UN MARE DI PLASTICA, UN MARE DI GUAI?

Questa lezione interattiva preparata da Livia CEI è stata pensata per fornire una base di partenza per poter affrontare a scuola il tema dell'inquinamento e in particolare l'inquinamento da plastica in mare.

La LEZIONE in formato pdf è scaricabile qui.

DETTAGLI TECNICI

La prima pagina si presenta con un menù interattivo dove poter cliccare e andare all'argomento di interesse.

START Rappresenta il punto di partenza e anche il cuore della presentazione.

VIDEO Mostra link a video esterni di particolare interesse.

APPROFONDIMENTI In questa sezione sono presenti link a vari articoli scientifici per approfondire la tematica in oggetto.

 

Queste ICONE sono presenti in ogni pagina e permettono, in ordine, di: 

1) tornare al menù principale, 

2) tornare indietro, 

3) cambiare prospettiva. Quest'ultima icona vuole, infatti, portare l'attenzione su cosa avviene a livello della colonna d'acqua, per comprende meglio le dinamiche dei rifiuti non solo sulla superficie del mare, ma anche a varie profondità fino ad arrivare ai fondali oceanici.

Il CONTENUTO

Cliccando su vari animali o oggetti è possibile ottenere un approfondimento che spiega l'interazione tra essi e la plastica in mare.

Una volta arrivati in mare che fine fanno questi rifiuti? Una risposta possiamo averla cliccando sul piccolo vortice posto in basso al centro che ci mostra dove sono state trovate le maggiori quantità di plastica a livello superficiale nei nostri oceani. Possiamo chiederci: perché proprio lì? La risposta ci viene fornita osservando i 5 principali vortici subtropicali (Subtropical gyres): il vortice del Nord Pacifico, Sud Pacifico, Nord Atlantico, Sud Atlantico e quello dell'Oceano Indiano. Quindi una volta finiti in mare i rifiuti vengono trasportati da queste correnti e, nel corso degli anni, tenderanno ad accumularsi al centro di questi vortici oceanici, che non sono altro che correnti che si muovono in modo circolare e che come una spirale raccolgono al centro tutti i loro rifiuti. Tuttavia la possibilità dei rifiuti marini di percorrere lunghe distanze risulta molto dannosa in quanto essi offrono un substrato per organismi e uova, che possono essere trasportati in nuove aree al di fuori dei loro confini naturali, favorendo così la diffusione di specie aliene, un fenomeno che rappresenta un'ulteriore minaccia per la biodiversità e l'integrità degli ecosistemi.

Alcuni rifiuti possono derivare anche dalle imbarcazioni, ad esempio a causa di sversamenti o perdita di container in condizioni di mare avverso, oppure dai pescherecci che rilasciano (volontariamente o meno) le cosiddette reti fantasma: ovvero reti da pesca perse o abbandonate dai pescatori che continuano a catturare animali marini causandone, nei casi più gravi, la morte. Anche i grandi cetacei possono rimanere intrappolati nelle reti da pesca. Cliccando sulla megattera si può notare, seppur in forma semplificata, la struttura di una rete da posta. Questo tipo di rete può essere fissa o derivante: quella fissa rimane ancorata al fondale, quella derivante non è ancorata e viene trascinata dalle correnti. Quest'ultima è utilizzata per la cattura dei pesci pelagici come tonno o pesce spada ecc mentre quella fissa è utilizzata per la pesca strettamente costiera, la cosiddetta piccola pesca. La legislazione europea vieta le reti da posta derivanti perché presentano quello che viene definito il difetto di selettività, ovvero comportano catture accessorie e rischi per specie diverse da quelle bersaglio (il video della megattera rimasta intrappolata in una rete da posta in Messico ne è un esempio).

Tornando all'immagine principale e cliccando sulla tartaruga è possibile vedere come, oltre al rischio di intrappolamento, questi animali siano suscettibili anche all'ingestione di plastica in mare. Come è ormai dimostrato spesso le tartarughe confondono le buste di plastica per meduse e questo causa gravi problemi al loro apparato digerente. Recenti studi hanno dimostrato che oltre a questo inganno visivo, le tartarughe siano soggette anche a un inganno di tipo olfattivo; un articolo pubblicato su Science Advances dimostra, infatti, che le microplastiche che hanno passato del tempo immerse in acqua di mare emettono l'odore del dimetilsolfuro a causa delle alghe che si attaccano alle microplastiche stesse. Il dimetilsolfuro è considerato un odore chiave per le interazioni trofiche: ad esempio gli uccelli marini hanno imparato a riconoscerlo in quanto causato dalla decomposizione delle alghe che vengono mangiate dal krill, organismi dei quali gli uccelli si nutrono. Gli uccelli marini e quindi probabilmente anche le tartarughe riconoscerebbero le microplastiche come fonte di cibo e in questo modo sarebbero tratte in inganno.

Abbiamo nominato le microplastiche (MP), rappresentate nella schermata principale da piccoli cerchi in mezzo al mare e cliccando su una bottiglia in via di degradazione in alto al centro è possibile conoscerle più a fondo. Le microplastiche sono tutti quei frammenti compresi tra 0,5 µm e 5 mm. Si distinguono in primarie e secondarie: 

le primarie sono quelle che nascono come tali, sono utilizzate ad esempio nei prodotti per la cura della persona e della casa, ma anche in vernici, fertilizzanti o derivanti dall'abrasione delle gomme di auto sulla strada o dal lavaggio in lavatrice di capi di abbigliamento in materiali sintetici (quest'ultime prendono il nome di microfibre); 

le secondarie, invece, sono il risultato dell'attività di degradazione di oggetti di plastica più grandi. La degradazione è un evento meccanico causato da vari fattori come il moto ondoso, il vento, il sole (raggi UV), il sale marino. Le secondarie rappresentano la quota più grande di microplastiche disperse nell'ambiente. 

Dal 1 gennaio 2020 l'Italia ha introdotto il divieto di produrre microplastiche nei prodotti per la cura e l'igiene della persona. Sicuramente un ottimo passo avanti ma c'è ancora molto da fare considerato che secondo alcuni studi costituiscono una quota compresa tra lo 0,01% e il 4,1% del totale, quindi solo una minima parte di tutte le microplastiche presenti nei mari.

Quali sono gli effetti delle microplastiche sugli organismi marini? I loro effetti riguardano non solo piccoli microrganismi, che possono scambiarle per cibo, ma anche i grandi cetacei filtratori. Questi ultimi, infatti, possono ingerirle in modo diretto: aprendo la bocca per nutrirsi fanno entrare 70.000 litri d'acqua e con questa possono ingerire le microparticelle; oppure per via indiretta nutrendosi di microrganismi planctonici che a loro volta hanno ingerito le MP. 

 

Effetti negativi delle microplastiche (MP)

Si può osservare che esiste una correlazione tra la dimensione dell'organismo e quella della plastica che può danneggiarlo: un gamberetto sarà maggiormente danneggiato dalle microplastiche piuttosto che da una rete da pesca con maglie larghe. Questo non toglie che la degradazione delle plastiche rappresenti un pericolo per tutti gli organismi, dalle grandi balene al plancton, in quanto le micro e le nanoplastiche hanno dimensioni tali da poter entrare all'interno dell'organismo a livello di organo ma anche a livello di tessuto e a livello cellulare e causare danni ad esempio al tratto digerente o al tessuto branchiale.

Spostandoci ad osservare la colonna d'acqua, possiamo notare che la maggior parte dei rifiuti si trova sul fondale marino (circa il 70%), una percentuale minore galleggia o si trova nella colonna d'acqua. Una busta di plastica è stata trovata nella più profonda depressione oceanica conosciuta al mondo, la fossa delle Marianne. Come fa ad arrivare così in profondità tutta questa plastica? A causa delle proprietà chimico-fisiche o perché viene colonizzata da microrganismi (aumenta il peso e quindi affonda) o anche entrando nella catena alimentare. Il plancton infatti può scambiare le microparticelle di plastica con cibo e quindi nutrirsene; ne sono un esempio i granchi rossi e i larvacei giganti. Questi ultimi sono tunicati delle dimensioni di 1 cm circa e la forma simile a quella di un girino. Producono una sostanza mucosa, detta anche bolla o “home”, molto più grande del loro corpo che permette loro di intrappolare particelle organiche presenti nella colonna d'acqua, convogliandole poi alla bocca grazie ai movimenti della loro coda. Insieme al cibo rischiano di intrappolare in questa sostanza mucosa anche le MP e quindi nutrirsene. Una volta che la loro bolla risulta piena se ne liberano per costruirne una nuova, questo scarto diviene a sua volta nutrimento per gli animali che vivono più in profondità come i detritivori: questo rappresenta un modo in cui le MP entrano nella catena alimentare.

Principali effetti dei rifiuti sugli organismi marini:

ingestione, dove tartarughe marine, cetacei e uccelli marini sono i più colpiti da questo fenomeno. 

intrappolamento, ad esempio a causa delle reti fantasma.

deterioramento dell'habitat, ad esempio un grosso contenitore di plastica che si deposita sulla barriera corallina.

trasporto di specie aliene, le plastiche di tutte le dimensioni possono fungere da trasportatori su lunghe distanze di specie non originarie di determinati luoghi e quindi minacciandone la biodiversità.

Questa immagine rappresenta il cuore della lezione perché ha in sé tutti gli aspetti principali legati al tema dell'inquinamento in mare. È, infatti, rappresentato anche l'ambiente terrestre in quanto la maggior parte dei rifiuti che si trovano in mare derivano proprio dalle attività che si svolgono a terra; in particolare le aree costiere riversano in mare molti rifiuti e anche i fiumi, definiti nastri trasportatori, accumulano grandi quantità di detriti trasportandoli sempre più a valle e infine nel mare. Inoltre, venti e forti temporali possono aggravare questo fenomeno.