18. La "scuola pisana di geologia"

La "scuola pisana di geologia"

Paolo Savi

Leopoldo Pilla

Giuseppe Meneghini

Antonio D'Achiardi

Giovanni D'Achiardi

Domenico Zaccagna

Aloisi

Lotti

I testi e le immagini che seguono sono tratti da una conferenza che il prof. Marco Tongiorgi ha tenuto il ** aprile 2010 in occasione della festa del Dipartimento.

Paolo Savi e la nascita della Scuola Pisana di Geologia

Paolo Savi, figlio di Gaetano Savi, fiorentino e Professore dell’Ateneo pisano, è nato a Marciana, in comune di Cascina, poco più di due secoli fa, nel 1798.

Coetanei di Savi, nascevano intanto a Recanati Giacomo Leopardi e a Bergamo il musicista Gaetano Donizzetti.

Eravamo proprio alla fine di un secolo burrascoso: la Rivoluzione Francese si stava concludendo ed era appena cominciata la grande avventura di Napoleone Bonaparte.

 

Ma torniamo in Toscana, quando Paolo Savi aveva ormai 9 anni. A partire dal 1807 fino alla caduta di Napoleone Bonaparte (1814) la Toscana fu direttamente annessa all’Impero Francese.

Napoleone aveva nominato il grande anatomo-comparato e paleontologo George Cuvier (1769-1832) Ispettore generale della Pubblica educazione e Consigliere di stato, carica che mantenne anche al ritorno del re.

 Nel dicembre 1809 il governo centrale francese inviò a Pisa Cuvier, a capo di una commissione incaricata di una indagine sullo stato dell’istruzione nel “Departement” istituito dai francesi.

Gli ordinamenti dell’Università di Pisa erano allora assai arretrati. Solo con le riforme del Granduca Leopoldo era stata istituita per la prima volta (1782) una cattedra di Botanica, Storia Naturale e Chimica, separando queste materie dalla Medicina.

Applicando le proposte della Commissione Cuvier, il decreto napoleonico del 18 ottobre 1810 istituiva per la prima volta 5 Facoltà (al posto dei 3 “Collegi” leopoldini), tra cui la nuova Facoltà di Scienze, includente l’insegnamento di Mineralogia e Geologia.

Queste materie furono affidate a Giorgio Santi che per la Mineralogia seguiva le nuove idee sulla Chimica della scuola francese di Lavoisier.

Giorgio Santi

La Botanica andò invece al padre di Paolo Savi, Gaetano Savi .

Gaetano Savi

Una lettera manoscritta di Paolo Savi al padre, conservata negli archivi dell’Università di Pisa, ci illumina su alcuni aspetti della formazione del giovane Paolo in questi anni.

La lettera è stata scritta da Siena, in occasione di una visita allo zio Giuseppe ed è datata 11 luglio 1811: Paolo aveva dunque 13 anni.

 Gran parte del manoscritto è occupata da una lagnosa e ripetuta richiesta al padre perché gli permettesse di acquistare un fucile da caccia “a due canne”, cosa che Gaetano, come risulta anche dalla lettera, aveva recisamente negata.

Ma Paolo dava anche notizia dei suoi incontri a Siena ed in particolare quello con un professore della locale Università.

 “Il P. Ricca di più mi ha fatto conoscere il Prof. di Istituzioni Chirurgiche, che è un giovane insegnante mi pare molto istruito, e di buonissima volontà. Egli è molto più naturalista che medico: conosce molto bene l’anatomia comparata che ha studiato sotto a Cuvier; e mi ha insegnato un bonissimo metodo per fare le più delicate iniezioni. Si occupa attualmente molto dei fossili: così i suoi discorsi mi hanno rispianato assai le idee sopra a quel che avevo letto nel Santi, e pare che renderanno il mio viaggio più istruttivo” 

 Non deve destare meraviglia l’apprendere che Paolo Savi si sia avvicinato alle Scienze Naturali leggendo le dispense del Santi in tale giovane età (13 anni): nella Toscana dei Lorena (ma anche prima) non era richiesto né un esame di ammissione all’Università né una pregressa qualificazione e non era raro che fossero accolti nell’Ateneo giovani autodidatti di 13 o 14 anni.

 Dal Santi è probabile che Paolo abbia appreso la teoria Nettunista, una teoria del tedesco Abraham Gottlob Werner, (1743-1815), che assegnava una origine marina a quasi tutte le rocce.

Con l’AA 1814-15, fuggiti i francesi e tornato il Granduca, le Facoltà furono abolite e tornarono i Collegi, essendo di nuovo le Scienze Naturali (inglobanti, come prima, Mineralogia e Geologia) annesse al “Collegio medico-fisico”.

Storia Naturale e Mineralogia rimasero però a Giorgio Santi e la Botanica a Gaetano Savi.

Il Granduca cercava di creare meno scompiglio possibile, specie per quanto riguardava le prerogative dei cattedratici.

Nel 1814 Paolo Savi aveva sedici anni e frequentava l’Università.

Pisa era allora una piccola, sonnacchiosa città. Anche gli studenti restarono in gran parte estranei ai primi moti risorgimentali…

A 18 anni (1816) Paolo Savi aveva ottenuto una borsa di studio per un viaggio in Francia e a vent’anni era già laureato, tanto che, a partire dal 1818 e fino al 1822, il padre lo nominò suo assistente alla cattedra di Botanica; nel 1822 , a 24 anni, passò invece a Storia Naturale, come assistente del suo vecchio maestro Giorgio Santi.

Alla morte del Santi, nel dicembre 1822, Paolo Savi ne ottenne la supplenza, per essere poi nominato Professore di Storia Naturale e Mineralogia, nonché Direttore del Museo nel 1823, a soli 25 anni.

Quanto a Santi, per quello che se ne sa non aveva fatto che tre soli viaggi attraverso la Toscana (Monte Amiata e Senese) e poco aveva prodotto relativamente alle scienze geologiche. Il primo studioso “sul campo” della geologia Toscana sarà dunque il Savi.

All’inizio della sua carriera di Professore di Storia Naturale, l’interesse di Paolo Savi, appassionato cacciatore, si è rivolto alla Zoologia piuttosto che alle discipline geologiche.

Come zoologo, si occupò soprattutto di Ornitologia (ma non solo), lavorando alla stesura del suo importante trattato sulla “Ornitologia Toscana” che sarà completato con la pubblicazione del terzo ed ultimo volume nel 1831.

 

Solo coi primi dell’800 le esposizioni museali assumono una valenza didattica, rivolgendosi ad un pubblico più vasto: invece che singoli “pezzi rari”, viene ora mostrata la Natura, nella sua quotidiana varietà.

 Savi, diventato Direttore del Museo a 25 anni, capì subito il nuovo modo di diffondere la cultura naturalistica, rivelando una conoscenza diretta della Natura, ottime doti di educatore (nella sua carriera ebbe un gran numero di allievi che, a loro volta, dettero importanti contributi alla scienza) e, non ultimo, buone capacità artigianali e sensibilità artistica. Vediamo nelle immagini alcuni suoi diorami ancora conservati nel Museo di Calci

Nello stesso periodo fece vari viaggi in Italia e all’estero, fino al lungo viaggio del 1828 a Parigi, dove resterà due mesi, discutendo di scienza con i grandi maestri francesi Brongniart, Geoffroy de Saint’Hilaire e, soprattutto, Cuvier che gli regalò per il Museo pisano una collezione di calchi in gesso dei reperti su cui il grande francese aveva stabilito “parte delle specie nuove degli animali perduti”, come ebbe più tardi a scrivere lo stesso Savi.


Abbiamo detto dell’interesse di Paolo Savi per la Zoologia. Ma l’incontro con Cuvier nel 1828 gli fece cambiare orientamento.

Con il 1828 cominciano le escursioni geologiche in Toscana, proseguite nel 1829 con gite sui Monti Pisani, gli Appennini, le Alpi Apuane, cui fanno seguito le prime pubblicazioni di argomento geologico nel biennio 29-30.

Nel 1830 il Granduca lo incluse nella lista dei notabili toscani che lo accompagnarono in un lungo viaggio in Germania, durante il quale molto tempo fu dedicato ad esaminare i “terreni carboniferi” della Sassonia e della Boemia. Savi ispezionò miniere e si intrattenne con geologi e ingegneri minerari.

Negli anni successivi Savi intensificò le ricerche sul terreno: visitò l'Isola d'Elba e la Lunigiana e pubblicò la Carta geologica dei Monti Pisani (1833). È a questo punto che ricevette i primi importanti incarichi pubblici.

 

Paolo Savi abbandonate le teorie Nettuniste, si diede a propugnare entusiasticamente le idee “Plutoniste”, secondo le quali le montagne non sarebbero sorte a causa del ritiro del mare (Nettunisti), ma perché spinte in alto dai “plutoni” magmatici (Plutonisti).

 In Toscana, nelle rocce stratificate si sarebbero intruse, secondo Savi, grandi masse di origine ignea e anche quelle rocce carbonatiche non stratificate (come i marmi apuani) che venivano unite nella comune denominazione di “Dolomiti “ e classificate tra le “Rocce di trabocco”. In consonanza con le idee dei “Plutonisti”, queste intrusioni magmatiche erano ritenute responsabili dell’innalzamento dei gruppi montuosi toscani; gli “ellissoidi” delle Apuane, dei Monti Pisani, dei Monti di Campiglia e dell’Elba (1833).

 Nel frattempo, però, negli anni tra il 27 e il 32 venivano rinvenuti, soprattutto ad opera del Guidoni, un naturalista dilettante di Massa, numerosi fossili, non soltanto nei calcari stratificati di chiara origine nettuniana ma anche in quelle formazioni non stratificate, cui veniva attribuita una origine ignea. Lo stesso Savi scoprì numerosi resti organici nei marmi di S. Giuliano sui Monti Pisani, cosicché poté pubblicare nel 1832 un importante lavoro che rappresenta l'inizio di una nuova epoca nelle ricerche geologiche in Toscana. Non solo si andava precisando la cronologia dei “terreni stratificati”, ma veniva anche accettata l'origine sedimentaria delle formazioni toscane metamorfiche, per le quali non più di rocce ignee si andava parlando ma di “calcari plutonizzati “, “rocce di trasformazione “.

 Questa evoluzione delle idee segna una tappa importante nella storia della geologia: dal Savi, come dai geologi alpini, viene combattuto quello che è stato definito il “dogma del Primitivo”: rigettata la tripartizione delle rocce in “Primitive“, “di transizione“ e “Secondarie“, si afferma la nozione di metamorfismo. Per l'Appennino, i residui delle concezioni werneriane sono superati definitivamente con un lavoro del Savi del 1837 .

Le ricerche che abbiamo brevemente passato in rassegna dettero a Savi quella fama che è ben evidenziata dal ruolo importante che egli ebbe nel primo Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi a Pisa nel 1839.

Durante il Congresso degli Scienziati Italiani emerse un altro aspetto dell’attività del Savi, divenuto in seguito il più importante per lui, quello legato all’attività mineraria del granducato.


Ma è soprattutto il problema delle fonti energetiche, cioè la ricerca di possibili depositi di carbone, che interessava al Granduca, sotto la spinta dei nuovi imprenditori che emergevano nel processo di industrializzazione della Toscana.

Al Congresso di Pisa il Guidoni venne a dire che in Toscana e negli Appennini della Val di Taro era presente carbon fossile, dando con questo appiglio ai tecnici minerari che vantavano le importanti risorse minerarie toscane “checché ne dicessero alcuni geologi”.

Savi reagì seccamente, appoggiato da diversi scienziati dell’Italia settentrionale. I carboni fossili della Toscana, secondo Savi, erano ligniti recenti e non v’è traccia di veri carboni fossili (“litantrace”).


La discussione proseguì nella seconda riunione degli scienziati italiani (Torino, Settembre 1840) e nella terza riunione (Firenze, Settembre 1841).

Qui il Savi dette una spiegazione che salvava capra e cavoli (cioè la verità scientifica e le attese del Granduca relative all’esistenza di buon carbone in Toscana): il carbone toscano non era del periodo “Carbonifero” (dell’età cioè dei buoni carboni fossili del Belgio, della Francia e dell’Inghilterra) ma molto recente, come aveva già detto nel ‘39; tuttavia localmente i filoni metalliferi allo stato fuso che si erano infiltrati nei depositi terziari lo avevavo riscaldato a tal punto da trasformare la lignite in qualcosa che poteva esser paragonato al vero litantrace (“Litantrace anomalo”).

Da questa spiegazione derivava una importante conseguenza: poiché i carboni fossili toscani si erano deposti in bacini lacustri o costieri di estensione limitata e poiché il riscaldamento che li aveva trasformati in litantrace era solo locale, era richiesta una conoscenza dettagliata del territorio per valutare le (scarse) riserve disponibili in Toscana. E l’unico qualificato per questo era appunto lo stesso Savi.

Ingegneri e imprenditori non furono affatto d’accordo col Savi: per avere un sostegno statale alla nascente industria carbonifera toscana, la qualità del materiale doveva essere valutata come la migliore!

Il Savi restava certo il più qualificato scientificamente a dirimere la questione, ma ormai il problema era diventato un problema politico. A partire all’AA 1841-1842 il Granduca chiamò a Pisa un altro geologo, Leopoldo Pilla, e nel 1844 fece venire dall’Austria, come suo consigliere personale per le questioni minerarie, Theodor Haupt che, al contrario di Savi, era convinto di trovare in Toscana del vero litantrace carbonifero.


A partire dalla fine degli anni ‘30 le cose erano del resto molto cambiate. In consonanza con lo sviluppo industriale della Toscana, il Provveditore dell’Ateneo pisano fin dal 1838 aveva iniziato una riforma dell’Università in senso liberale.

Nel ’40, aboliti i Collegi leopoldini, erano state create due Sezioni, l’una umanistica e l’altra scientifica, comprendenti ciascuna tre Facoltà.

Le Scienze Naturali erano state smembrate, separando la Zoologia dalle discipline geologiche (Mineralogia e Geologia) che vennero affidate, a partire dall’AA 1841 - 42, a Leopoldo Pilla, napoletano e di idee liberali, a seguito dell’opzione di Paolo Savi per la cattedra di Zoologia e Anatomia comparata.

 Nella lettera del 27 Dicembre 1841 in cui il Savi invitava il Pilla a venire a Pisa, il tono era, seppur gentile, tale da far intendere che l’invito veniva direttamente dal Granduca e non da lui…

In una lettera del 19 Marzo 1842, Savi rifiuta con garbo ma recisamente di accompagnare il giovane collega in escursioni in Toscana, onde farlo partecipe delle sue conoscenze geologiche; a scusa, oltre ai numerosi impegni, Savi accenna ad una invalidante malattia (probabilmente la malaria) contratta “nelle maremme”.

 Sta di fatto che Savi, nonostante l’opzione per la cattedra di Zoologia, continuò a battere la campagna Toscana e ad occuparsi di Geologia e dell’industria dei carboni, senza mai avvertire delle sue numerose escursioni (soprattutto alle miniere di carbone) il più giovane collega… 

I rapporti tra Savi e Pilla rimarranno sempre assai freddi e tutta la storia sembra indicare che la vicenda dei carboni toscani aveva forse indotto il Granduca Leopoldo II a cercare altrove l’appoggio che il Savi non sembrava dargli.

Tuttavia il Savi si dava da fare per conto suo, come esperto minerario per conto delle ditte che estraevano il carbone a Monte Bamboli, a Baccinello e a Monte Massi, nel grossetano.

Nel Volume 18 dei manoscritti Savi ho trovato, ad esempio, numerose lettere di una corrispondenza degli anni 1843-44, per lo più in francese, tra Savi e i signori Mailland, Caillon & Formigli, concessionari della miniera di M. Bamboli. In una lettera del 31 Maggio 1843, scritta probabilmente dal Formigli, questo si lamenta della “malvagità con cui viene tutt’ora impugnata a Firenze la qualità del combustibile di Monte Bamboli..” e chiede al Savi che nella sua prossima pubblicazione anche se si accennasse ai dubbi sul carbone toscano, “non siano stampati separatamente dai buoni requisiti”.

Già nel 1843 Savi aveva pertanto fatto eseguire, per questa ditta, l’analisi chimica di numerosi campioni, mentre la qualità del carbone toscano veniva verificata fecendolo provare come combustibile a bordo di alcune navi a vapore, di varia nazionalità.

Altre lettere dell’archivio Savi testimoniano di queste prove. Ad esempio, il Direttore d’Impresa della vaporiera “Il Toscano”, fece la prova il 16 ed il 19 Agosto 1843 e dette un giudizio positivo. Non altrettantro positivamente avevano risposto nell’Aprile dello stesso anno i responsabili di altri due navigli, l’uno del Regno delle due Sicilie e l’altro francese, che lamentavano la presenza di troppe scorie e la scarsa potenza calorica del carbone toscano.

Di conseguenza, Savi non era in grado di tranquillizzare il Granduca né sulle riserve né sulla qualità del carbone toscano!

Pilla credendo, per ragioni teoriche, che i carboni fossili del tipo del litantrace si fossero potuti formare in qualsiasi momento della storia della Terra (e non solo nel periodo Carbonifero), era convinto della bontà dei carboni toscani, che pure sapeva essere recenti; per questo, credeva all’inizio di aver conquistato l’appoggio di Haupt e quindi anche del Granduca.

Pilla era certamente più “moderno” di Paolo Savi sul piano teorico, seguendo le nuove idee che andavano affermandosi in Europa riguardo alla separazione cronologica tra i diversi depositi sedimentari (“terreni”), riconoscibile sul terreno, secondo i Catastrofisti, dai bruschi passaggi tra rocce diverse, corispondenti a catastrofi globali che avevano a più riprese sconvolto il Globo terrestre.

Pilla si poneva, sul piano teorico, a cavallo tra il “Catastrofismo” e la nuova teoria (“attualismo”) che l’inglese Lyell aveva pubblicato in quegli anni (1831 e segg.), in quanto cercava di mitigare il ”Catastrofismo” con l’ipotesi che le “catastrofi” fossero gradualmente diminuite in violenza nel corso delle ere geologiche.

Su queste (deboli) basi, Pilla credette di poter separare l’Arenaria Macigno di Savi sia dai “terreni secondari” che dai “terreni terziari” e propose, negli anni ’45-46 una nuova partizione della storia della Terra corrispondente a quello che lui chiamava il “terreno etrurio”. In questo Pilla trovò ampio appoggio nei “catastrofisti” francesi e tedeschi.

Ma finì per essere emarginato a corte, avendo parimenti appoggiato la giurisdizione statale sul sottosuolo, cosa avversata violentemente dai padroni terrieri toscani. Savi si presentava invece come portavoce dei moderati e dei loro interessi (era lui stesso un proprietario terriero e fondatore dell’Unione Agricoltori) ed anche per questo non perse la sua ormai consolidata influenza. 

 

Savi rispose con una serie di memorie dettagliate (ad esempio la sua “Memoria sulla costituzione geologica dei Monti Pisani”, del 1846) in cui faceva valere la sua più profonda conoscenza del territorio. I due si scontrarono ancora nel 1847, in una sorta di polemica a distanza, dato che nei reciproci lavori non si citarono mai.

 Ma nel 1846 Pilla incorse in una pesante caduta d’immagine in occasione del fortissimo terremoto, con crolli e perdita di vite umane, che ebbe luogo alle 12,55 del 14 Agosto.

Il Pilla, non era nemmeno uscito in strada (spaventato, aveva cercato all’inizio di saltare dalla finestra del suo studio in via S. Maria 53, verso l’Orto Botanico, per poi restare fermo in quella posizione per “un resto di riflessione”) ma ne approfittò per scrivere di getto un opuscoletto del quale furono vendute 1500 copie in pochi giorni. La cosa fu criticata, in quanto apparve come una speculazione sulle disgrazie nazionali. A seguito di altre scosse di assestamento, pubblicò pertanto in Ottobre un articolo più meditato, in cui sosteneva essere il terremoto di origine vulcanica, con epicentro nell’area vulcanica del Sud dell’Italia. E questo spaventò la popolazione, che temette una possibile eruzione vulcanica nel Pisano….

Tutto questo avendo il Pilla di persona visitato brevemente solo le Colline Pisane tra Lorenzana e Luciana (il 17 Agosto) e la zona di Castellina Marittima e della bassa Val di Cecina (il 26 e il 27 Agosto).

Savi non si fece sfuggire l’occasione e rispose con una voluminosa memoria, basata su una vera e propria inchiesta sul campo nei luoghi del disastro e su una vasta raccolta di dati anche attraverso un dettagliato questionario inviato a tutti i suoi corrispondenti fin dove, anche fuori Toscana, le scosse fossero state avvertite.

In un italiano decisamente elegante ma senza tecnicismi, rivolto quindi ad un pubblico ampio e non solo agli specialisti, controbatté le ipotesi del Pilla (senza peraltro citare le sue pubblicazioni sul terremoto), tranquillizzò quanti avevano temuto imminente il formarsi di un Vulcano nel Pisano, e identificò assai correttamente l’epicentro in Val di Fine.

Pilla e Savi avevano a comune un limite: nessuno dei due era paleontologo e ambedue usarono ben poco i fossili per la datazione dei “terreni toscani”. Il primo soprattutto perché riteneva le discontinuità fisiche essere l’unica base per distinguere i diversi terreni (catastrofi), il secondo perché vedeva la storia geologica come il susseguirsi lento e graduale di trasformazioni di specifici ambienti locali: le correlazioni a distanza gli sembravano arbitrarie.

Dal diario di Leopoldo Pilla

 Ven. 1 - Fisico - Mediocre: per la continuazione del mal di nervi che da un mese in qua mi sta fortemente travagliando. Morale - Bene.

Sab. 2 - Fisico - Mediocre: come sopra. Morale – Male: Per vedermi in uno stato di desolazione, tribolato da un eccesso di mali e fisici e morali …..

Dom. 3 - Fisico - Mediocre: come sopra. Morale – Male: come sopra.

Lun. 4 - Fisico - Mediocre: come sopra. Morale – Male: come sopra.

Mar. 5 - Fisico - Mediocre: come sopra. Morale – Male: come sopra.

ecc., ecc.

Oltre alla chiamata del Pilla, il processo di svecchiamento della Università pisana aveva visto negli anni ’40 la chiamata di numerosi altri studiosi di valore, tra i quali molti attivamente coinvolti nei moti risorgimentali

 Tutto questo, e la fama della Toscana come paese tollerante e aperto al nuovo, aveva attratto numerosi studenti, molti dei quali ferventi patrioti.

 Sotto la pressione degli studenti, nel 1847 il Granduca autorizzò l’istituzione di un corpo di volontari (la “Guardia Universitaria”) che, tra Pisa, Siena e la Scuola Medica fiorentina, contava 800 effettivi.

L’anno seguente, il 21 Maggio 1848, allo scoppiare della Prima Guerra d’Indipendenza, 389 studenti guidati da una trentina di docenti, tra cui il Pilla, partirono per la Lombardia.


Pochi giorni dopo, il 29 Maggio 1848, nella battaglia di Curtatone e Montanara Leopoldo Pilla cadeva, colpito a morte dalle schegge della mitraglia austriaca.

Il suo corpo non fu mai trovato perché gli Austriaci, dato il gran numero di morti e per evitare epidemie, bruciarono i cadaveri dei caduti.

 

 

Il Pilla era più “ideologo”, anche come carattere e posizione politica; Savi era, come si è detto, un moderato e rifuggiva da ogni eccesso. Non fa meraviglia dunque che Savi abbia finito per essere considerato da molti storici delle scienza il primo antesignano in Italia del gradualismo “uniformista” del Lyell.

 

Alla morte di Leopoldo Pilla, Savi appoggiò la candidatura di Giuseppe Meneghini, padovano e lui stesso combattente nella prima Guerra di Indipendenza come Tenente della Guardia Nazionale di Padova insorta.

Nonostante questo, Meneghini era ben accetto alle autorità austriache, forse per esser figlio di una ricchissima famiglia padovana, forse per esser noto in Europa per i suoi studi di botanica.

Meneghini rappresenta il primo paleontologo della geologia toscana.

Col suo aiuto, Savi poté migliorare sostanzialmente (1850) la sua ricostruzione della stratigrafia toscana.

Significativa è la traduzione che i due pubblicarono insieme (1850) della poderosa Memoria di Murchison, con questo schierandosi definitivamente a fianco della scuola inglese di Lyell e dell’ “Attualismo”.

A partire dal 1851 la produzione scientifica di Savi diminuisce sostanzialmente, forse a causa della sua salute cagionevole e per la lunga malattia della moglie.

Ma forse perché, con la venuta del Meneghini, Savi sentiva di aver concluso la sua opera, avendo messo le basi per quella che fu da quel momento chiamata la “Scuola Pisana di Geologia”.

Mi piace considerare come il testamento scientifico di Savi il suo documentatissimo “Saggio sulla costituzione Geologica della Provincia di Pisa” del 1863, cui allega una nuova versione (datata 1858) della Carta Geologica dei Monti Pisani, aggiornata alle nuove conoscenze e allargata ai Monti d’Oltre Serchio del vecchianese.

 Bisognerà aspettare il 1888, 17 anni dopo la morte del Savi (1871), per la prima Carta Geologica della Toscana, pubblicata dal Meneghini a nome suo e di Paolo Savi, un omaggio al suo collega e maestro che alla geologia della Toscana aveva lavorato per più di 40 anni, ma anche una orgogliosa affermazione di continuità della ormai consolidata Scuola Pisana di Geologia.

17. NSCITA DI UNA TEORIA

18b. VISITA AL MUSEO DI STORIA NATURALE