NOME DELLA CITTA': Chaturanga, in indiano "gioco degli scacchi"
Ancora in uno stato confusionale dopo aver visto Clepsidrea sparire vorticosamente nella sabbia non ero sicuro quanto lungo fosse il deserto che avevo attraversato ma finalmente lungo l'orizzonte fui attirato dallo scintillio e chiarore dei marmi di una città presidiata da mura costituite da Torri e Alfieri giganti. Ero giunto a Chaturanga, la città di marmo e alabastro.
La città prende le sembianze di una scacchiera dove si intervallano quadrati bianchi e neri. I cittadini sono divisi in due fazioni, bianchi e neri. Ogni fazione è mossa da un proprio ideale da difendere, il Re, e cerca di confutare l'ideale altrui mettendolo sotto scacco.
Nella stessa fazione così come negli scacchi i personaggi si dividono in potenti (Regina, Alfieri, Cavalli, Torri) e in pedine deboli (pedoni). Fui ripreso dalla fastidiosa sensazione di vivere un sogno assurdo, quasi quanto quello vissuto nella città che si era dissolta. Qui i cittadini devono occupare un ruolo per essere visibili o meglio riconoscibili. Ognuno in una sua posizione, casella, perimetro individuale. Non sono ammesse deviazioni e alternative. Persino nei negozi, uffici, locali pubblici e nel gran mercato della piazza, le attese e le file sono regolate dalla precedenza che spetta agli Alfieri e Cavalli. Il tempo è misurato dalle attese e quindi può anche essere smisurato e tutto il resto delle attività, dei ritmi di lavoro e svago dipendono dalle strategie di un gioco che mette sotto scacco e in stato alterato chi non ne può partecipare, ovvero gli stranieri. Mi sentivo in trappola e come cantastorie o mercante non avevo nessuna possibilità di attirare l’attenzione di uomini che avevano perso il talento della curiosità, in nome e in funzione della loro trappola di marmo che li inchioda ad un tempo fermo e senza memoria, né sogni avvenire.