Creare la Relazione Terapeutica


Il trattamento secondo la Gestalt Disability Therapy


Per ottenere un recupero più profondo possibile il trattamento deve essere: intensivo, precoce, adeguatamente strutturato. Deve snodarsi in più piani terapeutici con diversi gradi di astrazione per permettere il monitoraggio, la valutazione e la programmazione più articolati e puntuali possibile delle attività. intensivo a) almeno 40 ore a settimana di didattica personalizzata (competenze prescolari e scolari, competenze che riguardano le interazioni sociali, competenze affettivo-relazionali, conquista dello spazio, integrazione nel tessuto sociale) sia in base alle particolarità del soggetto, che in base all’età ed alla fase del ciclo vitale in cui si trova. A questo riguardo dobbiamo fare una breve puntualizzazione: in questo lavoro l'attenzione è rivolta prevalentemente ad utenti in età evolutiva; pertanto l'accento è posto su bisogni ad emergenze legate a questa fase specifica del ciclo vitale: un bambino avrà bisogno di implementare competenze prescolari o scolari, nonché la capacità e possibilità di giocare insieme ad altri; un utente adolescente o adulto avrà altre emergenze, altre spinte motivazionali: rendersi quanto più autonomo possibile, trovare modi per inserirsi e di integrarsi nel tessuto sociale. Pertanto, pur restando invariata l'articolazione di massima del trattamento, obiettivi e coinvolgimento di attori significativi nel paesaggio dell'utente varieranno in linea con i suoi specifici interessi e motivazioni. Inoltre, in questo impianto, una particolare valenza assume la quantità di ore assegnate all’attività in setting duale (operatore- utente): non tanto per la possibilità di aumentare gli apprendimenti, ma per elevare la qualità della relazione in termini di familiarità, sintonia, fiducia. b) supervisione in chiave gestaltica del gruppo degli operatori e misurazione settimanale dei risultati raggiunti per singole abilità (raggiungimento degli obiettivi didattici). La particolarità di questo approccio sta, soprattutto, in questo preciso piano: la supervisione di gruppo di matrice Gestaltica rende possibile l’emergere di vissuti e di risonanze profonde da parte degli operatori; si manifestano le paure, le disfunzioni del contatto di ciascuno, le polarità sommerse della personalità e ciò diventa capacità di ascolto di sé, allargamento dei confini personali e possibilità maggiore di incontrare, risuonare con, capire l’utente e intuire sempre più prontamente cosa chiede di volta in volta alla relazione con l’operatore. Ciò significa preziosa possibilità di maggiore aggancio ed ancoramento alla relazione dell’utente stesso da parte dell’operatore. Precisiamo che gli operatori non devono ecessariamente essere terapeuti della Gestalt; tuttavia, una costante supervisione con tali requisiti e lo spazio della psicoterapia di gruppo sensibilizza, affina e dispone a pensare e sentire con un’apertura ed attivazione dei canali percettivo-sensoriali ed emozionali direttamente proporzionale a quanto e come si lavora sulle proprie istanze. c) supervisione in chiave gestaltica (lettura dei processi gruppali ed istituzionali) con cadenza mensile per il coordinamento di tutte le figure che hanno contatto a vario titolo con l'utente condotta da uno psicoterapeuta della Gestalt. d) psicoterapia della Gestalt di coppia dei genitori ed in gruppo a cadenza settimanale condotta da uno psicoterapeuta della Gestalt. e) psicoterapia della Gestalt di gruppo degli operatori condotta da uno psicoterapeuta della Gestalt. f) figura esterna competente in didattica personalizzata (senior diagnostic) che, almeno ogni sei mesi, monitori e valuti gli obiettivi generali a medio e a lungo termine. Precoce Se possibile si deve intervenire prima dei tre anni: più precoce è l'intervento maggiori sono i risultati. Questo non significa gli interventi tardivi non possano essere efficaci. Vi sono Centri come Job Path [ 15 ], dove alcuni allievi della Gestalt Disability Therapy hanno compiuto il tirocinio, che prendono in carico pazienti che abbiano almeno 18 anni.

Strutturato

Con obiettivi chiari nei diversi ambiti maturativi (linguistico ricettivo e produttivo, competenze affettive, capacità di socializzazione, capacità grosso motoria e fine motoria) e con l’attivazione di tutti i piani di intervento come descritto. Questo schema si riferisce a parametri ottimali per la riuscita del trattamento. Sovente l’impianto si modula in base alle caratteristiche dell’utenza e ad un’analisi della richiesta di presa in carico. La nostra esperienza ci indica che, anche una riduzione di ore impiegata per il trattamento diretto (operatore-utente), ma supportata da una forte motivazione del nucleo familiare alla partecipazione all'attività (alla terapia personale, alle riunioni di supervisione in equipe e alle attività di didattica speciale) porta ad ottenere risultati molto apprezzabili. Inoltre la qualità dell'incontro operatore-utente è strettamente legata gli spazi di supervisione dell'operatore ed alla sua terapia personale. Non ultima in ordine di importanza è la possibilità di attivazione quanto più capillare di reti sociali attorno all'utente per garantire una continuità di trattamento coinvolgendo quante più figure istituzionali strategiche e significative per l'utente stesso (insegnanti, operatori scolastici, operatori di associazioni ricreative o sportive). Uno sguardo “da dentro” L’esperienza che porto in questo lavoro vuole essere un contributo alla diffusione, affermazione e sviluppo di un vertice di lettura e di intervento sull’autismo con una molteplicità di implicazioni sul piano dell’efficacia terapeutica sulla diversabilità. Le nostre riflessioni prendono avvio dalla rilettura delle osservazioni sul campo che l’equipe di professionisti palermitani ha effettuato alla Mc Carton School di New York. Per una visione dettagliata rinvio il lettore al testo di G. Rotolo e F. Muscato (2005). Tale Centro accoglie bambini con diagnosi di Disordini dello Spettro Artistico. Gli operatori del Centro elaborano protocolli individualizzati dove tracciano la sequenza di attività da proporre a ciascun bambino per raggiungere determinati apprendimenti. Ciò che si impone all’attenzione è il clima gioioso, fluido, armonioso, e soprattutto accogliente nel quale le attività hanno luogo: nessuna difficoltà sembra turbare o interrompere tale fluidità emozionale-affettiva che permea i rapporti tra gli operatori ed i piccoli utenti. Le crisi cui i bambini vanno incontro sembrano contenute con ferma sicurezza e tempestiva capacità di riaccompagnare l’energia vitale dentro un itinerario approvato dall’utente. La nostra equipe prima e chi legge gli appunti dopo rileviamo che un importante elemento terapeutico non esplicito e non enucleato, in codesto assetto, in termini di teoria guida per la passi è la modalità con cui gli operatori interagiscono con gli utenti e le vicissitudini di tali interazioni. Gli operatori rivelano una competenza relazionale competenza di contatto) molto affinata. I nostri osservatori e noi che leggiamo le osservazioni effettuate ed abbiamo una formazione di terapeuti della Gestalt, non possiamo non ricorrere all’impianto teorico della Gestalt Therapy per rendere intelligibile il processo relazionale in atto; ci siamo chiesti, quindi, quanto potenziale si potrebbe ancora così dispiegare in un intervento che possiede già un notevole spessore anche in termini di risultati (Rotolo-Muscato 2005). La ricchezza delle implicazioni di tale riflessione costituisce il cuore del presente lavoro e, più ancora, il punto di partenza per il lungo viaggio che ci ha condotti alla definizione di un nuovo modello di trattamento per l’autismo ed alla fondazione della Gestalt Disability Therapy. Chi scrive viene inserita nel gruppo già avviato per la formazione di peratori sulla Diversabilità Cognitivo-Emotiva. La mia funzione è di coterapeuta per lo spazio che la formazione assegna alla psicoterapia di gruppo degli operatori, alle supervisioni degli operatori e alla terapia in gruppo dei genitori degli utenti in trattamento. La formazione è articolata nel modo seguente: a) trasmissione del sapere e di conoscenze aggiornate nell’ambito dei Disturbi dello Spettro Autistico e, più in generale, delle sindromi che implicano ritardi/alterazioni cognitivo-affettive dello sviluppo sia sul piano eziopatogenetico e quindi diagnostico che clinico e quindi tecnico-operativo. b) supervisione degli operatori che seguono gli utenti.

c) psicoterapia di gruppo degli operatori. d) psicoterapia per i genitori degli utenti; tale momento avviene accogliendo i genitori all’interno del gruppo degli operatori.


La trasmissione teorica

E’ il luogo della creazione di un sapere condiviso relativo alla diversabilità in generale, alla Sindrome Autistica soprattutto ed alle sue implicazioni, alle sue molteplici manifestazioni. Questo spazio permette di accostare e rendere meno oscura una dimensione così densa di risonanze emozionali come quella dell’autismo. Tale momento è anche presupposto per una attiva e condivisa programmazione da parte di tutti (trainer ed operatori) di interventi in linea con orientamenti aggiornati della ricerca in merito all’individuazione di fattori eziopatogenetici più esplicativi. Sottolineiamo a riguardo la nostra scelta di attenzionare, in fase iniziale di approccio al caso specifico, l’aspetto dietetico (eliminazione di glutine e caseina dalla dieta del soggetto e somministrazione di pro-biotici) e l’indicazione di esaminare lo stato di salute dell’intestino (accertare la presenza di infiammazioni, ulcere, parassiti) tramite l’anamnesi (sintomatologia riportata dai genitori) e tramite esami specifici (rinviando a Centri specializzati). A questo momento è affidato lo studio e l’affinamento delle tecniche da utilizzare; vogliamo porre l’accento come, coerentemente con il modello guida e l’epistemologia che lo sottende, le tecniche assumono per noi la funzione di “nucleo gravitazionale per convergere l’attenzione, la concentrazione, l’interesse dei due attori (operatore e piccolo utente) ed articolare i bisogni emergenti attraverso la mediazione e modulazione del “fare insieme”. La scelta della specifica attività ha ovviamente una valenza ed una funzione precisa legata alle abilità da insegnare ed agli obiettivi didattici da raggiungere. Nella prima parte di questo studio abbiamo esposto le principali tecniche utilizzate attualmente da chi opera con i soggetti autistici: tali tecniche hanno una matrice (cognitivo-comportamentale) e sviluppano il loro intero corpo operativo coerentemente ai presupposti della matrice teorica. Nel nostro modello, il cui vertice epistemologico e teorico-operativo è la “grammatica della relazione” (Spagnolo Lobb M.), con le articolazioni e vicissitudini del suo accadere nell'incessante tensione che anima ogni forma vivente verso il contatto col non-sè, utilizzare una tecnica di matrice cognitivo-comportamentale (che scandaglia i processi cognitivi in micro-segmenti e che agisce poi con precisione con sequenze di comportamenti da trasmettere per raggiungere una competenza in un determinato ambito comportamentale), può anche non essere in contraddizione col presupposto che ci muove. Crediamo che la scelta contenutistica dell’attività attenga all’ordine del “cosa fare per raggiungere un determinato apprendimento” e il modo in cui si realizza detta attività (che poi coincide con l’epistemologia di fondo e quindi con il modo in cui si leggono i processi) abbia a che fare con il “come farlo per crescere nella competenza di contatto ossia per evolvere globalmente ”. La scelta dell'attività è, quindi, calibrata di volta in volta sulla persona che trattiamo: il punto di partenza è l'analisi delle competenze di base che variano da un individuo all'altro (si utilizza il sapere legato alla didattica personalizzata); la scelta dei comportamenti-abilità da implementare non segue un protocollo prestabilito ma si definisce e focalizza in itinere. I momenti di supervisione di gruppo rivolto agli operatori che trattano lo stesso utente sono luoghi fisici e mentali per sentirsi insieme, portare le proprie risonanze e vissuti relativi al contatto con l'utente stesso, definire insieme, in base a ciò che emerge, dove e come agire, quale mossa vada nel senso della crescita della relazione (operatore-utente) e delle competenze specifiche dell'utente stesso. È il luogo in cui si decide quale comportamento implementare e come. Ricordiamo che per noi è fondamentale che la persona si agganci, si ancori ad un contatto “nutriente”, significativo (relazione operatore-utente) per potere gradualmente raggiungere competenze sempre più complesse sul versante dell’autonomia (sapersi prendere cura di sé a partire dai bisogni primari), e dell’appartenenza (sapere sempre meglio interagire, socializzare). Questo è possibile se si pensa che sia curativo un contatto sereno e nutriente con il nucleo ristretto dei familiari (e questo avviene se i genitori si sentono coinvolti nel trattamento e si mettono in discussione), ma anche la fruibilità della rete allargata dei legami affettivi (intendiamo parenti e amici, le reti di interazione che si possono creare nel quartiere, nei luoghi ricreativi e di incontro) e di una struttura sociale competente che disponga di iniziative di integrazione e scambio dove potere allargare l'orizzonte esistenziale della persona. Ricordo ancora, per una utente adolescente, quale traguardo entusiasmante sia stato sapere comprare il pane da sola (contare i soldi, scegliere il pane, pagare, salutare il cassiere e i commessi) e le grandi implicazioni di questa riuscita su un piano di crescita nel processo dell'intenzionalità di contatto in termini di potenziamento della Funzione Io del Sé (sentire maggiore potere sulle cose, potere programmare e anticipare gli effetti delle sue azioni anche in contesti non immediatamente familiari e conquistare un po' di spazio fuori dalle mura di casa; e sperimentare che l'estraneo non è nemico ma solo sconosciuto). La supervisione degli operatori in chiave Gestaltica E’ lo spazio che connota particolarmente il modello di Gestalt Disability Therapy. Gli operatori che seguono gli utenti portano nel gruppo il resoconto delle attività svolte, i vissuti, le risonanze, le difficoltà incontrate. I supervisori-terapeuti della Gestalt leggono i processi in termini di curva di contatto e in termini di intenzionalità organistica di contatto, danno il sostegno specifico (M. Spagnuolo Lobb,) per ricondurre l'energia nella sua traiettoria originale. Potente si rivela l'utilizzo del piano fenomenologico del racconto: il vissuto vivo sulla pelle, negli organi di senso del racconto tocca nel gruppo le corde vibranti ciascuno degli altri. Ciascuno può dire e condividere la sua angoscia (spesso), il suo sbigottimento, la sua paralisi, la sua impotenza, la sua commozione. Il bambino- utente prende forma attraverso il contributo di tutti ed il supervisore riporta così la precisa sensazione di conoscere e stare a contatto egli stesso con l'utente. Dall'analisi dei processi di ciascuno emerge, oltre alle interruzioni specifiche di ciascun operatore, dove il bambino in quel momento prevalentemente interrompe: ha difficoltà particolari ad “entrare in una figura” cioè a fare emergere un bisogno; la figura è abbozzata ma l'organismo si sente ancora troppo piccolo per un ambiente troppo grande e dominante (quindi poca energia, bisogno di essere sollecitato e accompagnato ad ogni passo); è in proiezione (si agita o arrabbia facilmente, è aggressivo, perde facilmente l'attenzione e la concentrazione, lo si sente vibrare a fior di pelle retroflette (l'operatore sente che "sta per incontrarlo ma poi non succede). Per chi conosce la Gestalt Therapy è quindi facile intuire quale patrimonio, dopo una supervisione così concepita e strutturata, l'operatore porti con sé da spendere quando incontrerà nuovamente il suo utente. Gli operatori riportano e lavorano anche con i vissuti relativi all'ambiente familiare dell'utente stesso: rispetto a come essi stessi sentono di essere percepiti dai familiari (aspettative, aggressività, accoglienza, solidarietà, rigidità in base anche al momento del processo dei genitori) ed anche rispetto a come percepiscono il spiegarsi dell’intenzionalità relazionale genitori-figlio (clima familiare, particolari interruzioni, paura, solidarietà). Questo aspetto è da attenzionare e motiva fortemente la scelta metodologica secondo la quale i genitori devono essere disposti ad entrare in un processo psicoterapico: se ciò non accadesse, il rischio di sovraccarico da richieste implicite dell'operatore da parte del genitore in termini di aspettative, di richiesta di contenimento e di cura anche per se stesso, oppure di delega totale del bambino e del suo destino all'operatore stesso sarebbe altissimo con conseguente compromissione dell'operato del professionista. Psicoterapia in gruppo per i genitori Questo spazio, per i motivi su menzionati, si rivela alleato prezioso per la riuscita del trattamento. La psicoterapia dei genitori avviene con i terapeuti e con il gruppo degli operatori. Dopo un momento spesso iniziale di resistenza dovuto alla paura di destabilizzare un equilibrio, i genitori che vanno in terapia hanno l'occasione di esprimere e condividere vissuti di dolore, di angoscia, di solitudine, di inadeguatezza, di rabbia, di impotenza che tendono a non manifestare nel corso della loro vita. Il potersi esprimere e sapere che altri vivono condizioni interiori ed esterne similari porta un vissuto di alleggerimento. Alto valore terapeutico ha potere esprimere le proprie difficoltà in rapporto al figlio e ricevere una lettura del processo relazionale che individui i punti di interruzione con conseguente sostegno specifico (Margherita Spagnuolo Lobb, 1990). I piani che si intrecciano sono quindi: a) il genitore può esprimersi e trovare contenimento nei terapeuti ma anche negli operatori che seguono il figlio avendo come effetto anche un rinsaldarsi del legame di fiducia operatore- genitore. b) la terapia aiuta il genitore gradualmente a sentirsi in parte sgravato motivamente ma più competente nella difficoltà che può incontrare e nella sua possibilità di entrare in relazione con il figlio. c) il piano della crescita personale nel proprio processo. L’autismo: una spiegazione gestaltica All’interno dello schema che rappresenta la curva di contatto dove si evidenziano le differenti psicopatologie in base all'età evolutiva di insorgenza e alle modalità preponderanti di interruzione del contatto, l’autismo si dovrebbe collocare all'inizio del primo segmento della curva, cioè all'inizio della fase del pre-contatto e nel dominio della funzione ES (corporea). L'interruzione della crescita verso il contatto pieno avverrebbe nella modalità confluente ossia quando ancora vi è una preponderanza di aspetti fusionali del sé. È la più precoce delle psicopatologie e, pertanto, la più grave poiché, come sa chi ha modo di conoscere soggetti autistici, la sensazione che il soggetto rimanda è di viaggiare su codici ignoti e una sensazione pervasiva di profonda incomunicabilità. Ma a differenza delle psicosi fusionali dove si intravede un “noi”, con l’autistico la sensazione è che non ci sia stato neppure il “noi”. Un'ampia letteratura ci sostiene per affermare che, attraverso la cura e la devozione del genitore, il dialogo-interazione incessanti ed intensi che da subito connotano le relazioni con le figure significative, il bambino “nasce" psicologicamente, prende forma, viene invitato ad esserci. Dallo sfondo di una confluenza prevalente (intrauterina e primi mesi di vita) va verso una sempre maggiore differenziazione di sé dall'Altro con le vicissitudini che tale processo implica (G. Salonia, 2001). La cecità sociale di cui parla Bahron Cohen (Cohen S.B.,1997) apre a profonde riflessioni, ampiamente supportate dalla fenomenologia dell’autismo, sul destino degli umani a cui manca la possibilità di entrare in contatto con il simile: il bambino diviene umano nel senso che, nascere immerso in una fitta trama relazionale (fisica e simbolica) umana, lo avvia e lo radica (Erikson E.H., 1982) nel tessuto della specie umana, lo informa e lo attiva a risuonare e crescere secondo i codici bio-psichici degli umani. Una sana confluenza significa che nello sviluppo del bambino c’è una presenza che contiene e che rende possibile il formarsi del senso dell’unità corporea e temporale (G. Salonia 2001). In particolare, nella confluenza primaria (primi cinque-sei mesi di vita) dove, si suppone, ci sia un’alternanza di vissuti autistici e di senso del sé emergente (Salonia 1989), ed i confini dell’io non si sono costituiti è fondamentale che la madre si renda disponibile ad_una confluenza (Spagnolo Lobb M., 1988) che àncori il bambino, che offra quel contenimento e quel rispecchiamento - il bambino si percepisce a partire e attraverso gli occhi della madre che lo guardano - necessari perché possa radicarsi nel proprio corpo e non essere schiacciato da quelle Winnicott (1970) chiama agonie primitive (cadere per sempre, andare in pezzi), L’autismo sembra per eccellenza l’impossibilità ad entrare in contatto con l’ambiente. Non entriamo più nel merito della complessità delle possibili concause; possiamo dire però che, quando il bambino si pone, si relaziona e cresce secondo una traiettoria prevedibile per l'intuito genitoriale, il genitore (in condizioni ordinarie e quando egli stesso non ha grosse interruzioni del contatto nel suo processo) non avverte di procedere con grandi difficoltà o impedimenti; il tessuto relazionale genitore figlio si dipana in modo tale che il figlio cresce secondo natura e il genitore lo sostiene sentendo il tutto commisurato alle sue forze. Il problema si pone quando il bambino non risponde secondo una traiettoria prevedibile (almeno dall'intuito genitoriale). Sia per la Sindrome Autistica, che per altre patologie che alterano i processi maturativi cognitivo-affettivi le cause possono essere molteplici, (genetiche, congenite, traumatiche, tossiche) come già esaminato; superata l'idea che l'origine possa essere psico-relazionale, la nostra è che la madre possa divenire fredda: possiamo dire che la freddezza, lo sbigottimento, l'angoscia possano essere le reazioni del genitore di fronte a un bambino che non interagisce, non risponde o è poco intenso nella risposta/interazione, o che non ha mai iniziative legate alla richiesta di cure; ciò, a sua volta, complica l’apertura al mondo da parte del bambino. L'idea è che l'angoscia che un bambino autistico ingenera nel genitore possa essere tale che il genitore (la madre) interrompa i momenti sani e nutrienti di confluenza per paura di essere risucchiata, ingoiata in qualcosa che è sentito come un “non- senso” troppo pauroso e, pertanto, si ritragga lasciando prematuramente solo il bambino. La solitudine (l’isolamento) del bambino autistico evoca una sconfinata notte senza stelle. Alle gravi difficoltà che tale bambino mostra ad andare verso l'altro si aggiunge, inesorabilmente, una sofferta, carente o assente chiamata da parte del genitore verso il figlio ad “esserci con” intesa come condizione originaria ed ermeneutica della condizione umana (Salonia G.,2001), proprio a causa del fatto che tale bambino richiede una forza psichica e una fiducia nella vita spesso troppo grandi per il genitore stesso. Ma non c'è un soggetto autistico uguale ad un altro: vi sono differenze qualitative tre soggetti legate ai modi unici che ciascun individuo ha di relazionarsi con l'ambiente ed alle diverse caratteristiche legate ai differenti ambienti. Per l’equipe dei professionisti che ha osservato lungamente più bambini autistici in trattamento alla Mc Carton di New York, ma anche nella nostra esperienza, risulta chiaro che l'ambiente accogliente, ricettivo, capace di sintonizzarsi con i bisogni e le emergenze intenzionali del bambino crea le condizioni affinché il bambino esca da quello stato di indifferenziazione per mostrare una certa capacità di rispondere e chiedere. Il contatto con soggetti autistici in fase di chiusura spesso veicola la sensazione che il soggetto “ci sia”, di una presenza densa. Tale presenza, tuttavia, è come se viaggiasse su codici comunicativi e sensoriali tanto diversi da quelli abituali da non poter essere colta con gli strumenti ordinari. La sensazione è che il bambino aspetti soltanto di essere agganciato per potere emergere: il fatto che non si sia formata la competenza di contatto non significa che sia stata bruciata l’intenzionalità di contatto (Salonia G.,2001).

La formazione in Gestal Therapy diventa un modus vivendi L'esperienza formativa delineata si connota come percorso che sviluppa, implementa, affina le competenze di contatto dei formandi. Quindi, accanto al sapere teorico sulle sindromi ed a nozioni filosofiche che supportano riflessioni ad ampio respiro, gli operatori riportano la condivisa e chiara impressione che tale formazione diventi un modo di vivere, di sentire. Ciò risulta chiaro se ricordiamo che i presupposti epistemologici su cui si muove la Gestalt Therapy sono: La scelta del taglio fenomenologico come piano preferenziale di comprensione per la descrizione di ciò che accade così come si impone all’attività percettivo-sensoriale nel momento in cui accade e di intervento: tale piano è gravido di energia vitale poiché attinge alla condizione dell'organismo vivo nel qui ed ora (F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman, 1951) che viene chiamato ad una partecipazione nel momento presente, non mediata da teorie pregresse od interpretazioni sulle qualità dell'esserci e sganciate dal presente vibrante negli organi di senso: tale visione è profondamente dinamica e pone come movimento significativo la continua tensione del sé verso il non-sé per crescere ed allargare i propri confini organismici. Altro presupposto fondativo della Gestalt Therapy è che tutti gli eventi psichici sono relazionali; le relazioni fondano le individualità e determinano l'autoregolazione dei sistemi viventi. Inoltre, si pone l'intenzionalità di contatto come spinta fondativa dell'essere nel mondo. La grande implicazione di tale enunciato è che non si può più percepire, per chi sperimenta un percorso fondato su tale basi, la propria esistenza come separata da quella degli altri (persone, ambiente) ma, al contrario, in un intimo rapporto di necessità. Si impara che il proprio mondo diviene asfittico senza apertura all'Altro che diviene il proprio orizzonte, la propria possibilità di uscire da se stessi e conquistare spazi inediti di senso: ci viene in aiuto la grande lezione di Levinas (Levinas E.) secondo la quale il senso dell’esistenza si può scorgere nel delicato equilibrio tra ciò che nel proprio intimo si percepisce come immediata evidenza sensoriale di una certa qualità dell’esserci ed il “volto dell’Altro”, come “infinito” orizzonte e spazio che si apre davanti ad una altrimenti chiusa “totalità”, e che impedisce che ci si avvii ad una pericolosa e sterile autoreferenzialità. Si impara che l'Altro costituisce sempre una ricchezza anche quando sembra ostacolare il proprio processo; poiché è attraverso tale ostacolo che si possono inventare modi nuovi di esserci e di real-izzarsi allargando i confini della propria consapevolezza. Questa breve esposizione di alcuni principi costitutivi della prospettiva della Gestalt Therapy per chiarire come un percorso così strutturato possa diventare un luogo nel quale si fondi e si crei una cultura ed una etica basata sull'ascolto di sé e dell'Altro come poli imprescindibili per trovare sempre una via creativa per crescere insieme.

Attualmente l’Istituto per l’Autismo Gestalt Disability Therapy forma operatori per la Disabilità cognitivo-affettiva, in particolare per soggetti con Disturbi dello Spettro Aurtistico.

L’Istituzione Formativa è distinta da quella Operativa. Al Centro per l’Intervento si accede come operatori, terapeuti ed allievi didatti formati secondo il modello della Gestalt Disability Therapy.


Valeria Ramistella