Tutto ritorna alle origini.
Perse le tracce di antiche civiltà sono rimasti i resti di architetture senza storia, costruiti con immagini fotografiche ricomposte in modo da rappresentare la vitalità della natura plasmata dal lavoro dell’uomo, per abitanti di luoghi misteriosi. Immerse nella densità di una natura selvaggia priva di ogni traccia di vita umana, segnano nuove presenze, inerti, nella contemplazione del loro disfacimento.
I pochi resti resi visibili restituiti dal documento fotografico, strappato e ricomposto, si inaridiscono con il tempo, evocando, per le parti rimaste, la fatica di vivere in un confronto aspro tra uomo e natura.
La mancanza di una vera e propria archeologia rende inspiegabili questi manufatti sepolti nel mito inquietante, dove tutto ha il sapore di ritornare ad un tempo dove si erigevano sacrari a “dei” benevoli.
Non conosciamo gli abitanti di questi luoghi, possiamo immaginare solo la loro sottomissione al fato e ai suoi capricci, al piacere di una natura che sapeva offrire protezione e benessere nel mistero dei fenomeni, nella povertà degli attrezzi domestici, nell’uso di tutto ci che preesisteva come forma dell’oggetto.
La fotografia ci aiuta a ritornare alle origini diventando forma costruttiva, perdendo la sua intrinseca funzione comunicativa per diventare parte di un sistema di aggregazione di primordiale utilità.
Pier Paolo Fassetta
Testo pubblicato nel catalogo della mostra “De rerum natura” nell’ambito della manifestazione Milano Photo Festival, Galleria Scoglio di Quarto 2021