13. Dopo Wegener

Le ragioni di un rifiuto

Il lavoro di Wegener divise la comunità scientifica. Alle prime critiche, Wegener rispose nelle successive edizioni del suo libro; l'ultima edizione aggiornata fu pubblicata nel 1929, l'anno prima della sua morte. Nel complesso, la sua teoria fu osteggiata o - nel migliore dei casi - ignorata dalla maggioranza dei geologi dell'epoca. Ci sono varie interpretazioni di questo fatto. Alcune pongono l'accento sulla "estraneità" di Wegener alla comunità dei geologi, altri sulla sua giovane età, altri semplicemente sulla "rivoluzione scientifica" che la sua teoria presupponeva.

Le obiezioni si appuntarono soprattutto sul "metodo" 

La "scuola americana di geologia" prevedeva che, almeno a parole, la scienza procedesse vagliando più ipotesi di lavoro, cercando quella migliore, che aveva più capacità di spiegare i fatti. Alla teoria di Wegener molti geologi americani contestavano il fatto di non seguire un approccio uniformista, che invece era insito nelle teorie permanentiste di Dana e collaboratori. L'idea comune era che Wegener avesse tratto le sue conclusioni troppo velocemente. Aveva correlato molte osservazioni ed evidenze in campi tra loro distanti e li aveva sintetizzati in una teoria che appariva un "salto" troppo grosso. Questo processo contraddiceva il consueto progresso della scienza, che avviene (secondo i critici di Wegener) lentamente, passo dopo passo. Inoltre Wegener era giovane (31 anni) e un outsider. Era bravo in molti settori, ma non aveva una preparazione geologica accademica. Questo, oltretutto, significava che non aveva scoperte o teorie o contributi precedenti da difendere, cosa che invece avevano tutti i suoi oppositori.

Contro Wegener

Harold Jeffrey (geofisico)

Il più famoso critico di Wegener fu il geofisico matematico Harold Jeffreys (1891-1989) di Cambridge. Nel suo celebre trattato di geofisica del 1926 scriveva ironicamente che «se il sima è lo strato più debole e consente ai continenti di solcarlo come navi col vento in poppa, esso non può contorcerne le prue», cioè la deriva dei continenti era incompatibile con la formazione di catene montuose per corrugamento. Jeffrey calcolò che la Terra era troppo rigida perché i continenti potessero solcare la crosta oceanica, nel loro movimento. D'altra parte, se questo fosse stato possibile, le catene montuose si sarebbero dovute sbriciolare sotto il loro stesso peso. Sul "motore" della deriva dei continenti proposto da Wegener, Jeffreys sosteneva  che le forze traslatrici invocate da Wegener rappresentano circa la milionesima parte della forza necessaria per muovere i continenti. Forze di marea capaci di influenzare i movimenti crostali a scala globale avrebbero dovuto rallentare e poi fermare la rotazione terrestre nel giro di un anno. (In realtà, questa seconda obiezione era condivisa anche da coloro che appoggiarono la teoria di Wegener.)Jeffrey continuò a negare la possibilità dei movimenti continentali anche negli anni '80 quando, ormai ultra novantenne, si rifiutò di accettare la teoria della tettonica delle placche.

Rollin Thomas Chamberlin (geologo)

Seguendo le orme del padre, il potente geologo americano Thomas Chrowder Chamberlin,  il giovane Chamberlin era un convinto sostenitore dell'ipotesi permanentista di Dana e uno dei geologi più critici rispetto alla teoria di Wegener.

Secondo R.T. Chamberlin, la teoria di Wegener "does not fit the generally accepted record of geological time. The framework of the present continents was developed in pre-Cambrian time. Geological evidence does not show that a great continental mass split apart.” 

"Se crediamo all'ipotesi di Wegener, dobbiamo anche dimenticare tutto quello che abbiamo imparato negli ultimi 70 anni e ripartire da zero!"

Can geology still be considered a science if it is possible for such a theory as this to run wild?

"L'ipotesi di Wegener in generale è del tipo "a ruota libera", in quanto si prende una notevole libertà con il nostro globo, e non si fa vincolare da nessuna restrizione né dai disdicevoli e brutti fatti, come invece la maggior parte delle sue teorie rivali devono fare".

George  Gaylord Simpson (paleontologo)

Rinomato paleontologo, uno dei principali studiosi che contribuirono alla "sintesi moderna", che univa l'evoluzione di Darwin con la genetica di Mendel.Nel 1943 affermò che tutte le evidenze paleontologiche erano definitivamente contro l'ipotesi di Wegener e  a favore di "continenti stabili". Accusò Wegener di "debolezza di pensiero o di metodo", causa di "egregious misrepresentations".

Fu anche particolarmente sprezzante nei confronti dei seguaci di Wegener, arrivando a dire che "deve essere un caso quasi unico nella storia della scienza per cui un gruppo di studiosi privi di competenze specifiche  in un certo campo siano smentiti unanimemente da tutti coloro che quella competenza ce l'hanno"

"When the fixed-continent theory was finally broken, Simpson neither jumped hastily on the bandwagon nor adamantly held to the older view. Studying the emerging evidence, he was able to reject what was inappropriate in his earlier theories and accommodate new information in his explanations." (dalla biografia, Olson 1991)

Il congresso della AAPG del 1926

Nella primavera del 1926 Wegener stava seguendo molti progetti in campo meteorologico e climatologico, elaborando i dati raccolti in numerose spedizioni intorno al globo. Stava scrivendo articoli e nuove revisioni dei suoi libri relativi all'atmosfera. 

Tutto questo si interruppe nell'estate del 1926. Wegener, a capo del servizio meteorologico tedesco, entrò in corrispondenza con George Clarke Simpson, suo equivalente britannico. Quello a cui Wegener era interessato e su cui chiese informazioni era un progetto di misura della longitudine con le onde radio, che si stava svolgendo in Australia e che pensava di confrontare con misure di longitudine fatte attraverso il telegrafo prima della I Guerra Mondiale. Le misure di longitudine con le onde radio avrebbero consentito di raccogliere dati con una accuratezza di 3 metri. Si ipotizzava quindi che, se dopo due o cinque o più anni, si fosse trovato un valore discrepante di più di sei-otto metri, questo avrebbe confermato la teoria dello spostamento dei continenti. Ma il progetto non aveva questo obiettivo, le stazioni geodetiche si trovavano lontano dai punti che Wegener considerava più significativi per i suoi scopi, e quindi  Wegener non ottenne i dati desiderati. Nello stesso periodo, però, fu contattato da  W.A.J.M. van Waterschoot van der Gracht, ingegnere minerario tedesco da tempo impegnato negli Stati Uniti per la ricerca del petrolio e a capo della più importante compagnia petrolifera di Oklahoma. Egli comunicò a Wegener che a novembre di quell'anno si sarebbe tenuto il simposio della AAPG sulla sua teoria a New York e invitò Wegener, non a partecipare al simposio (i rapporti tra Germania e Stati Uniti dopo la I Guerra Mondiale non consentivano ancora scambi scientifici), ma ad inviare un contributo da leggere al simposio.

E' importante sottolineare che in America il lavoro di Wegener era stato praticamente ignorato. Greene (2015) confronta il rilievo dato dalla rivista britannica Nature e dalla rivista americana Science alla terza edizione del libro di Wegener. Nella prima, la recensione completa, rispettosa e riflessiva è realizzata da J.W. Gregory, professore ordinario di geologia all'università di Glasgow; nella seconda, una paginetta scritta da F.A. Melton, giovane neolaureato alla Columbia.

Anche per colmare questa trascuratezza van der Gracht organizzò il simposio della AAPG, chiamando a parlare geologi ben noti, alcuni contrari, altri neutrali e alcuni a favore della teoria. In ogni caso, il suo interesse principale era di tipo pratico, per i risvolti economici che la teoria poteva avere nell'esplorazione petrolifera.

Wegener spedì a van der Gracht due note relative alla sua teoria, da tradurre in inglese: una relativa alle tilliti ritrovate nel Massachusetts, e il secondo relativo proprio alle misure geodetiche della longitudine, per le quali suggeriva alcune località chiave, come la Groenlandia e il Madagascar.

Il simposio si tenne il 15 novembre 1926; la maggior parte degli oratori si schierò contro Wegener, sia sul metodo sia nella sostanza. Ma gli oratori in realtà furono pochi, molti semplicemente inviarono il loro lavoro per la pubblicazione degli atti ma non discussero direttamente i vari aspetti della teoria al simposio. Le cose andarono male per Wegener,  anche se le conclusioni del presidente,Willelm van der Gracht  lasciarono qualche speranza: infatti affermò che la deriva dei continenti era sicuramente più fondata di quella dei ponti continentali per spiegare la distribuzione delle faune e delle flore del passato; fino a quel momento non era stato trovato un meccanismo plausibile per spiegarla, ma c'era la possibilità di trovarne uno in futuro. 

Atti del Simposio del 1926:

W.A.J.M. van Waterschoot van der Gracht, Bailey Willis, Rollin T. Chamberlin, John Joly, G.A.F. Molengraaff, J.W. Gregory, Alfred Wegener, Charles Schuchert, Chester R. Longwell, Frank Bursley Taylor, William Bowie, David White, Joseph T. Singewald, Jr., and Edward W. Berry (1928). W.A.J.M. van Waterschoot van der Gracht. ed. Theory of Continental Drift: a symposium on the origin and movement of land masses both intercontinental and intracontinental as proposed by Alfred Wegener, A Symposium of the American Association of Petroleum Geologists (AAPG, 1926).

Dalla parte di Wegener

Reginald Aldworth Daly

Tra i sostenitori di Wegener è da ricordare Reginald Aldworth Daly (1871-1957), un famoso geologo di origine canadese dell’Università di Harvard che accettò completamente l’idea della deriva, suggerendo un’alternativa al meccanismo proposto da Wegener: i continenti sarebbero scivolati lateralmente sotto l’influsso della gravità a causa del rigonfiamento delle regioni polari ed equatoriali con una depressione intermedia.La sua teoria, molto diversa nella sostanza all'ipotesi di Wegener, cercava di conciliare il concetto di geosinclinale con la mobilità delle terre emerse.

Emile Argand

Emile Argand (1879-1940), geologo svizzero a cui si deve la sintesi fondamentale della struttura della catena alpina (1924). Accettò da subito la teoria di Wegener e la amplificò con il suo lavoro "La tectonique de l'Asie" del 1924, che include un modello di evoluzione complessiva della Terra.Argand osservò strutture a pieghe nelle Alpi svizzere e nella catena Himalayana; in particolare osservò che il fronte settentrionale delle Alpi era formato da strati deformati in grandi pieghe che coprivano le rocce sottostanti (falde di ricoprimento). Per avere una struttura così complessa era necessario che fossero intervenuti forti spostamenti orizzontali di blocchi continentali.

La formazione dell'orogene alpino-himalaiano  fu correttamente attribuita alla sovrapposizione del continente africano su quello europeo e del margine asiatico su quello indiano, giunti alla collisione in seguito al corrugamento dell'interposta geosinclinale della Tetide. (Dal Piaz 2011)

Alexander Du Toit

Alexander Du Toit (1878-1948), geologo sudafricano, dal 1903 al 1910 studiò sul terreno la geologia dell'Africa meridionale; nel 1923 si recò in America meridionale, per verificare la sua teoria, cioè che le rocce e la stratigrafia ai bordi dei due continenti corrispondevano perfettamente.  Nel 1937 pubblicò il testo "Our Wandering Continents", che dedicò a Alfred Wegener. Ricostruì con grande accuratezza l’originaria posizione delle terre emerse nell’unico grande continente di Gondwana nell'emisfero australe e Laurasia nell'emisfero boreale, separati dall'oceano Tetide. 

Ipotizzò la traslazione del Madagascar verso nord e il legame genetico tra il grande plateau basaltico del Deccan e la deriva dell'India; riconobbe la rotazione antioraria della penisola iberica e l'apertura del golfo di Biscaglia, bilanciate dalla compressione dei Pirenei. 

Disegno di A. du Toit.

« Come si è detto, è alle prove geologiche che spetta decidere sulla probabilità di questa ipotesi (della deriva dei continenti), poiché gli argomenti fondati sulla diffusione della fauna sono in tal caso insufficienti, dato che essi, sebbene in modo meno semplice, si spiegano anche con l'ipotesi ortodossa che ammette l'esistenza di collegamenti territoriali, sprofondatisi poi nell'oceano »

Du Toit, 

Arthur Holmes

Di Arthur Holmes abbiamo già parlato a proposito delle disputa sull'età della Terra. Nel 1911, all'età di 21 anni, aveva utilizzando i metodi del Pb per effettuare la prima datazione di rocce del Devoniano, ottenendo 370 milioni di anni. Nel 1913 scrisse il libro "The age of the Earth", suscitando clamore e discussioni poiché proponeva un'età di miliardi di anni, anziché centinaia di milioni di anni come ipotizzato fino ad allora. La geocronologia era una scienza appena nata, molti degli oppositori di Holmes non avevano idea di cosa fossero gli isotopi (scoperti nel 1913).Ad una conferenza, nel 1915, ricordò: "I was being violently attacked by the reader of a paper who insisted that the Age of the Earth must be less than 100 million years old. In the discussion that followed I had occasion to refer to the isotopes of lead, then newly discovered. But isotopes did not seem to have been heard of in that audience. The reader of the paper insisted that all atoms of lead must have the same atomic weight, and I found myself in an exasperated minority of one."

Dopo la I Guerra Mondiale ed un lavoro disastroso a Burma, Holmes tornò in patria nel 1922. L'età della Terra era ormai largamente accettata dagli scienziati, ma un'altra disputa sembrava essere al centro della geologia: la deriva dei continenti. Arthur Holmes fu uno dei pochi a schierarsi a favore della teoria di Wegener da subito, anche sulla base delle sue conoscenze di quanto poteva avvenire all'interno della Terra. Nel 1929 propose un modello in cui le rocce del mantello potevano fluire lentamente formando celle convettive per la diversa temperatura all'interno della Terra, dovuta al calore primordiale e al decadimento radioattivo di certi isotopi. Queste correnti subcrostali fluenti in opposte direzioni potevano esercitare una forte trazione nel soprastante sial che veniva stirato orizzontalmente e assottigliato. Anche un eventuale grosso blocco sialico sovrastante poteva così venir rotto in grossi frammenti, tra i quali doveva comparire del sima e formarsi così un nuovo oceano.

Il suo modello è descritto nel suo lavoro del 1931 "Radioactivity and Earth movements" (scarica pdf)

Disegno tratto da Arthur Holmes (1931): Radioactivity and Earth Movements. Transactions of the Geological Society of Glasgow, 18, 559-606.


In Italia

Le posizioni dei geologi italiani rispetto alla teoria di Wegener dal 1920 agli anni '60 sono riportate in ****

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Nel 1958, Trevisan e Tongiorgi pubblicarono il libro di testo "La Terra", in cui un lungo capitolo era dedicato alla discussione sulle teorie orogeniche e all'ipotesi della deriva dei continenti. Il testo può essere considerato un buon riassunto delle conoscenze geologiche sensu lato della metà del XX secolo, poco prima che la teoria della tettonica a zolle sostituisse i vecchi paradigmi. Secondo gli autori, l'ipotesi e la ricostruzione di una singola massa terrestre non "presentavano particolari difficoltà" anche se le corrispondenze geologiche sensu lato tra le coste di altri continenti non sono così precise come nel caso del Sud Atlantico. Quindi, secondo Trevisan e Tongiorgi, questi argomenti non costituivano necessariamente una prova contro la teoria: la non perfetta corrispondenza in alcune aree potrebbe essere dovuta a "molte importanti trasformazioni, come le ondulazioni dell'era terziaria" che hanno agito successivamente alla separazione iniziale delle masse continentali, quindi alterando più o meno coerentemente le loro relazioni. Secondo gli autori le maggiori prove della deriva dei continenti provenivano dalla paleontologia, sebbene anche in quest'area esistessero ipotesi alternative, come i summenzionati ponti continentali (che collegano Africa – Sud America, Africa – Madagascar – India – Australia) e masse continentali intermedie per spiegare le somiglianze faunistiche in alcuni periodi geologici. Tra le ipotesi di Wegener decisamente superate, gli autori considerarono l'interpretazione degli archi insulari delle Antille e dell'Indonesia come frammenti di sial che rimasero arretrati a causa della generale deriva verso ovest. Inoltre, la teoria della deriva dei continenti non sarebbe in grado di spiegare completamente il fenomeno dell'orogenesi. Secondo Wegener, nel Paleozoico tutte le terre emerse furono riunite in un'unica massa, con separazione a partire dal Mesozoico e successiva deriva delle singole masse continentali. Secondo Trevisan e Tongiorgi, questa evoluzione del pianeta sarebbe in contrasto con l'evidenza che catene montuose si sono formate in tempi diversi nella storia della Terra, anche nel Paleozoico "e nella precedente era arcaica" (quindi prima del presunto inizio del rottura effettiva del supercontinente; Trevisan & Tongiorgi 1958, p. 211). Gli autori hanno quindi elencato un'altra serie di prove nel processo orogenico che sarebbero state in contrasto con la teoria della deriva, in particolare in riferimento all'interpretazione delle catene montuose come dovuta alle geosinclinali, teoria prevalente all'epoca (vedi Trevisan e Tongiorgi 1958 per una discussione completa).

In conclusione, secondo Trevisan e Tongiorgi, i nuovi progressi della geofisica non erano né fortemente favorevoli, né decisamente contrari alla teoria della deriva. Alla fine degli anni Cinquanta del XX secolo, questo aspetto portava ancora opinioni estremamente discordanti tra gli specialisti, opinioni necessariamente "segnate da riserve e cautela nelle conclusioni" (Trevisan & Tongiorgi 1958, p. 207). Tuttavia, secondo gli autori, c'erano molti aspetti positivi della teoria di Wegener che "hanno sollevato un numero infinito di discussioni di grande interesse in altri campi e presentano un'innegabile suggestione estetica" (Trevisan & Tongiorgi 1958, p. 212).

Citazione da Castellarin et al. (2011)

Nel corso degli anni ’60, in campo internazionale, si giunge gradualmente alla formulazione della teoria della “tettonica delle placche”, elaborata e strutturata nella sua formulazione di base da studiosi e da istituzioni americane. Resa possibile dalla grande mole di dati derivanti da imponenti ricerche oceanografiche, man mano che veniva chiarito il significato delle dorsali oceaniche e delle anomalie magnetiche, si confermava la mobilità delle masse continentali e si rendevano sempre più chiare e comprensibili situazioni che una volta interpretate apparivano relativamente semplici.

Quando alla fine degli anni ‘60 la teoria approda in Italia, esiste ormai un enorme database di informazioni geologiche accumulate durante i rilevamenti e soprattutto un nutrito gruppo di studiosi, formatisi nell’ambito degli studi per la legge Sullo. Lo sforzo di costruire una geologia nuova viene sintetizzato nel Modello Strutturale d’Italia, e immediatamente, si cerca di applicare la nuova teoria alla situazione tettonico-strutturale della penisola italiana.

Ci si accorge subito che l’ambito mediterraneo presenta difficoltà enormemente più elevate di quelle esistenti nelle zone dove la teoria era stata elaborata. È quindi necessario modificare, perfezionare, adattare particolari elementi che altrimenti non riuscirebbero a spiegare le strutture della penisola e di tutta la zona mediterranea.

Sono numerosi e qualificati i tentativi italiani di interpretare la situazione appenninica ed alpina nell’ambito della nuova teoria, con la proposta di alcune modifiche alla sua dinamica.

Era chiaramente impossibile che si giungesse ad una formulazione di base della teoria partendo dalla tremenda complessità della penisola italiana e, in generale, della zona mediterranea. Ma una volta costruita altrove una base teorica (per quanto essenziale), il contributo italiano allo sviluppo e al perfezionamento della teoria è stato importante e riconosciuto.

12. WEGENER: L'ORIGINE DEI CONTINENTI E DEGLI OCEANI 

14. Didattica delle Scienze della Terra: i metodi