1. TESTI E FOTO DELLA MOSTRA IN MUSEO

COSA ?  

“La plastica e noi” è una mostra particolare; potremmo definirla un percorso di riflessione personale sul problema dell’inquinamento da plastica nei mari (perché è lì che arriva tutto): è un richiamo alla nostra responsabilità. E’ una mostra, quindi, che va visitata con un certo impegno, con la serietà che l’argomento richiede e con un minimo di attenzione ai contenuti. Insomma, come nella vita, qualcosa bisogna leggere se si vuole capire qualcosa. La speranza è che la particolarità degli oggetti esposti, più per il fatto di essere esposti che per gli oggetti in sé, susciti un sufficiente interesse. 

DOVE ? 

Nella galleria dei Cetacei: perché fra le nostre sale è quella che meglio rappresenta il mare e perché volendo mostrare gli effetti di sporcare una cosa bella abbiamo scelto la più bella, quella che meglio rappresenta il Museo. L’allestimento temporaneo comunque non invade tutta la galleria ma i suoi estremi, collegati da un’onda di plastica.. 

QUANDO ?

E’ una mostra temporanea che durerà dal giorno della nostra riapertura (l’allestimento è terminato la scorsa settimana) alla fine di maggio 2021. 

COME ? 

L’allestimento è totalmente autoprodotto: costituito da rifiuti di plastica raccolti dal personale del Museo e non acquistati appositamente, i supporti espositivi sono realizzati in legno (da Marco Dellacasa), potenzialmente di recupero ma comunque con tutte le certificazioni del caso, i testi sono stampati su carta riciclata. Tutti testi sono bilingui. 

PERCHE’ ? 

Lo scopo è aiutare la gente a prendere coscienza di essere parte del problema perché il problema è grave, ha ripercussioni su tutti noi, ma è di tale portata che solo una presa di coscienza di massa lo può risolvere.

Oggi l’emergenza plastica è sotto gli occhi di tutti, ma il problema non è tanto la plastica in sé, il vero problema siamo

la plastica e noi

Visto da sotto

Pensate di essere un abitante del mare e di trovare in casa vostra i rifiuti di qualcun altro. Ogni giorno di più, fino a che la vostra casa non sia diventata una discarica. Vi piacerebbe? Con i rifiuti delle persone che lavorano in Museo, i nostri rifiuti, abbiamo realizzato questo piccolo mare di plastica per mostrarvi l’inquinamento dal punto di vista di un pesce, di una balena, di una tartaruga e di un delfino.


mare di plastica

mare di plastica

La plastica e noi

La plastica che inquina i mari e uccide gli animali è quella che noi abbiamo usato e gettato via: è la nostra plastica. Se non ci sembra molta è perché non la vediamo tutta insieme: la buttiamo via un po’ alla volta, un paio di sacchi a settimana, e poi ce ne dimentichiamo. Ma se la conservassimo? Noi che lavoriamo qui al Museo lo abbiamo fatto per qualche mese, per condividerla con voi in questa esposizione: fate come fosse plastica vostra.

L’uomo di plastica

Lorenzo è un artista che realizza modelli scientifici per i musei. Lavora ogni giorno con le materie plastiche e conosce bene questi materiali e le loro proprietà. Questa volta, però, ha voluto utilizzare una plastica diversa e molto particolare: quella dei nostri rifiuti. La sua installazione artistica ci invita a riflettere sul rischio dell’inquinamento. Il poco rispetto per l’ambiente si ritorce contro di noi: la plastica inquina il nostro cibo e, mangiando plastica, diventiamo anche noi di plastica e mettiamo in pericolo i nostri figli.

La plastica nel nostro stomaco

Può sembrare impossibile, ma uno studio condotto su richiesta del WWF dall'Università di Newcastle, in Australia, ha stimato che noi ingeriamo attraverso l'inalazione, il cibo e le bevande circa 2.000 pezzi di microplastica ogni settimana, per un totale di 5 grammi: l'equivalente di una carta di credito. Gli effetti dell'ingestione di microplastiche sulla nostra salute non sono ancora completamente chiari, ma gli scienziati sospettano che il rischio possa essere più grave di quanto si possa pensare.

L’onda lunga della plastica

Ciò che resiste alla sua forza, il mare conserva e restituisce. La plastica, a lungo inalterabile, gli resiste bene galleggiando sopra le tempeste e il mare la sta accumulando per noi. Questa onda di plastica simboleggia i rifiuti gettati in mare nel tempo di apertura di questa mostra. Non è ancora finita: un’onda non è mai ferma e questa diventerà ogni mese più lunga, perché ogni mese noi uomini gettiamo nei mari e negli oceani del mondo 600.000 tonnellate di rifiuti di plastica, circa 30 milioni di metri cubi. È come se ogni mese fosse varata una zattera di spazzatura dello spessore di 1 metro, larga 3 km e lunga 10 km!

Le isole di plastica

Il monitoraggio delle plastiche in mare mostra che negli oceani ci sono cinque enormi accumuli. Le isole di plastica, così sono chiamate, sono due nel Pacifico, due nell'Atlantico e una nell'oceano Indiano. Sono il risultato dei grandi vortici della circolazione oceanica che concentrano le plastiche galleggianti nella loro zona centrale. Neppure il Mediterraneo è estraneo al problema: un sesto grande accumulo è proprio nel nostro mare, dove si concentra addirittura il 7% delle plastiche totali che si stima galleggino su tutti i mari e gli oceani del mondo.

Approfondimenti ISMAR-CNR e INGV

Un mare di plastica

L'ambiente marino è sempre più contaminato dai nostri rifiuti: ogni anno gettiamo nei mari di tutto il mondo da 8 a 10 milioni di tonnellate di spazzatura, più di un camion al minuto! E più del 75% di questa immondizia è plastica, quasi tutta raccolta dai corsi d’acqua sulla terraferma. Se continueremo con questo ritmo, nel 2025 il rapporto tra plastica e pesci sarà di 1 a 5 e nel 2050 la percentuale di plastica in mare avrà superato quella del pesce. Questo porterà a gravissime conseguenze per tutta la catena alimentare, noi compresi.

Lo studio dei rifiuti in mare in Toscana

Silvia e Marina, ricercatrici di CNR ed INGV, da diversi anni studiano il problema dei rifiuti in mare: il marine litter. Seguendo le Direttive Europee, con il progetto SEACleaner hanno coinvolto centinaia di volontari nel monitoraggio delle coste liguri e toscane del Santuario dei Cetacei e, in due anni, hanno classificato e rimosso 34.027 rifiuti su un'area di 32.154 m2. Paradossalmente sono le spiagge del Parco di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, dove l’accesso ai bagnanti è vietato, quelle con la maggiore concentrazione di plastica perché, a differenza di quelle turistiche, non vengono ripulite dai rifiuti portati dal mare.

Spiagge fuori stagione

Ecco un pezzetto di spiaggia come lo potremmo vedere andando a fare una passeggiata al mare fuori stagione, oppure in zone isolate o in parchi naturali vietati ai bagnanti. Fateci caso: oltre a conchiglie, sassolini, legnetti, resti di alghe e di piante marine, vedrete sicuramente tante cose colorate: rosse, gialle, blu, verdi... Di naturale non hanno niente: sono soprattutto pezzetti di plastica, resti degli oggetti che noi abbiamo usato e poi gettato via, a volte in modo sconsiderato. Ma vi sono anche oggetti ancora riconoscibili: tappi di bibite, cotton fioc, forchette di plastica... Che ne pensate? Secondo voi, abbelliscono le nostre spiagge?

Spiaggia

Misure e tempi

Macro, micro e nanoplastiche

Le macroplastiche (di dimensioni maggiori di 5 mm) sono quei rifiuti che tutti noi spesso osserviamo nell’ambiente; le microplastiche (fra 0,1 μm e 5 mm) sono, invece, quasi invisibili ad occhio nudo mentre le nanoplastiche (inferiori a 0,1 μm) si vedono solo al microscopio, ma non per questo sono meno pericolose. I microgranuli di certi prodotti di bellezza, dentifrici e detersivi sono microplastiche che noi liberiamo nell’ambiente ad ogni risciacquo, come pure le fibre dei tessuti sintetici che si staccano in lavatrice. Moltissime micro e nanoplastiche, poi, derivano dalla frammentazione di rifiuti più grandi rimasti esposti al sole e alle intemperie.

Pericoli su misura

Le dimensioni di oggetti e frammenti di plastica influiscono molto sui loro effetti sull’ambiente. Le macroplastiche possono diventare trappole mortali per gli animali, impedendone i movimenti e causando strangolamenti ed asfissie, anche perché spesso utilizzati come materiale per costruire tane e nidi. Inoltre, possono essere scambiate per cibo ed ingerite volontariamente, oppure involontariamente all’interno dello stomaco di una preda. Micro e nanoplastiche, invece, sono un pericolo per quegli animali che si nutrono filtrando l’acqua (come mitili e balene). Tutte le plastiche, poi, possono assorbire inquinanti tossici capaci di avvelenare gli animali o accumularsi nelle loro carni.

Rifiuti di ogni misura

Che effetti provoca la plastica sui diversi animali del mare? Quali rischiano di mangiare plastica (ingestione) e quali di restarne prigionieri (intrappolamento)? 1. Pensa a quali danni un rifiuto di plastica può fare agli animali del mare a seconda delle sue dimensioni. 2. Colloca gli animali in corrispondenza delle misure (quelle maggiori) dei rifiuti di plastica che li possono danneggiare. 3. Usa le tessere grandi per indicare se il danno è causato dall’ingestione o dall’intrappolamento. 4. Cerca la soluzione sul lato del tavolo e scopri se hai indovinato.

Uno, dieci, cento o mille anni?

Quanto tempo impiegano i rifiuti di plastica ad essere scomposti dall’ambiente in sostanze riutilizzabili dalla natura? Qual è il loro “tempo massimo di degradazione”? 1. Prova a pensare a quale potrebbe essere il tempo che occorre a ciascuno di questi oggetti per sparire completamente una volta abbandonato nell’ambiente. 2. Colloca le tessere di legno sulla linea dei tempi massimi di degradazione: da 0 a 1000 anni. 3. Cerca la soluzione sul lato del tavolo e scopri se hai indovinato. Sono tempi più o meno lunghi di quanto ti aspettavi?

Un pezzo di plastica è per sempre

La prima plastica fu inventata nel 1907 dal chimico belga Leo Baekeland e da lui prese il nome di Bachelite. Purtroppo, quando la plastica iniziò ad essere utilizzata, non si tenne conto di un suo aspetto importante: a differenza delle sostanze naturali non era biodegradabile, almeno non velocemente. I tempi necessari alla degradazione cambiano a seconda del tipo di plastica, della forma e delle dimensioni degli oggetti, ma sono tutti molto lunghi: centinaia o anche migliaia di anni. Pensiamoci: tutta la plastica che è stata prodotta dal giorno della sua invenzione fino ad oggi, se non è stata riciclata o incenerita, è ancora con noi.

160 milioni di sacchi di plastica

Ogni anno in Toscana buttiamo circa 160 mila tonnellate di rifiuti di plastica, per un volume stimato di quasi 8 milioni di metri cubi, e solo poco più della metà finisce nella raccolta differenziata e può essere riciclato. Abbiamo davvero un’idea di quanta plastica corrisponda a questi dati? Questo sacco ha un volume di 50 litri e, pieno di rifiuti di plastica, pesa circa 1 chilo. Otto milioni di metri cubi di plastica corrispondono a circa 160 milioni di sacchi pieni e se li scaricassimo tutti a Pisa, in piazza dei Miracoli, sommergeremmo i suoi monumenti per un’altezza doppia rispetto a quella della Torre Pendente!

Il ciclo della responsabilità

Li buttiamo e ce ne scordiamo, non sono più affari nostri. E’ il rapporto che abbiamo con i rifiuti. Ma la responsabilità non finisce davvero: i rifiuti sono e restano nostri. E’ come se ad ogni sacchetto di spazzatura fosse attaccato un cartellino con il nostro nome. La nostra responsabilità finisce solo quando i rifiuti diventano materia prima, pronta ad essere acquistata da un nuovo proprietario, oppure sono trasformanti in energia.

Questo lo butto io

E’ la plastica che Patrizia ha gettato via in un mese: occupa un volume di 75 litri e pesa 1,5 chilogrammi. In un anno i litri saranno diventati 900 e i chili 18 e dopo dieci anni Patrizia avrà buttato via 9 metri cubi e quasi 2 quintali di rifiuti di plastica. E lei è attenta all’ambiente, non compra acqua in bottiglie di plastica e, per ora, in famiglia sono solo in due. Quanta ne getta via ognuno di noi ?

Plastica globale

La produzione mondiale di plastica è in continua crescita: dai 15 milioni di tonnellate del 1964 è passata a circa 100 nel 1989, a 200 nel 2000 e a 400 milioni di tonnellate nel 2019. Oggi la plastica è il terzo materiale più diffuso sulla Terra tra quelli prodotti da noi uomini, superata solo da acciaio e cemento. Il più grande produttore al mondo è la Cina, seguita da Europa e stati del Nord America. L'Asia produce complessivamente la metà di tutta la plastica del mondo, mentre Africa e Medio Oriente insieme arrivano appena al 7% e l'America latina al 4%.

L'Europa è il maggiore utilizzatore di materie plastiche, con una domanda arrivata a 50 milioni di tonnellate nel 2019 e, nella classifica che vede sei paesi raggiungere da soli il 70% del consumo europeo di plastiche, l'Italia è seconda! Questo ci fa capire quanto sia importante che tutti noi impariamo a smaltirla senza inquinare.

Plastiche indigeste

Il Mar Mediterraneo, il più vasto e profondo mare chiuso del mondo e uno dei 25 centri di biodiversità a scala planetaria, è inquinato dalla nostra plastica e così pure i suoi abitanti. Simone è molto interessato agli animali in pericolo e, in uno studio recente, ha letto che 116 specie animali che vivono nel nostro mare hanno ingerito plastica. Il 59% di queste sono pesci ossei, tra cui molte specie di interesse commerciale come sardine, triglie, orate, acciughe e tonni. Il restante 41% è costituito da meduse, molluschi, crostacei, tartarughe, uccelli e mammiferi marini.

Plastiche indigeste

Plastiche indigeste

Le sule di Portovenere

Le sule nidificano sulle alte scogliere atlantiche a picco sull'oceano. Stranamente, però, dal 2014 due coppie di questi uccelli hanno deciso di nidificare nel Mediterraneo: una in Francia e una in Liguria, a Portovenere. Entrambe le coppie hanno intrecciato il loro nido non con foglie e ramoscelli di posidonia ma con le retine usate per l’allevamento dei mitili e con corde di plastica. La nascita di un pulcino nel nido ligure è stato un evento straordinario, purtroppo con un triste epilogo: il pulcino è morto per strangolamento a causa di una corda di plastica.

La tartaruga comune

Oltre all’ingestione di plastica, un altro grave problema è l’intrappolamento causato dai rifiuti. La specie che ha registrato il maggior numero di casi nel Mediterraneo è la tartaruga comune (Caretta caretta).

La sula

L'abitudine di usare i rifiuti per costruire i nidi si sta diffondendo sempre più fra diverse specie di uccelli. Le sule del Mediterraneo (Morus bassanus) ne utilizzano veramente molti, e la plastica arriva a superare l'80% dei materiali utilizzati nella costruzione del loro nido. Come altri uccelli marini, poi, la sula è molto esposta al rischio di ingerire i nostri rifiuti di plastica.

La spigola 

Anche per la spigola (Dicentrarchus labrax) sono stati segnalati casi di ingestione di plastica. Questa specie, nota a tutti noi per la prelibatezza della sua carne, è stata anche oggetto di studi ed esperimenti per valutare gli effetti dell’ingestione di microplastiche sulle specie marine.

Il tursiope

Di frequente nello stomaco dei tursiopi (Tursiops truncatus) vengono ritrovati pezzi di rete, o filamenti del nylon con cui sono fatte, che possono causare gravi danni alle pareti del loro stomaco, blocchi intestinali o anche la morte per fame, se la quantità di plastica nello stomaco è eccessiva. Quando i tursiopi vanno a nutrirsi dei pesci imprigionati nelle reti, possono strappare ed inghiottire dei frammenti della rete stessa, poiché inghiottono il cibo senza masticare. Inoltre, i tursiopi possono rimanere intrappolati nelle reti morendo annegati oppure dei brandelli di rete si possono attorcigliare attorno alle loro pinne ostacolandone il nuoto.

Il capodoglio

Nello stomaco della maggior parte dei capodogli (Physeter macrocephalus) arenati sulle nostre coste vengono trovate grandi quantità di plastica, fra cui: corde, pezzi di rete, attrezzi da pesca, imballaggi e sacchetti. Questi giganti del mare si immergono per nutrirsi fino a profondità di oltre 1200 m, ciò significa che i nostri rifiuti non inquinano solo le coste e la superficie del mare ma sono abbondanti anche nelle acque profonde e sui fondali. I capodogli del Mar Mediterraneo sono già considerati in pericolo di estinzione dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e per loro la plastica in mare potrebbe davvero risultare fatale. 

Fiumi che inquinano il mondo

Pesca e trasporti marittimi sono le principali fonti dei rifiuti dispersi direttamente in mare, ma circa l'80% della plastica che vi si trova proviene da terra e viene trasportata dai fiumi che, secondo studi recenti, ogni anno scaricano in mare tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate di plastica. Più del 90% di questa è portata da 103 fiumi dell’Asia, 8 dell’Africa, 8 di Sud e centro America e 1 dell’Europa: il Danubio che ogni anno ne getta nel Mar Nero da 530 a 1.500 tonnellate. È il fiume Yangtze, in Cina, il maggior "trasportatore" di rifiuti di plastica, con ben 60.000 tonnellate all'anno. Tuttavia, una volta in mare, la provenienza geografica dei rifiuti si perde: diventa tutta plastica dei nostri oceani.

Dalla parte della plastica

La plastica è tanta, troppa, insudicia i mari e uccide gli animali, inquina il nostro cibo e l’acqua che beviamo... Ma di chi è la colpa? Marco difende la plastica: è un ottimo materiale, leggero, impermeabile, resistente, adattabile agli usi più diversi e produrla costa poco. E poi la plastica non sempre inquina: circa la metà degli imballaggi in plastica che utilizziamo può essere riciclato con facilità. Il problema vero quindi non è la plastica, ma noi che la abbandoniamo in giro! Se invece la ricicliamo, useremo meno petrolio per farne di nuova e la natura resterà pulita, senza che noi dobbiamo rinunciare ad un materiale così utile e conveniente.

Dalla parte della plastica

C’è plastica e plastica

La chiamiamo plastica ma non è tutta uguale: ce ne sono molti tipi ed ognuno ha il suo nome: polistirolo, polietilene, polivinile... Iniziano tutti con poli (molti) perché ogni plastica è fatta di tanti piccoli pezzi (molecole) concatenati fra loro come perline in una collana. Possono essere tutti uguali oppure alternarsi secondo schemi precisi e da loro, oltre che dalla lunghezza della catena, dipendono le caratteristiche di ogni tipo di plastica. È così che nascono i vari nomi: il polistirolo, ad esempio, è una catena di molecole di una sostanza prodotta dall’uomo (sintetica) e chiamata Stirolo.

A ciascuno il suo polimero

Le plastiche, che i chimici chiamano polimeri sintetici (fatti di molte parti e prodotti dall’uomo) sono di tanti tipi e ognuna, in base alle sue caratteristiche, ha applicazioni differenti. PET = PoliEtilene Tereftalato, catena di molecole di bis-2-idrossietiltereftalato. Molto resistente all’usura e all’abrasione, e abbastanza rigido: è usato per bottiglie da acqua e bibite. PS = PoliStirene, catena di molecole di Stirene. Se scaldato è molto malleabile: era usato per posate e piatti usa e getta. EPS = PoliStirene espanso (quello che chiamiamo polistirolo). È così leggero perché nelle catene di Stirene viene inglobata dell’aria che le gonfia fino a 50 volte il loro volume iniziale.

La plastica come risorsa

I rifiuti di plastica non sono, di per sé, una risorsa: lo possono diventare solo attraverso il riciclo, quel processo industriale che li trasforma in nuova materia prima. Quindi noi non possiamo riciclare nel vero senso del termine - al massimo riutilizzare - ma il riciclo degli imballaggi di plastica è reso possibile solo dalla loro raccolta differenziata e qui sì che la differenza la possiamo fare solo noi. Una raccolta differenziata fatta bene rende il riciclo più facile e meno costoso e quindi incoraggia l’industria in questa direzione perché, parliamoci chiaro, produrre plastica a partire dal petrolio costerebbe meno! Ma ci piacerebbe essere più ricchi in un mondo avvelenato?

Il riciclo

Stesso materiale, nuovi oggetti

Questi oggetti sono un esempio di economia circolare a km (quasi) zero: qualche anno fa erano imballaggi di plastica che tutti noi abbiamo contribuito a differenziare correttamente, dando a Revet la possibilità di riciclarli e trasformarli in nuova materia prima. I rifiuti, trasformati in granuli di plastica riciclata, sono stati utilizzati da varie aziende per realizzare i loro prodotti. L’utilizzo di materiali di riciclo anziché di materiale vergine, permette di risparmiare risorse e di ridurre inquinamento ed emissioni che alterano il clima. Preferire i prodotti in plastica riciclata è un importante gesto che tutti noi dobbiamo fare se vogliamo che i rifiuti si trasformino veramente da inquinamento a risorsa.

Tappo sì o tappo no?

Quando buttiamo una bottiglia di plastica, il tappo va tolto oppure no? Per l’ambiente è molto meglio di no. La plastica del tappo è diversa da quella della bottiglia ma non è un problema perché nell’impianto di riciclaggio tappo e bottiglia verranno triturati e i due tipi di plastica separati: è facile perché galleggiano nell’acqua in modo diverso. I tappi isolati, invece, sono troppo piccoli perché i macchinari che separano i rifiuti possano riconoscerli, dunque finiscono fra gli scarti e non possono essere riciclati. Se, invece, noi avviteremo il tappo alla bottiglia dopo averla schiacciata (per il lungo, mi raccomando!) questa manterrà la sua forma e sarà più facile riconoscerla e riciclarla.

Il riciclo

Tetrapak: carta o multimateriale?

Perché il tetrapak va gettato in un bidone diverso a seconda di dove ci troviamo? Perché in Toscana va nel multimateriale mentre in altre regioni è raccolto insieme alla carta? Il tetrapak è fatto di cartone, plastica e alluminio e in genere la cellulosa, il componente principale, è riciclata per produrre carta di bassa qualità. In Toscana, però, si trova uno dei due impianti in Europa in grado di riciclare gli imballaggi di tetrapak in modo veramente efficiente: la fibra di cellulosa è riciclata nella produzione di asciugamani, fazzoletti e tovaglioli di alta qualità. Plastica e alluminio, invece, sono trasformati in EcoAllene, un nuovo tipo di plastica arricchita di alluminio con cui vengono realizzati gli oggetti più vari.

Buone pratiche

Buone pratiche

Un metro cubo di bottiglie di latte

Queste sono le bottiglie vuote del latte che Chiara e la sua famiglia hanno bevuto in 8 mesi: quasi un metro cubo di plastica! Ma sarà vero? In realtà buona parte dello spazio è occupato dall’aria e le stesse bottiglie, se venissero schiacciate, occuperebbero circa metà del volume. Schiacciare le bottiglie vuote facilita la loro raccolta e il loro riciclo ma, attenzione, vanno schiacciate nel modo giusto, mantenendo la loro forma allungata. Se vengono accartocciate completamente, infatti, non sono più riconosciute dai lettori ottici che separano i rifiuti automaticamente e possono finire tra quelli indifferenziati, perdendo l’opportunità di essere riciclate.

Tetrapak o bottiglia di plastica? Entrambi gli imballaggi sono riciclabili. La bottiglia è fatta di PET che può essere riciclato facilmente per ricavarne nuovi contenitori o tessuti sintetici (pile e filati tecnici per lo sport) mentre il Tetrapak è composto da più strati di materiali differenti (cartone, plastica e alluminio) e questo rende il suo riciclo un po’ complesso, ma non impossibile: deve prima essere macinato per poi separare i materiali di cui è fatto.

Dove lo butto?

Carmen è molto precisa nel separare i rifiuti: vuole capire cosa sia riciclabile e buttare tutto nel bidone giusto; come tutti noi vorrebbe regole certe e facili da capire. La raccolta differenziata, però, ha regole diverse in ogni comune e non esiste un codice unico che, stampato su ogni imballaggio, ci dica dove buttarlo: spetta a noi capire quale sia il bidone giusto. Ma chi ci può aiutare? Gli opuscoli distribuiti dai comuni, quello di Geofor lo potete scaricare qui e, per i più tecnologici, ci sono le APP che riconoscono ogni prodotto dal codice a barre e ci dicono dove buttare il suo imballaggio! Un esempio è Junker: utilissima e gratuita, si trova su App Store e Google play!

I simboli del riciclo

I simboli del riciclo

La BioPlastica

La maggior parte della plastica di uso comune è prodotta da materie prime non rinnovabili (il petrolio), ma la plastica può essere prodotta anche a partire da materie prime ricavate da piante (mais e girasoli): in questo caso è detta bioplastica. Attenzione, però, non tutte le bioplastiche sono uguali: alcune hanno le stesse caratteristiche della plastica standard, cioè non sono biodegradabili; altre sono compostabili, ma solo in impianti industriali, altre ancora sono adatte anche al compost domestico. Le plastiche biodegradabili sono solo quelle che i microorganismi presenti nell’ambiente naturale riescono a trasformare in composti non tossici molto più velocemente rispetto alle plastiche tradizionali.

Pinocchio e Plasticchio

“C’era una volta... un pezzo di plastica! - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.” Nel 1881, quando Collodi scrive la storia di Pinocchio, la plastica non esisteva ancora. Ma, immaginiamo che ci fosse stata: di che materiale pensate che sarebbe stato fatto Pinocchio? Comunque di legno, o magari... di plastica? Chi può dirlo. Se Mastro Geppetto fosse vissuto oggi, certo i rifiuti di plastica sarebbero stati il materiale più economico a disposizione, e lui di soldi proprio non ne aveva. Lorenzo, moderno giocattolaio, riutilizzando imballaggi usati ha costruito per noi questo burattino di nome Plasticchio. Voi quale dei due preferite?

Non solo plastica

Non solo plastica

La plastica offre grandi vantaggi a bassi costi, ma è la convenienza economica il criterio più importante? E’ un materiale pratico, utile, comodo, vantaggioso ma... non bello, non nobile, non poetico e neppure troppo artistico. C’è poco da fare: lo spirito non è di plastica e, quando si passa dall’utile al dilettevole, la plastica cede il passo alla carta, al legno, al vetro, alla pietra, al metallo, al cuoio, al cotone, alla seta.. a tutti quei materiali, insomma, inventati non da noi uomini ma dalla natura. Duole dirlo, ma la plastica, l’unico materiale inventato tutto da noi, non possiede il fascino antico dei materiali naturali. Silvia ama dipingere e vi propone questi acquerelli... ...quale dei due appendereste in casa vostra?

L’inquinamento da Coronavirus

Dopo aver colpito la vita delle persone e l’economia, il Covid19 danneggia anche l’ambiente: mascherine e guanti, spesso monouso e realizzati in materiali non biodegradabili rischiano di trasformarsi in una catastrofe ambientale. Inoltre, anche se fatti di materiale biodegradabile o riciclabile per motivi sanitari e non essendo imballaggi, vanno buttati nella raccolta indifferenziata. E allora? Mascherine riutilizzabili, come molte oggi prodotte in Italia, e un loro corretto smaltimento che eviti l’enorme dispersione nell’ambiente che stiamo osservando. Il problema è in noi stessi, non negli oggetti: ma, finita l’emergenza, noi tutti vorremo ritrovarci in un mondo pulito.

Solo per imballaggi

In Toscana la raccolta differenziata di plastica, tetrapak e metallo, il multimateriale leggero, riguarda solo e soltanto gli imballaggi: quindi il vasetto dello yogurt sì, la penna no; il tubetto di dentifricio sì, le infradito no; la vaschetta del cibo pronto sì, il giocattolo no... C'è scritto ovunque e ce lo ripetono ogni volta ma facciamo finta di non capire. “E’ plastica – diciamo – e via nel sacco blu”. Ma perché no, se il materiale è lo stesso? Perché le industrie di imballaggi pagano una tassa per il loro riciclo; l’altra plastica non viene riciclata perché nessuno paga per farlo. Noi tutti, però, finiamo per pagare le multe per i rifiuti sbagliati trovati nella raccolta differenziata.

Imballaggi (e inquinamento da covid)