Il ratto delle Sabine

La vicenda

 

L’episodio del ratto delle Sabine occupa un posto di rilievo nella tradizione letteraria di Roma antica. Il mito racconta che, dopo aver fondato la città, Romolo e i suoi compagni dovettero far fronte alla necessità di popolare la nuova comunità, mancando le donne. Romolo, nel terzo anno del suo regno, decise, dunque, di allestire dei giochi in onore del dio Conso e di invitare le popolazioni vicine: in questa occasione i Romani avrebbero rapito le fanciulle Sabine, lasciando fuggire i loro padri che avrebbero giurato vendetta. Romolo avrebbe poi offerto a queste fanciulle la possibilità di scegliere se restare presso la nuova comunità, offrendo in cambio diritti civili. Tra queste fanciulle era stata rapita per errore una sola donna già sposata, Ersilia, che sarebbe divenuta moglie di Romolo. Le famiglie origine delle donne avrebbero continuato a preparare la vendetta. Mentre era in atto lo scontro decisivo tra Romani e Sabini presso il Campidoglio, le donne sarebbero intervenute per fermare le operazioni militari e riportare la pace tra i propri padri e quelli che, ormai, erano divenuti i loro mariti.  Le vicende connesse a questo episodio soffermano l’attenzione su alcuni elementi: il fatto che le donne Sabine divennero le madri dei primi Romani e il fatto che esse intervennero nella battaglia tra i padri Sabini e i mariti Romani, risultando le artefici, di fatto, della prima alleanza di Roma con una comunità straniera. Secondo l’interpretazione di alcuni studiosi (Miles 1992, pp. 161-196) la vicenda delle donne Sabine costituirebbe, inoltre, una sorta di epitome delle pratiche matrimoniali, una versione amplificata del trasferimento dall’autorità del padre a quella del marito nonché una testimonianza dell’importanza che assunse nella società della Roma antica il concetto di concordia, presentato in questa narrazione nella declinazione della concordia coniugale e della concordia politica (Brown 1995, pp. 291-319). All’interno di questa complessa vicenda della storia mitica della città, particolare enfasi è posta sulle fasi finali del conflitto generato dal rapimento delle donne: tutte le versioni della vicenda concordano sul fatto che a metter fine agli scontri bellici furono le donne; costoro sarebbero intervenute, infatti, per sedare il conflitto che divideva i sudditi di Romolo e quelli di Tito Tazio: “Mentre entrambi gli schieramenti trascorrevano il tempo in queste considerazioni, nessuna delle due parti osando riprendere i combattimenti o proporre accordi di pace, le mogli dei Romani, che appartenevano alla stirpe Sabina ed erano la causa della guerra, riunitesi insieme in un luogo lontano dai loro mariti e consultatesi, decisero di intraprendere per prime le trattative di pace con entrambi gli schieramenti per trovare un accordo.  La donna che propose questa soluzione alle altre si chiamava Ersilia, una donna di non oscure origini tra i Sabini” (Dionys. II 45). Secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, l’iniziativa di intervenire venne presa, dunque, a seguito di una riunione a cui parteciparono solo le donne e nella quale vennero espressi pareri diversi, poi discussi e approvati. Dal coro delle donne riunite in questa sorta di assemblea emerge un solo nome, quello di Ersilia, donna per la quale la tradizione ricorda non solo la nascita illustre ma anche le nozze regali, forse con Romolo stesso (Dionys. II 45; Liv. I 11, 2; Plut. Rom. 13-14). La proposta di mediazione elaborata dalle donne Sabine venne, quindi, presentata al senato affinché la loro azione potesse svolgersi con l’avallo dell’autorità politica: “Dopo che le donne ebbero assunto tale decisione, esse si recarono al senato e, ottenuta un’udienza, esse chiesero con preghiere e supplicarono affinché fosse loro permesso di recarsi dai loro parenti e dir loro che esse avevano dei buoni motivi per sperare di stabilire un accordo tra le due nazioni e costruire un’amicizia tra di loro. Quando i senatori che erano presenti all’assemblea insieme al re sentirono ciò, furono straordinariamente compiaciuti e sperarono in ciò, in vista delle presenti difficoltà, come all’unica soluzione possibile” (Dionys. II 45). L’impegno delle donne Sabine non solo ricevette l’approvazione da parte del re e del senato ma ottenne anche il riconoscimento istituzionale attraverso l’approvazione di un decreto che obbligava i mariti a consentire alle donne di recarsi presso i Sabini.

Così come era stata a capo dell’assemblea, Ersilia ottenne anche di poter agire da rappresentante, da leader della delegazione di cui facevano parte anche bambini: “Dopo che Ersilia ebbe parlato, tutte le donne con i loro figli si gettarono ai piedi del re e rimasero in ginocchio finché quelli che erano presenti non le aiutarono a rialzarsi e promisero di fare tutto ciò che era ragionevolmente possibile e in loro potere. Infine, dopo aver ordinato loro di ritirarsi dall’assemblea e dopo essersi consultati, decisero di proporre la pace” (Dionys. II 46). Le donne ottennero, infine, la pace tra le due popolazioni (Liv. I 11, 2; Plut. Rom. 13-14; Macrob. Sat. I 6, 16). Secondo la versione di Livio, che accentua la dimensione drammatica della vicenda, le donne sarebbero intervenute quando i due schieramenti stavano combattendo nell’area del Foro (Liv. I 28-29); secondo Plutarco, invece, amplificando la dimensione privata dei rapporti tra le donne e i contendenti, quando i due schieramenti si stavano ancora organizzando per attaccar battaglia (Plut. Rom. 19).

 


La tradizione antica


La tradizione relativa a questo episodio della storia di Roma si compone di un numero molto ampio di testimonianze e menzioni brevi, ma i principali resoconti della vicenda sono tramandati da Cic. Rep. 2,7; Dion. Hal. Ant. Rom. 2, 30-47; Liv. 1, 9-29; Varro Ling. 6, 20; Ov. Ars am. 1, 34; fasti 3, 167-258; Plut. Rom. 14-20. Almeno quattro testimoni (Dionigi di Alicarnasso, Livio, Varrone e Ovidio) si collocano in età augustea e un quinto testimone, Plutarco, mostra evidenti collegamenti con la versione presentata da Livio, consentendo agli studiosi di ipotizzare la conoscenza diretta da parte del biografo dell’opera dello storico patavino da parte di Plutarco o l’utilizzo di una fonte comune (Brown 1995, pp. 291-319). La tradizione, dunque, permette di ipotizzare un’ingerenza sulla memoria di questi eventi ascrivibile all’età augustea allo scopo di creare illustri paradigmi di comportamento secondo la politica di restaurazione del mos maiorum che costituiva il cardine dell’azione politica di Augusto. In questa prospettiva un elemento appare di grande interesse: la valorizzazione del ruolo di mediazione attribuito alle donne all’interno sì della dimensione famigliare ma con un’ampia ricaduta pubblica che sembra da una parte valorizzare le esperienze recenti che avevano caratterizzato le vicende politiche della tarda repubblica (a titolo di esempio si veda la mediazione operata da Ottavia, sorella di Ottaviano, tra il fratello e il marito Marco Antonio), dall’altra valorizzare illustri precedenti per l’azione pubblica, sempre più incisiva, delle donne appartenenti alla domus Augusta (Valentini 2011, pp. 197-238).

La memoria dell’episodio codificata in età augustea ha dato origine nelle epoche successive a numerose opere, soprattutto pittoriche, che hanno utilizzato la vicenda delle donne Sabine come fonte di ispirazione per veicolare precisi messaggi (Velli 1991, pp. 17-39): si vedano, a titolo di esempio, i pannelli nuziali dipinti del Quattrocento che riproducono l’episodio del ratto delle Sabine con il preciso obiettivo di sottolineare la necessità per le giovani spose si accettare strategie matrimoniali imposte dalle famiglie (in qualche modo la vicenda del ratto delle Sabine ricordava loro che poteva verificarsi una situazione anche peggiore di quella a cui la famiglia destinava queste fanciulle...).


L'utilizzo dell’episodio nelle epoche successive


In questa sede si intende soffermare l’attenzione su due opere che ben rappresentano l’utilizzo di alcuni elementi della tradizione antica al fine di valorizzare alcuni aspetti specifici della vicenda delle Sabine.

J.-L. David, Le Sabine (1794-99)


Il dipinto Le Sabine, conservato al Musée du Louvre a Parigi e realizzato tra il 1794 e il 1799 da Jacques-Luis David sofferma l’attenzione sul momento finale dello scontro tra Romani e Sabini: la scena è occupata dai soldati di entrambi gli schieramenti impegnati nella battaglia, fermati da una figura femminile che si trova al centro della scena e sulla quale converge lo sguardo dello spettatore. Accanto a questa donna, che rappresenta Ersilia, sono visibili altre figure femminili di età diverse e alcuni bambini. La scena si svolge davanti a una città cinta da mura e torri e su cui campeggia un tempio. La partecipazione femminile in quest’opera è particolarmente evidente: le donne sono, infatti, le artefici della fine della guerra in particolare nel loro ruolo di madri che esibiscono la discendenza comune dei contendenti. Il pittore, dunque, attraverso la messa in risalto del ruolo positivo attribuito all’elemento femminile (tutte le donne presenti sulla scena, in qualche modo, rappresentano valori positivi) sembra mettere in guardia la società francese a lui contemporanea dai pericoli di una guerra civile.

Seven Brides for Seven Brothers, diretto da Stanley Donen, USA 1954

 

Il film, basato su una novella di S.V. Benét, Sobbin’ Women (pubblicata per la prima volta in The Country Gentlemen 91 – 1926 e ripubblicata nel 1937 nell’antologia Thirteen O’Clock: Stories of Several Worlds, New York - Toronto), racconta le vicende dei sette fratelli Pontipee, tutti giovani e ancora scapoli, i quali vivono sulle montagne dell’Oregon intorno alla metà del XIX secolo. Il maggiore dei fratelli decide di scendere nel villaggio a valle per trovare una moglie: conosce, dunque, Milly e i due decidono di sposarsi. I primi giorni nella nuova casa non sono facili per la donna che ha appreso solo al suo arrivo dell’esistenza dei fratelli del marito: Milly deve insegnare ai ragazzi le buone maniere. Durante una festa al paese, a cui partecipa tutta la famiglia Pontipee, i fratelli di Adamo cominciano a corteggiare alcune ragazze, ma la festa si conclude con una gigantesca rissa con i rivali. Nei giorni successivi Adamo è costretto a spronare i fratelli a riprendere le loro attività, poiché costoro, ormai follemente innamorati delle ragazze conosciute al villaggio, assumono un atteggiamento fortemente malinconico in quanto coscienti che i genitori delle fanciulle non acconsentirebbero mai al matrimonio con i taglialegna. Adamo, allora, ricordando ai fratelli la storia del ratto delle Sabine, istiga i fratelli a rapire le ragazze e portarle nella loro baita: in questo modo i loro genitori non potranno più opporsi al matrimonio. Il rapimento viene attuato di notte ma i fratelli dimenticano di rapire il pastore che deve celebrare le nozze: a causa di una valanga che blocca il passo le fanciulle sono costrette a svernare nella baita dei Pontipee. Milly, furente per l’accaduto, caccia di casa gli uomini. I mesi passano e le ragazze cominciano ad apprezzare i sei uomini. Ma l’arrivo della primavera permette ai genitori delle fanciulle rapite di andare a riprendere le figlie: radunano concittadini, cavalli e munizioni, pronti a salvare le donne. Ricondotti alla ragione da Adamo, i sei fratelli decidono di riconsegnare le ragazze, ma non possono correre il rischio di ferire o far del male ai loro parenti. Le sei ragazze, però, si rifiutano di tornare a casa e i Pontipee sono costretti a catturarle ancora una volta per riportarle al villaggio. Proprio in questo momento arrivano i parenti delle fanciulle che credono che le loro figlie siano vittime di violenza: nel momento più critico il pianto della figlia di Milly e Adamo, nata pochi giorni prima, mette fine alle collutazioni. Il pastore, che ha accompagnato i suoi concittadini, spera che il neonato non sia di una delle ragazze, perciò le incoraggia a confessare, ma le sei fanciulle rispondono insieme che il figlio è di tutte loro.

Non potendo sapere che la piccola è figlia dell'unica coppia già legittimamente sposata, le nozze riparatrici si rendono quindi obbligatorie per le sei le ragazze e per i sei fratelli.

Il musical si presenta, dunque, come una rilettura dell’episodio del ratto delle Sabine secondo una prospettiva che sottolinea alcuni aspetti del mito e ne passa sotto silenzio altri: in particolare il tema politico è completamente eliminato e a essere posta in rilievo è la dimensione privata. Emerge nel racconto cinematografico la contrapposizione tra due comunità, quella di città e quella di campagna, riunite, alla fine della vicenda in un’unica comunità ma senza implicazioni politiche: i figli delle nuove coppie non costituiscono, infatti, una nuova comunità civica ma entrano a far parte della comunità del villaggio già esistente. Alle donne non è demandata una funzione di intermediazione sul piano sociale e politico: subiscono in modo passivo la scelta dei sei uomini di rapirle e anziché fungere in prima persona da intermediarie tra i padri e i mariti, impongono la loro decisione alle famiglie decidendo di sposare i sei fratelli Pontepee. In questo quadro emerge la figura della protagonista, Milly, che si rivela il motore (involontario) di tutta la vicenda: è lei infatti che legge Plutarco ai sette fratelli e insegna loro la vicenda delle donne Sabine, ispirandone le azioni. Il suo personaggio, tuttavia, emerge come una matrona secondo la tradizione che accetta di conformarsi al modello di comportamento anche quando la situazione risulta per lei insopportabile (come, ad esempio, quando arriva per la prima volta nella sua nuova casa senza essere stata informata dell’esistenza degli altri sei fratelli): accetta di rimanere accanto al marito, anche quando ne disapprova il comportamento e di assumere il ruolo di domiseda. In questo senso alcuni temi della tradizione di Roma antica vengono fatti propri dalla narrazione del 1954 e applicati alla realtà contemporanea che prevedeva un preciso modello femminile che si occupava della casa e non delle faccende pubbliche. Questa prospettiva che espunge totalmente la dimensione politica della vicenda originale a favore di una focalizzazione sugli aspetti legati alla sfera privata è ben messa in evidenza dal testo della canzone Sobbin’ Women (resa scorretta di Sabine Women), in cui Adamo cerca di convincere i fratelli a rapire le donne:

 


https://www.youtube.com/watch?v=846by3LOKlA

 


ADAM

Tell ya 'bout them sobbin' women

Who lived in the Roman days.

It seems that they all went swimmin'

While their men was off to graze.

Well, a Roman troop was ridin' by

And saw them in their "me oh my",

So they took 'em all back home to dry.

Least that's what Plutarch says.

Oh yes!

Them a woman was sobbin', sobbin', sobbin'

Fit to be tied.

Ev'ry muscle was throbbin', throbbin'

From that riotous ride.

Oh they cried and kissed and kissed and cried

All over that Roman countryside

So don't forget that when you're takin' a bride.

Sobbin' fit to be tied

From that riotous ride!

They never did return their plunder

The victor gets all the loot.

They carried them home, by thunder,

To rotundas small but cute.

And you've never seens so,

They tell me, such downright domesticity.

With a Roman baby on each knee

Named "Claudius" and "Brute"

 


Nella versione del ratto delle Sabine di Adamo, che cita Plutarco ma ne stravolge completamente il racconto, le donne sono presentate come il sesso debole (sono impegnate a piangere e disperarsi, le più coraggiose a baciare i propri rapitori...), rapite mentre fanno il bagno, con l’obiettivo di farle diventare madri. Nella vicenda così come narrata dal film le donne rapite perdono anche la prerogativa di esser state coloro che hanno messo fine alla guerra tra padri e mariti: a interrompere lo scontro è il pianto di una donna, la figlia di Milly e Adamo che, tuttavia, è la figlia dell’unico matrimonio giù celebrato. Infine la dimensione prettamente privata è ribadita anche nel finale: le donne non sono più le promotrici e garanti dell’unione di due comunità in una sola, ma sono coloro che accettano per loro desiderio di lasciare la casa paterna per sposare i fratelli Pontepee.


Per saperne di più: