CARLO MARIA GRILLO
La giustizia è davvero così lontana dalla vendetta? Con questo interrogativo si apre l’incontro con il Dott. Carlo Maria Grillo, ex-magistrato e autore del saggio “Riflessioni anodine su vendetta e… dintorni” (Aracne edizioni, 2015). Il dialogo con l’autore presso il Liceo Manin si inserisce nel progetto Biblioteca di cui è referente la prof.ssa Ilaria Spotti. L’ospite, incalzato dalla prof.ssa Francesca Di Vita e dagli studenti del Liceo Manin, espone la sua tesi: la vendetta, che ripugna noi, oggi, civilizzati da secoli di sovrastrutture culturali e religiose, è riconosciuta come moto umano, troppo umano, come una reazione del tutto naturale. Echi nietzschiani e freudiani in questa presa di coscienza, che conduce a svelare la comune origine che hanno i concetti di vendetta e giustizia. L’autore presenta un percorso che, dalla faida, passando per la legge del taglione, porta al moderno sistema giudiziario che dovrebbe sollevare il privato dall’obbligo morale di “pareggiare i conti”, o meglio i piatti della bilancia, quelli che la Giustizia sostiene, nelle tradizionali raffigurazioni della stessa.
Dal concetto di vendetta si passa dunque ad esaminare quello di giustizia, che non coincide con la “giustezza” dei processi, tant’è vero che numerosi sono i casi di assoluzioni di colpevoli e di condanne di innocenti; si apre dunque una riflessione sulla dicotomia tra diritto naturale e diritto positivo, ricordando la vicenda di Antigone, il dilemma di Javert ne I Miserabili, o l’aberrazione delle leggi razziali.
Non stupiscano i riferimenti alla letteratura e alla storia dell’arte presenti nel piccolo volume: al di là dell’efficacissimo Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi, raffigurato sulla copertina, interi capitoli sono dedicati al cinema, alla letteratura, all’arte: la vendetta, fin dall’antichità, ha rappresentato una poderosa fonte d’ispirazione.
Il saggio, che per deformazione professionale è volutamente essenziale, lascia spunti di riflessione che si prestano a un approfondimento e anche a un’eventuale smentita, come si sente di dire l’autore alla giovane platea, difendendo l’essere “anodino” delle tesi sostenute.