Cornelia, madre dei Gracchi

Cornelia, la madre modello


 

Nell’immaginario collettivo il personaggio di Cornelia Minore, figlia di Scipione Africano, rappresenta una sorta di icona del modello matronale elaborato dalla tradizione romana: si tratta, infatti, di uno dei pochi personaggi femminili della media repubblica di cui la tradizione antica serba una memoria estesa

 


Cosa sappiamo di Cornelia: 


 

Anche se nelle vicende relative a questa donna si legano, spesso inestricabilmente, dati storici e particolari aneddotici, è possibile individuare nelle testimonianze antiche alcuni dati certi in relazione alla biografia di Cornelia:


Cornelia fu una dei quattro figli di P. Cornelio Scipione Africano Maggiore ed Emilia Terza; nacque probabilmente tra il 195 e il 190 a.C; poco dopo la morte del padre nel 184-183 a.C., sposò Ti. Sempronio Gracco, dal quale ebbe dodici figli, di cui ne sopravvissero soltanto tre, Tiberio, Caio e Sempronia. Dal 154 a.C., rimasta vedova, si dedicò all’educazione dei propri figli, richiamando presso di sé nella villa di Miseno i più illustri intellettuali del tempo. La tradizione ricorda, inoltre, che in una data non precisata ricevette una proposta di matrimonio dal faraone Tolomeo VIII Evergete II, a riprova del rapporto privilegiato e dei legami che la gens degli Scipioni poteva vantare nel bacino del Mediterraneo. Nel 133 a.C. il figlio Tiberio, che aveva assunto la carica di tribuno della plebe, fu ucciso e nel 121 a.C. il fratello subì la medesima sorte. Sopravvisse soltanto la figlia Sempronia, sposata con P. Cornelio Scipione Emiliano. Cornelia morì in un anno non precisato verso la fine del II secolo a.C.


 


Cornelia nella pittura dei secoli XVII-XIX


 

La famiglia di cui faceva parte, quella degli Scipioni, svolse un ruolo importante sulla scena politica, militare e religiosa tra la fine del III secolo a.C. e lungo tutto il II secolo a.C.: proprio questa posizione preminente assunta sulla scena pubblica da questa gens determinò un interesse particolare per l’azione delle donne a essa afferenti da parte dei testimoni antichi che in più occasioni registrano il carattere di innovazione rispetto alla tradizione che l’azione di queste donne assunse. Circostanza quasi straordinaria per questo momento storico, viene tramandata memoria di almeno quattro donne, di generazioni diverse, appartenenti a questa famiglia: Pomponia, nonna di Cornelia; Emilia Terza, madre di Cornelia; Cornelia stessa; Sempronia, la figlia. Per ciascuna di queste donne la tradizione menziona un ruolo specifico: Pomponia è l’attiva promotrice della carriera del figlio P. Scipione Africano Maggiore; Emilia Terza la matrona che esibisce pubblicamente la fortuna economica della propria famiglia attraverso l’esibizione degli ornamenta; Sempronia, colei che ha il compito di preservare la memoria della famiglia. Cornelia Minore per la tradizione antica assume il ruolo di madre modello e in questa veste la sua memoria attraversa i secoli e, così cristallizzata, funge da ispirazione per tutta una serie di opere d’arte prodotte tra la metà del XVII secolo e la seconda metà del XIX secolo. 

In questa sede, in particolare si intende soffermare l’attenzione su tre opere che ben rappresentano il ruolo di madre e matrona modello assunto da Cornelia nella tradizione e recepito anche in età moderna e contemporanea, soffermandosi in particolare su due episodi tramandati dalla tradizione antica, la presunta proposta di matrimonio da parte di Tolomeo VIII, faraone d’Egitto (così come raccontata da Plutarco nella Vita di Caio Cracco 1) e l’aneddoto della matrona campana (tramandato da Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia 4, 4).

 


-       P.J. Cavelier, Cornelia, madre dei Gracchi (1861 – Musée d’Orsay)

https://www.musee-orsay.fr/it/collezioni/opere-commentate/scultura/commentaire_id/cornelia-madre-dei-gracchi-8631.html?tx_commentaire_pi1%5BpidLi%5D=842&tx_commentaire_pi1%5Bfrom%5D=729&cHash=f9236037b5

L’opera scultorea di Cavelier mette in scena una Cornelia austera, solenne, quasi ieratica e simile nella compostezza a una divinità, in abiti tradizionali, priva di ornamenti, con una semplice acconciatura che vede i capelli fermati da una benda e raccolti in trecce, accompagnata da due bambini, Tiberio, il più grande, su cui la madre poggia la mano sinistra, vestito con la toga e con in mano un rotolo, simboli che ne preannunciano la futura carriera politica, Gaio, il più piccolo, nudo (forse a significare un carattere più impulsivo) e che tiene la mano destra della madre. Cornelia è colta, dunque, nel suo ruolo di madre e di matrona secondo il mos maiorum


 

-       L. de la Hyre, Cornelia rifiuta la corona di Tolomeo VIII (1646 - )

https://it.wikipedia.org/wiki/Laurent_de_La_Hyre#/media/File:Laurent_de_la_La_Hyre_001.jpg

Anche se, come suggerito da titolo, l’opera di de la Hyre, apparentemente non sofferma l’attenzione su Cornelia in quanto madre, alcuni particolari permettono di cogliere, invece, come l’artista anche in questo caso colga l’occasione di tratteggiare il personaggio della matrona nella sua funzione di madre: il focus dell’immagine è rappresentato dalla corona offerta alla matrona dal sovrano egiziano. La donna rifiuta con fermezza il dono, mentre con la mano destra indica un fanciullo, vestito in abiti romani, accompagnato da una ragazza. Anche in questo caso a essere messi in risalto sono due elementi: la ricchezza delle vesti del sovrano straniero, in netta contrapposizione con la semplicità dei vestiti di Cornelia, privi di qualsiasi ornamento; il gesto di rifiuto di un prezioso gioiello e la scelta di valorizzare la propria prole.  


 

-       A. Kauffmann, Cornelia presenta i suoi figli come “suoi gioelli” (1785 - Virginia Museum of Fine Arts – Richmond)

https://smarthistory.org/angelica-kauffmann-cornelia-pointing-to-her-children-as-her-treasures/

L’opera di A. Kauffmann sofferma l’attenzione su un episodio specifico della vita di Cornelia, quello della matrona campana. Nella scena, che assume chiaro intento di trasmettere un messaggio in chiave moralizzante, compaiono due donne, una in abiti lussuosi, la quale porta in grembo una scatola piena di gioielli che esibisce agli altri personaggi presenti sulla scena, l’altra in abiti più semplici, ancora una volta privi di ornamenti, accompagnata da tre bambini, due maschi e una femmina. La prima matrona mostra i suoi gioielli all’altra donna mentre quest’ultima sembra rispondere indicando i due bambini. Un particolare interessante della scena costruita da A. Kauffmann è la presenza della bambina che si trova tra le due matrone e sembra, in qualche modo, smentire il messaggio veicolato dalla madre: essa, infatti, si avvicina con interesse, quasi rapita, alla preziosa scatola della matrona campana e gioca, incuriosita, con uno di questi. 

 


Cornelia “la politica”


 

La scelta di opere pittoriche proposta permette di comprendere come l’immagine di Cornelia trasmessa dalla tradizione antica abbia inciso sulla percezione del personaggio anche nelle epoche successive, cristallizzando il personaggio nella funzione della matrona secondo il mos maiorum, interessata esclusivamente all’educazione dei figli, lontana da qualsiasi ambizione di tipo pubblico e politico. In realtà l’analisi attenta della tradizione antica (rappresentata da resoconti più o meno estesi di Cicerone, Quintiliano, Plutarco, Tacito, Appiano, Cassio Dione e, caso raro nella storia di Roma antica, dai frammenti delle lettere attribuite alla stessa Cornelia) e il confronto tra dati conservati dai diversi autori, consentono di mettere in dubbio la percezione comune del personaggio della figlia di Scipione Africano, attribuendole una spiccata volontà di incidere sulla vita politica dell’Urbe attraverso la promozione delle carriere politiche dei figli Caio e Tiberio. Il rifiuto di contrarre nozze dopo la morte di Tiberio Sempronio Gracco e la scelta dell’univirato (che determina anche il rifiuto di contrarre nozze con un sovrano straniero) si configura non solo in linea con il mos maiorum ma anche come la volontà di garantirsi una maggiore libertà giuridica ed economica mantenendo il proprio status di vidua. Seppur sottoposta all’autorità di un tutore, Cornelia può, dunque, dedicarsi alla conservazione del patrimonio famigliare con l’obiettivo di promuovere le carriere dei figli per i quali si occupa personalmente della scelta dei maestri che ne curino la formazione, la preparazione retorica e politica. È nella scelta delle modalità attraverso cui sviluppare l’educazione dei propri figli che Cornelia, di fatto, attua un primo intervento che mette in luce la sua volontà di poter incidere sulle scelte politiche dei propri eredi: la critica moderna si è interrogata, infatti, sull’influenza esercitata dai maestri greci, scelti da Cornelia, quali Blossio di Cuma e Diofane di Mitilene, sulla politica dei Gracchi e sul fatto che tali precettori dovettero essere selezionati dalla figlia dell’Africano proprio per le loro posizioni politiche e filosofiche. Inoltre numerose testimonianze attestano che Cornelia partecipò, esprimendo anche posizioni di disaccordo, con interesse attivo alle vicende politiche di cui i suoi figli furono protagonisti. La volontà di intervento sulle carriere politiche dei figli è ben illustrato da un aneddoto raccontato da Plutarco:

 

“Alcuni storici attribuiscono però una parte della responsabilità alla stessa Cornelia, sua madre, la quale spesso si lamentava di questo fat- to: che i Romani ancora la chiamassero suocera di Scipione e non già madre dei Gracchi. (Plut. TG 8, 7)”.

 

Secondo il biografo di Cheronea una delle cause che spinse Tiberio a mettere in atto il suo progetto politico e a far approvare la riforma agraria fu proprio l’insistenza della madre affinché i figli portassero a compimento le sue ambizioni non solo in quanto genitrice ma anche come appartenente ad un’illustre famiglia.

Sempre Plutarco testimonia inoltre che nella cruciale situazione del 121 a.C., Cornelia avrebbe attivamente collaborato a sostenere i progetti sediziosi del figlio Caio. 

“In questo, dicono, l’aiutò la madre, che assoldò in segreto gente di fuori e la mandò a Roma, facendola passare per mietitori; dicono anzi che allusioni al riguardo si sarebbero trovate nelle sue lettere al figlio (Plut. CC 13, 2).”

A documentare l’attiva partecipazione ai progetti politici dei figli sarebbe, inoltre, una delle notizie relative alle cause della morte di Scipione Emiliano, genero di Cornelia, nel 129 a.C., ricordata da Appiano: 

“Scipione, che si era posto accanto, una sera, una tavoletta sulla quale, di notte, poter scrivere quello che avrebbe detto al popolo, fu rinvenuto morto senza alcuna ferita, sia che ne fosse causa Cornelia, madre di Gracco, perché la legge del figlio non fosse annullata e l’avesse aiutata in ciò la figlia Sempronia, che maritata a Scipione, per la bruttezza e la sterilità non era amata né lo amava; sia che, come alcuni pensano, si sia ucciso vedendo che non sarebbe stato in grado di man- tenere ciò che aveva promesso (App. civ. I 20)”.

I sospetti per una morte probabilmente dovuta a cause naturali e che non diede adito a nessun procedimento giudiziario dovettero nascere e propagarsi negli ambienti ostili ai Gracchi a cui di certo non sfuggiva l’importanza del sostegno offerto da Cornelia ai propri figli.

Gli interventi della matrona Cornelia a favore dei figli documentati dalla tradizione si configurano, dunque, in linea con la tradizione (come l’assunzione del lutto e la supplica, ad esempio), ed extra mores (come nel caso dell’arruolamento di un esercito personale reclutato tra i propri clientes nell’ottica di favorire i progetti politici dei figli).

Nel 121 a.C., alla morte del secondo figlio, Cornelia scelse, in linea con la condotta assunta dal padre Scipione Africano Maggiore, di allontanarsi da Roma e ritirarsi presso la sua villa a Miseno114. A differenza della moglie di Caio, Licinia, alla quale fu confiscata la dote e a cui fu impedito di portare il lutto, Cornelia, dopo la morte del figlio minore e la condanna dei suoi atti politici) non fu toccata da alcun provvedimento punitivo nei confronti del tribuno e della sua famiglia.

Nella nuova residenza Cornelia continuò a mantenere inalterate le proprie abitudini di vita fino alla fine dei suoi giorni, come racconta Plutarco:

“Di Cornelia si racconta che sopportò tante sventure con animo nobile e grande. Parlando dei luoghi sacri dove erano stati uccisi i figli, disse che avevano tombe degne di loro. Visse presso il Capo Miseno, senza cambiar nulla al suo solito modo di vita. Amava molto la campagna e teneva buona tavola per onorare gli ospiti. Era sempre attorniata da uomini di lettere, specialmente elleni, e tutti i re scambiavano doni con lei. Con i visitatori era piacevolissima quando si intratteneva a ricordare la vita e le consuetudini del padre, l’Africano, ammirevolissima quando ricordava i figli. Ne parlava infatti senza dolore né lacrime e rievocava le loro imprese e la loro morte, con chi gliene chiedeva, come se si fosse trattato di uomini antichi. Tanto che alcuni credevano che la vecchiaia o la grandezza dei dolori l’avessero precipitata di sen- no e non sapesse più cosa fosse sventura. Mentre proprio costoro, in verità, non sapevano quanto valgano una natura virtuosa, una nobile nascita, una retta educazione a rendere gli uomini immuni dal dolo- re; e che seppure la fortuna spesso prevale sulla virtù nella sua lotta contro i mali, tuttavia non può togliere il potere di soccombere con serenità (Plut. CG 19). 

In contrasto con la condotta sempre in linea col mos maiorum, lo stile di vita di Cornelia presso la villa di Miseno ricorda quello di una regina ellenistica che accoglie intellettuali, si offre quale loro patrona e intrattiene rapporti con sovrani stranieri: a parere della studiosa quello di Cornelia si configurerebbe quale primo esempio di una donna che patrocina intellettuali e filosofi, continuando in questo senso una tradizione familiare. Tale contegno non destò, tuttavia, alcuna critica da parte dei contemporanei: Cornelia nell’ultima parte della sua vita era rimasta, infatti, l’ultimo membro della famiglia e la sua figura esercitava già l’autorità di una donna elevata a modello di comportamento in virtù dell’utilizzo del suo esempio che i figli avevano compiuto nelle loro attività politiche. Non è possibile stabilire la natura dei rapporti che Cornelia intratteneva con gli intellettuali che si recavano presso la sua villa, ma un breve accenno alla sua vasta cultura conservato da San Gerolamo consente di affermare che costei, pur essendo donna, presenziava alle dispute filosofiche che si tenevano sotto la sua protezione. I legami di Cornelia con sovrani stranieri si configurano quale prosecuzione dei rapporti di amicitia e hospitalitas stabiliti con essi dal padre e dal marito. La madre dei Grac- chi avrebbe continuato a tener vivi i legami politici della famiglia an- che dopo la morte di tutti gli esponenti maschili. Non è questo l’unico indizio del fatto che Cornelia anche nel suo ritiro non abbandonò completamente la volontà di agire politicamente secondo quanto con- cesso dalla tradizione all’elemento femminile: la perpetuazione della memoria delle gesta compiute dal padre e dai figli divenne, infatti, suo compito fondamentale. Attraverso la narrazione di tali vicende era possibile costruire, infatti, una memoria politicamente schierata che enfatizzasse determinati aspetti e ne oscurasse altri: la volontà di discutere i fatti relativi al padre e ai figli scaturiva, dunque, dallo specifico obbiettivo di procedere alla riabilitazione politica dei membri della famiglia. 

Dopo la morte la figura di Cornelia si cristallizzò nel modello di matrona e madre fedele ai principi dettati dalla tradizione. 

Cornelia e la matrona campana

Alla luce di questi elementi è possibile, dunque, proporre alcune considerazioni in merito alla cristallizzazione del personaggio Cornelia come modello matronale. Se da un lato la tradizione antica consente di ricostruire il profilo di una matrona attenta ai propri figli anche in ottica di promozione politica della propria famiglia, per meglio comprendere il personaggio di Cornelia notevole interesse assume l’episodio della matrona campana, così come raccontato da Valerio Massimo (Val. Max. IV 4, 1):

«Nell’apposito libro * di aneddoti raccolti da Pomponio Rufo riguardo al fatto che i figli sono per le madri il più grande ornamento, leggiamo che Cornelia, madre dei Gracchi, poiché una matrona campana sua ospite le mostrava i suoi gioielli, ch’erano i più belli allora conosciuti, la intrattenne chiacchierando finché tornarono da scuola i suoi figli e allora le disse “Questi sono i miei gioielli”» (Maxima ornamenta esse matronis liberos, apud Pomponium Rufum collectorum libro --- sic inuenimus: Cornelia Gracchorum mater, cum Campana matrona apud illam hospita ornamenta sua pulcherrima illius saeculi ostenderet, traxit eam sermone, donec e schola redirent liberi, et 'haec' inquit 'ornamenta sunt mea').

Secondo C. Petrocelli tale aneddoto deve essere messo in relazione con le vicende del ricco apparatus appartenuto a Emilia Terza, madre di Cornelia: la moglie di Scipione Africano nelle uscite pubbliche utilizzava un apparatus che esibiva visivamente la ricchezza della propria famiglia e in tal modo diventava lei stessa mezzo attraverso il quale la gens degli Scipioni comunicava per imagines la propria importanza dal punto di vista economico e politico. Alla sua morte, che dovette avvenire intorno al 162 a.C. questa serie di oggetti e gioielli furono donati dall’erede legittimo di Emilia, L. Scipione Emiliano, figlio adottivo di L. Scipione Africano, alla madre biologica, Papiria, la quale si trovava in una condizione di dissesto economico a seguito della separazione dal marito L. Emilio Paolo: ciò permise alla donna di riacquisire quello status sociale consono al proprio rango. In questo modo Cornelia non poté far sfoggio di quegli ornamenta che avevano rappresentato nelle occasioni pubbliche la forma attraverso cui la madre poteva esibire l’importanza politica ed economica della sua famiglia. È possibile, dunque, che dietro all’aneddoto della matrona campana si celasse una forma di polemica attuata dalla stessa Cornelia per un patrimonio, soprattutto ideologico, che non fu mai suo.

In questa prospettiva, dunque, è possibile meglio determinare come la cristallizzazione del modello rappresentato da Cornelia, avvenuta già nelle fasi immediatamente successive alla sua morte e, in modo più incisivo in età augustea attraverso la valorizzazione della statua presente nella Porticus Octaviae e anche attraverso la riscrittura di alcuni episodi della sua biografia omettendo gli elementi che testimoniavano i caratteri extra mores del suo comportamento, ha trasmesso alle epoche successive un ritratto di Cornelia libero da tutti quegli elementi che permettevano di ricostruire il profilo di una matrona capace di incidere, seppur in forma indiretta, sulle dinamiche politiche dell’epoca in cui visse e per la quale la valorizzazione della maternità diviene anche strumento di partecipazione politica.

 



Per saperne di più:


 

C. Petrocelli, Cornelia, la matrona, in Roma al femminile, a cura di A. Fraschetti, Roma-Bari 1994, pp. 21-70. 

S. Dixon, Cornelia. Mother of the Gracchi, London-New York 2007. 

A. Valentini, Novam in femina virtutem novo genere honoris: le statue femminili a Roma nelle strategie propagandistiche di augusto, in Linguaggi e comunicazione, a cura di C. Antonetti - G. Masaro - A. Pistellato - L. Toniolo, Padova 2011, pp. 197-238. 

C. Soraci, Cornelia, the Most Conservative and Transgressive Mother of the Roman

World, in Mothering(s) and Religions: Normative Perspectives and Individual Appropriations. A Cross-Cultural and Interdisciplinary Approach from Antiquity to the Present,

Max-Weber-Kolleg (University of Erfurt), 16-17 July 2019, ed. by G. Pedrucci, Roma 2020, pp. 19-34.