell’altro, si considerano le componenti intrinseche dell’allenamento.
QUALE APPROCCIO SCEGLIERE.
Difficile dirlo. Sono molte le variabili che intervengono nella scelta: tipologia dell’atleta (età, anzianità di allenamento), fase della preparazione, tipologia di obbiettivo da raggiungere. Sicuramente, l’analisi del carico esterno consente di monitorare più facilmente il nostro allenamento, valutando così lo scarto tra la prestazione conseguita e quella prefissata. In una fase di “costruzione” o anche con atleti giovani (ma che già si conoscono) non è poi così sbagliato considerare il carico di lavoro esterno. Tuttavia, in altri casi come, ad esempio, a seguito di un infortunio, alla ripresa dopo un lungo periodo di inattività, quando si comincia ad allenare un nuovo atleta oppure, nel caso del runner evoluto, a ridosso di un evento importante, sarebbe bene allenarsi prestando maggiore attenzione al carico interno. In ogni caso, sta all’abilità dell’allenatore, in stretto rapporto col proprio atleta, capire quando spostare l’attenzione su un approccio piuttosto che sull’altro.
Per tutti coloro che, invece, si allenano senza l’ausilio di un coach, il consiglio rimane sempre quello di monitorare il proprio allenamento prestando attenzione anche ai segnali provenienti dal proprio corpo e dalla propria mente. Su tutti la nostra voglia di fare fatica. Se si è stanchi, meglio riposare e rinviare ai giorni successivi e non accanirsi o fossilizzarsi su determinati tempi e allenamenti. Come usano dire gli inglesi: “Train hard, rest harder”.
Concludiamo, sottolineando che non sempre è necessario controllare la nostra prestazione. Alle volte, sia per il neofita che per l’atleta evoluto, così come per il professionista è opportuno allenarsi a sensazione, ascoltando il proprio corpo. Perché non c’è dubbio, nessuno potrà battere il nostro fisico quanto a capacità di analisi. Novi Ligure 4/4/2021 nr.13
Valeria Straneo punta l’Olimpiade e svela: “Ecco perché correre al mattino fa bene a sé e agli altri!
PERCHÉ CORRERE AL MATTINO
Di sicuro correre al mattino a stomaco vuoto ha i suoi benefici. Principalmente per gli amatori che puntano anche a perdere qualche chilo in eccesso. “In questo modo – spiega la campionessa azzurra – si insegna all’organismo a bruciare i grassi e anziché gli zuccheri che, di solito, sono di più immediata disponibilità. Cominciando l’allenamento a digiuno, infatti, il corpo parte svantaggiato e quindi va a intaccare le riserve di grasso. E questo è un processo molto utile durante la maratona o comunque un’attività di endurance, soprattutto quando, dopo il 30°-35° km, il glicogeno comincia a scarseggiare e bisogna trovare altrove le energie necessarie per il restante quarto di gara”. Ma non è tutto: “Correre al mattino presto è bello anche per l’aria che si respira, soprattutto se si vive in un grosso centro abitato e la città dorme ancora”. Aspetto importante a maggior ragione in questo periodo così strano che stiamo vivendo, quando correre circondati da meno gente possibile, e quindi rispettare con facilità tutte le prescrizioni dei vari decreti, è sempre la scelta migliore. “E poi ci sono numerosi aspetti psicologici che non possono passare in secondo piano. Correre al mattino presto, per esempio, vuol dire anche affrontare al meglio la giornata grazie al pieno di endorfine (il cosiddetto ormone del buonumore) che l’attività fisica mette in circolo nell’organismo. E poi c’è quel senso di soddisfazione per aver completato l’allenamento quotidiano che dà una marcia in più”. Perché è vero che la corsa stanca e spesso al mattino (soprattutto in inverno) è difficile mettere il piede giù dal letto e affrontare il freddo, ma le sensazioni che si provano durante e dopo la corsa valgono appieno il sacrificio.
LA RICERCA
A suffragare questo genere di benefici anche uno studio promosso da Asics sotto la supervisione del dottor Brendon Stubbs, uno dei principali ricercatori riguardo l’esercizio fisico e la salute mentale al King’s College di Londra. Lo studio ha misurato una serie di percorsi cerebrali noti per influenzare gli elementi emotivi e cognitivi del benessere mentale e ha evidenziato che dopo un breve periodo di attività fisica, gli “everyday athletes” hanno sperimentato un miglioramento emotivo generale e fino al 29% nella loro capacità di far fronte allo stress e un aumento fino al 18% nel loro livello di rilassamento. Hanno anche riportato un calo significativo delle emozioni negative come la frustrazione (fino al 135%) oltre a risultare fino al 28% meno inclini a prendere decisioni avventate e reagire negativamente a sfide o cambiamenti. Per quanto riguarda percorsi cerebrali associati a prestazioni cognitive, gli “atleti di tutti i giorni” hanno registrato un significativo miglioramento dopo una breve attività sportiva. Ciò include un aumento fino al 26% della velocità di elaborazione del cervello, un miglioramento fino al 21% della memoria e una riduzione fino al 58% dei livelli di stress cognitivo, dei quali alcuni sintomi sono ansia, dimenticanza e disorganizzazione. Con miglioramenti emotivi e cognitivi maggiori rispetto agli atleti d’élite.
L'argento europeo e mondiale di maratona Valeria Straneo ci svela i benefici dell'allenamento a stomaco vuoto.
Sveglia al mattino presto, corsetta e poi doccia, colazione e… La giornata inizia nel migliore dei modi. I benefici della corsa al mattino sono tanti e l'allenamento all’alba diventa anche un modo per diffondere la positività e aumentare la propria consapevolezza.
OBIETTIVO TOKYO
Valeria Straneo, argento europeo e mondiale di maratona e testimonial dell’iniziativa, ora sta preparando la maratona di Berna, in Svizzera, con l’obiettivo di chiudere entro le 2 ore e 29 minuti, tempo limite per conquistare la qualificazione all’Olimpiade di Tokyo, la terza dopo Londra 2012 e Rio 2016. “Con la marea di appuntamenti saltati a causa della pandemia, è davvero complicato riuscire a centrare la qualificazione. Questa maratona che si correrà vicino Berna è un evento organizzato dalla federazione svizzera proprio con l’obiettivo di favorire la qualificazione dei loro atleti e quindi dovrebbe essere ‘più sicuro’, per quanto questa espressione, in questo momento lasci il tempo che trova”. E quando c’è da preparare una gara così importante, per Valeria Straneo è anche tempo di svegliarsi all’alba e allenarsi. “Preferisco farlo in estate, quando è davvero il momento migliore della giornata per correre, ma anche d’inverno, seppure sia più difficile abbandonare il letto caldo, ha comunque il suo perché”.
Novi Ligure 31/3/2021 Nr.12
Il piede è una leva e ruota dall'esterno verso l'interno e viceversa. Quando, però, le due fasi non sono in equilibrio, potrebbe essere necessario indossare una scarpa che agevoli il movimento. Un runner neofita, alla ricerca della scarpa giusta per cominciare a correre, potrebbe essere intimorito e disorientato da alcuni termini utilizzati di frequente per spiegare la meccanica di corsa. Tra l’iperpronazione e l’eccessiva supinazione (per le quali è consigliato l’uso di scarpe specifiche), infatti, in mezzo c’è un mondo che è quello che riguarda la maggior parte dei runner. Pronazione e supinazione, infatti, sono due fasi della normale meccanica di corsa e sono entrambe fondamentali per ammortizzare l’impatto con il suolo e spingere il corpo verso il passo successivo. La maggior parte degli appassionati di corsa, dunque, può tranquillamente orientarsi verso scarpe neutre.
Prima di spiegare un semplice metodo per farsi un’idea più chiara dell’anatomia del proprio piede e quindi scegliere la scarpa in maniera più consapevole, è bene chiarire i movimenti che i nostri piedi fanno durante una sessione di running. Innanzitutto è bene distinguere la camminata veloce dalla corsa: nel primo caso c’è un contatto continuo con il suolo (quando un piede stacca, l’altro è appoggiato, anche solo parzialmente), nel secondo c’è una fase di sospensione in cui entrambi i piedi non toccano terra. Concentrandoci sulla corsa, il contatto tra piede e suolo dura una frazione di secondo ed è scomponibile in tre fasi: l’atterraggio (25% del tempo), l’appoggio (40%) e la spinta (35%). Il primo contatto con il suolo avviene con la parte più esterna del calcagno. Poi c’è l’appoggio, in cui tutto il piede sorregge il peso del corpo e, infine, la spinta che avviene con la parte più interna dell’avampiede. Il piede, dunque, si comporta come una leva e, per ammortizzare al meglio l’impatto e spingere bene il corpo in avanti, ruota leggermente. La rotazione dall’esterno verso l’interno che avviene nella prima metà del movimento è la pronazione, la rotazione opposta (seconda metà) è la supinazione. Pronazione e supinazione, quindi, sono le due fasi naturali e complementari della biomeccanica della corsa e sono fondamentali per ammortizzare il contatto con il suolo, distribuire il peso del corpo sull’unico piede che lo sta sorreggendo e spingerlo in avanti. Perché il movimento sia corretto, però, come in una danza, le due fasi devono essere in equilibrio sotto il profilo spazio-temporale, per permettere a tutti i muscoli e le articolazioni interessate di lavorare al meglio.
Ci sono, però, runner che hanno una struttura ossea tale da portare a un’eccessiva pronazione o supinazione. Per semplificare, esistono tre tipi di piede: quello neutro, il cosiddetto piede piatto (o pronato), che richiede un maggior sostegno, e il piede cavo (o supinato), che necessita di una maggiore ammortizzazione. Verificare la struttura del proprio piede è molto semplice. È sufficiente bagnare la pianta e poggiare il piede su un foglio di carta (l’ideale è il cartone che ha una maggiore capacità assorbente e restituisce un’impronta più definita). Se nell’impronta si vede più o meno metà dell’arco plantare, si è nella situazione più comune di piede neutro e si può indossare qualsiasi tipo di scarpa. Se l’impronta restituisce la pianta quasi per intero, allora si è iperpronatori ed è consigliato indossare scarpe stabili che garantiscano un buon supporto all’arco plantare. Se, infine, l’impronta restituisce un arco plantare quasi inesistente e mostra quasi solo l’avampiede e il tallone, allora è consigliabile indossare scarpe ben ammortizzate per evitare eccessive sollecitazioni alle articolazioni.
Un altro modo per verificare se la pronazione del piede avviene nella maniera corretta è controllare il consumo della suola delle scarpe da running. Se i segni di usura sono a forma di S (dall’esterno del tallone all’avampiede), l’appoggio è neutro; se sono concentrati prevalentemente all’esterno del tallone e sotto la pianta, l’appoggio è iperpronato; se invece sono maggiormente evidenti sull’esterno del tallone fino all’avampiede, l’appoggio è supinato. Comprese queste semplici nozioni sulla biomeccanica della corsa, vale sempre la regola del buonsenso. Se si avverte qualche fastidio, è bene controllare e magari intervenire con una scarpa specifica. Se invece l’organismo ha trovato da solo un suo equilibrio, andarlo a modificare sarebbe contro producente.
Novi Ligure 26/10/2020 nr.11
È sempre maggiore l’interesse dei runner verso l’allenamento polarizzato: scopriamo questo metodo che ha dato validi risultati a chi l’ha sperimentato
L’allenamento polarizzato nella corsa è l’ultimo argomento che divide i runner in due fazioni opposte: da una parte chi lo ritiene efficace – basandosi sui risultati che diversi atleti di alto livello hanno raggiunto grazie a questa innovativa metodologia di allenamento – e dall’altra coloro che invece non gridano affatto al miracolo e anzi lo considerano un sistema sopravvalutato.
Ma che cos’è di preciso l’allenamento polarizzato e in che modo funziona?
In sostanza, l’allenamento polarizzato è basato sulla suddivisione in tre parti dell’esercizio fisico: la percentuale maggiore è riservata ad un lavoro svolto a bassa intensità, una percentuale moderata ad intensità molto elevata e una minima parte ad alta intensità.
Vista la distribuzione che prevede sedute ad altissima e alta intensità, grande importanza riveste il recupero che deve permettere al fisico di poter sostenere allenamenti così esigenti. Infatti, comprendere l’importanza del recupero per il corpo è uno dei punti fondamentali per avere grandi prestazioni in allenamento. Sono moltissimi gli atleti che consigliano di porre particolare importanza alla fase di recupero, considerata da molti come il vero e proprio punto di forza dell’allenamento polarizzato.
Per comprendere meglio come funziona questo allenamento, ci si può aiutare con numeri e percentuali: la distribuzione ideale del lavoro nell’allenamento polarizzato prevede un 70-75% di lavoro ad intensità modesta, basato su corsa a ritmi molto blandi; un 5% di lavoro sulla soglia anaerobica, ovvero sessione di corsa intensa, e infine un 15-20% nettamente superiore alla soglia anaerobica, dunque corsa molto intensa, suddividendo queste tipologie di allenamento nell’arco della settimana.
A livello indicativo, una settimana ideale incentrata sull’allenamento polarizzato prevede al lunedì lavoro molto intenso, seguito il martedì da lavoro a ritmi blandi che consente di recuperare bene per poter affrontare il mercoledì un allenamento a ritmo medio; giovedì un’altra giornata dedicata al lavoro blando per poi effettuare il venerdì la seconda sessione settimanale di allenamento molto intenso. Il sabato tocca di nuovo al lavoro a ritmo medio e la domenica, infine, ci si concede il meritato riposo.
L’alternanza fra allenamenti a ritmo blando e a ritmo medio rende i carichi di lavoro non eccessivi, consentendo così di affrontare le sedute ad intensità molto alta senza che il fisico ne risenta eccessivamente.
Sul dibattito se questa tipologia di allenamento sia sopravvalutata o meno, lasciamo al lettore la libertà di valutarlo a seguito di almeno un paio di sedute (settimane) di allenamento polarizzato fatto bene. Ognuno potrà trarre le dovute conclusioni basandosi soltanto sui risultati raggiunti, evitando di favorire un metodo d’allenamento a scapito di un’altro solo per sentito dire.
Novi Ligure 4/06/2020 Nr. 10
I runner sono quelli che corrono, non dipende dalla velocità, ma dipende dalla passione. Però, ogni runner vorrebbe andare “sempre più veloce”...Ma per andare più veloci ci sono molti modi diversi per farlo. Premesso che per la velocità di corsa c’è sempre una componente genetica importante che determina chi può fare una maratona a 3′ al km e chi no, ma ci sono diverse strade da percorrere per aumentare la velocità di un runner. Tutti sappiamo che più alziamo il ritmo più si alza la frequenza cardiaca perché aumenta la necessità di ossigeno e quindi il cuore deve pompare più sangue. Per aumentare l’efficienza del nostro corpo in questo senso i lavori migliori sono quelli intervallati: ripetute e fartlek su tutti. Questi sono i tipi di allenamenti, insieme ai corti veloci e ai medi, che ci possono aiutare a migliorare la velocità di corsa, aumentando la gittata cardiaca e la velocità soglia in cui la produzione di lattato nel sangue è equilibrata al suo smaltimento.
Oggi quello che vediamo è come migliorare l’efficienza di corsa lavorando sulla moltiplica falcata * frequenza (o cadenza), senza andare ad inficiare la frequenza che per un runner resta fondamentale, nella corsa i km che facciamo sono dati da falcata * frequenza (o cadenza) dei passi.Con falcata si intende la distanza percorsa da un piede dal momento dello stacco al momento dell’appoggio successivo
Facciamo un esempio:
Cadenza 84 passi/min (oppure 168, dipende se misurate i tocchi di un piede o di entrambi)
Falcata 1,19 metri
Andatura min/km –> In un minuto farà 84*2(piedi)*1,19=199,92 metri. Per conoscere l’andatura la formula sarà 1000 metri (1km) /199,92(metri al minuto)=5,00 min/km
Chi inizia a correre deve lavorare sulla cadenza, il passo corto e breve è la strada giusta, ma aumentare la cadenza significa anche aumentare la necessità di ossigeno. Aumentare la falcata, senza penalizzare la frequenza può portare dei miglioramenti e si può fare con dei lavori dinamici di forza e di esercizi durante la corsa che daranno dei risultati a parità di sforzo.
Unire i lavori intervallati con lavori di forza è la chiave per migliorare la velocità nella corsa
Allenare la falcata significa allenare la forza e la tecnica di corsa
Lavorare sulla falcata non è comunque semplice e bisogna tenere conto che l‘aumento della falcata deve essere fattibile, graduale per non creare infortuni e per seguire un aumento regolare della forza delle nostre gambe. Inoltre un aumento troppo ampio della falcata potrebbe far diminuire la frequenza non rendendoci più veloci. L’obiettivo è avere una falcata più efficace per essere più veloci lavorando sulla forza e sull’efficienza della falcata stessa, a parità di frequenza del passo.
Riprendiamo l’esempio di cui sopra….
Che beneficio possiamo ottenere aumentando la falcata di una distanza che non incida sul nostro stile di corsa e che non implichi grossi lavori, ad esempio di soli 5 cm? Riprendiamo il calcolo precedente
Cadenza (frequenza) 84
Falcata 1,24 metri (+0,05) N.B.si tratta di un aumento medio del 4%
84*2*1,24=216,72metri
1000/216,72=4,48 min/km
Quindi mantenendo la stessa cadenza, ma aumentando di soli 5 cm la falcata avremo un guadagno 12 secondi al km. Ovviamente l’aumento della falcata può essere maggiore e nel tempo lo diventerà, facendo poi i lavori intervallati anche la cadenza (frequenza) migliorerà.
La falcata è data da un movimento che coinvolge tutto il corpo, a partire dai piedi per arrivare sino alle braccia.
Cosa influisce quindi sulla falcata:
– Una buona spinta dei piedi
– Muscoli forti delle gambe e dei glutei con una buona risposta elastica
– la postura del corpo con il baricentro in avanti
– un utilizzo corretto della braccia
– Coordinazione
– Flessibilità
La Spinta dei piedi nella corsa: Ascoltiamoci correre, se abbiamo la musica nelle orecchie spegniamola. Nella rullata del piede affondiamo o spingiamo? Sicuramente nella rullata finiremo tutti con l’avampiede, ma siamo sicuri di spingere in maniera efficiente? Allenare la propriocettività diventa importante per evitare infortuni, migliorare l’efficienza di corsa e la velocità.
Muscoli forti per correre meglio: Per correre a volte serve integrare con altri esercizi e/o discipline. Correndo sviluppiamo sempre gli stessi distretti muscolari allo stesso modo. Integrando con altri sport (ciclismo, nuoto ad esempio)avremo una muscolatura più pronta e più forte, perché faremo lavorare le nostre gambe in modo diverso e diverse sollecitazioni fanno rispondere in maniera diversa il nostro corpo.
Postura nella corsa per correre più veloce: Il nostro corpo tende a correre risparmiando il più possibile energia. Questo non significa che non possiamo insegnargli una postura più efficiente. Per farlo serve molta concentrazione durante la corsa per mantenere un busto allineato, con il corpo leggermente inclinato in avanti, di modo che segua la linea del corpo sino a terra e spalle rilassate, almeno nella fase del cambiamento. Questo ci farà consumare minore energia e metterà le gambe leggermente in avanti ampliando in modo naturale la falcata stessa..
Utilizzare al meglio le braccia nella corsa: Correndo a ritmi lenti può essere positivo anche lasciarle rilassate lungo il corpo. Aumentando il ritmo la migliore posizione da tenere è braccia piegate a 90 gradi, all’altezza del gomito, tenendole vicino al busto e concentrarsi per mantenere spalle deltoide e avambracci rilassati. Il movimento coordinato con l’andatura, le braccia spingono il corpo in avanti e sono coordinate alle gambe.
Coordinazione è coordinare tutto quello detto fin qua e flessibilità data da esercizi di stretching dinamico.
ESERCIZI PER MIGLIORARE L’EFFICIENZA DI CORSA
Di seguito vediamo alcuni esercizi per lavorare su tutti questi aspetti. Tutti gli esercizi vanno fatti dopo un adeguato riscaldamento. Sono esercizi da compiere lontani dalle competizioni, per un periodo di 3 mesi 1 o 2 volte a settimana. Il consiglio è di ruotarli e scegliere 2 o 3 per punto. Sono abbinabili a sedute di CORSA LENTA e sono da evitare il giorno seguente ad un allenamento impegnativo (es ripetute).
Migliorare l’efficienza dei piedi nella corsa
Ripetute sugli scalini 1 a 1 e o 2 a 2 con 10 toccate per piede, recupero 40 secondi.
Corsa Balzata 12 balzi + allungo 30 mt recupero 10 minuto
Skip lunghi sulle punte con ostacoli disposti alla distanza della falcata desiderata 12 tocchi + 20cm+ allungo 30mt recupero 1 minuto
Skip corti rapidi su spazi piccolissimi 12 tocchi, appoggio solo sulle punte + scatto 20mt recupero 40 secondi
Camminate sulle punte 40 passi + allungo 30 metri recupero 40 secondi
Camminate sui talloni 40 passi + allungo 30 metri recupero 40 secondi
Allunghi in salita massimo 100 mt, correndo sugli avampiedi. Recupero 1’30”
Tutte le andature (skip, calciata, doppio impulso, pinocchietto, ecc…) alla base dell’atletica
Rafforzare muscoli gambe per il running
Integrare con una seduta di bicicletta rapporti impegnativo di 1h
Balzi squot dinamico su 1 gamba: Sulla gamba sx piego fino a 90 gradi e compio un balzo atterrando sull’altra gamba sempre piegando a 90° e ripetendo immediatamente il gesto 8 volte per gamba + allungo finale di 50 metri. Massimo 3 serie. recupero 2 minuti
Affondi mentre cammino: di passo scendo con ginocchio dx a terra e gamba sinistra piegata a 90°, risalgo e scendo con l’altra gamba finisco con allungo 30 metri, massimo 3 serie recupero 2 minuti.
Balzi rana max 8 + allungo 30 metri recupero 2 minuti
Da steso gambe sdraiate tiro su una gamba, tenendola tesa, piede a martello, 15 volte su e giù poi cambio gamba. 6 serie. Opzionale con cavigliera recupero 30 secondi
Allenamenti per migliorare la postura nel running
Per migliorare la postura è necessario, nelle uscite di corsa lenta, concentrarsi, ascoltarsi e provare a guardarsi. Un trucco è imporsi (all’inizio sarà un po’ innaturale se non siete abituati) il busto allineato, non “ingobbito”. Provate puntando il mento verso il petto e guardando per terra ad una ventina di metri davanti a voi, provate a tenere leggermente contratti gli addominali e inclinare la linea del corpo (non solo il tronco) leggermente in avanti, come se voleste spingervi come se foste su un’’altalena.
Esercizi
Plank: un esercizio per rafforzare tutto il corpo. Per il primo mese vi consiglio di farlo tutti i giorni partendo da una ripetizione di 20 secondi arrivando a fine mese a 4/5 ripetizioni da 30 secondi. Stessi con schiena in alto, vi appoggiate sugli avambracci che saranno lungo l’asse del corpo e i gomiti all’altezza delle spalle. Corpo dritto e appoggerete i piedi sulle punte. Mantenere la posizione con respiro regolare
Addominali crunch un giorno sì e uno no: partendo da 3*15 ripetizioni arrivare anche a 6*30 nel tempo. schiena a terra, gambe su una sedia con ginocchio e coscie rispetto al busto che compiono angoli di 90 gradi. Salire con la parte alta del busto di massimo 20 gradi e tornare giù quasi a toccare per terra. Mantenere l’attenzione sugli addominali che vi tirino su e che vi tengano sospesi al ritorno. Respiro fondamentale: vado su espiro torno giù inspiro.
Allenare una volta a settimana il tronco con piegamenti sulle braccia, trazioni per i dorsali.
Flessibilità e stretching per il running
Effettuare stretching moderato, solo da caldi e non per forza simmetrico. Molto importante effettuare sempre 4 o 5 allunghi di 80/100 mt alla fine di ogni allenamento di corsa lenta. Prima di ogni allenamento effettuare, dopo il riscaldamento, esercizi di mobilità articolare per gambe braccia busto e collo.
Coordinazione per migliorare la corsa
Gli skip sono molto importanti, ma la cosa più importante è concentrarsi. Provare a trovare lo stesso ritmo tra respiro braccia e gambe. All’inizio sarà un po’ artificioso, ma poi verrà naturale.
Novi Ligure 10/5/2020 Nr. 9
meglio conosciuto come Coronavirus
Ancora una volta il runner, quello vero che corre sempre e comunque, può fare la differenza lasciando vuote le strade. Distinguersi è la parola d'ordine immediata.
Il runner nell’occhio del ciclone, l’untore per eccellenza di questo stramaledetto virus che ci ha tolto le abitudini, la sicurezza, la possibilità di abbracciarci, stringerci, condividere assieme emozioni e tanti attimi di vita. Chi correva fino a ieri era semplicemente un eroe o un pazzo a seconda dei punti di vista, oggi è catalogato come la grande causa del propagarsi di questa pandemia che ci sta distruggendo. Il mondo dei runner è diviso, su chi insiste a correre tra parchi, strade o ciclabili e chi si è fermato perché lo ritiene più etico, annullare i chilometri è forse una maniera per essere più vicini e non distanziarci dalle tante, troppe vittime che ogni giorno sappiamo per colpa del coronavirus.
Il Governo nel suo decreto ha detto sì all’attività fisica all’aria aperta, la risposta di milioni di persone è stata la corsa, unica maniera per tenere il nostro fisico allenato oltre agli esercizi più casalinghi. Chi prima frequentava piscine, campi di calcetto o di tennis, playground di basket o sentieri in mountain-bike ora si è necessariamente inventato runner, così ancora chi prima amava solo il divano e la tv ora in preda alla noia e al sole di primavera tutto d’un tratto ha scoperto che là fuori, ebbene sì, esiste una vita fatta di movimento.
UNIAMOCI - Il runner, quello vero, ovvero ‘noi’ che la domenica mattina ci mettiamo un pettorale per fare una qualsiasi gara, che misuriamo ogni singolo chilometro, che viviamo di emozioni della fatica, dei brividi di un traguardo o delle lacrime nell’avere una medaglia al collo, oggi si ci sentiamo sia offesi dagl’ingiusti insulti che riceviamo, che usurpati di un posto, il nostro posto: la strada.
E allora questa strada, per una volta, per qualche settimana, possiamo lasciarla agli altri, a chi mai ha sputato sudore sull’asfalto o preso la grandine in testa di un improvviso temporale. Tutti noi oggi, coloratissima e variegata comunità dei runner potremmo abbassare i toni e provare ad essere più vicini, almeno con il cuore e con l’anima, alle tante vittime e anche ai medici, agli infermieri e a tutti gli operatori del settore ospedaliero che stanno combattendo per noi un’aspra battaglia, come fossero in trincea.
DISTINGUIAMOCI - Come quando siamo ammassati in una partenza di una maratona proviamo così ad essere uniti e vicini, a sgombrare il campo, a guardare lontano, a distinguerci per etica morale e capacità, a lasciare che siano gli altri a cadere nel tranello ‘tu corri quindi trasmetti il virus’. Distinguiamoci, siamo sempre stati forti e anche fieri dei nostri principi di sportivi fatti di lealtà e sacrificio, ora è forse il caso di dimostrarlo ancora di più, di far vedere la nostra classe e signorilità. Non mischiamoci. Alleniamoci in maniera alternativa, senza dare fastidio, senza alzare i toni, senza ingombrare, senza farci notare. Sappiamo che non siamo i responsabili di quanto sta accadendo, di quanto siamo derisi e malvisti in questo momento, ma dobbiamo far cambiare questo pensiero.
MARATONI-AMO - Tra le tante iniziative per distinguerci e dimostrare la nostra unicità e compattezza c’è ad esempio MaratoniAmo l’Italia, la maratona solidale più difficile da affrontare insieme, indistintamente da colori, numeri e simboli. La richiesta in questo caso è di donare attraverso la piattaforma eppela.com, tutto il ricavato andrà alla SIIET(La Società Italiana Infermieri di Emergenza Territoriale), società che vuole essere la casa di tutti gli infermieri che operano nel sistema di emergenza territoriale e nazionale. SIIET utilizzerà le risorse raggiunte supportando il personale sanitario nell'affrontare questa grande emergenza. Forse questa potrebbe essere la nostra vera maratona di questa primavera che non abbiamo potuto fare.
Novi Ligure 21 Marzo 2020 Nr.8
Le ultime notizie dalla IAAF sono clamorose.....Si aspetta a giorni una decisione che pare portare al bando della scarpa in questione e al suo divieto d'uso in competizioni ufficiali.
Gli ultimi record del mondo sono stati quasi tutti fatti con le Nike Vaporfly ai piedi. Parliamo soprattutto di due modelli: le Zoom Vaporfly 4% e le ZoomX Vaporfly Next%. Ultimo in ordine di tempo il record in maratona femminile stabilito da Brigid Kosgei a Chicago qualche mese fa fermando il cronometro a 2h14’04” e battendo quello imbattuto dal 2003 di Paula Radcliffe di più di un minuto. E il giorno prima, come se non bastasse, il suo connazionale Eliud Kipchoge era stato il primo uomo a correre la distanza di una maratona (non una maratona ufficiale) a Vienna in meno di due ore. Ai suoi piedi, inutile specificarlo, le Vaporfly 4%. E ci si potrebbe fermare qui, pensando che stiamo comunque parlando di atleti stellari che anche con delle ciabatte ai piedi avrebbero segnato tempi incredibili. Ma la questione è un po’ più complessa e coinvolge molte più persone, e parliamo di centinaia di migliaia
Una percentuale nel nome di una scarpa potrebbe sembrare una trovata di marketing e in effetti all’inizio venne interpretata così. 4% era infatti l’incremento di prestazioni promesso da queste scarpe nuovissime, lanciate nel 2016 in occasione del Breaking2, il primo tentativo di scendere sotto le due ore sui 42.196 metri. Come era ottenuto? Innanzitutto con una mescola dell’intersuola chiamata Pebax incredibilmente reattiva che prometteva (evidentemente mantenendo) di restituire il 30% in più di energia spesa dal runner rispetto alle scarpe tradizionali. E poi c’era e c’è il piatto in carbonio affondato in quella mescola che aggiunge forza propulsiva caricandosi in fase di atterraggio e scaricando come una catapulta in fase di stacco.Molti gridarono da subito al doping meccanico e all’ingiusto vantaggio che una soluzione del genere dava a chi le usava, la IAAF (cioè la International Association of Athletics Federations, l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica) disse che la scarpa non violava i regolamenti e quasi tutti, capito dove sarebbe andato il mercato, si misero a farne delle versioni proprie.Un conto sono i risultati ottenuti dagli atleti di elite, un conto quelli che possiamo ottenere noi comuni mortali. Per consolidarli però ci sono dei dati raccolti in quantità notevoli e sono quelli forniti da una delle app più usate, ossia Strava. Come sa chi la usa, Strava registra i tempi, le percorrenze, i cambi di quota e anche – se il runner lo vuole – il modello di scarpe usato. È elaborando questi dati che si è riusciti a lavorare un campione molto significativo di più di un milione di profili che hanno corso dal 2014 in poi maratone o mezzemaratone, ottenendo dati così dettagliati da scendere al livello del tipo di scarpe. E quindi potendo tracciare delle ipotesi sostenute da dati sui benefici o meno che il tipo di scarpa ha dato a chi le indossava.Senza addentrarci in grafici e numeri, i risultati più significativi che comparavano qualche decina di modelli di scarpe, i tempi ottenuti dagli stessi runner con diversi modelli (nel caso avessero quindi corso prima una gara con un modello per poi passare nelle successive alle Vaporfly) e altri parametri hanno fornito un quadro inequivocabile: chi le indossava ha corso più velocemente del 4-5% che con le scarpe precedenti e del 2-3% più veloce di runner che indossavano scarpe di punta ma di altri marchi. Il fenomeno Nike Vaporfly del resto non può essere ignorato, anche perché dalla loro introduzione le usano il 41% dei runner scesi sotto le 3 ore in maratona, almeno fra quelli che usano Strava (che, comunque, ha un numero di utenti talmente vasto da poter essere considerato molto rappresentativo dell’universo running). Un grafico in particolare è significativo: mostra la probabilità dei runner di fare il loro personal best con un dato modello. Anche in questo caso le Nike Vaporfly staccano la concorrenza di molti punti segnando una percentuale attorno al 70%. Si può storcere il naso di fronte a dati del genere o essere scettici. Eppure non si può trascurare che non vengono da Nike e che sono liberamente raccolti usando un’app che non c’entra niente con chi produce queste scarpe e che ha fornito i dati in maniera anonima solo per questioni statistiche. Si potrebbe anche obiettare che non siamo macchine e che i tempi ottenuti anche nella stessa gara ma in anni diversi non significano molto: tante variabili possono falsare i dati, come il tempo atmosferico, la preparazione dei runner, il percorso ecc.. Un aspetto però è incontestabile, specie in termini statistici: il campione di dati è molto significativo e più è vasto, più l’errore o l’eccezione a cui un numero limitato di dati sarebbe sensibile tende a sparire. Se insomma siamo in 10 amici a correre più forte non formiamo un campione particolarmente rappresentativo; se oltre a noi 10 ce ne sono centinaia di migliaia di altri beh, il discorso cambia e sembra dire una cosa sola: con la soluzione tecnica messa a punto da Nike con le Vaporfly vai più veloce. Si tratta di una certa alchimia data dalla mescola dell’intersuola e dalla placca flessibile in carbonio e tanti altri produttori possono adottarla e già lo stanno facendo. Questo significa solo una cosa: se non verranno vietate dalla IAAF almeno nelle competizioni ufficiali, in futuro gran parte delle scarpe saranno così. E soprattutto costeranno di meno dei 250 euro che ci vogliono oggi. Meglio per tutti, no? Più veloci, spendendo il giusto. Novi Ligure 21/01/2020 Nr. 7
Prosegue il calo già registrato nel 2018 sarà vera crisi o solo un fattore fisiologico dopo anni di boom?
Come ogni anno, torna puntuale lo studio sulle maratone italiane: la classifica si basa sui maratoneti regolarmente classificati nelle gare prese in esame, escludendo le EcoMaratone non certificate, mettendo a confronto il numero dei classificati del 2019 con quelli del 2018 nell’ambito della stessa maratona. In caso di assenza del dato 2018, la gara può essere una new entry, oppure di una maratona non disputata nel 2018. Nel caso di maratone non disputate per cause di forza maggiore, è stato inserito il numero dei classificati del 2017; infine ci sono maratone che per ragioni organizzative o causa eventi legati al maltempo hanno cambiato chilometraggio.
ROMA CAPUT MUNDI Il 2019 vede confermarsi al primo posto la Maratona di Roma, seguita da Firenze (sempre seconda), poi Milano (in continua crescita) su Venezia, mentre si riconferma al quinto posto Reggio Emilia. Balzo in avanti di Ravenna che si pone al sesto posto anche grazie all’aiuto del Campionato Italiano Master, un Campionato che nel 2020 è stato assegnato a Reggio Emilia al pari di quello assoluto, e che potrebbe quindi far fare un balzo a cifre considerevoli. Il sesto posto di Ravenna è però frutto di un lavoro capillare di promozione e informazione che spesso manca ad altre maratone. Al settimo posto Verona, che in parte paga una giornata svoltasi sotto la pioggia. Nel 2018 le maratone, non calcolando quelle che si svolgono in più giornate consecutive, furono 60, nel 2019 sono state 52: se non fosse stato per cause meteo sarebbero state 56 (con in aggiunta Torino, Genova, Napoli-Pompei e Liguria Marathon).
CALO Scorrendo le cifre dei classificati, vi è il calo di un buon numero di maratone soprattutto quelle di prima fascia, mentre notevole l’aumento delle minori. Gli aumenti sono stati di un certo peso solo a Milano, Ravenna, Venezia, Rimini, Palermo, la Brixen Dolomiten e Sanremo,mentre in tono minore ma sempre in aumento Russi, Brescia, Terni, Cesenatico, Crevalcore, Pescara e Abbiategrasso. Non prese in considerazione le maratone che si svolgono nell’arco di dieci tappe. Diverse le considerazioni in negativo: una su tutte, quella sulle concomitanze, come Roma e Milano, ma anche i divieti da parte di chi è Silver su quelle Bronze, sui rinvii che si accavallano nella stessa regione e sul fatto che, di 52 maratone prese in esame, solo 36 fanno parte del calendario Fidal, mentre le altre sono tutte sotto egida EPS.
DICEMBRE Il mese con il maggior numero di maratone è dicembre con 8, seguito da novembre e marzo con 6, poi febbraio e ottobre con 5, seguono con 4 i mesi di Aprile, Maggio e Settembre. Il numero dei classificati totali è in calo rispetto al 2018 e 2017, così come anche le maratone con oltre 1000 classificati: 11 nel 2019, 12 nel 2018, 10 nel 2017 e 12 nel 2016. Le ultramaratone infine sono state circa una decina, alcune delle quali con distanze variabili tra i 42 e 45 km, ma ovviamente con dislivelli notevoli in alcuni casi.
Articolo di Michele Marescalchi Novi Ligure 20/1/2020 Nr.6
Nell’ambito della corsa il periodo di costruzione riveste un’importanza notevole; arriva per tutti i runner, infatti, il momento di staccare la spina e di rilassarsi.
I motivi di un rallentamento nell’attività sportiva possono essere diversi:
appagamento dopo un buon risultato
stanchezza dopo un periodo di gare troppo intenso
stanchezza dopo allenamenti sostanzialmente errati nella qualità e nella quantità
condizioni extrasportive poco favorevoli a un impegno massimale.
L’ultimo punto può riguardare periodi particolarmente stressanti di lavoro, in famiglia oppure condizioni climatiche decisamente avverse come quelle che si possono avere in inverno a causa di freddo e/o buio.
Dopo un periodo riposo (anche parzialmente attivo) se si vorrà ritornare al meglio sarà necessario un periodo di costruzione (oltre a un successivo periodo di potenziamento).
Periodo di costruzione: la facilità dell’allenamento
La caratteristica principale del periodo di costruzione deve essere la facilità dell’allenamento. L’unico modo per ottenere questo scopo è quello di utilizzare il fondo lento che è sicuramente l’allenamento prioritario del periodo. Il fondo lento può essere corso da 40″ a 1′ sopra il valore attuale sui 10000 metri.
Nel caso di runner amatori è usuale usare il divario di 40″ per consentire lenti “svelti” che siano effettivamente allenanti. Un tale ritmo non sempre è ben sopportato dal soggetto all’inizio della preparazione e può essere normale passare a velocità inferiori.
Quanto deve durare?
La durata del periodo di costruzione va da un minimo di 5 a un optimum di 10 settimane.
Il periodo di potenziamento
Dipende troppo dallo stato muscolare dell’atleta e dai suoi obiettivi. La scelta dei mezzi che richiamino la flessibilità può dipendere dall’età e dalla predisposizione del soggetto. Anche i mezzi per il potenziamento non possono prescindere dalla storia individuale. La soluzione migliore è che le 4-6 settimane di potenziamento vengano “personalizzate” dall’allenatore a secondo delle caratteristiche di ogni singolo atleta.
Novi Ligure 3/12/2019 Nr. 5
La visione moderna della programmazione annuale prevede semplicemente a fissare gli obiettivi della stagione, ottimizzandoli rispetto alle caratteristiche dell’atleta.
Se per i professionisti il discorso è più complicato, per l’amatore, è facile tratteggiare due profili tipici, coniugandoli con la moderna teoria dell’allenamento. Requisito fondamentale per cui ha senso parlare di programmazione annuale è che l’atleta riesca ad allenarsi abbastanza costantemente, non sia decisamente sovrappeso e sia in grado di correre almeno una mezza maratona (non sia cioè un principiante).
Primo profilo: il mezzofondista – È colui che gareggia sulle classiche distanze delle gare su strada domenicali, non disdegnando la mezza maratona; può anche provare la maratona occasionalmente, non più di una volta all’anno. Da un punto di vista stagionale si caratterizza così:
Primavera-Estate: gare su strada (da 10 a 21 km), serali (da 5 a 10 km), eventuali gare in pista su distanze superiori ai 3000 m.
Autunno: come sopra o in alternativa preparazione di una maratona.
Inverno: preparazione invernale (con eventuali corse campestri) o in alternativa preparazione di una maratona se non l’ha corsa in autunno.
Alcuni errori che caratterizzano questo profilo:
a) a causa di campionati provinciali, regionali, Grand Prix ecc., preparazione di distanze tipiche del mezzofondo veloce. Se nulla vieta di correre un miglio, è abbastanza assurdo sperare di conciliare la preparazione per gare di 10 km con quella per un miglio (o peggio un 800 m).
Altrettanto assurdo è sprecare un mese o sei settimane per preparare una gara decisamente più corta di quelle abituali. L’errore non è quindi correre la gara corta, ma prepararla ad hoc: si mandano al proprio corpo stimoli continuamente diversi che provocano trasformazioni che non sempre si riesce a gestire.
b) Assenza dei periodi di scarico. L’atleta gareggia tutto l’anno, certo che, trattandosi di gare corte, non possano fare danni. Assurdo dal punto di vista teorico e pratico, spesso un tale atteggiamento accorcia la vita atletica del soggetto, sia a causa di netti cali di rendimento sia per l’aumentata predisposizione agli infortuni.
c) Partecipazione a due o più maratone nel periodo autunnale o invernale. Per farlo occorre essere maratoneti, soprattutto come mentalità. Partecipare alle maratone perché non ci sono altre gare interessanti è una pessima strategia.
d) Vedere la preparazione invernale soprattutto come periodo quantitativo (predomina il lento) o potenziante (il cosiddetto potenziamento che tornerà utile in estate!?). In realtà il soggetto confonde un corretto periodo di scarico e costruzione invernale con un periodo di rilassamento in cui predominano allenamenti tutto sommato facili.
Da un punto di vista stagionale si caratterizza così:
Primavera-Estate: gare su strada (da 10 a 21 km), serali (da 5 a 10 km), eventuali gare in pista su distanze superiori ai 3000 m.
Autunno: preparazione di una maratona.
Inverno: preparazione invernale e preparazione di una maratona in tardo inverno o inizio primavera (fino al mese di aprile compreso).
I tipici errori di questo profilo:
a) come sopra.
b) Come sopra, ma non nel senso di gareggiare spesso quanto di correre troppe maratone. Se correre una maratona come lunghissimo si può fare teoricamente anche un paio di volte al mese (nella parte agonistica della stagione), correrla al massimo è un altro discorso.
c) Abolizione nel periodo primaverile-estivo (da maggio ad agosto) della conversione su distanze più corte. A parte il fatto che per un amatore correre a ritmi svelti rallenta l’invecchiamento, preparare una maratona (che magari si correrà anche in Scandinavia con temperature ottimali) con il clima italiano nei mesi centrali dell’anno è un inutile stress per il proprio fisico.
d) Periodi di scarico totale dopo una maratona. Se l’atleta sente il bisogno di staccare con la corsa per tre o più settimane non è un maratoneta e sta sbagliando profilo. Periodo di scarico sì, stop per riposare no.
Altri profili che possiamo incontrare nello svariato mondo dei runners e loro caratteristiche:
L’invernale – Punta tutto sulle competizioni invernali, spesso le campestri. Per un amatore le campestri possono far parte della preparazione invernale, ma senza che costituiscano un obiettivo prioritario. Le competizioni campestri amatoriali sono organizzate spesso su distanze troppo brevi per essere veramente allenanti e su percorsi che possono anche causare infortuni. L’invernale esaurisce, a volte, tutte le sue cartucce in pochi mesi e vivacchia per il resto dell’anno.
L’agonista – Non ama particolarmente gli allenamenti e si allena con le gare; partecipa a non competitive, a gare serali, a gare lunghe, a mezze maratone. Per lui la programmazione la fa il calendario: se c’è una corsa nei paraggi, DEVE farla.
L’antiagonista – È colui che per scelta o per necessità non gareggia che in poche occasioni all’anno, spesso concentrate in una particolare stagione. Sia che sia maratoneta sia che sia mezzofondista, fare poche gare all’anno non consente di fare una programmazione sufficientemente diversificata.
Lo specialista – Si è convinto di essere uno specialista della pista, delle gare in salita ecc. L’errore di fondo è rappresentato dal fatto che la specializzazione ha senso solo ad alti livelli. Un amatore che fa solo gare in pista, solo gare in montagna ecc. finisce per dare al proprio corpo sempre gli stessi stimoli e, inevitabilmente, invecchia sportivamente prima di chi varia.
Il variabile – Modifica continuamente la programmazione, spesso perché vengono meno gli obiettivi che si era prefisso. In genere la paura di affrontare l’obiettivo provoca una continua rinuncia o un continuo rinvio. Tante mezze programmazioni non fanno una programmazione decente.
Il perfezionista – Sceglie una programmazione eccessivamente cesellata, non può saltare un allenamento, cerca continue verifiche. In un certo senso è schiavo del programma che, anziché aiutarlo, lo “uccide”.
Il rinunciatario – Non programma perché la sua attività dipende da quella dei compagni di allenamento, dal gruppo cui appartiene. Anche se le caratteristiche sono simili, ogni atleta deve avere la propria programmazione e un programma collettivo è possibile solo di massima.
Questi sono alcuni spunti di riflessione. L’importante è che giunga il messaggio:
non ci si può allenare bene se non si hanno le idee chiare su cosa si vuol fare.
E tu…… in quale profilo ti sei identificato?
Novi Ligure 3/12/2019 Nr. 4
Giovedì 7 novembre presso il Museo di Ciclismo di Novi ci saremo anche noi. Siamo tutti invitati a partecipare a questo primo incontro dedicato al settore runner amatoriale e agonistico organizzato dal nostro socio-atleta Paolo Dalia, titolare anche del negozio Novi Running, in collaborazione con lo studio Fisioanalysis Medica del Dott. Luigi Di Filippo.
Andremo sicuramente per ascoltare i temi dell'incontro e per confrontarci con le nuove metodologie di allenamento che i relatori del meeting ci proporranno.
Novi Ligure 30/10/2019 Nr. 3
Nella foto sopra, la corsa dei primi quattro atleti che sono vicini al cordolo è corretta, il quinto (quello con la maglia rossa ha, invece, una posizione scorretta...corre troppo al centro della corsia esponendosi così al rischio di vedersi superato da entrambi i lati.
Dopo avere assistito a due delle gare su pista che la società Atletica Novese ha organizzato a settembre , mi è venuto spontaneo dare alcuni suggerimenti su come si "dovrebbe correre in pista" per evitare errori e possibili incidenti. Regola fondamentale è quella che si deve correre "alla corda", cioè ad una distanza tra i 20/30 cm dal bordo del cordolo che delimita la prima corsia, di solito con il prato del campo interno. Questo per evitare di farsi sorpassare dagli avversari sulla propria sinistra....Se c'è chi corre più forte di noi, ci sorpasserà all'esterno,..... quindi lo si obbligherà a fare un pò più di strada, soprattutto se ci sorpasserà in curva. Il rischio maggiore per chi corre in pista è la partenza...Subito dopo lo sparo bisognerà abituarsi a correre i primi 40/50 m più forte del nostro ritmo gara per riuscire nel più breve tempo possibile ad evitare il solito affollamento iniziale e guadagnare subito "la corda" . Questo ci permetterà di evitare (in caso di utilizzo di scarpe chiodate) qualche spiacevole incidente. Una volta conquistata la prima corsia, proseguiremo con il nostro passo...Se ci accingiamo a superare chi ci precede, nel limite del possibile, facciamolo sui due rettilinei, per far sì che, una volta superato l'avversario, si possa subito riprendere "la corda". Da evitare i sorpassi o i doppi sorpassi in curva onde evitare di dovere effettuare la nostra azione in seconda o addirittura in terza corsia. Novi Ligure 7/10/2019 Nr. 2
Iniziamo con questi due consigli ad utilizzare la pagina "News" del nostro sito. Voi tutti sapete cosa è l'acido lattico...o, se vi è sconosciuto, sicuramente vi sarete trovati dopo un intenso allenamento sulle ripetute o durante una gara tirata, ad accusare quel senso di "pesantezza" alle gambe che vi ha costretto a rallentare o addirittura a fermarvi...Ecco quelle sono le conseguenze dell'acido lattico sui nostri muscoli. Il riuscire a conviverci e a resistere allo sforzo lo si acquisisce con l'allenamento.....però posso suggerirvi due consigli per eliminare il più velocemente possibile i suoi effetti negativi. Già nell'articolo dedicato al recupero abbiamo appreso che uno dei mezzi per eliminare l'acido lattico è quello di riuscire, appena terminato lo sforzo, a far sì che il nostro cuore continui a "pompare" più velocemente per dare modo alla circolazione sanguigna di trasportare scorie e tossine al fegato per eliminarle....ma, oltre alla "velocità del flusso sanguigno", il nostro corpo ha bisogno di un apporto maggiore di ossigeno per riuscire nell'intento.... Possiamo averlo effettuando, nel tempo che utilizziamo per il recupero, delle iperventilazioni proprio come fanno quegli atleti che si apprestano ad effettuare un'immersione in apnea. Con il maggior apporto di ossigeno (grazie all'iperventilazione) e al mantenimento di un numero elevato di pulsazioni (con conseguente velocità di circolazione sanguigna in atto) riusciremo in un minor tempo a recuperare dallo sforzo effettuato e ad eliminare più velocemente l'acido lattico dai nostri muscoli.
Novi Ligure 7/10/2019 Nr. 1