Ho volutamente creato questa sezione perchè ritengo dare una più approfondita informazione sul "meraviglioso mondo dei Test" per l'atletica leggera; mondo ancora oggi in continua espansione.
Alcuni di questi test, pur se datati, hanno ancora una loro validità ed uso comune anche per la loro semplicità di esecuzione e di interpretazione, altri più prettamente scientifici, hanno bisogno di protocolli d'uso, di strumentazione e di personale qualificato per potere essere realizzati. Hanno un certo costo, non sono facilmente reperibili (ad esempio l'esame sul lattato) ma danno risultati più precisi e sicuri.
In questa sezione vengono riportati testi, riferimenti di articoli, rimandi a siti internet di svariati autori che ringraziamo pubblicamente ed anticipatamente e, spesso verrà utilizzato il vocabolario wikipedia.
A tutti una buona lettura..............
Test di Conconi
Il test di Conconi (anche test Conconi) è stato presentato per la prima volta alla letteratura scientifica internazionale da Conconi e la sua équipe nel 1982; è un test relativamente semplice (rispetto ad altri test di laboratorio) e non invasivo (cioè non richiede prelievi di tessuti corporei) che serve a misurare la soglia anaerobica (SAN). È un protocollo indiretto, cioè non misura la soglia anaerobica direttamente, ma permette di ottenere un risultato più o meno “valido”.
La validità in ambito statistico può essere definita come la risposta alla seguente domanda: “Misura effettivamente quello che si prospetta di misurare?”. Per questo motivo la domanda del titolo di questo articolo equivale sostanzialmente a chiedere: “Il test Conconi misura effettivamente la soglia anaerobica?”.
Misura diretta della soglia anaerobica
Il protocollo diretto per la misurazione della SAN richiede l’effettuazione di varie prove di 30′ in diverse giornate (in alcuni casi alternate da giornate di riposo) con prelievi di lattato ogni 5-10′. Senza addentrarsi eccessivamente nel protocollo, si capisce immediatamente come possa essere una misurazione difficilmente accessibile alla maggior parte degli atleti ed eccessivamente scomoda (si tratterebbe di “sacrificare” una settimana di allenamenti) anche per gli atleti di alto livello. Per questo motivo col passare degli anni sono nati protocolli alternativi (“indiretti“) effettuabili in una sola giornata.
Tra i test indiretti sono da ricordare i test incrementali (cioè nei quali la velocità viene incrementata step by step) che misurano parametri ventilatori, lattacidemia e parametri cardiaci (come appunto il test Conconi) o altri che si basano su valori fissi come il quoziente respiratorio, i livelli di lattato (2 e 4 millimoli) ecc.
Tra questi, il test di Conconi è uno di quelli che hanno suscitato più interesse ma allo stesso tempo ha anche ricevuto molte critiche:
oggi si è portati a utilizzare un test se questo è ripetibile (ovvero se è in grado di dare lo stesso risultato se eseguito nelle stesse condizioni, ovvero a poca distanza di tempo) e semplice da effettuare.
Se il test di Conconi può essere considerato un protocollo veramente semplice, e pochi dubbi dalla bibliografia scientifica insorgono sulla ripetibilità, il secondo punto citato sopra (la mancata deflessione) sembra rappresentare una difficoltà nell’accettazione di questo test come valutazione di routine. Dal canto suo, Conconi si difende criticando i protocolli utilizzati in alcune ricerche, in quanto non sempre viene data sufficiente cura al riscaldamento e molte volte non vengono utilizzati protocolli adeguati (in particolar modo quando si valuta la SAN nei ciclisti).
A quale velocità è correlata la deflessione (quando rilevabile) del test di Conconi?
Dipende dalla durata degli step: se questi sono troppo brevi (200 m) è correlata alla velocità che si può tenere sui 3000 m per runner di medio livello. Se gli step sono più lunghi la velocità di deflessione può essere correlata a distanze che si coprono anche in 40′-60′ dipendentemente dal grado di allenamento del soggetto.
Significato fisiologico della deflessione nel test di Conconi
Conconi attribuì all’intensità della deflessione un significato fisiologico: quella velocità di corsa alla quale la produzione di lattato nei muscoli è superiore alla quantità che può essere smaltita, in altri termini la soglia anaerobica. In realtà, sarebbe ottimistico e semplicistico ipotizzare che il comportamento del cuore (evidenziabile tramite i battiti cardiaci) e la produzione di lattato (che avviene in altri muscoli) abbiano lo stesso andamento, in quanto sono influenzati da fattori in comune, ma anche diversi: ritorno venoso, attivazione adrenergica, pressione parziale di alcuni gas come ossigeno e anidride carbonica, lavoro muscolare ecc.
Il ruolo fisiologico del cuore è quello di rispondere all’esigenza di sangue da parte dei muscoli; il parametro che maggiormente risponde a questa esigenza è la gittata cardiaca (GC), ovvero la quantità di sangue che il cuore pompa in un minuto.
La GC è data dal prodotto della frequenza cardiaca (fc) moltiplicata per la gittata sistolica (GS; ovvero la quantità di sangue pompata a ogni contrazione del cuore).
GC = GS * fc
Aumentando l’intensità dell’esercizio, per incrementare la GC, aumentano sia la fc che la GS; in una recente ricerca è stato visto che il valore massimo di GS si otteneva alla deflessione cardiaca (cioè quella evidenziabile con il test di Conconi); oltre tale punto, la GS diminuiva. Nei soggetti in cui non si presentava la deflessione, la GS incrementava fino alla fine del protocollo, cioè presumibilmente fino alla frequenza cardiaca massima. Servono ulteriori ricerche, ma è presumibile ipotizzare che
la deflessione cardiaca rifletta (quando rilevabile) un comportamento cardiaco, più precisamente il valore di fc alla quale la GS ottiene il suo massimo valore.
Attualmente è difficile ipotizzare quali siano i motivi fisiologici di tale comportamento; tra i tanti, il più probabile è quello di prevenire un sovraccarico cardiaco. È da precisare che gli atleti di endurance presentano il decremento della GS a intensità maggiori (in relazione alla Vamax) rispetto ai soggetti non allenati.
Conclusioni
La risposta al titolo di questo articolo è chiara: l’utilizzo del test di Conconi come protocollo di routine per tutti gli atleti non è consigliabile, in quanto non per tutti si presenta la deflessione. Ecco le possibili alternative:
N.B.: come si vede nei consigli sopra riportati non si parla di soglia anaerobica. Essa rimane, infatti, un’intensità di esercizio puramente teorica; in altre parole è importante per la comprensione della prestazione e dell’allenamento, ma non per stilare i ritmi. Non rappresenta infatti una barriera netta oltre la quale il nostro organismo va immediatamente in crisi come molte volte si è portati a credere; se si vuole calcolare la SAN esclusivamente a scopi statistici per un amatore è possibile ottenerla da una semplice formula: SAN= D x 8,12 (dove D è la distanza percorsa nel test dei 7 minuti)
Test dei 7 minuti
Nel 1989 Peronnet e Thibault (ved. Handbook of Sports Medicine and Science, Running – Hawley, ed. Wiley) pubblicarono un’interessante ricerca, partendo dalla quale anni dopo Pizzolato elaborò il test dei 7 minuti. Secondo i ricercatori francesi, un atleta allenato raggiunge il suo massimo consumo d’ossigeno dopo 3′ e lo mantiene al 100% per circa 7′, per l’85-90% per 60′ e l’80-85% per 120′. In Italia le ricerche dei due francesi furono riprese soprattutto da Orlando Pizzolato che le trasformò in un test citato per la prima volta nel 2005 nel suo testo Correre secondo Orlando Pizzolato, senza attribuirsene comunque la paternità.
Un runner può essere descritto da parametri derivanti dalle sue prestazioni (per esempio il suo primato sui 10000 m) oppure da parametri fisiologici. Questa seconda strada affascina soprattutto medici e fisiologi sportivi che hanno come obiettivo la predizione della prestazione a partire da parametri tipici dell’atleta, misurati in laboratorio o con efficienti prove sul campo.
Purtroppo questa strada non è semplice e ha dato origine a molta confusione, sia per il proliferare del numero delle grandezze considerate sia per la loro non sempre precisa definizione. Inoltre è importante rilevare che anche grandezze usualmente impiegate (capacità aerobica, potenza aerobica, resistenza aerobica, capacità anaerobica) non sono indipendenti, ma possono comunque essere ricondotte alle tre grandezze fondamentali del fondista. Ricordiamo che queste sono:
Relativamente alle grandezze 2 e 3 esistono molte diverse strade per la loro determinazione. Per esempio, per misurare la soglia anaerobica è possibile ricorrere all’usuale test di Conconi oppure usare il tempo sui 10000 m (in minuti, M, e secondi, S) e applicare la formula di Albanesi: SAN=35.000/(60*M+S).
Per esempio, un atleta che vale 40′ sui 10000 m ha una soglia di 35.000/2.400=14,583 km circa. Per la SAE un’ottima approssimazione si ottiene dal tempo sulla maratona (ammesso che il soggetto sia allenato e tenga un’andatura regolare).
Anche il prelievo del lattato è significativo, dal momento che la soglia anaerobica corrisponde a 3,5-4,5 mmol/l di lattato (convenzionalmente 4, Mader) e quella aerobica a 1,8-3,2 mmol/l di lattato (convenzionalmente 2).
Purtroppo, per la determinazione del massimo consumo di ossigeno non esistono metodi semplici.
Viene a questo punto spontaneo cercare un test sul campo che ci consenta di indagare questa grandezza.
Da queste considerazioni Peronnet ha mostrato che in prossimità del massimo consumo di ossigeno l’atleta è in grado di sostenere lo sforzo per circa 7′. L’attivazione massima del sistema aerobico è possibile se si utilizza anche energia proveniente dal sistema anaerobico e corrisponde a una quantità di lattato variabile fra le 5 e le 8 mmol/l (convenzionalmente 6,5).
Il test dei 7 minuti
Pertanto è del tutto logico definire un test che misuri indirettamente il massimo consumo di ossigeno dell’atleta come la velocità che riesce a tenere per 7′ (massima velocità aerobica).
Notiamo che il test di Cooper sui 12′ (o la sua traduzione sui 3000 m), senza basi fisiologiche precise, è quello che in passato si è più avvicinato al test dei 7 minuti. È chiaro che nel test di Cooper (troppo lungo) entra già il concetto di soglia anaerobica, cioè la capacità dell’atleta di lavorare con quantità di lattato che non variano sensibilmente (attorno appunto alle 4 mmol/l).
Pure sbagliato sarebbe tentare di tradurre il test dei 7 minuti in una distanza fissa; i 3000 m possono andare bene per atleti a livello mondiale, ma non certo per un amatore che in 7′ percorre circa 1500 m! Se si vuole tradurre il test in distanza occorre sceglierla in modo che sia congrua con il test: 1500, 2000 ecc. fino a 3000 m. L’importanza dei 7 minuti è dimostrata dal fatto che amatori eccellenti sul miglio (corso attorno ai 5′) diventano appena passabili sui 3000 m (corsi in un tempo superiore ai 10′).
NOTA – Perché il test sia affidabile, la velocità deve essere costante e si può aiutare l’atleta con indicazioni ogni 100 m. Se la prima metà è corsa nettamente più veloce della seconda, il risultato non è significativo.
Il test dei 7 minuti è un test semplicissimo, ma è anche quello che dà maggiori informazioni sulle potenzialità del runner.
Il calcolo del massimo consumo di ossigeno: le tabelle
In letteratura si trovano tabelle che danno il VO2max in funzione della distanza percorsa in 7′; ovviamente le tabelle sono simili, ma non uguali (a causa degli errori sperimentali della misurazione del VO2max dell’atleta e del fatto che prova dei 7 minuti e misurazione sperimentale del VO2max con altri metodi non sono contemporanee) ed è facile confondersi fra i vari contributi. Molto più semplice analizzare le varie tabelle (alcune piuttosto recenti) e desumerne una semplice formula.
La formula migliore che consente di passare dal valore della distanza D corsa in 7′ al VO2Max è quella di Albanesi del 2003, ma ad oggi ancora valida: VO2max=29*D
dove VO2max è il massimo consumo di ossigeno in ml/kg/min e D la distanza in km. Per esempio, una distanza di 2000 m (cioè equivalente a un ritmo di 3’30″/km) equivale a un VO2max di 58.
Anaerobici o aerobici?
Il test dei 7 minuti non ha solo un interesse scientifico, ma, insieme alla SAN e alla SAE, permette di definire completamente le caratteristiche dell’atleta.
Consideriamo il rapporto: R=4.500/T
dove T è il tempo dei 10000 m espresso in secondi. In teoria R (espresso in km) dovrebbe essere uguale alla distanza del test dei 7 minuti.
Per un atleta a livello mondiale con un tempo sui 10000 m di 26’30”, il test dei 7 minuti dovrebbe dare 2.830 m. Cosa che in realtà è molto probabile che accada (in quest’analisi non ci interessa la precisione al singolo metro, ma gli ordini di grandezza dello scostamento dal modello).
Per un buon amatore con un record di 36’20” dovremmo trovare un test attorno ai 2.083 m. In realtà, si scopre per esempio che il test dà 2.160 m, ben 80 m in più. Se invertiamo la formula, troveremmo che un amatore con un test a 2.160 m dovrebbe correre i 10000 m in 34’45” circa, un dato irrealistico. La mia esperienza mi porta a dire che questa situazione si ha nel 90% degli amatori. Ciò significa che per vari motivi (genetica, scarso allenamento, sport non aerobici praticati in giovane età, eccesso di muscolatura, eccesso di grasso ecc.),
la maggioranza della popolazione non è portata per le lunghe distanze
Il test di Cooper
E'un test utilizzato nell'attività sportiva a livello agonistico e amatoriale, ma non solo.
Fu creato da Kennet H. Cooper, medico della NASA, nel 1968 per usi militari.
Nella sua forma originale, il test prevede che si corra per dodici minuti cercando di coprire la massima distanza possibile. Questo test intende misurare la resistenza dell'atleta che svolge il test e, per un risultato attendibile, il soggetto dovrebbe correre con un passo costante, piuttosto che fare una serie di sprint.
I risultati del test danno una stima approssimata delle condizioni fisiche di una persona. I possibili risultati del test sono Molto bene, Bene, Normale, Male e Malissimo. Il risultato si basa sulla distanza percorsa dal soggetto sottoposto al test durante 12 minuti di corsa, valutata in rapporto all'età e al sesso del soggetto. Il test di Cooper sviluppa una delle capacità condizionali, la resistenza. I risultati sono influenzati dalla motivazione dell'atleta nel momento della prova e dal suo livello di allenamento.
Il test viene spesso proposto nelle scuole (solitamente nelle scuole medie e nelle scuole superiori) dagli insegnanti di educazione fisica ai propri alunni ed è oggetto di valutazione.
Esistono diverse tabelle che indicano i risultati del test di Cooper. Le seguenti tre si riferiscono a persone di età comprese tra i 13 e 20 anni (la prima), tra i 20 e i 50 (la seconda) e per i più sportivi (la terza):
I risultati del test possono essere utilizzati per stimare il massimo consumo di ossigeno (VO2 Max) utilizzando la seguente formula, dove d è la distanza percorsa in metri nel test: MAX VO2 = ( d - 505 ) / 45
Riportiamo l'articolo
di Massimiliano "Massi" Milani scritto il 22/8/2017 e vi invitiamo a vedere il sito THERUNNINGPITT.COM per un analisi più approfondita.
La misurazione della potenza nella corsa è stato uno dei temi più dibattuti nel corso del 2017, ne abbiamo parlato a più riprese anche sul nostro blog. L’interesse da parte dei lettori è molto alto, perché la promessa di chi vende i misuratori di potenza è quella di aiutare i podisti amatori a correre meglio, o quantomeno, a misurare meglio le proprie prestazioni. Ci hanno chiesto da più parti quali sono gli strumenti per misurare la potenza nella corsa e se davvero queste rivendicazioni di marketing sono giustificate. Ecco la nostra piccola guida, un po’ meno dettagliata del solito, perché sotto l’ombrellone non si ama leggere più di tanto.
Nota del redattore: la lista delle società che stanno entrando nel mercato delle dinamiche di corsa e della misurazione di potenza cresce ogni settimana, abbiamo indicato solo quelle che conosciamo e abbiamo testato, focalizzandoci in particolare sugli strumenti che offrono (offriranno?) la valutazione della potenza, non soltanto tools di biomeccanica.
Usare la potenza nella corsa: quali strumenti scegliere?
Dopo la recensione dettagliata sulla misurazione della potenza con Stryd, ecco un articolo dedicato esclusivamente al confronto con quello che offre il mercato. Ma non possiamo partire senza prima descrivere le principali ragioni per utilizzare la potenza nella corsa. Perché usare la potenza? Quale strumento scegliere? I dati sono veramente accurati?
Sappiate comunque che non esiste soltanto Stryd, gli strumenti a disposizione sono veramente tanti e senza una piccola guida si corre il rischio di fare confusione.
Perché usare la potenza nella corsa
In estrema sintesi, la misurazione della potenza nella corsa consente al podista di allenarsi in maniera ottimale in tutte le condizioni, con l’eliminazione di fattori esterni, come salite, discese, vento, temperatura oltre a parametri fisiologici. Rispetto al battito cardiaco, la valutazione è istantanea: se correte forte immediatamente il misuratore di potenza vi consentirà di capire quanti watt state generando. La frequenza cardiaca invece ha il limite che il dato è ritardato di qualche secondo. La potenza è perfettamente correlata alla velocità, a parità di condizioni esterne.
Attualmente non esistono strumenti perfetti, perché: 1) la potenza è solo stimata e non esatta. Ma nei nostri test di un anno non abbiamo notato grandi variazioni rispetto ai dati “reali”. 2) ci sono alcune condizioni in cui la misurazione è migliore di altre. Solo studiando la fisica della potenza potrete capire quali limitazioni ci sono, per esempio leggendo il libro The Secret of Running vedrete che la resistenza dell’aria influenza la nostra corsa e che stare in gruppo migliora, seppur di poco, la nostra performance.
Un misuratore di potenza nella corsa:
Ma contrariamente a quanto indicato dai promotori della potenza, una metrica non è necessariamente superiore all’altra, visto che ognuno di noi reagisce diversamente rispetto alla temperatura, all’umidità, all’altitudine e allo stress. C’è chi suggerisce di considerare il profilo Frequenza/Potenza in percentuale, per stimare contemporaneamente il vostro stato di forma, il vostro benessere psico-fisico e l’intensità della corsa.
Come misurare la potenza nella corsa, i migliori strumenti
La misurazione della potenza è ottenuta attraverso diversi strumenti, tutti pensati per sfruttare proprietà fisiche che consentono di calcolare la potenza generata dalle gambe. I principali sensori sono basati su tre tecnologie:
Si noti che non abbiamo recensito Wiva, un promettente sensore italiano, che peraltro non misura la potenza. Prossimamente aggiorneremo la recensione. Ci sembra leggermente over-priced rispetto alle offerte del mercato. Infine, tenete presente che acquistare questi sensori innovativi ha un rischio. Siamo davvero sicuri che siano supportati nel futuro? Siamo davvero convinti che il calcolo delle metriche sia equivalente? L’investimento è solitamente di 200 euro, quindi non è proprio a buon mercato. A volte poi è meglio cercare una tecnologia più sicura, per evitare sorprese. Il caso di Kinematix Tune è sintomatico: sebbene fosse una delle tecnologie più promettenti, dopo due anni dal lancio, l’azienda ha chiuso perché sono mancati i fondi a disposizione per continuare gli investimenti.
Conclusioni e approfondimenti
La misurazione di potenza sta diventando sempre più rilevante per il podismo, come lo è stato per il ciclismo quindici anni fa. Purtroppo attualmente non esiste uno standard di rilevazione dati e la misurazione avviene soltanto in maniera indiretta. A ogni modo, tra le nuove tecnologie stanno emergendo diverse soluzioni promettenti. Siamo convinti che con il tempo ci sarà convergenza tra GPS e sensori di misurazione e che almeno due dei quattro grandi produttori di orologi, spingeranno per misurare la potenza con dei sensori proprietari. Ma saremmo felici di sbagliarci!
Oggi al podista amatore risulta molto difficile capire come allenarsi correttamente con la potenza. Se chiedete ai principali coach italiani, vi diranno di utilizzare ancora metodi tradizionali! Per il sottoscritto, la potenza nella corsa è semplicemente una serie supplementare di metriche che, con occhio allenato, possono farmi capire se sto entrando in forma. Oramai non ne farei a meno, ma di certo non faccio parte della categoria di coloro che sostengono che la potenza sia l’unico strumento di allenamento.
Articolo preso dal sito runlovers.it
Allenare il VO2max
Il VO2Max (o massimo consumo di ossigeno) rappresenta la quantità massima di ossigeno che può essere trasportata e utilizzata dall’organismo. Quando in risposta ad un aumento ulteriore della richiesta energetica il consumo di ossigeno non cresce più si afferma che si è raggiunto il VO2 Max oppure che l’individuo sta erogando la sua massima potenza aerobica. In altre parole esprime la capacità massima di un individuo di produrre e utilizzare nell’unità di tempo l’energia generata dal sistema aerobico.
È considerato come una delle chiavi per il successo nelle discipline d’endurance. In particolar modo, il suo livello diventa fondamentale in quelle discipline dove la performance si attesta proprio intorno alla sua intensità come ad esempio i 3000 o 5000m nella corsa. Come vedremo – man mano che le distanze e quindi anche la durata della competizione si allungano – il VO2Max rimane molto importante ma non più il fattore determinante.
Se vogliamo misurare il consumo di ossigeno e stimarne in modo preciso il suo valore massimo possiamo utilizzare un metabolimetro. Come si utilizza? Durante un test incrementale / massimale di corsa si applica sul volto una mascherina con dei sensori in grado di misurare continuamente il consumo di ossigeno, fino al raggiungimento del suo valore massimo che avviene in prossimità della parte finale del test. I sistemi più semplici si basano sulla misura dell’ossigeno. Quelli più evoluti misurano in contemporanea sia l’ossigeno consumato che l’anidride carbonica prodotta. L’unità di misura che si adotta per il suo calcolo è espressa in litri al minuto o in modo più preciso e confrontabile in base al peso corporeo in ml/kg/min.
Un elevato VO2Max di partenza è una condizione indispensabile per una buona performance ma non sufficiente. Infatti è solo la base per costruire prestazioni di alto livello. ll VO2Max rappresenta una misura della dimensione del motore aerobico: quanto ossigeno il sistema cardiorespiratorio (cuore e polmoni) riesce a trasportare fino ai muscoli. Ma, ai fini della prestazione, diventa fondamentale quanto ossigeno può essere utilizzato dai muscoli stessi. Ci possono essere atleti che hanno cuore e polmoni molto forti ma i loro muscoli non sono così efficienti nell’utilizzare tutto l’ossigeno che viene fornito.
Il suo valore assoluto è molto diverso da persona a persona. Una delle variabili rilevanti è l’età. Raggiunge il suo livello massimo intorno ai 20 anni per poi decrescere lentamente negli anni successivi. Se sei un appassionato di running, ciclismo o triathlon ti consiglio sicuramente almeno una volta di fare un test accurato per calcolarlo. Così ti farai un’idea più precisa del tuo potenziale. Il solo fatto di sapere qual è il tuo VO2Max non ti farà migliorare ma ti aiuterà a conoscerti meglio e a capire se lavorando bene puoi ottenere qualcosa in più dal tuo motore.
Tra i professionisti gli atleti che raggiungono valori più alti sono in media gli sciatori di fondo e i ciclisti. Tuttavia, come ti avevo anticipato, in una gara di endurance non è detto che chi ha 80 di VO2Max arrivi sempre davanti a chi ha invece 70. Quello che conta davvero è la capacità di ciascun atleta di mantenere per più tempo una frazione elevata del valore massimo. Una stima di questo valore può essere considerata la soglia anaerobica.
Questi argomenti ti servono solo per capire di come gli aspetti che fanno di un atleta un campione sono sempre molteplici e legati tra loro.
Il VO2Max si può migliorare?
Questa è sicuramente una delle domande più frequenti. il VO2Max ha un limite superiore oltre il quale non può più progredire. Un atleta maturo raggiunge valori massimi nell’arco di 8-12 mesi d’allenamento intenso. Ed esiste un limite massimo per ciascun atleta.
Come abbiamo visto una volta raggiunto questo limite gli atleti più evoluti sviluppano una maggior capacità di esercizio a una percentuale più elevata del proprio VO2Max.
Ad esempio, un atleta che raggiunge il suo valore massimo di potenza aerobica dopo circa 8-12 mesi d’attività specifica continuativa (VO2Max 75ml-kg-min) e che in una gara di fondo prolungato ne utilizza il 75% (52ml-kg-min) può ancora incrementare le sue prestazioni, anche se il suo VO2Max ha raggiunto il suo limite superiore. Questo avviene perché con l’allenamento innalza la capacità dell’organismo di sostenere un impegno prolungato ad una percentuale più alta di esso, così da arrivare, col tempo, a utilizzare l’85% del suo VO2Max (63ml-kg-min).
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato come il parametro VO2Max sia meno sensibile all’allenamento rispetto ad altri valori come ad esempio la soglia anaerobica. Questo significa che per un atleta allenato il massimo consumo di ossigeno subisca meno variazioni significative non solo nell’arco di una stagione ma anche nel corso degli anni. Il suo incremento non rappresenta quindi un obiettivo principale per gli atleti.
Quali sono gli allenamenti che puoi fare all’intensità del massimo consumo di ossigeno? Innanzitutto il tempo durante il quale può essere mantenuta un’intensità pari a VO2Max è molto breve. Il valore medio si attesta attorno ai 6 minuti. Come sempre il livello di allenamento e di qualificazione dell’atleta possono incrementare questo valore pur rimanendo sempre nell’ambito di pochi minuti.
Per questo motivo gli allenamenti in cui si lavora a questa intensità vengono suddivisi in prove intervallate. Per darti un riferimento pratico devi raggiungere intensità lievemente superiore alla soglia anaerobica. L’impegno metabolico produce un alto livello di acido lattico e il consumo delle scorte di glicogeno è molto veloce. Gli obiettivi principali sono lo stimolo delle componenti anaerobiche con produzione di lattato superiore allo smaltimento e l’incremento della prestazione al livello del VO2Max.
Se volete avere un'idea della vostra potenziale performance su una determinata distanza esiste una formula universalmente riconosciuta per prevederla in base al vostro tempo su un'altra distanza. Il caso più classico è quello di prevedere il tempo sulla maratona conoscendo il tempo attuale o recente sui 10 kilometri, ma vale anche per altre distanze.
A mettere a punto questa formula matematica è stato Pete Riegel (ingegnere statunitense) nel 1977.
Il calcolo non è agevole e occorre una calcolatrice scientifica che abbia l'elevamento a potenza:
TP2=TP1*(D2/D1)1,06
dove TP2 è il tempo da prevedere, D2 è la distanza della prova di cui calcolare la previsione, TP1 è il tempo della prova conosciuta e D1 la distanza di quella prova.
Esempio: Prova recente 10km in 50:00. Previsione sulla maratona:
50:00 * (42195/10000)1,06 in sec 3000*(4,2195)1,06 = 13800 sec = 3h:50:00
La Calcolatrice di Riegel
Clicca sulla foto per essere indirizzato ad un link dove potrai inserire il tuo tempo su una distanza che hai ottenuto e vedere il tuo teorico tempo su un altra distanza di gara.
Questa formula, benché generalmente riconosciuta come molto affidabile, non può non avere dei limiti. Tra le variabili da tenere in considerazione ci sono le predisposizioni atletiche (un atleta potrebbe essere portato per le brevi distanze ma poco per la maratona), l'età, il peso (un leggero sovrappeso potrebbe non incidere molto sui 5000m mentre sulla mezza maratona ha un'incidenza sicuramente molto maggiore), e, non ultimo, l'allenamento (potremmo esserci allenati molto di più e meglio sui 10 km che sulla maratona).
Dopo anni di prove e test si è ritenuto di applicare alla formula originale dei piccoli correttivi per rendere i dati più realistici ai risultati stessi e precisamente si propone uno scarto del 1% su distanze tra gli 800 e i 3000m, uno scarto del 2% per le distanze tra i 5000 e i 10000m ed uno scarto del 4% per le distanze tra i 15 e i 42 km.