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Clelia
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Durante le guerre per difendere la nuova Repubblica romana, non sono solo gli uomini ad essere ricordati. Quando la pace viene stabilita tra il popolo romano e quello chiusino, alcuni ostaggi vengono consegnati per suggellare l’accordo. Tra questi c’è Clelia, una giovane fanciulla romana che rifiuta la sua condizione di ostaggio e decide di fuggire. Le sue azioni potrebbero causare conseguenze disastrose per Roma, ma diventa invece un modello eroico, salvando non solo se stessa ma altri giovani ostaggi dalla violenza nemica.
Autrici e autori: Camilla Baldovin, Maria Letizia Lorusso, Valentina Meganziol, Marco Nardini, Alison Zambon.
Montaggio e produzione: Thomas Marampon, Elena Missaggia.
Voci: Giovanni Dal Pane (Gaio Muzio), Maria Letizia Lorusso (narratrice), Marco Nardini (Livio), Nicolò Romei (Plutarco), Francesco Vedovo (Dionigi di Alicarnasso), Alison Zambon (narratrice).
Clelia (trascrizione italiano)
Sigla. Benvenuto o benvenuta, questo è MATRONAE, il podcast che restituisce la voce alle donne dell’antica Roma. In questo episodio parleremo di Clelia, una fanciulla che, divenuta ostaggio, attraversò temerariamente le acque del Tevere, liberando i suoi compagni dalla prigionia.
Narratore. Chiusi, 508 a.C.
Il re della città Porsenna sta per ricevere un ospite, etrusco come lui. Tarquinio il Superbo, un monarca caduto in disgrazia, insieme a tutta la sua famiglia è stato cacciato da Roma, di cui è stato re per quasi un trentennio. Un intraprendente gruppo di uomini è riuscito a porre fine alla tirannide, sollevando il popolo contro di lui e proclamando la repubblica. Ora la sua città è amministrata da due consoli e lui, che è stato bandito, è l’ultimo re di Roma.
Tarquinio non si accontenta dell’ospitalità del padrone di casa: vuole che Porsenna lo aiuti a recuperare il trono che ha perduto. Il re chiusino ha così occasione di sconfiggere la nascente repubblica romana e scongiurare il pericolo di restaurare la monarchia. Roma, tornerebbe nelle mani di un re, un re etrusco per giunta. Convinto da queste incoraggianti premesse, Porsenna accoglie la richiesta d’aiuto: marcia con le sue truppe su Roma.
[suoni: marcia dei soldati]
Narratore. Roma, nello stesso anno.
Porsenna mantiene la promessa: la guerra comincia disastrosamente per i Romani.
Gli Etruschi raggiungono il Gianicolo, un colle romano sulla riva destra del Tevere, da dove scendono verso il ponte Sublicius, che permetterebbe loro di entrare a Roma. Da questo momento entra in gioco il primo grande protagonista della guerra: Orazio Coclite. Questi comprende la necessità di fermare l’avanzata dei nemici verso Roma prima che sia troppo tardi. Orazio Coclite, dopo aver esortato i suoi commilitoni a distruggere il ponte con qualsiasi mezzo, trattiene da solo gli avversari. Nel momento in cui l’ondata etrusca si getta contro di lui, il ponte cede e un tonfo avverte i Romani che i nemici sono ormai nelle acque del Tevere. Così, per salvare la patria, Coclite si è lasciato cadere con loro.
Porsenna, allora, stabilisce il suo accampamento sul Gianicolo e pone sotto assedio l’Urbe. Ma Gaio Muzio, un giovane romano di nobile famiglia ispirato da ideali repubblicani, non è disposto a veder naufragare il nuovo assetto politico. Dopo aver consultato il senato, decide in gran segreto di entrare armato nell’accampamento nemico per uccidere Porsenna, ma fallisce e viene consegnato al re etrusco. Trovatosi in pericolo, escogita un piano astuto. Racconta a Porsenna che, come lui, una lunga schiera di giovani romani è intenzionata a ucciderlo. Livio riporta le parole di Gaio Muzio:
Gaio Muzio. «Sono cittadino romano, mi chiamo Gaio Muzio. Nemico ho voluto uccidere un nemico e avrò non minor coraggio a morire di quanto ne ho avuto a uccidere: è virtù romana agire e sopportare da forti. E non io solo ho tale animo verso di te: dietro di me vi è una lunga schiera di uomini che ambiscono allo stesso onore. [...] Questa è la guerra che ti dichiara la gioventù romana.» (Liv. 2, 12, 9-11)
Narratore. Per essere ancora più convincente infila la mano destra, quella che si usa nei giuramenti, in un braciere acceso e la lascia bruciare. Il giovane così conquista non soltanto l’ammirazione del re, ma anche la libertà e il soprannome di Scevola, da scaevus, "mancino".
Le gesta eroiche dei due romani e la paura dell’arrivo dei sicari del nemico spingono Porsenna a cercare la pace. Così le due parti raggiungono un accordo: i Chiusini ritireranno il presidio dal Gianicolo, mentre i Romani libereranno i territori etruschi occupati. A suggellare il patto, Roma invia alcuni ostaggi al re di Chiusi. Tra questi c’è anche la vergine Clelia, che, dimostrando un’intraprendenza straordinaria per la sua giovane età, e pur essendo una donna, compirà un’impresa degna di essere paragonata alle gesta di Orazio Coclite e di Muzio Scevola.
È Dionigi di Alicarnasso a raccontarci il momento in cui Clelia prende in mano il suo destino e quello delle altre fanciulle, progettando un piano. Lo storico greco racconta che…
[suoni: risate di fanciulle]
Dionigi di Alicarnasso. «[...] (Le ragazze) avevano chiesto alle guardie di concedere loro di andare a bagnarsi nel fiume; ottenuto il permesso, pregarono gli uomini di allontanarsi un poco dal fiume fino a quando non si fossero lavate e rivestite, per evitare che le vedessero nude.» (Dion. Hal. 5, 33, 1)
[suoni: battaglia]
Narratore. Dopo che le guardie hanno acconsentito a tale richiesta, Clelia sprona le ragazze a fuggire. Sotto una pioggia di giavellotti nemici, il gruppo di fanciulle attraversa il Tevere a nuoto, raggiungendo la sponda romana. Secondo un’altra versione, quella di Plutarco, la giovane oltrepassa invece il fiume a cavallo, come un vero soldato (Plut. Popl. 19, 2). La notizia arriva in breve tempo all’accampamento etrusco.
Livio racconta la reazione di Porsenna:
Livio. «Quando il re apprese questo fatto, dapprima adiratosi mandò ambasciatori a Roma a chiedere la restituzione della sola Clelia; delle altre poco gli importava.» (Liv. 2, 13, 7)
Narratore. Porsenna, quindi, comprende che l’iniziativa della fuga degli ostaggi non doveva essere ricondotta a un’azione militare escogitata dai Romani, ma alla singola iniziativa della giovane Clelia. Per questo motivo il re cambia stato d’animo. Narra Livio:
Livio. «Mutata l’ira in ammirazione disse che quell’impresa superava le gesta dei Cocliti e dei Muzii, e dichiarò che se non fosse stato consegnato l’ostaggio, avrebbe considerato rotto il patto, ma che a consegna avvenuta l’avrebbe restituita incolume e inviolata ai suoi.» (Liv. 2, 13, 8)
Narratore. I Romani, mantenendo fede alla parola data, restituiscono la sola Clelia che, al cospetto del re etrusco, viene lodata per il suo coraggio e la sua intraprendenza. Così riferisce Dionigi di Alicarnasso:
Dionigi di Alicarnasso. «Elogiò poi soprattutto tra gli ostaggi la vergine che aveva spronato le altre ad attraversare a nuoto il fiume, sottolineando le sue doti superiori sia al sesso che all’età, e definì Roma beata per il fatto che non allevava solo uomini virtuosi, ma anche donne dal temperamento virile.» (Dion. Hal. 5, 34, 3)
Narratore. Porsenna restituisce la libertà a Clelia e le dona anche la possibilità di portare con sé parte degli ostaggi. Clelia sceglie gli impubes, i ragazzini. Si tratta di una soluzione accorta, l’unica che, nelle parole di Livio, “si addiceva alla sua verginità”, poiché i bambini come lei sono, tra gli ostaggi, coloro che maggiormente rischiano di andare incontro all’offesa del nemico, ovvero lo sfruttamento sessuale.
L’eroismo del gesto viene riconosciuto dai suoi stessi concittadini. Come si evince dal racconto di Livio:
Livio. «Rinnovata la pace i Romani tributarono a quella virtù insolita un insolito genere d’onore, una statua equestre: sulla sommità della via Sacra fu posta la statua di una vergine a cavallo.» (Liv. 2, 14, 11)
Narratore. Ma che cosa intende Livio con il termine virtus? Questo concetto, che risale all’antica Repubblica, indica il valore dimostrato con azioni pubbliche a favore dello Stato, nella politica o sul campo di battaglia. È una qualità che va conquistata, mantenuta con fatica e che tendenzialmente è riservata agli uomini. Il termine stesso deriva dal latino vir, che significa “uomo”.
Clelia, infatti, agisce non da virgo, cioè da bambina, ma come un uomo. Attraversare a nuoto il Tevere presuppone un’azione considerata dai Romani un esercizio maschile, associato all’addestramento militare o alla guerra. Nel condurre le altre vergini sequestrate oltre il fiume, Clelia mostra le capacità di leadership di un dux, e cioè di un comandante, mentre la pioggia di giavellotti che piomba su di loro proietta la fuga in uno scenario bellico, quasi si svolgesse su un campo di battaglia. Clelia riesce addirittura a superare gli illustri esempi di Orazio Coclite e di Muzio Scevola.
Un’altra conquista - forse la più importante che riesce a ottenere - è però appropriata al genere femminile e, soprattutto, all’età di una virgo. Con la fuga Clelia riesce a preservare la propria verginità e quella degli altri ostaggi, salvandoli da una potenziale violenza. Al tempo stesso tutela lo Stato da un destino temibile quanto una sconfitta militare: la perdita dei futuri soldati e delle giovani madri di Roma.
L’impresa di Clelia però è attraversata anche da alcune ombre. La fanciulla agisce con un’intraprendenza eccessiva, che la porta a uscire dal ruolo di ostaggio. Con la sua fuga infrange la fides, la parola data.
Come risolvere questa apparente contraddizione? Infatti, la fides è un valore tipicamente maschile. Clelia, però, è solo una ragazzina, che non conosce certi principi e che agisce, tra l’altro, animata dalle più nobili intenzioni. La frattura, poi, viene risanata restituendo Clelia al nemico: i Romani ristabiliscono la propria fides mentre Porsenna riesce a scongiurare le possibili conseguenze negative.
L’impresa di Clelia viene celebrata dai Romani in modo insolito. Infatti, le viene eretto un monumento equestre, un onore tipicamente maschile. Questa statua le assicura visibilità anche per le generazioni future: Clelia diventa modello per le virgines del suo tempo e delle epoche successive.
Esiste però un’altra versione della vicenda testimoniata da Plutarco:
Plutarco. «Tuttavia quelli si difesero e la figlia di Publicola, Valeria, spingendosi in mezzo ai combattenti, riuscì a fuggire.» (Plut. Popl. 19, 2)
Narratore. Secondo l’autore, la statua equestre sarebbe stata dedicata a Valeria, figlia del console Publicola, e non a Clelia, indizio forse di una rivalità tra famiglie. Valeria si trova tra gli ostaggi riconsegnati a Porsenna. Sulla via per raggiungere il Gianicolo le truppe di Tarquinio il Superbo compiono un agguato alla scorta che accompagna i fanciulli.
In tutte le versioni della sua storia Clelia emerge come una figura eroica che da prigioniera riscatta la violenza esercitata su di lei diventando così un simbolo e un modello per tutte le giovani romane, presenti e future.
Titoli di coda. Podcast prodotto dall'Università Ca' Foscari di Venezia, GIEFFRA e VeDPH, all’interno del progetto PRINN 2022 “Etiamego. Violence against women in ancient Rome: historical perspectives and symbolic construction”.
Bibliografia di riferimento
Dionigi di Alicarnasso, Hal., 5, 33 – 34.
Livio 2, 12 - 14.
Plutarco, Popl, 19, 2.
Arcella, L. (1985) Il mito di Cloelia e i Valerii. Studi e materiali di storia delle religioni 9, pp. 21-42.
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Brachet, J.-P. (2021) Cicéron anadyomène. In M. Simon, E. Wolff (eds), Operae pretium facimus. Mélanges en l’honneur de Charles Guittard, Paris, pp. 59-66.
Chambers, L. (2021) Exemplarity in Early Imperial Rome: Gendered Usability and Literary
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Keegan, P. (2021) Livy’s Women: Crisis, Resolution, and the Female in Rome’s Foundation History. London, New York.
Mustakallio, K. (2012) Women outside their homes, the female voice in early Republican
memory: Reconsidering Cloelia and Veturia. Index 40, pp. 165-174.
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Roller, M.B. (2004) Exemplarity in Roman Culture: The Cases of Horatius Cocles and Cloelia. Classical Philology 99, pp. 1-56.
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Valentini, A. (2011) Novam in femina virtutem novo genere honoris: le statue femminili a Roma nelle strategie propagandistiche di Augusto. In C. Antonetti, G. Masaro, A. Pistellato, L. Toniolo (eds), Comunicazione e linguaggi, Padova, pp. 197-238.
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