Se la visione del mondo (weltanschauung) cambia con il tempo, come fanno a non cambiare gli interventi terapeutici? Curare la sofferenza significa adattare il proprio sguardo ad altre prospettive.
Ogni tipo di terapia, compresa quella medica, è una risposta culturale e anche una ricerca di senso della sofferenza.
Noi, psicoterapeuti della Gestalt, vorremmo raccontare in questo articolo come leghiamo la nostra visione del mondo con il trattamento dei soggetti con autismo. Quindi mostreremo la nostra risposta teorica e clinica, attenta all’attuale contesto culturale, entro cui si inserisce la definizione di un’analisi fenomenologica nell’autismo.
Con fenomenologia, in generale, si indica lo studio dei fenomeni. Ma a partire dalle teorie di Edmund Husserl, il suo significato coincide con due movimenti. Da una parte si tende alla conoscenza delle cose in sé, dall’altra alla comprensione di come la mente le percepisca.
Una fenomenologia della Persona con autismo, unita all’analisi comportamentale, potrebbe dare risultati clinici significativi, oltre a favorire un risparmio in termini economici.
Un supporto filosofico coinciderebbe con l’opportunità di scoprire l’individuo da diversi punti di vista. Non a caso Karl Jaspers definiva “critico” il rapporto tra scienza e filosofia, in quanto un isolato sapere scientifico non può aprire a un’autentica comprensione dell’uomo. Ciò non significa che un ambito sia inferiore o superiore all’altro. Tra loro è piuttosto necessaria una collaborazione in modo da svincolare l’essere da concetti generali esaltando la sua natura di irrepetibilità. Con Psicopatologia generale del 1913, Jaspers ha dato vita alla psichiatria fenomenologica e quindi a un nuovo modo di curare le psicosi. Lontano dal cogito ergo sum cartesiano, che in riferimento agli psicotici ne mostrava i limiti logici, e più vicino a Husserl e a Franz Brentano, Karl Jaspers fissò come oggetto delle sue ricerche l’intenzionalità del Sé. Questa scelta gli consentì il trattamento terapeutico del soggetto psicotico attraverso una relazione fondata sull’empatia.
Con lo stesso modo di concepire i rapporti e di conseguenza i trattamenti, ci avviciniamo al mondo dell’autismo supportati dalla Gestalt Therapy (psicoterapia della Gestalt), il cui continuo richiamo alla relazione, compresa quella intercorporea, struttura l’intervento clinico.
Nel testo base di F. Perls, R. F. Hefferline e P. Goodman, Teoria e pratica della Terapia della Gestalt (Roma 1997), il confine di contatto viene definito come il luogo specifico in cui si verifica la molteplicità dell’esperienza: il desiderio, il respingimento, l’avvicinamento e l’allontanamento, la percezione, il sentimento, la manipolazione, la valutazione, la comunicazione, la lotta, ecc. Il contatto sarebbe quindi il punto di incontro tra Organismo e Ambiente. Le relazioni sono il risultato di interazioni fisiche e socio-culturali. Ed è nella dimensione fisiologica, intercorporea dell’Io che avviene l’incontro del soggetto col Tu.
Il confine di contatto viene quindi inteso non come elemento separatore (tra), ma come elemento di connessione al mondo attraverso la pelle e gli altri organi di risposta sensoriale e motoria.
Risulta evidente il ruolo del corpo.
Le nostre relazioni con le figure genitoriali, sin dai primi momenti, sono state occasioni di contenimento corporeo e veicolo di apprendimenti primari e preverbali.
Per tutti i bambini il corpo è fondamentale nel processo dell’apprendimento e lo è in modo particolare in quelli con autismo.
L’Analisi fenomenologica nell’Autismo (AFA) è uno dei nostri strumenti clinici specifici di lettura di questa patologia e la usiamo insieme all’Analisi Applicata al Comportamento (Applied Behavior Analysis).
«Sono, infatti, gli oggetti del mondo a indicare al corpo le sue possibilità, è il loro aspetto, la loro fisionomia ad allontanarlo o ad avvicinarlo, è il loro mistero ad attrarlo» (Galimberti, 1983).
Come possiamo applicare questa affermazione ai soggetti con autismo?
In primo luogo si potrebbe pensare a quanti oggetti entrano a fare parte del mondo di una persona autistica.
Ma più che gli oggetti, è il corpo, o meglio l’intercorporeità (cioè la relazione tra i corpi) che permette al bambino autistico di apprendere.
Attraverso uno strumento di osservazione e diagnostico come l’AFA, sarà possibile rilevare i processi che legano il corpo del bambino autistico agli oggetti e quindi al mondo, descrivendo le modalità con cui questo rapporto si verifica in un soggetto con un differente stile conoscitivo.
L’AFA, inoltre, ci guiderebbe alla scoperta della creatività della persona autistica, perché nel corpo è possibile leggere l’intenzionalità organismica, cioè l’esperienza corporea e relazionale verso cui tende. Il corpo è memoria del passato, possibilità di presenza vissuta e propensione al futuro.
Il nostro si sviluppa all’interno di relazioni originarie: ci apriamo all’incontro e impariamo, esperienza dopo esperienza, ad abitare con noi stessi e nel mondo. L’apprendimento è segnato da relazioni primariamente corporee e progressivamente sempre più complesse, ma comunque libere da premesse dicotomiche: la mente e il corpo interagiscono dal primo all’ultimo stadio del processo conoscitivo.
Il sentire del terapeuta unito al sentire della Persona in trattamento permettono di creare la novità corporea, nel qui e ora della relazione in corso, rendendo possibile il cambiamento attraverso il contatto.
In linea con questo orientamento, il Dipartimento per l’Autismo della Diocesi di Monreale offre alle famiglie con Persone con bisogni speciali trattamenti personalizzati.
L’equipe del Dipartimento si avvale della collaborazione di un comitato scientifico costituito da professionisti la cui formazione attiene a campi diversi del sapere. Filosofi, psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, logopedisti, operatori specializzati, sacerdoti, tecnici della riabilitazione.
La molteplicità degli ambiti è la garanzia di un sapere capace di raccontare l’uomo nella sua complessità.
Il Dipartimento si occupa anche della formazione di supervisori, operatori, tirocinanti e volontari. La formazione viene svolta nelle università, nelle parrocchie, mentre nelle scuole si rivolge agli insegnanti.
Negli ultimi anni, in collaborazione con le Arcidiocesi di Brooklyn e di New York, è possibile usufruire di trattamenti relazionali in linea con i modelli teorici più moderni.
Francesca Giammanco, Elisabetta Rizzo, Giuseppe Rotolo
Bibliografia
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