Abituandoci alla vicinanza con l’Altro pensiamo di sapere comprendere il suo mondo, credendo di avere la facoltà, in quanto maestri, di suggerirgli noi la via. In questo modo non dimostriamo di avere riguardo nei suoi confronti, non rispettiamo la diversa abilità del diversabile. Il troppo pensare rischia di farci perdere l’Altro, poiché i concetti lo trascinano nel nostro misero mondo privandolo della sua autenticità. Spesso la relazione con l’Altro viene realizzata attraverso un terzo elemento, cioè il concetto che ci facciamo dell’Altro, concetto che traiamo da noi e dalle nostre leggi. In altre parole, noi afferriamo sì l’altro, ma non lo accogliamo come individuo diverso; al contrario, lo classifichiamo e categorizzia0mo. Così facendo, però, perdiamo la relazione etica, che si concentra sull’individuo rispettandolo nella sua bellezza che diviene mentre diviene. L’Altro è per noi un regalo poiché, resistendo alla nostra presa totalizzante dell’ontologia, può condurci verso l’infinito. Trovando se stessi attraverso questo processo, ci si rende conto che l’etica è la filosofia prima, quella che da il senso alla vita. Secondo Levinas, il volto dell’altro ci disorienta rispetto ai nostri progetti limitati e ci orienta in relazione al nostro bisogno di infinito (trascendenza).