06. L'origine delle rocce: nettunisti e plutonisti

Il Settecento è un’epoca cruciale per la geologia. Siamo nel "secolo dei lumi": l'illuminismo nasce in Inghilterra (Bacon, Locke, Newton....) e ha il suo massimo sviluppo in Francia.

In questo periodo si ha una evoluzione delle idee in tutti i campi (religione, scienza, filosofia, politica, economia, storiografia, forme della letteratura). È il secolo di Voltaire, Hume, Diderot, Rousseau, Kant. Lo spirito razionale penetra tutte le attività umane e lo studio delle scienze si diffonde,  cercando una spiegazione del mondo non legata alla religione della tradizione. Mentre nei secoli precedenti il racconto biblico era servito da supporto ai tentativi di ricostruzione della storia del mondo, nel Settecento esso viene letto in chiave razionale.

In geologia, il metodo speculativo viene soppiantato da quello pragmatista, basato su osservazioni dirette dei fenomeni e sullo studio di campagna. Due opposte idee si vanno affermando sull’origine del basalto, del granito, e delle rocce in generale. Per l'una si sono formate dall'acqua («teoria nettunista», da Nettuno, dio del mare), per l'altra dal fuoco, cioè da masse fuse, lava o magma («teoria plutonista», da Plutone, dio degli inferi). La concezione nettunista sembrava più conforme alla visione biblica, che parlava di distese di acque, e non di fuoco. Il successivo diluvio biblico era il punto di partenza per cercare di spiegare la formazione dei fossili ed il loro ritrovamento ad alte quote.

Nettunismo

Formazione delle rocce per precipitazione dalle acque

Le prime teorie che vedevano nel mare l'origine delle rocce si devono al filosofo Leibniz, secondo il quale la superficie del pianeta era stata ricoperta uniformemente da un grande oceano formatosi a causa della condensazione dei vapori presenti nell’atmosfera. Anche secondo Georges-Louis Buffon, come riportato nel primo volume della sua monumentale Storia naturale (1749), le correnti di un antico mare avevano determinato il modellamento di quella che, una volta emersa, sarebbe stata la superficie della Terra, con le sue valli e i suoi rilievi montuosi. Nel 1756  Johann Gottlieb Lehmann sostiene che le montagne primitive, prive di fossili, sorsero per deposizione di materiale terroso dalle acque che avvolgevano la Terra al momento della creazione. Le montagne secondarie, contenenti i fossili, erano invece dovute al diluvio, “inesplicabile enigma”.

Queste idee sono state formalizzate in una vera e propria teoria geologica tardo settecentesca, il nettunismo, ad opera del mineralista tedesco Abraham Gottlob Werner, che considera la crosta terrestre come il prodotto di una precipitazione avvenuta in un fluido acquoso. Di conseguenza, secondo i nettunisti, tutte le rocce, a parte le lave eruttate dai vulcani, vanno considerate di origine sedimentaria. 

La teoria nettunista non dà alcun particolare rilievo al calore vulcanico, immaginando che esso abbia origine da combustioni superficiali di giacimenti di carbone sotto l'influsso dell'acqua marina, dei venti, dell’attrito o dell'elettricità. In laboratorio, d'altra parte, era possibile ottenere facilmente del calore per mezzo di fenomeni di idratazione esotermica, ed era possibile ottenere sali acidi e basici mescolando metalli e alogenuri. Da queste convinzioni della teoria nettunista deriva l’uso ancora attuale (anche se didatticamente deleterio!) di dire che una roccia ignea è "acida" o "basica".

Le rocce si sarebbero deposte per cristallizzazione dal mare in un ben preciso ordine, che avrebbe dato luogo a rilievi con caratteristiche ben definite:

Abraham Gottlob Werner

Abraham Gottlob Werner (1749-1817)  nacque in una famiglia legata alla lavorazione del ferro; suo padre era l'ispettore delle ferriere del duca di Solm. Werner era destinato a seguire la carriera del padre, e fu avviato agli studi legali presso l'Università di Lipsia. Nel 1774 abbandonò la laurea in giurisprudenza, dedicandosi alla mineralogia. Pubblicò il suo primo libro, Von den äusserlichen Kennzeichen der Fossilien, che era un manuale di identificazione dei minerali semplice e ordinato. In questo testo indica nella composizione chimica dei minerali il criterio unico di classificazione, distinguendoli in terre, pietre, sali, combustibili e metalli. Questo gli assicurò un posto di professore di mineralogia e arte mineraria  presso l'Accademia Mineraria di Freiberg in Sassonia, il centro europeo più importante della ricerca geologica. Rimase lì per il resto della sua vita, sviluppando e insegnando la sua teoria sull'origine degli strati della Terra.

Egli sviluppò la prima trattazione sistematica sulle formazioni geologiche, disciplina che chiamò "geognosia" separandola così dalla "mineralogia". Partendo dalla osservazione diretta delle rocce e delle loro relazioni stratigrafiche, e dallo studio sistematico delle regioni limitrofe alla Sassonia, arrivò a proporre una classificazione genetica delle rocce. L'originalità fu che egli inserì questa classificazione in una teoria generale, che ne spiegava l'origine (1787) e che prese poi il nome di nettunismo. 

La teoria di Werner non era del tutto originale. Unì diverse idee popolari, in particolare il lavoro di Johann Gottlob Lehmann (1719-1767) con la tradizione mineraria del suo tempo, aggiungendo una spiegazione sulla storia degli strati osservabili di roccia. Basando saldamente la sua teoria sulla conoscenza geologica del suo tempo, propose uno schema globale che spiegasse l'origine e la distribuzione delle rocce sull'intera superficie terrestre. Werner propose che gli strati rocciosi della Terra si fossero depositati in tempi diversi da un oceano universale e onnicomprensivo. Le rocce che costituivano la crosta terrestre erano state formate da particelle che si erano depositate dal torbido oceano universale, come precipitati o sedimenti. Le differenze nel tipo di roccia e nella stratificazione visibili nel mondo venivano spiegate dalle oscillazioni del livello dell'oceano universale, nonché dalla turbolenza o dalla calma delle acque.

Per alcuni aspetti cruciali, tuttavia, Werner rompeva con i suoi predecessori. Nella Kurze Klassifikation und Beschreibung der verschiedenen Gebirgsarten (Breve classificazione e descrizione delle diverse rocce, 1787, un testo di 28 pagine disponibile qui) e nelle lezioni, che ebbero una grande influenza, egli sosteneva che le rocce non si dovessero più classificare secondo la composizione chimica e mineralogica, poiché troppo spesso rocce situate in punti diversi della sequenza stratigrafica mostravano la stessa composizione; dunque la classificazione chimica e mineralogica aveva il difetto di riunire in uno stesso gruppo rocce appartenenti a epoche diverse. Werner suggeriva invece di classificarle secondo 'formazioni', cioè sulla base del periodo in cui si erano formate. 

Werner era molto noto essendo un ottimo oratore e le sue lezioni erano famose per essere avvincenti e molto frequentate. Lui e Linneo erano i professori più popolari di tutta l'Europa del XVIII secolo, sapeva decisamente spiegare bene la sua materia e conosceva molto bene i minerali di cui parlava. 

In questo testo, Werner espone le idee chiave della sua teoria. All'inizio la Terra era avvolta e sommersa dalle acque dell'oceano primordiale, che contenevano disciolte o in sospensione quelle sostanze che successivamente si depositarono, originando le montagne. La storia della Terra è una successione continua di trasformazioni. In questo processo il ruolo del tempo è essenziale: «La nostra Terra è figlia del tempo e si è formata gradualmente». Egli valuta ad un milione di anni l'età della Terra.

Secondo Werner, solo alcune rocce, di estensione e frequenza limitata, come ossidiane, pomici e tufi, avevano una origine legata a fenomeno magmatici, mentre le rocce basaltiche e granitiche si erano anch'esse formati per precipitazione chimica dall'acqua marina.

Pur non essendosi mai spostato dalla sua regione, assunse che le osservazioni da lui fatte in Sassonia fossero applicabili alle rocce di tutto il pianeta. Senza aver mai visitato una regione vulcanica attiva, escluse categoricamente che il basalto fosse di origine magmatica: l'unico basalto che aveva visto si trovava vicino a Stolpen (vedi foto) e si trovava in strati compresi tra strati sedimentari di calcari. Werner non trovò il minimo segno di attività vulcanica nella "più famosa montagna di basalto sassone, quella di Stolpen". Decise quindi che doveva essersi formato anch'esso da precipitazione chimica dalle acque. I vulcani che Werner non trovava erano attivi 25 milioni di anni fa.

Nettunisti

La monolitica teoria di Werner, almeno inizialmente, riscosse consensi anche tra alcune menti particolarmente brillanti come quella di Alexander von Humboldt (che scrisse  “Sui basalti del Reno” nel 1790) e Johann Wolfgang von Goethe (filosofo, letterato, poeta, ma anche appassionato di fisica e geologia)

A Edimburgo lo scozzese Robert Jameson (1774-1854) fondò la Wernerian Natural History Society (1808), alla quale aderirono geologi europei e americani. La nomenclatura “geognostica” werneriana continuò a essere comunemente adottata dai geologi, che spesso anche in Italia usavano termini tedeschi per identificare rocce e minerali.

In Italia, il grande naturalista toscano Paolo Savi era inizialmente un nettunista, con alcune differenze nell'interpretazione locale delle rocce. Si "converte" poi ad una concezione plutonista; introduce il concetto di metamorfismo.

Plutonismo

Evidenze di origine magmatica

Molte osservazioni geologiche non erano in accordo con la teoria nettunista. Per esempio, tanto per parlare di località vicine a noi, era difficile interpretare le rocce granitoidi toscane come "primitive".

Per quanto riguarda le Alpi, suscitò clamore in ambiente geologico la descrizione delle rocce affioranti vicino a Predazzo, in Val di Fassa sulle Dolomiti (per ulteriori dettagli, leggere la storia sul blog History of Geology)

Lo schema stratigrafico dell'affioramento vedeva rocce "sedimentarie" (calcari in realtà trasformati in marmo da metamorfismo di contatto) attraversati da "serpentini" (in realtà dicchi di rocce magmatiche) e sovrastati da granito (monzonite). Nelle figure seguenti (tratte dal blog History of Geology) si vede lo schema geologico pubblicato nel 1848 ed una foto recente dell'affioramento.

Per la teoria nettunista, rocce "cristalline" come il granito si dovevano necessariamente trovare SOTTO le successive rocce sedimentarie. Si recarono sul posto, negli anni '20 del XIX secolo Leopold von Buch e Alexander von Humboldt, nettunisti formati alla scuola di Werner, ma ormai praticamente passati al fronte plutonista: il fatto che sia i dicchi sia il sovrastante "granito" fossero legati alla cristallizzazione di un magma, proveniente dall'interno della crosta terrestre, sembrava indiscutibile.

Ancora più significativa fu la descrizione di James Hutton dell'affioramento di rocce a Holyrood Park, vicino a Edimburgo. La sezione mostra una roccia magmatica, che stava originariamente fluendo (da sinistra verso destra nella foto seguente), infilandosi attraverso degli strati sedimentari di arenaria. Questo tipo di intrusione viene chiamata "sill" dai geologi.

Nella sezione è visibile il punto in cui il magma "scoperchia" parte delle rocce sedimentarie sottostanti al suo passaggio. Se vi recate sul posto, con l'aiuto di una lente potete osservare la roccia magmatica e vedere nella sua parte esterna (vicino al contatto con la roccia sedimentaria) una parte vetrosa o composta da piccolissimi cristalli, indizio di un raffreddamento rapido. Viceversa, nella parte centrale si trovano cristalli più grandi, segno di un raffreddamento più lento.

Questo è uno dei geositi più importanti del mondo. E’ qui che, osservando questa roccia magmatiche che pervade le arenarie carbonifere, Hutton trovò le prove inconfutabili delle intrusioni magmatiche, risolvendo così alla radice le interminabili controversie tra Plutonisti e Nettunisti.

Disegno di John Clerk of Eldin, amico di Hutton appassionato di geologia, che preparò questo ed altri disegni per un'opera solo parzialmente pubblicata subito prima della morte di James Hutton. Si noti che la scala del disegno non è corretta (confrontare con la foto sopra)

Nel discutere questa sezione, Hutton scrisse:

“We know that the land is raised by a power which has for its principle subterraneous heat, but how that land is preserved in its elevated station, is a subject which we have not even the means to form a conjecture.”

Quindi, il calore terrestre viene riconosciuto come capace di formare rocce e deformare quelle preesistenti ("a power which has for its principle subterraneous heat), confermando così la teoria plutonista. 

Sulla formazione dei rilievi ("how that land is preserved in its elevated station"), invece, avanza solo alcune congetture. Questo problema sarà dibattuto estesamente nel secolo successivo e ne parleremo in una prossima lezione.

James Hutton

Hutton (1726 - 1797) visse ad Edimburgo, dove intraprese inizialmente studi legali; appassionato di chimica, intraprese un'attività di produzione di cloruro di ammonio; si dedicò quindi allo studio della medicina prima a Edimburgo, poi a Parigi, guadagnandosi poi il titolo di laurea nel 1749 in Olanda. Insoddisfatto del lavoro di medico, si dedicò alla gestione delle terre agricole appartenenti alla sua famiglia nel Berwickshire in Scozia. Questa attività e quella manufatturiera intrapresa in precedenza gli dettero la tranquillità economica per potersi dedicare alla sua vera passione: la geologia. Si trasferì ad Edimburgo per dedicarsi ai suoi studi, viaggiando e osservando le formazioni rocciose della Scozia. Presentò alla Royal Society of Edinburgh due articoli, che poi confluirono nella sua opera principale, Theory of the Earth.

Nella sua Theory of the Earth, or an investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land upon the globe, pubblicata nel 1788 e ampliata nel 1795,  Hutton propose l'uniformità delle cause geologiche. La storia della Terra era ricostruibile, secondo lui, dalle osservazioni fatte su fenomeni attuali, in termini di processi osservabili oggi.

Nella storia della Terra, che immaginava ciclica, senza indizi di inizio e di fine, distinse quattro fasi

Hutton vedeva la terra come un pianeta dinamico che funzionava come una macchina azionata dal calore endogeno e intuì che nessuna sorgente di calore superficiale sarebbe stata in grado di produrre i fenomeni vulcanici. In un ciclico ripetersi i fiumi erodevano i continenti e trasportavano i sedimenti negli oceani, mentre il calore profondo espandeva il pianeta, sollevando di nuovo i depositi marini compattati e li ritrasformava in continenti.

Hutton postulò che questo processo richiedesse molto tempo e non il breve spazio posto dalla Genesi. Tuttavia, nonostante avesse intuito i meccanismi basilari del metamorfismo e del magmatismo limitò il suo studio alla geologia scozzese. Inoltre aveva un modo di scrivere particolarmente oscuro e involuto; la sua opera quindi non ricevette inizialmente l'attenzione che meritava.

L'opera di Hutton fu divulgata e resa più comprensibile da John Playfair,  suo grande amico, matematico e filosofo di Edimburgo. E' stato solo dopo la pubblicazione del suo libro llustrations of the Huttonian Theory of the Earth (Illustrazioni della teoria huttoniana della Terra) nel 1802 che il principio di Hutton di uniformitarismo, successivamente ripreso da Charles Lyell, ha raggiunto il vasto pubblico e attenzione da parte degli scienziati.

Plutonisti

L'impatto del plutonismo era destinato a crescere mano a mano che venivano registrate e pubblicate ulteriori osservazioni geologiche da località diverse.

Soprattutto gli studiosi di vulcani, ovviamente, furono decisamente contrari alla teoria nettunista. Tra di loro, un importante esponente fu William Hamilton.

William Hamilton fu ambasciatore d'Inghilterra presso la corte di Napoli fin dal 1764, scalò il Vesuvio in eruzione molte volte e si preoccupò di analizzare e inviare a Londra le rocce del Vesuvio che ora costituiscono la famosa Collezione Hamilton (Natural History Museum). Tra il 1776 e il 1779 realizzò, insieme al pittore Pietro Fabris, “Campi Phlegraei”, un’opera monumentale in due volumi (link). Le sue lettere alla Royal Society, accompagnate da accurati acquerelli e schizzi delle fasi eruttive del Vesuvio, sono il primo studio, dettagliato e basato su osservazioni continuative, delle attività e delle modificazioni di un vulcano in eruzione.Comprende che il fuoco vulcanico non deriva da combustioni superficiali, come sostenuto dai nettunisti, e illustra chiaramente la crescita progressiva dei vulcani per accumulo di lave e piroclasti. Descrive i vari tipi di lava e formazioni colonnari al Vesuvio.Inoltre Hamilton interpreta correttamente le varie fasi eruttive, precorrendo la spiegazione dei fenomeni freatomagmatici, e identifica i segni premonitori di nuove eruzioni.

Déodat de Gratet de Dolomieu fu mineralista e geologo francese  (proprio quello cui si deve il nome delle nostre Dolomiti). Del plutonismo accolse soprattutto la sua strategia "osservativa" e sperimentale, che privilegiava lo studio e l'attenzione alla realtà locale, senza generalizzazioni globali come quelle alla base del nettunismo.

Sicuramente favorevole all'interpretazione plutonista fu Lazzaro Spallanzani (1729-1799) è una figura certamente prominente nel panorama scientifico dell’epoca. Ricordato soprattutto per aver confutato la teoria della "generazione spontanea", fu zoologo e botanico, ma si dedicò a molti problemi delle scienze naturali. Circa la metà del suo trattato in sei volumi "Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell’Appenino“, pubblicato nell’ultimo decennio del 1700 in varie lingue,è dedicato allo studio dei vulcani italiani e in particolare di quelli eoliani.

A destra, disegno della "discesa nel Vesuvio".

Eredità nettuniste e plutoniste

Lo scontro tra le due diverse concezioni fu durissimo. Esponenti di una e dell'altra parte si affrontano a colpi di trattati e  dissertazioni, non risparmiandosi accuse religiose e scientifiche.

Il mineralogista Kirwan, seguace del nettunismo, accusò la teoria plutonista di essere in disaccordo con il racconto biblico della creazione. L'idea di Hutton che nella storia della Terra non si riscontravano segni di un inizio era per lui «contraria alla ragione e al senso della storia di Mosè, e portava verso un abisso da cui rifugge l'umana ragione», così come l'idea di cicli di durata infinita.

Hutton si difenderà da queste accuse, rivendicando che il suo principio uniformista implicasse «un ordine non indegno della saggezza divina».

Tra la fine del settecento e l'inizio dell'800, però, le teorie Nettuniste appaiono ormai chiaramente superate.

Anche iniziali sostenitori del modello nettunista devono ricredersi e finiscono per convincersi che i basalti e i graniti sono prodotti dal raffreddamento di masse magmatiche.

È il caso dei tedeschi Alexander von Humboldt e Leopold von Buch che dopo essere stati allievi di Werner viaggiano moltissimo – a differenza del loro maestro – e studiano soprattutto i vulcani attivi in Europa, nell’America del Sud e nelle isole Canarie. In seguito alle proprie ricerche von Buch elabora la  teoria dei crateri di sollevamento, secondo cui i monti vulcanici si formano in seguito alla spinta dal basso verso l’alto di masse sotterranee incandescenti che sollevano il suolo alterando la deposizione originariamente orizzontale degli strati; quando un’esplosione fa saltare la cima di questi nuovi rilievi si forma il cratere con il tipico cono eruttivo nel mezzo. 

Gli studi di Humboldt, che collegano le ricerche geologiche a tutti gli altri aspetti della ricerca naturalistica, sono riportati nell'opera Kosmos (1845-1858). Von Humboldt studiò i vulcani, le correnti oceaniche, il magnetismo terrestre, i fenomeni meteorologici e molto altro.

Un duro colpo alle teorie di Hutton, però, doveva venire da un'altra corrente di pensiero:  il catastrofismo.

Giovanni Arduino (1714 - 1795)

In costruzione

Citazione da: *** 

L'idea di Stenone di sovrapposizione di strati (1667-1669) fu seguita dalla maggior parte degli studiosi della fine del diciottesimo secolo nelle scienze della Terra, che svilupparono le suddivisioni delle montagne dal punto di vista della loro formazione e includevano anche una classificazione delle rocce. Queste suddivisioni sostenevano l'idea della cronologia relativa della sequenza di formazione degli strati studiati: la formazione più recente o più antica poteva essere dedotta dalla sua posizione nella sequenza così come dalle sue caratteristiche litologiche esterne. In questo contesto, il ruolo della terminologia scientifica, che fu gradualmente stabilita nella scienza geologica del diciottesimo secolo, divenne molto importante: i termini "primario" (o "primitivo"), "secondario" e "terziario" furono usati per indicare le categorie di montagne così come per le unità stratigrafiche. 

Nella seconda metà del Settecento, l'opera di Giovanni Arduino contribuì in modo determinante allo sviluppo della "classificazione" litostratigrafica di base delle rocce e della costruzione di montagne. Anche i suoi studi litologici, frutto di vent'anni di campo nelle montagne e nelle colline delle regioni venete e toscane, sono stati supportati da una conoscenza specializzata del settore minerario. 

La nuova "classificazione" in quattro unità di base denominate "ordini" (1760) era basata solo sulla litologia (senza utilizzare gli indicatori paleontologici) e comprendeva diversi tipi di rocce, che formavano tre tipi di montagne e un tipo di pianura, in un normale cronologico ordine: "primario" (sotteso da scisto "primevo" considerato da Arduino come il più antico tipo di roccia), "secondario" e "terziario"; la quarta e più giovane unità cronolitologica comprendeva solo depositi alluvionali. Il sistema di Arduino è ancora considerato dal mondo geologico come uno dei punti di partenza per la stratigrafia moderna.


Nello schema di classificazione litologica di Arduino, le sue rocce di “primo ordine” erano le “montagne primarie” (Montes Primarii). Questi strati si sovrapponevano alle rocce “primitive” ed erano formati da arenarie e conglomerati (“un miscuglio di ciottoli, sabbia e polvere delle rocce primordiali”), e comprendevano anche rocce ignee granitiche intrusive. L'assenza di fossili di queste “montagne” permise ad Arduino di differenziare le rocce stratificate del primo ordine da quelle del secondo, cioè quelle che formano le “montagne secondarie”. I Montes Secundarii contengono infatti un gran numero di fossili marini e sono composti principalmente da calcari, marne e argille. Arduino enumera diversi gruppi minori all'interno della serie secondaria, e si sofferma a lungo sui calcari bianchi e rossastri superiori, la cosiddetta Scaglia. Osservò gli enormi blocchi di granito e di scisto che talvolta ricoprono le superfici esposte delle rocce della Scaglia, dicendo che erano stati chiaramente tratti da rocce primitive affioranti nel vicino Tirolo, ma lasciò al futuro la spiegazione del mistero del trasporto (glaciale?) di questi enormi massi. 


I Montes Tertiarii di Arduino sono costituiti da una serie più giovane e altamente fossilifera di calcari, sabbie, marne, argille, ecc.; egli osserva che in molti casi si può dimostrare che i materiali di questi sono derivati dalle serie precedenti, essendo composte dai resti di “conchiglie, frammenti e sabbie di animali marini testacei: e frammenti, di ciottoli, sabbie e frammenti originati dalla distruzione di ampie porzioni delle montagne primarie e secondarie”, Questi materiali comprendono calcari, arenarie, argille e conglomerati che forniscono i resti di animali più moderni. Oltre a queste rocce stratificate, prevalentemente marine, Arduino identificò anche quelle che oggi sono conosciute come le rocce vulcaniche dell'Oligocene che si trovano nelle Prealpi Venete, notando “le intere colline di quei cumuli e tufi vetrificati, tutti forati e spugnosi di vari colori, che sembrano pomici e lave di antichi vulcani”. Inserì anche questi prodotti eruttivi ignei, insieme alle litologie non vulcaniche associate, nel suo "terzo ordine". Arduino, di conseguenza, riferiva l'origine del gruppo vulcanico a eruzioni ricorrenti e inondazioni intermittenti del mare. 


Il "Quarto Ordine" di Arduino non includeva le rocce che formano montagne, ma comprendeva invece “tutte le pianure, che sono formate, anche strato su strato, da alluvioni e dal deposito di materiale portato dalle montagne dalle acque dei fiumi”. Questi depositi superficiali e alluvionali non erano "ammassi rocciosi" ma ghiaie, sabbie, limi e fanghi non consolidati che si trovano solitamente nelle valli e negli estuari dei fiumi e nelle pianure basse. Il grande teorico nettunista tedesco Abraham Gottlob Werner (1749 – 1817) li chiamò in seguito “depositi dilavati”



05. Primi passi della geologia

06b. Laboratorio: le rocce