Emmanuel Levinas e la Gestalt Disability Therapy

Descriverò come applichiamo la Psicoterapia della Gestalt nel trattamento dei diversamente abili. Abbiamo messo a punto un modello innovativo, in linea con i trattamenti più efficaci applicati negli Stati Uniti, che utilizza la relazione come atto terapeutico. Nella trattazione seguente, al fine di descrivere il nostro lavoro, richiamerò ampiamente i concetti espressi nel libro di Emmanuel Levinas “Totalità ed Infinito”, che considero uno dei libri più importanti del XX secolo.

Noi descriviamo quello che sentiamo quando siamo vicino ai diversabili. Non dirigiamo tutti i diversabili nella stessa via. Invece, noi, cerchiamo il significato della nostra vita attraverso il contatto, che è il nostro strumento. Noi non insegniamo, ma stiamo insieme: questo è il nostro modello.

Levinas dice ( Levinas è morto qualche anno fa, ma io preferisco parlare al presente perchè lo sento vicino) “La vera vita è assente. …Ma noi siamo al mondo”. Il nostro modello (Gestalt Disability Therapy) emerge da questa idea e attraverso essa si sviluppa. Quando siamo vicino ai diversabili sentiamo che “la vera vita è assente”; quindi, insieme, cerchiamo (diversabile e terapista) la vera vita: per noi questo è terapia.

Gestalt Disability Therapy è rivolta all’«altrove», all’«altrimenti» e all’«altro». Nella forma più generale sotto la quale si è presentata la storia del pensiero, questa appare infatti come un movimento che parte da un mondo che ci è familiare (quali che siano le terre ancora sconosciute che lo circondano o che esso nasconde), da una casa «nostra» e nella quale abitiamo, e che va verso una casa «non nostra» ed estranea, verso un «laggiù».

Secondo noi (Gestalt disability Therapy) questo è un buon modo per rispettare i diversabili, i quali, con questo sostegno, possono trovare il loro vero SÈ.

“Il termine di questo movimento – l’altrove o l’altro - è detto altro in senso eminente.”

I diversabili, per noi, sono altro. Proprio perché li rispettiamo, non li forziamo verso un modo di essere. Noi andiamo al passo coi loro tempi, consideriamo le loro regole, aspettiamo che diventino consapevoli. Stiamo in attesa di vederli trovare la loro via.

“Nessun viaggio, nessun cambiamento di clima e di sfondo sarebbe in grado di soddisfare il desiderio che vi tende.”

I diversabili (gli altri) non sono qualcosa che possiamo usare, quando facciamo terapia con loro, poiché “l’«altro» metafisicamente desiderato non è «altro» come il pane che mangio, come il paese che abito, come il paesaggio che contemplo, come, a volte, io stesso posso apparire ai miei occhi: questo «io» questo «altro» . Con questa realtà posso «nutrirmi» e, in larghissima misura, soddisfarmi, come se mi fossero semplicemente mancate”. E per questo motivo la loro alterità “si riassorbe nella mia identità di pensante o di possidente. Il desiderio metafisico tende verso una cosa totalmente altra, verso l’assolutamente altro.”

Il desiderio metafisico del terapista è molto importante. Questi, semplicemente seguendo il suo desiderio metafisico, fa sì che la terapia tra lui e il diversabile accada, pur senza intenzionalità: la strada nuova accade, ma nessuno sceglie la strada.

“L’analisi abituale del desiderio non potrebbe spiegare” i nuovi percorsi. Tuttavia possiamo definirli «via verso la libertà», laddove per libertà si intende libertà per diversabile e terapeuta allo stesso tempo. Dunque se cerco me stesso, la libertà accade. La libertà è benessere e guarigione.


Giuseppe Rotolo

Revisione di Patrizia Caruso