AUTORI
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Natalia Ginzburg
Natalia Ginzburg, nata Levi (pronuncia [nataˈliːa ˈɡinʦburɡ], accento sulla i [1]) (Palermo, 14 luglio 1916 – Roma, 8 ottobre 1991), è stata una scrittrice, drammaturga, traduttrice e politica italiana, figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento.
Natalia Levi nasce il 14 luglio del 1916 a Palermo, figlia di Giuseppe Levi, illustre scienziato triestino ebreo, e di Lidia Tanzi, milanese cattolica. Il padre è professore universitario antifascista e insieme ai tre fratelli di lei sarà imprigionato e processato con l'accusa di antifascismo. I genitori diedero a Natalia e ai fratelli un'educazione atea.
Natalia trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Torino. Della sua prima giovinezza racconta lei stessa in alcuni testi autobiografici pubblicati soprattutto in età avanzata, fra cui I baffi bianchi (in Mai devi domandarmi, 1970). Compie gli studi elementari privatamente, trascorrendo quindi in solitudine la sua infanzia; sin dalla tenera età si dedica alla scrittura di poesie. Si iscrive poi al Liceo-Ginnasio Vittorio Alfieri[2], vivendo come un trauma il passaggio alla scuola pubblica. Già nel periodo liceale si dedica alla stesura di racconti e testi brevi, primo fra tutti Un'assenza (la sua «prima cosa seria»), poi pubblicato sulla rivista Letteratura negli anni Trenta. Abbandona invece la poesia; a tredici anni aveva fra l'altro spedito alcuni suoi componimenti a Benedetto Croce, che tuttavia aveva espresso un giudizio negativo su di essi.[3]
Esordisce nel 1933 con il suo primo racconto, I bambini, pubblicato dalla rivista "Solaria", e nel 1938 sposa Leone Ginzburg, col cui cognome firmerà in seguito tutte le proprie opere. Dalla loro unione nacquero due figli e una figlia: Carlo (Torino, 15 aprile 1939), che diverrà un noto storico e saggista, Andrea (Torino, 9 aprile 1940 – Bologna, 4 marzo 2018) e Alessandra (Pizzoli, 20 marzo 1943). In quegli anni stringe legami con i maggiori rappresentanti dell'antifascismo torinese e in particolare con gli intellettuali della casa editrice Einaudi della quale il marito, docente universitario di letteratura russa, era collaboratore dal 1933.
Nel 1940 segue il marito, inviato al confino per motivi politici e razziali, a Pizzoli in Abruzzo, dove rimane fino al 1943.
Nel 1942 scrive e pubblica, con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte, il primo romanzo, dal titolo La strada che va in città, che verrà ristampato nel 1945 con il nome dell'autrice.
In seguito alla morte del marito, torturato e ucciso nel febbraio del 1944 nel carcere romano di Regina Coeli, nell'ottobre dello stesso anno Natalia giunge a Roma, da poco liberata, e si impiega presso la sede capitolina della casa editrice Einaudi. Nell'autunno del 1945 si ristabilisce a Torino, dove nel frattempo sono rientrati anche i suoi genitori, i due figli e la figlia, che durante i mesi dell'occupazione tedesca si erano rifugiati in Toscana.
Nel 1947 esce il suo secondo romanzo È stato così che vince il premio letterario "Tempo".
In quello stesso periodo, come ha rivelato Primo Levi a Ferdinando Camon in una lunga conversazione diventata un libro nel 1987 e poi lo stesso Giulio Einaudi in una intervista televisiva, dà parere negativo alla pubblicazione di "Se questo è un uomo". Il libro uscirà con una piccola casa editrice, la De Silva di Franco Antonicelli, in 2500 copie, e solo nel 1958 verrà riproposto da Einaudi diventando il grande classico che conosciamo.
Nel 1950 sposa l'anglista Gabriele Baldini, docente di letteratura inglese e direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Londra, con il quale concepirà la figlia Susanna (4 settembre 1954 – 15 luglio 2002) e il figlio Antonio (6 gennaio 1959 – 3 marzo 1960), entrambi portatori di handicap. Inizia per Natalia un periodo ricco in termini di produzione letteraria, che si rivela prevalentemente orientata sui temi della memoria e dell'indagine psicologica. Nel 1952 pubblica Tutti i nostri ieri; nel 1957 il volume di racconti lunghi, Valentino, che vince il premio Viareggio,[4] e il romanzo Sagittario; nel 1961 Le voci della sera che, insieme al romanzo d'esordio, verrà successivamente raccolto nel 1964 nel volume Cinque romanzi brevi.
Nel 1962 esce la raccolta di racconti e saggi Le piccole virtù, e nel 1963 Ginzburg vince il premio Strega[5] con Lessico famigliare, memoir che viene accolto da un forte consenso di critica e di pubblico.
Nel decennio successivo seguono, nella narrativa, i volumi Mai devi domandarmi del 1970 e Vita immaginaria del 1974. In questo periodo Natalia Ginzburg è anche collaboratrice assidua del Corriere della Sera, che pubblica numerosi suoi elzeviri su argomenti di critica letteraria, cultura, teatro e spettacolo. Tra questi, una sua lettura critica, con uno sguardo al femminile, del film Sussurri e grida[6] ottiene un forte riscontro nel panorama letterario e culturale nazionale, divenendo un punto di riferimento per la critica bergmaniana.[7]
Nella successiva produzione la scrittrice, che si era rivelata anche fine traduttrice con La strada di Swann di Proust, ripropone in modo più approfondito i temi del microcosmo familiare con il romanzo Caro Michele del 1973, il racconto Famiglia del 1977, il romanzo epistolare La città e la casa del 1984, oltre al volume del 1983 La famiglia Manzoni, visto in una prospettiva saggistica.
Natalia Ginzburg è stata inoltre autrice di commedie tra le quali Ti ho sposato per allegria del 1965 e Paese di mare del 1972.
È l'anno 1969 a costituire un punto di svolta nella vita della scrittrice, che ha 53 anni: muore il secondo marito e, mentre comincia in Italia, con la strage di piazza Fontana, il periodo cosiddetto della strategia della tensione, Ginzburg intensifica il proprio impegno dedicandosi sempre più attivamente alla vita politica e culturale del Paese,[8] in sintonia con la maggioranza degli intellettuali italiani militanti orientati verso posizioni di sinistra.
Nel 1971 sottoscrive, assieme a numerosi intellettuali, autori, artisti e registi,[9] la lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli,[10] documento attraverso cui si denunciano, riguardo alla morte di Giuseppe Pinelli, le presunte responsabilità dei funzionari di polizia della questura di Milano (con particolare riferimento al commissario Luigi Calabresi). Tale adesione verrà più volte ricordata dalla stampa in seguito al matrimonio della nipote della Ginzburg, Caterina, con Mario Calabresi, figlio del commissario nel frattempo assassinato. Nello stesso anno si unisce ai firmatari di un'autodenuncia di solidarietà verso alcuni giornalisti di Lotta Continua accusati di istigazione alla violenza.[11]
Nel 1976 partecipa alla campagna innocentista in favore di Fabrizio Panzieri e Alvaro Lojacono,[12] i due militanti di Potere Operaio che saranno poi condannati per i reati a loro imputati (tra cui l'omicidio dello studente nazionalista greco Mikis Mantakas).
Nel 1983 viene eletta al Parlamento nelle liste del Partito Comunista Italiano.
Il 25 marzo 1988 scrive per L'Unità un articolo divenuto famoso, dal titolo: Quella croce rappresenta tutti,[13] difendendo la presenza del simbolo religioso nelle scuole e opponendosi alle contestazioni di quegli anni.
Muore a Roma nelle prime ore dell'8 ottobre 1991. È sepolta al Cimitero del Verano di Roma.
Cinque romanzi brevi, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 1964 (contiene: La strada che va in città; È stato così; Valentino; Sagittario; Le voci della sera); col titolo Cinque romanzi brevi e altri racconti, Introduzione di Cesare Garboli, Collana ET, Einaudi, 1993; Collana ET Scrittori, Einaudi, 2005.
Opere 1, I Meridiani Mondadori, Milano 1986 (contiene: La strada che va in città, È stato così, Racconti brevi, Valentino, Tutti i nostri ieri, Sagittario, Le voci della sera, Le piccole virtù, Lessico Famigliare, Commedie)
Opere 2, I Meridiani Mondadori, Milano 1987 (Mai devi domandarmi, Paese di mare, Caro Michele, Vita immaginaria, La famiglia Manzoni, Scritti sparsi, La città e la casa, Famiglia)
La strada che va in città, come Alessandra Tornimparte, Torino, Einaudi, 1942
La strada che va in città e altri racconti, Roma, Einaudi, 1945
È stato così, Torino, Einaudi, 1947
Tutti i nostri ieri, Torino, Einaudi, 1952
Valentino, Torino, Einaudi, 1957
Sagittario, Torino, Einaudi, 1957
Le voci della sera, Torino, Einaudi, 1961
Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963
Caro Michele, Milano, Mondadori, 1973; Torino, Einaudi, 1995
Famiglia, Torino, Einaudi, 1977
La famiglia Manzoni, Torino, Einaudi, 1983
La città e la casa, Torino, Einaudi, 1984
Marcel Proust, poeta della memoria, in Giansiro Ferrata e Natalia Ginzburg, Romanzi del '900, I, Torino, Edizioni radio italiana, 1956.
Le piccole virtù, Einaudi, Torino 1962; nuova ed., a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, 2005.
Mai devi domandarmi, Garzanti, Milano 1970; poi Einaudi, Torino, 1989; dal 2002 con introduzione di Cesare Garboli [raccoglie prevalentemente articoli pubblicati su La Stampa negli anni 1968-1970, con alcuni scritti inediti]
Vita immaginaria, Mondadori, Milano 1974; nuova ed., a cura di Domenico Scarpa, Collana Super ET, Torino, Einaudi, 2021, ISBN 978-88-062-0546-1. [raccoglie articoli pubblicati su La Stampa e sul Corriere della sera negli anni 1969-1974, con un inedito]
Serena Cruz o la vera giustizia, Einaudi, Torino, 1990,
È difficile parlare di sé. Conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi, a cura di Cesare Garboli e Lisa Ginzburg, Einaudi, Torino 1999 [contiene un'intervista autobiografica andata in onda a Radio 3 nella primavera del 1991]
Non possiamo saperlo. Saggi 1973-1990, a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2001 [raccoglie scritti di letteratura e di cinema, ricordi di amici scomparsi, pronunciamenti su questioni morali, interventi politici e una Autobiografia in terza persona]
Un'assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988, a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2016. [contiene, tra le altre cose, alcuni reportage giornalistici, la poesia Memoria e il Discorso sulle donne]
Ti ho sposato per allegria, Torino, Einaudi, 1966.
Ti ho sposato per allegria e altre commedie, Torino, Einaudi, 1968 [contiene: Ti ho sposato per allegria; L'inserzione; Fragola e panna; La segretaria]
Paese di mare e altre commedie, Milano, Garzanti, 1971 [contiene: Dialogo; Paese di mare; La porta sbagliata; La parrucca]
Teatro, Nota di Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1990 [contiene i testi della raccolta Paese di mare e altre commedie preceduti da L'intervista e La poltrona]
Tutto il teatro, a cura di Domenico Scarpa, Nota di N. Ginzburg, Torino, Einaudi, 2005. [contiene i testi delle raccolte Ti ho sposato per allegria e altre commedie e Teatro, seguiti da Il cormorano]
Vercors, Il silenzio del mare, Einaudi, Roma, 1945
Marcel Proust, La strada di Swann, Einaudi, Torino 1946; ed. riveduta e corretta sull'Edizione Pléiade, Einaudi, 1991
Gustave Flaubert, La signora Bovary, Einaudi, Torino, 1983
Molyda Szymusiak, Il racconto di Peuw, bambina cambogiana, Einaudi, Torino, 1986
Marguerite Duras, Suzanna Andler, Collezione di teatro, Torino, Einaudi, 1987.
Sirkku Talja, Non mi dimenticare, Bollati Boringhieri, Torino, 1988
Guy de Maupassant, Una vita, a cura di Giacomo Magrini, Collana Scrittori tradotti da scrittori, Torino, Einaudi, 1994.
(con Cesare Pavese e Felice Balbo) Lettere a Ludovica, a cura di Carlo Ginzburg, Archinto 2008 (raccoglie lettere a Ludovica Nagel).
Dalla commedia Ti ho sposato per allegria (1967) Luciano Salce ha tratto un film con Giorgio Albertazzi, Monica Vitti, Maria Grazia Buccella e Italia Marchesini.
Da Teresa, invece, adattata da Michel Arnaud, il regista francese Gérard Vergez ha tratto nel 1970 un film con Suzanne Flon e Anne Doat.
Dal romanzo Caro Michele, adattato da Suso Cecchi D'Amico e Tonino Guerra, Mario Monicelli ha tratto nel 1976 un film in cui recitavano Mariangela Melato, Delphine Seyrig e Aurore Clément; lo scrittore Alfonso Gatto vi aveva la parte del padre di Michele.
Dal romanzo È stato così nel 1977 è stato tratto un film per la televisione in due puntate, diretto da Tomaso Sherman e interpretato da Stefania Casini, Stefano Satta Flores, Laura Belli e Antonella Lualdi.
Vanno infine menzionati i film La mère (1995) della francese Caroline Bottaro e Las voces de la noche (2003) di Salvador García Ruiz.
Molte città italiane e paesi hanno dedicato aree di circolazione a Natalia Levi Ginzburg: Roma, Lecce, Palermo, Prato, Torino, Modena, L'Aquila, Vibo Valentia, Ivrea (TO), Porzano (CO), Nonantola (MO), Carpi (MO), San Giovanni in Persiceto (BO), Castenaso (BO), Jesolo (VE), Santa Croce sull'Arno (PI), Cepagatti (PE), Guidonia (RM), Masseria Grande (LE), Sestri Levante (GE).
Torino, Bologna e Castel Maggiore (BO), Pizzoli (AQ) le hanno intitolato una biblioteca.
Nel 2014, in occasione del XXIII anniversario della sua morte, la città di Torino ha posto sulla sua abitazione, al numero 11 di via Morgari, una lapide commemorativa, intitolandole, nel contempo, l'aiuola antistante, tra via Morgari e via Belfiore. Nel 2016, per il centenario della sua nascita, la città di Palermo ha collocato una targa sulla sua casa natale, in via Libertà 101.
Abraham "Boolie" Yehoshua (in ebraico: אברהם ב. יהושע?; Gerusalemme, 9 dicembre 1936 – Tel Aviv, 14 giugno 2022[1]) è stato uno scrittore, drammaturgo e accademico israeliano.
Nato a Gerusalemme nel 1936 in una famiglia d'origine sefardita, viveva ad Haifa dove insegnava Letteratura comparata e Letteratura ebraica presso l'università locale. Suo padre, Yaakov Yehoshua, era uno storico, specializzato nella storia di Gerusalemme; sua madre, Malka Rosilio, era giunta dal Marocco nel 1932. Dopo aver servito nell'esercito dal 1954 al 1957, Yehoshua frequentò la scuola Tikhonaime per poi laurearsi in Letteratura ebraica e Filosofia all'Università Ebraica di Gerusalemme. Ebbe incarichi come professore esterno nelle Università Harvard, di Chicago e di Princeton. Nel 2003 gli venne conferito il Premio Letterario Internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa per La sposa liberata.
Visse a Parigi per quattro anni, dal 1963 al 1967; oltre all'insegnamento, a Parigi ricoprì anche l'incarico di Segretario Generale dell'Unione Mondiale degli Studenti Ebrei. Inizialmente autore di racconti e opere teatrali, conobbe il successo coi suoi romanzi fu uno degli scrittori israeliani più noti. Cominciò a pubblicare le sue prime opere subito dopo aver concluso il servizio di leva militare, diventando un'esponente del Nuovo Movimento degli scrittori israeliani (in inglese Israeli New Wave). Le sue opere sono state tradotte in ventidue lingue. In Italia è stato scoperto dalla Casa editrice Giuntina per poi essere pubblicato da Einaudi.
Yehoshua era sposato con Rivka, psicanalista specializzata in psicologia clinica. La coppia ebbe tre figli e sei nipoti.
Una volta terminato il servizio militare, Yehoshua iniziò a pubblicare opere di narrativa. Il suo primo libro Mot Hazaken (La morte del vecchio), una raccolta di racconti, uscì nel 1962. Come figura di spicco nella "New Wave" degli scrittori israeliani, contribuì a spostare l'attenzione sull'individuo e sui rapporti interpersonali piuttosto che sui gruppi e sulle collettività.
Al centro del pensiero e dell'opera di Yehoshua si trova la questione del rapporto tra popoli diversi, che hanno religioni e culture differenti. I suoi personaggi sperimentano in forme a volte drammatiche, spesso tormentate, la difficoltà di costruire relazioni umane autentiche che non si lascino incasellare nel pregiudizio o nell'intolleranza. Questo tema, di evidente attualità, trova anche una proiezione storica: in Viaggio alla fine del millennio si incontra un modo di costruire le relazioni tra Ebrei, Arabi, Europei diverso e più aperto di quanto accada nel presente. Nel Signor Mani sono più d'uno i contesti storici rappresentati, con sfaccettature varie e sorprendenti.
Un altro tema costante nei suoi libri è l'analisi dei rapporti familiari. I personaggi sono inseriti in una rete di relazioni di parentela, in cui si incontrano le diverse generazioni e vengono esplorati i rapporti tra padre e figlio, tra nonno e nipote, e soprattutto tra marito e moglie. Spesso queste relazioni sono rese difficili dalla lontananza, o dalla incomprensione, o da un "non detto" che addolora e induce all'autocritica il personaggio principale (che spesso è un uomo di mezza età: forse un tratto autobiografico). L'amore coniugale è oggetto di particolare analisi, in quanto non fondato su un legame di sangue e perciò tale da dover essere continuamente rimesso in gioco, giorno per giorno, nelle situazioni più diverse. Yehoshua ritiene infatti che il rapporto di coppia sia il legame più difficile da "tenere in piedi" e perciò quello che va più approfondito. Nel rappresentare situazioni a volte anche potenzialmente scabrose, la parola di Yehoshua è tuttavia semplice, comprensiva, priva di morbosità. Non a caso Yehoshua viene spesso definito il simbolo della complessità ebraica: sentimenti amorosi, religione e fede, ideologia politica e routine quotidiana costituiscono un unicum nei suoi scritti e tutto ciò si trova sempre ben contestualizzato nella dimensione storica dello Stato d'Israele e nel mondo ebraico.
Lo stile di questo scrittore non si lascia definire in modo univoco; al contrario, da un romanzo all'altro Yehoshua adotta modalità narrative diverse. Dal racconto ininterrotto in terza persona, senza dialogo, al dialogo "con una voce sottintesa"; dall'identificazione dei diversi capitoli con i punti di vista di altrettanti personaggi, alla narrazione in prima persona, fino alla costruzione bipartita, a "duetto", come recita il sottotitolo del romanzo Fuoco amico, lo scrittore opera una notevole varietà di scelte stilistiche. Non viene meno tuttavia la coerenza di un linguaggio curato, ricco, capace di dar vita a descrizioni di alta espressività o ad approfondimenti psicologici molto intensi.
In un colloquio con Wlodek Goldkorn, avvenuto nel 2017, raccontò che stava lavorando ad un nuovo romanzo dove scrive sull'essere nonni e dell'incertezza della memoria.[2]
Tutti i racconti (Kol Ha-Sipurim) 1993
Un divorzio tardivo (Gerushìm meuḥarìm) 1982
Cinque stagioni (Molkho) 1987
Il signor Mani (Mar Màni) 1990
Ritorno dall'India (Ha-shivàh me-Hòdu)1994
Viaggio alla fine del millennio (Massà‘ el tom ha-èlef) 1997
La sposa liberata (Ha-kalàh ha-meshaḥrèret, letter. "La sposa liberatrice") 2001
Il responsabile delle risorse umane (Shliḥutò shel ha-memunèh al mashavéy enòsh) 2004, da cui è stato tratto l'omonimo film per la regia di Eran Riklis nel 2010
Fuoco amico (Esh yedidutìt) 2007
La scena perduta (Ḥèssed sfaradì, lett. "Pietà spagnola") 2011
Elogio della normalità 1991
Diario di una pace fredda (Articoli) 1996
Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare 1996
Il potere terribile di una piccola colpa. Etica e letteratura 2000
Il labirinto dell'identità 2009
Scrittore, giornalista e anche regista (per un breve periodo), Emmanuel Carrère è, secondo l’autorevole Paris Review ma non solo, uno dei più importanti autori francesi contemporanei. Nell’ultimo periodo è stato spesso citato per via del suo reportage sui migranti a Calais, che da noi è stato pubblicato dalla Lettura del Corriere della sera (e poi da Adelphi, la sua casa editrice italiana), e per la nuova edizione di Io sono vivo, voi siete morti, biografia dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick, scritta nel 1993.
Ma chi è Emmanuel Carrère, autore che dissemina i suoi romanzi di stralci autobiografici e che si diverte a raccontare le vite al limite di personaggi discussi e conturbanti?
Lo scrittore è nato nel 1957 a Parigi, nel 16esimo Arrondissement, da una famiglia borghese. La madre, Hélène Carrère d’Encausse, è una storica molto acclamata, esperta di Russia e Stalinismo, e dal 1990 occupa un seggio nella prestigiosa Académie française. Il nonno materno era un nobile russo di origine georgiana che, durante la Seconda Guerra Mondiale, ha collaborato con l’esercito tedesco come traduttore. Scomparso nel 1944 a Bordeaux, la famiglia non ha più avuto sue notizie.
La Russia è un luogo spesso presente nelle opere di Carrère. Il suo più grande successo è Limonov, una biografia romanzata di Eduard Limonov, punk, politico, scrittore e dissidente russo che ha vissuto in Europa e Usa, per poi tornare in patria e diventare un oppositore di Putin, oltre che un fervente rappresentante del partito nazionalista.
https://www.illibraio.it/news/storie/emmanuel-carrere-libri-biografia-369062/
Lo scrittore del decennio è Emmanuel Carrère, secondo la giuria della Classifica di Qualità de «la Lettura». Il supplemento del «Corriere» ha compiuto dieci anni a novembre 2021, e per dieci volte ha assegnato il Premio della Classifica di Qualità votando il libro dell’anno con una giuria molto ampia. Così, giunta al numero tondo, «la Lettura» ha deciso di festeggiare scegliendo l’autore del decennio, e ha chiesto alla Giuria di Qualità di pronunciarsi votando uno dei 23 «superfinalisti», cioè gli autori dei 30 libri giunti sul podio in questi 10 anni (primo, secondo e terzo posto), ovviamente al netto dei nomi presenti più volte.l Ben 350 giurati tra giornalisti, traduttori, scrittori, collaboratori e amici hanno votato, mandando in vetta lo scrittore francese Carrère. Un ampio servizio dedicato al nuovo Premio apre il numero de «la Lettura» #538, disponibile in edicola e nell’App (scaricabile App Store e Google Play). Nell’articolo di Severino Colombo, segretario del Premio presieduto da Marzio Breda, si raccontano le modalità della competizione e si analizza la Top Ten dei più votati.
Giorgio Scerbanenco, nato Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko (in ucraino: Володимир-Джорджо Щербаненко?; Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969), è stato uno scrittore, giornalista e saggista italiano di origine ucraina. Biografia
Nato a Kiev, nell'allora Russia imperiale, da padre ucraino, che era venuto in Italia per studi, e madre italiana, Scerbanenco all'età di sei mesi si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano al seguito della madre. Il padre, professore di latino e greco, fu ucciso durante la rivoluzione russa, mentre la madre morì pochi anni più tardi. Fu costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi e non completò nemmeno le elementari. La scrittura fu da subito una passione. Lo stesso Scerbanenco racconta che la madre "all'ospedale era molto felice che io scrivessi, non doveva avere alcun senso pratico e non si preoccupava che io non avessi in mano nessun mestiere".[1] Scerbanenco praticò molti mestieri, dall'operaio al conducente di ambulanze, prima di arrivare al mondo dell'editoria.
Dopo un periodo alla Rizzoli come redattore, nel 1937 assunse l'incarico di caporedattore dei periodici Mondadori, incarico che mantenne fino al 1939. Su Grazia teneva la rubrica della "posta del cuore" con lo pseudonimo di Luciano. Per Mondadori pubblicò anche la serie di romanzi di Arthur Jelling[2]. In questo periodo collaborò anche con importanti quotidiani: L'Ambrosiano, la Gazzetta del Popolo, il Resto del Carlino e con il Corriere della Sera. Nel settembre 1943 fuggì in Svizzera, insieme a buona parte della redazione del Corriere[2], dove rimase fino alla fine della guerra.
Tornato in Italia, Scerbanenco rientrò alla Rizzoli come direttore del periodico letterario femminile "Novella", su cui curò una rubrica di "posta del cuore". Sempre per Rizzoli fondò la rivista Bella, su cui teneva la rubrica "La posta di Valentino". Ma la rubrica più famosa fu quella per Annabella, intitolata "La posta di Adrian"[2]. Leggendo la posta diretta a tutte queste rubriche, in cui le lettrici raccontavano i propri casi personali e spesso difficili, Scerbanenco venne a contatto con le angosce e le rabbie della gente comune. Questa esperienza di storie vissute e dolorose ha avuto una importanza decisiva nella maturazione dello stile noir di Scerbanenco, particolarmente crudo e amaro[3].
Sempre ritenendosi di madrelingua italiano, l'essere considerato "straniero" fu un grave cruccio che lo accompagnò durante tutta la sua esistenza. Di questa esperienza parla diffusamente nel saggio autobiografico Io, Vladimir Scerbanenco.[4] Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Lignano Sabbiadoro, dove scrisse e ambientò alcuni romanzi (La sabbia non ricorda, Al mare con la ragazza) e moltissimi racconti. La figlia Cecilia ha donato alla biblioteca comunale della città friulana l'archivio dello scrittore. Morì nell'ottobre del 1969, all'apice del suo successo, in seguito ad un arresto cardiaco. Venne sepolto al cimitero maggiore di Milano.[5]
Nel 2018 viene pubblicato L'isola degli idealisti, per l'editore La nave di Teseo, scritto in gioventù e conservato per cinquant'anni dalla moglie Teresa Bandini, prima di entrare in possesso del figlio Alan Scerbanenko che lo passerà alla sorella Cecilia Scerbanenco, figlia di Nunzia Monnanni, ultima donna dello scrittore.[6] Alla sua memoria è dedicato il più importante premio italiano per la letteratura poliziesca e noir: il premio Scerbanenco.
Scrittore di incredibile prolificità e versatilità, Scerbanenco ha spaziato magistralmente in ogni campo della narrativa di genere: western, fantascienza (Il paese senza cielo, Il cavallo venduto, L'anaconda) e letteratura rosa, ma fu con il giallo che raggiunse una discreta fama, fino ad essere da taluni indicato come uno degli scrittori più importanti di questo genere. Infatti non vi è dubbio che sia da considerare tuttora il maestro ideale di tutti i giallisti italiani, almeno a partire dagli anni settanta. I suoi romanzi riletti oggi appaiono, al di là di alcune trovate 'ad effetto' e delle trame talvolta semplicistiche, uno spaccato umano e amaro dei nostri anni sessanta e rivelano un'Italia difficile, contraddittoria, persino cattiva, ansiosa di emergere, ma disincantata, certo lontana dalla immagine edulcorata e brillante che spesso viene data degli anni del boom economico.[7]
Dal 1934 diventa redattore dei periodici Rizzoli, scrivendo decine di racconti e di articoli. In particolare "Il Secolo Illustrato" ospita nel 1936-1937 una rubrica di narrativa "Gangsters e GMen" dedicata a storie di azione ambientate nelle città americane. Su questa rubrica Scerbanenco pubblica 7 racconti con lo pseudonimo Denny Sher, Sheer nel primo racconto. In questi anni diventa giornalista professionista.[8] In quel periodo, mentre a Milano stava traslocando da una casa all'altra, cominciò a frequentare assiduamente Canzo, Villa Magni-Rizzoli, il lago del Segrino e il Triangolo Lariano – classiche località della villeggiatura milanese dell'epoca –, da cui trasse molta dell'ispirazione per i suoi romanzi e in cui ambientò la gran parte delle scene fuori Milano.
Il suo primo romanzo giallo fu Sei giorni di preavviso del 1940, in cui ideò la figura di Arthur Jelling; il successo arrivò però con la quadrilogia dedicata a Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall'Ordine e condannato al carcere per aver praticato l'eutanasia ad una vecchia signora, malata terminale. Lamberti in seguito diventa una sorta di investigatore privato che collabora con la questura di via Fatebenefratelli a Milano, in particolare con il commissario di origini sarde Luigi Càrrua, poi promosso alla carica di questore. La serie di Duca Lamberti, iniziata con Venere privata nel 1966, porta l'autore a un successo di critica[9] e di pubblico, grazie anche alle molte versioni cinematografiche e ai riconoscimenti internazionali. Nel 1968 Traditori di tutti viene riconosciuto quale miglior romanzo straniero dal prestigioso premio francese Grand prix de littérature policière. I romanzi raccontano di una Milano e di un'Italia che sta cambiando in cui si mischiano in modo inestricabile il nuovo benessere e i disagi sociali, i vecchi quartieri a cavallo con la campagna e i luoghi simbolo della ricca città[10]. A conferma della fama raggiunta, tre dei romanzi della serie sono stati portati sullo schermo cinematografico.
Nel 2006 è stata realizzata dal regista Stefano Giulidori una docufiction sulla sua vita, con interviste e testimonianze di chi l'ha conosciuto. È stata presentata al Noir in Festival di Courmayeur 2006.Nel 2007 l'editore Garzanti pubblica una antologia di racconti di alcuni tra i più noti scrittori noir italiani dedicata al personaggio più famoso di Scerbanenco, Duca Lamberti, intitolandola Il ritorno del Duca. Molte sue opere sono state ripubblicate negli ultimi anni: nel 1994 escono I milanesi ammazzano al sabato, Noi due e nient'altro, Appuntamento a Trieste e Cinquecentodelitti. Nel 1995 sono stati dati alle stampe Lupa in convento, Cinque casi per l'investigatore Jelling, Le principesse di Acapulco, Le spie non devono amare, Al mare con la ragazza e Non rimanere soli. Nel 1996 escono ancora Ladro contro assassino, Millestorie, Storie del futuro e del passato. Infine nel 1999 escono I ragazzi del massacro, Al servizio di chi mi vuole, La ragazza dell'addio.
Opere
Gli elenchi qui sotto sono tratti dal Dizionario bibliografico del giallo, vol. III, a cura di R. Pirani, M. Mare, M.G. de Antoni, Pirani Bibliografica Editrice, 1998.
Quadrilogia di Duca Lamberti
Venere privata, Milano, Garzanti, 1966
Traditori di tutti, Milano, Garzanti, 1966
I ragazzi del massacro, Milano, Garzanti, 1968
I milanesi ammazzano al sabato, Milano, Garzanti, 1969
Serie di Arthur Jelling
Sei giorni di preavviso, Mondadori, 1940; Sellerio, 2008
La bambola cieca, Mondadori, 1941; Sellerio, 2008
Nessuno è colpevole, Mondadori, 1941; Sellerio, 2009
L'antro dei filosofi, Mondadori, 1942; Sellerio, 2010
Il cane che parla, Mondadori 1942; Sellerio, 2011
Lo scandalo dell'osservatorio astronomico, inedito, 1943; Sellerio, 2011
La valle dei banditi, inedito, circa 1942-1944; La nave di Teseo, 2020
Opere dell'esilio svizzero
Il mestiere di uomo, a puntate su Il Grigione Italiano, 1944; a cura di Andrea Paganini, Torino, Aragno, 2006.
Annalisa e il passaggio a livello, Tecla e Rosellina, a cura di C. Scerbanenco, 1944; Palermo, Sellerio, 2007.
Il cavallo venduto, Milano, Rizzoli, 1963. (romanzo breve fantascientifico)
Lupa in convento, Theoria; insieme con Al servizio di chi mi vuole, Milano, Garzanti, 1999.
Non rimanere soli (B. Gnocchi), 1945; Il Melangolo, 1995; Prefazione di Ermanno Paccagnini, in appendice Giorgio Scerbanenco: una cronologia di N. Monanni, Milano, Garzanti, 2007
Luna di miele, Milano, Baldini & Castoldi, 1945; Milano, La nave di Teseo, 2018.
Patria mia, 1945; a cura di Andrea Paganini, Torino, Aragno, 2011.
Ciclo del Nuovo Messico
Il grande incanto, Milano, Rizzoli, 1948
La mia ragazza di Magdalena, Milano, Rizzoli, 1949; a cura di Roberto Pirani, Palermo, Sellerio, 2004.
Luna messicana, Milano, Rizzoli, 1949
Innamorati, Milano, Rizzoli, 1951; col titolo Rossa, a cura di Roberto Pirani, Palermo, Sellerio, 2004.
Altri romanzi
Gli uomini in grigio, apparso in 20 puntate su Il Novellino dal 21 aprile al 1º novembre 1935
Il terzo amore, Milano, Rizzoli, 1938; Milano, La nave di Teseo, 2019.
Il paese senza cielo, a puntate su L'Audace, 1939 (fantascienza)
L'amore torna sempre, Sacse, 1941
Oltre la felicità, Sacse, 1941
Quattro cuori nel buio, Sacse, 1941
È passata un'illusione, Sacse, 1941
Cinema fra le donne, apparso a puntate sull'edizione pomeridiana de Il Corriere della Sera nel 1942
Fine del mondo, 1942
Infedeli innamorati, 1942
Cinque in bicicletta, apparso a puntate sull'edizione pomeridiana de Il Corriere della Sera nel 1942; Mondadori, 1943
Il bosco dell'inquietudine, Ultra, 1943
Si vive bene in due, Milano, Mondadori, 1943
La notte è buia, Milano,, Mondadori, 1943
L'isola degli idealisti, scritto nel 1942-43, considerato perduto e ritrovato in Svizzera, pubblicato con una prefazione di Cecilia Scerbanenco, Milano, La nave di Teseo, 2018.
Viaggio in Persia, Perduto, 1942
Annalisa e il passaggio a livello, 1944; Palermo, Sellerio, 2007
Ogni donna è ferita, Milano, Rizzoli, 1947
Quando ameremo un angelo, Milano, Rizzoli, 1948
La sposa del falco, Milano, Rizzoli, 1949
Okay. piccola!, con lo pseudonimo di Adrian, a puntate su Annabella, Milano, 1949.
Anime senza cielo, Milano, Rizzoli, 1950
Il nostro volo è breve, a puntate su Annabella (1951), Milano, Rizzoli, 1952.
I giorni contati, Milano, Rizzoli, 1952
Il fiume verde, a puntate su Annabella, Milano, Rizzoli, 1952.
Amata fino all'alba, Milano, Rizzoli, 1953
Appuntamento a Trieste, Rizzoli, 1953; Prefazione di Cecilia Scerbanenco, Milano, La nave di Teseo, 2019.
Desidero soltanto, a puntate su Annabella, Milano, Rizzoli 1953.
Uomini e colombe, a puntate su Annabella, Milano, Rizzoli, 1954
La mano nuda, Milano, Rizzoli, 1954
Johanna della foresta, Milano, Rizzoli, 1955[11]
Mio adorato nessuno, Milano, Rizzoli, 1955
I diecimila angeli, Milano, Rizzoli, 1956
La ragazza dell'addio, Milano, Rizzoli, 1956
Via dei poveri amori, Milano, Rizzoli, 1956
Cristina che non visse, Milano, Rizzoli, 1957
La luna sulla pineta, con lo pseudonimo di Cristina Doria, serializzato su Gioia, 1958; Milano, Rusconi e Paolazzi Editori, 1961; Prefazione di Cecilia Scerbanenco, Milano, La nave di Teseo, 2021, ISBN 978-88-346-0626-1.
Elsa e l'ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1958
Il tramonto è domani, Milano, Rizzoli, 1958
Noi due e nient'altro, Milano, Rizzoli, 1959
Viaggio di nozze in grigio, Milano, Rizzoli, 1961
Europa molto amore, a puntate su Annabella, 1961; Milano, Garzanti, 1966
La sabbia non ricorda, Milano, Rizzoli, 1963
Al mare con la ragazza, Milano, Garzanti, 1965
L'anaconda, La Tribuna, 1967 (romanzo breve fantascientifico); Metrolibri, 1992 (ill. Giorgio Carpinteri)
Al servizio di chi mi vuole, Milano, Longanesi, 1970
Le principesse di Acapulco, Milano, Garzanti, 1970
Le spie non devono amare, Milano, Garzanti, 1971
Ladro contro assassino, Milano, Garzanti, 1971
Né sempre né mai, Milano, Sonzogno, 1974
Dove il sole non sorge mai, Milano, Garzanti, 1975
Romanzo rosa, Milano, Rizzoli, 1985
Voce di Adrian, Milano, Rizzoli, 1956
Milano calibro 9, Milano, Garzanti, 1969
Il centodelitti, Milano, Garzanti, 1970
I sette peccati capitali e le sette virtù capitali, Milano, Rizzoli, 1974; Collana Nuova Biblioteca, Milano, Garzanti, 2010; Introduzione di Cecilia Scerbanenco, Milano, La nave di Teseo, 2021, ISBN 978-88-939-5100-5.
La notte della tigre, Milano, Rizzoli, 1975
I 7 peccati & le 7 virtù capitali. La notte della tigre, Milano, Club Italiano Lettori, 1977
L'ala ferita dell'angelo, Milano, Rizzoli, 1976
La vita in una pagina, Milano, Mondadori, 1989
Il falcone e altri racconti inediti, Milano, Frassinelli, 1993
Il Cinquecentodelitti, Milano, Frassinelli, 1994
Cinque casi per l'investigatore Jelling, Milano, Frassinelli, 1995
Millestorie, Milano, Frassinelli, 1996
Storie dal futuro e dal passato, Milano, Frassinelli, 1997
Basta col cianuro, Cartacanta, 2000
Uccidere per amore, Palermo, Sellerio, 2002
Racconti neri, Milano, Garzanti, 2005
Uomini Ragno, Palermo, Sellerio, 2006
Nebbia sul Naviglio e altri racconti gialli e neri, Palermo, Sellerio, 2011
Patria mia. Riflessioni e confessioni sull'Italia, Torino, Aragno, 2011
I ragazzi del massacro, regia di Fernando Di Leo (1969)
Il caso "Venere privata", regia di Yves Boisset (1970)
La morte risale a ieri sera, regia di Duccio Tessari (1970)
Milano calibro 9, regia di Fernando Di Leo (1972)
La mala ordina, regia di Fernando Di Leo (1972)
L'assassino è costretto ad uccidere ancora, regia di Luigi Cozzi (1975)
Liberi armati pericolosi, regia di Romolo Guerrieri (1976)
Quattro delitti (film tv), regia di Sironi, Calasso e Melloni (1979)
La ragazza dell'addio (film tv), regia di Daniele D'Anza (1984)
Appuntamento a Trieste (film tv), regia di Bruno Mattei (1989)
L'uomo che non voleva morire (film tv), regia di Lamberto Bava (1989)
Spara che ti passa, regia di Carlos Saura (1993)
Occhio di falco - serie TV, regia di Vittorio De Sisti (1996)
Taras Hryhorovyč Ševčenko (in ucraino: Тарас Григорович Шевченко?; Morynci, 9 marzo 1814 – San Pietroburgo, 10 marzo 1861) è stato un poeta, scrittore, umanista e pittore ucraino. La sua eredità letteraria è ritenuta uno dei pilastri della moderna letteratura ucraina e, in senso più ampio, della stessa lingua ucraina. Ševčenko scrisse anche in lingua russa, lasciando inoltre ai posteri molti manoscritti e lavori preparatori delle proprie opere artistiche.
Nato in una famiglia di servi della gleba nel villaggio di Morynči, appartenente al Governatorato di Kiev dell'Impero Russo (oggi parte integrante dell'Oblast di Čerkasy, Ucraina), rimase orfano all'età di undici anni[1]. Gli fu insegnato a leggere da un precettore del villaggio, mentre fin da piccolo era solito disegnare non appena gli si presentasse occasione di farlo. In seguito, lasciato il paese paterno, seguì il proprio signore Pavel Engelhardt dapprima a Vilnius (1828–1831) e quindi a San Pietroburgo.
Notando il talento artistico di Ševčenko, Engelhardt permise a quest'ultimo di studiare le tecniche pittoriche per quattro anni da Vassilij Širjaev. A San Pietroburgo lo scrittore incontrò inoltre artisti ucraini quali Ivan Maksymovyč Sošenko, a cui va il merito di averlo introdotto nella cerchia dei suoi compatrioti, Јevhen Pavlovyč Hrebinka e Vasyl Hryhorovyč, e il pittore russo Aleksej Gavrilovič Venecianov. Grazie alla conoscenza di queste persone Ševčenko ebbe la possibilità di incontrare il professor Karl Brjullov, il quale, spinto dall'amicizia verso quest'ultimo, comprò la sua liberazione il 5 maggio 1838[1].
Nello stesso anno Ševčenko fu accettato come studente nell'Accademia delle Arti nel laboratorio di Karl Brjullov. Durante l'esame annuale dell'Accademia Imperiale delle Arti gli fu conferita la medaglia d'argento per un suo dipinto raffigurante un paesaggio. Nel 1840 gli fu appuntata nuovamente tale onorificenza, questa volta grazie al suo primo dipinto a olio intitolato "Giovante mendicante porgente il suo pane a un cane".
Poiché aveva iniziato a scrivere poesie di pregevole fattura mentre era ancora un servo, nel 1840 fu pubblicata una sua prima raccolta di testi poetici intitolata Kobzar. Un poeta della generazione precedente a quella di Ševčenko, Ivan Franko, si profuse in commenti entusiasti riguardo a questa raccolta, sottolineando inoltre la presenza di una "chiarezza, respiro ed eleganza di espressione artistica sconosciute precedentemente nei componimenti ucraini".
Nel 1841 realizzò il poema epico Hajdamaky. Nel settembre di quello stesso anno Ševčenko fu nuovamente insignito della Medaglia d'Argento per il suo dipinto L'indovina zigana. Iniziò inoltre a scrivere libretti per teatro. Nel 1842, realizzò parte della tragedia Nykyta Hajdaj e nel 1843 completò il dramma Nazar Stodolja.
Durante il suo soggiorno a San Pietroburgo, Ševčenko compì tre viaggi in Ucraina negli anni 1843, 1845 e 1846. Durante tali visite incontrò oltre ai propri fratelli e gli altri parenti, i più grandi scrittori ed intellettuali ucraini quali: Јevhen Pavlovyč Hrebinka, Panteleјmon Oleksandrovyč Kuliš e Mychaјlo Maksymovyč, stringendo inoltre una forte amicizia con la famiglia dei Repnin e in particolare con Varvara Repnina. Le difficili condizioni in cui vivevano i contadini ebbero un profondo impatto sul poeta-pittore.
Nel 1844, afflitto dall'oppressione zarista e dalla progressiva distruzione del suolo ucraino, Ševčenko decise di inserire alcune tra le rovine e i monumenti più belli di questa terra in un album di acqueforti, che chiamò pittoresca Ucraina.
Il 22 marzo 1845, il Concilio dell'Accademia delle Arti decise di conferire a Ševčenko il titolo di artista. Compì l'anno successivo un nuovo viaggio in Ucraina dove incontrò lo storico Nikolaj Kostomarov e altri membri della Confraternita dei Santi Cirillo e Metodio, una società segreta creata con l'obiettivo di supportare le riforme politiche all'interno dell'Impero Russo.[1] Dopo la scoperta e la soppressione della Confraternita da parte delle autorità, avvenuta nel marzo del 1847, Ševčenko fu arrestato insieme ad altri membri il 5 aprile dello stesso anno. Anche se probabilmente l'artista non faceva parte di tale società, durante una perquisizione la Terza sezione rinvenne il suo poema "Il Sogno" ("Figlio"). In esso veniva aspramente criticata la politica imperiale e, poiché tali giudizi erano considerati estremamente pericolosi qualora provenissero da un uomo sospettato di fare parte di un'organizzazione sovversiva, fu punito molto severamente.
Ševčenko fu dapprima rinchiuso in una prigione di San Pietroburgo. e quindi esiliato come soldato semplice nella guarnigione di Orenburg di stanza a Orsk, nei pressi degli Urali. Lo Zar Nicola I, confermando la sua sentenza, vi aggiunse: "Sotto stretta sorveglianza e con il divieto di scrivere e dipingere." Solo nel 1857 Ševčenko ricevette la grazia imperiale. Non gli fu tuttavia concesso di tornare nella capitale ma dovette stabilirsi a Nižnij Novgorod. Nel maggio del 1859, Ševčenko ebbe il permesso di recarsi in Ucraina. Aveva intenzione di comprare un pezzo di terra non lontano dal villaggio di Pekariv e lì risiedere. In luglio fu arrestato con l'accusa di blasfemia, ma fu presto rilasciato con l'ordine di recarsi a San Pietroburgo.
Taras Ševčenko trascorse gli ultimi anni della sua vita da un lato lavorando a nuovi componimenti poetici, dipinti e incisioni e dall'altro a pubblicare i suoi primi lavori. Provato dai difficili anni in esilio si spense a San Pietroburgo il 10 marzo 1861. Fu prima sepolto nel cimitero di Smolensk nella capitale dell'impero ma successivamente, secondo i suoi desideri, contenuti nel suo poema "Testamento" (Zapovit), il suo feretro fu traslato dagli amici in Ucraina, su di un treno fino a Mosca e quindi su una carrozza. Ševčenko fu quindi sepolto l'8 maggio sulla Černecha Hora (Collina del Monaco; ora Tarasova Hora o Collina di Taras) nei pressi del Dnieper vicino a Kaniv[1].
Perseguitato da una terribile sfortuna in amore come nella vita, il poeta morì sette giorni prima fosse annunciata l'Emancipazione dei Servi della Gleba. I suoi lavori e la sua vita godono della profonda ammirazione della popolazione ucraina e il suo impatto sulla letteratura ucraina è ritenuto di estrema importanza.
Taras Ševčenko ha una posizione importantissima nella storia culturale ucraina: i suoi scritti furono difatti base per la letteratura del suo paese natale nonché contribuirono in maniera significativa alla formazione del moderno linguaggio ucraino. La sua poetica inoltre ebbe come effetto la crescita di una coscienza nazionale all'interno del Paese e ancora oggi è possibile ravvisare la sua influenza nella letteratura e nel modo di vivere ucraino. La causa di tale importanza è da ricercare nel pensiero stesso dello scrittore il quale, influenzato dal Romanticismo, trovò nelle sue opere il modo di amalgamare temi riguardanti l'Ucraina e la sua personale visione del mondo.
Oltre le poesie, Taras Ševčenko fu scrittore di lavori teatrali. Il più noto dramma è "Nazar Stodolja" (in ucraino Назар Стодоля).
A causa della sua importanza a livello letterario viene spesso dimenticato il suo ruolo di pittore di prim'ordine all'interno del panorama russo, testimoniato dal fatto che i suoi contemporanei lo consideravano più un artista che uno scrittore. Sperimentò anche la scienza fotografica, essendo inoltre considerato il pioniere dell'arte dell'Acquaforte nell'impero Russo (nel 1860 gli fu insignito il titolo accademico dall'Accademia Imperiale delle Arti proprio per i risultati raggiunti con questo particolare tipo di tecnica artistica)[2]
La sua influenza sulla cultura ucraina fu talmente grande da essere sfruttata a livello propagandistico perfino nell'Unione Sovietica. le sue opere, purgate del loro contenuto nazionalistico, furono infatti utilizzate dalla propaganda evidenziando i contenuti sociali insiti al loro interno e la frequente contrapposizione tra lo scrittore e il potere imperiale. Ševčenko, nato servo e perseguitato a causa delle proprie convinzioni politiche, fu infatti presentato dal Partito comunista sovietico più come un internazionalista ante-litteram intento a rivendicare miglioramenti sociali per le classi svantaggiate che come un fervente nazionalista ucraino. Questa visione è stata profondamente rivisitata dalla critica della moderna Ucraina che tende oggi a considerare in secondo piano le rivendicazioni sociali pur insite nelle sue opere, evidenziando fortemente il suo lato patriottico.
Vi è un gran numero di monumenti dedicati a Ševčenko sparsi per tutto il territorio ucraino, i più importanti dei quali si trovano a Kaniv e nel centro di Kiev, vicino all'università a lui intitolata. In suo onore fu intitolata una stazione della Metropolitana di Kiev, Tarasa Ševčenka e fu reintitolata una città ucraina, Korsun'-Ševčenkivs'kyj.
Fuori dall'Ucraina sono presenti numerosi monumenti dedicati allo scrittore soprattutto negli stati facenti parte dell'Unione Sovietica. Il monumento di San Pietroburgo, ad esempio, fu eretto il 22 dicembre 2000 ma l'artefatto raffigurante Ševčenko che questi era andato a sostituire era stato innalzato da Lenin subito dopo la Rivoluzione d'Ottobre, nel 1918. Un altro monumento in suo onore è presente a Orsk, dove sono a lui dedicate anche una strada, una biblioteca e l'Istituto Pedagogico[3]. Ci sono anche monumenti e memoriali nelle città del Kazakistan dove fu per poco tempo trasferito prima del provvedimento di grazia: Aqtau (La città era chiamata Ševčenko tra il 1964 e il 1992) e il vicino Forte Ševčenko (fino al 1939 Forte Aleksandrovskij).
Dopo l'indipendenza ucraina alcune città rimpiazzarono le statue di Lenin con quelle dello scrittore e ribattezzarono strade e piazza con il suo nome, anche se queste non avevano alcuna connessione con la biografia di quest'ultimo.
Fuori dall'ex Unione Sovietica monumenti raffiguranti Ševčenko furono eretti in molti paesi, solitamente per iniziativa della locale popolazione ucraina immigrata.
Monumenti e memoriali in Italia
Nel 1973 fu inaugurato il monumento di Taras Ševčenko a Roma nel territorio della Basilica di Santa Sofia.[4][5]
Il 19 marzo 2017 fu inaugurato il monumento di Taras Ševčenko a Caserta che è stato realizzato dalla scultrice ucraina V. Volkova.[6][7]
Il 9 marzo 2021, in occasione dell’anniversario della nascita del poeta, la città di Kiev ha donato una statua, raffigurante il grande poeta ucraino Taras Ševčenko, a Firenze. La statua, in bronzo, è stata realizzata dall’artista ucraino Oleh Pinčuk. A Kiev nel 2015 fu donato dalla città di Firenze un monumento dedicato a Dante.[8]
Joan Didion vincitrice del National Book Award nel 2005 per la saggistica con il libro L'anno del pensiero magico.
Figlia di Frank Reese Didion e Eduene Jerrett, Joan Didion è nata e cresciuta a Sacramento. Ricorda di aver cominciato a scrivere sin dall'età di cinque anni, ma è solo alla pubblicazione del suo primo romanzo che dichiara di considerarsi una scrittrice[2]. Dopo aver imparato a leggere, diviene assidua frequentatrice della biblioteca, chiedendo spesso dei permessi scritti a sua madre per poter prendere in prestito libri destinati agli adulti, specialmente biografie. Si è definita una "bambina timida, amante di libri", che cercò di impegnarsi a superare la sua ansia sociale attraverso la recitazione e parlando in pubblico[2].
Da bambina, a causa della professione del padre, membro delle United States Army Air Forces durante la Seconda Guerra Mondiale, non poté frequentare le scuole regolarmente per i continui trasferimenti della famiglia. Nel 1943, Joan e la madre si stabilirono definitivamente a Sacramento, mentre il padre, per impegni militari, andò ad abitare a Detroit. Didion scrisse nel suo memoir del 2003, Where I was from, che trasferirsi così spesso la faceva sentire come un’eterna estranea.[2]
Nel 1956 si laureò presso l'Università della California, Berkeley con un Bachelor of Arts in Lettere. Durante il secondo anno di studio vinse un concorso di saggistica sponsorizzato dal mensile di moda Vogue che le affidò un lavoro come assistente alla ricerca presso la rivista.[3]
Nel corso dei due anni in cui lavorò a Vogue, Joan Didion venne promossa da copywriter a redattrice associata. In questo periodo scrive il suo primo romanzo, Run, River, pubblicato nel 1963. Successivamente si trasferisce di nuovo in California con il marito, lo scrittore John Gregory Dunne, e nel 1968 pubblica Verso Betlemme, il suo primo lavoro di saggistica, costituito da una raccolta di articoli scritti per riviste sulla sua esperienza in California.[4] Nel 1979 esce The White Album, un'altra raccolta di articoli pubblicati in precedenza su riviste quali Life, Esquire, The Saturday Evening Post, The New York Times, e The New York Review of Books. Prendila così, ambientato a Hollywood, viene pubblicato nel 1970, a cui segue nel 1977 Diglielo da parte mia. Un altro libro di narrativa, Democracy, che narra la storia di un amore non corrisposto tra una ricca ereditiera e un uomo anziano, agente della CIA, sullo sfondo della Guerra Fredda e della Guerra del Vietnam, viene dato alle stampe nel 1984. Miami (1987), libro di saggistica, narra della comunità di espatriati cubani a Miami.
Nel corso degli anni '90 pubblica After Henry (1992), una collezione di dodici saggi geografici, e quattro anni dopo The Last Thing He Wanted (1996), un thriller romantico. John Gregory Dunne e Joan Didion lavorarono a lungo insieme per gran parte delle loro carriere. Insieme a Dunne, la Didion scrisse un gran numero di sceneggiature, incluso un adattamento del suo romanzo Prendila così per un film che avrebbe avuto come protagonisti Anthony Perkins e Tuesday Weld. A seguito della morte del marito e della dura malattia della loro figlia Quintana, adottata nel 1966, Joan Didion scrive L'anno del pensiero magico. Iniziato il 4 ottobre 2004, viene terminato 88 giorni dopo, il giorno della vigilia di Capodanno.[5] Dopo la sua pubblicazione, Didion fu impegnata in un tour di promozione, corredato da diverse letture pubbliche e interviste, che rivestì per lei un ruolo terapeutico per l'elaborazione del lutto.[6]
Nel 2006 viene pubblicata dalla Everyman's Library una raccolta di gran parte degli scritti dell'autrice, intitolata We Tell Ourselves Stories in Order to Live. Introdotto da un critico suo contemporaneo, John Leonard, il libro raccoglie in testo integrale i primi sette libri di saggistica da lei pubblicati: Verso Betlemme, The White Album, Salvador, Miami, After Henry, Political Fictions, and Where I Was From. Nel 2007 inizia a lavorare su un monologo basato su L'anno del pensiero magico. Prodotta da Scott Rudin, quest'opera teatrale viene rappresentata a Broadway dall'attrice Vanessa Redgrave. Sebbene esitante nei confronti della scrittura di un'opera teatrale, Didion ha dichiarato di trovare questo genere abbastanza emozionante.[6] Nel 2011 viene pubblicato Blue Nights, un memoir sull'età che avanza. Il libro è incentrato sulla figlia di Joan Didion, Quintana Roo Dunne,[7] morta nel 2005, poco prima della pubblicazione del suo precedente memoir, L'anno del pensiero magico. Una foto di Joan Didion scattata da Juergen Teller viene usata come parte della campagna Primavera/Estate del marchio di lusso francese Céline.[8]
A New York, durante il periodo di lavoro a Vogue, Didion incontra John Gregory Dunne, suo futuro marito, che al tempo scriveva per Time. John Gregory Dunne era il fratello più giovane dello scrittore, uomo d'affari e presentatore televisivo Dominick Dunne. La coppia si sposò nel 1964 e si trasferì a Los Angeles poco dopo, con l'intenzione di rimanere solo per un breve periodo, ma la California divenne invece la loro casa per i successivi venti anni.
Due sono le tragedie che hanno colpito la scrittrice nell'arco di meno di due anni. il 30 dicembre 2003, mentre la loro figlia Quintana era ricoverata in stato comatoso presso il reparto di cura intensiva in seguito allo shock settico causatole da una polmonite, suo marito fu vittima di un fatale attacco di cuore durante una cena. Didion attese tre mesi prima di organizzare il funerale del marito, poiché voleva che sua figlia fosse in grado di partecipare al funerale del padre. Visitando Los Angeles dopo il funerale del padre, Quintana soffrì di un grave ematoma, per il quale dovette subire una lunga operazione chirurgica[5]. Dopo essersi ripresa nel 2004, morì di pancreatite acuta il 26 agosto 2005, all'età di 39 anni. Didion scrisse di questa esperienza nel suo libro del 2011, Blue Nights.
Nel saggio che ha lo stesso titolo che dà il nome alla raccolta, The White Album, Didion racconta di una crisi nervosa vissuta nell'estate del 1968. Dopo una valutazione psichiatrica, le venne diagnosticato un attacco di vertigini e nausea. Successivamente, venne scoperto che era affetta da sclerosi multipla.[9] Dal 1979 al 2004 Didion ha vissuto a Brentwood Park, in California, un tranquillo sobborgo residenziale di Los Angeles. Dal 2005 si è trasferita a New York, dove visse in un appartamento sulla East 71st Street[5]. Alla sclerosi multipla si aggiunse poi la malattia di Parkinson, le cui complicazioni l'avrebbero condotta alla morte, avvenuta sul finire del 2021. [10]
Il nuovo giornalismo cerca di comunicare i fatti attraverso un racconto di tipo narrativo e tramite l'uso di tecniche letterarie. Questo stile, nato negli anni '60 e '70 negli Stati Uniti in contrasto con il giornalismo tradizionale, è stato descritto anche come "saggistica creativa", "giornalismo intimo", o "saggistica letteraria". Il termine raggiunse una certa popolarità nel 1973 con la pubblicazione di una collezione di articoli nell'antologia The New Journalism (1973) curata da Tom Wolfe, il quale sostenne la necessità di passare a un tipo di giornalismo da leggersi "come un romanzo".[11]
La soggettività diventa il tema chiave nel New Journalism. Gli scrittori che si identificano in questa corrente non raccontano puramente i fatti, in modo oggettivo e senza interventi personali, ma sentono la necessità di una maggiore libertà creativa che permetta di rappresentare una realtà filtrata da loro personalmente, arricchita dal dialogo e dagli scenari della situazione. La voce dell'autore è critica verso il lettore, creando opinioni e pensieri riguardo all'opera stessa.[12]
Verso Betlemme (1968), che esplora i valori culturali e le esperienze della vita americana negli anni Sessanta, viene considerato un classico del New Journalism,[13]. Didion include i suoi sentimenti personali e i suoi ricordi nella narrazione in prima persona, descrivendo gli individui e il modo con cui essi concepiscono il mondo. La scrittrice rifiuta il giornalismo convenzionale, preferisce avere un approccio soggettivo rispetto ai saggi. Il suo stile si fa unico e inconfondibile.
Nello stesso tempo con questo libro Didion si allontana da autori fondamentali di questa nuova corrente giornalistica, come Tom Wolfe o Norman Mailer. Verso Betlemme, grazie al suo ricorso a silenzi e reticenze autoriali, possiede una prosa più affine al Truman Capote di A sangue freddo (1966).[14]
Nel 2002 Didion ha ricevuto il St. Louis Literary Award dalla Saint Louis University Library Associates.[15][16]
L'anno del pensiero magico ha vinto il National Book Award per la saggistica nel 2005[17] ed è stato definito "un capolavoro di due generi: memoir e giornalismo investigativo."[6]
Nel 2007 l'autrice ha ricevuto il Medal for Distinguished Contribution to American Letters[18] dalla National Book Foundation e l'Evelyn F. Burley Award dal Writers Guild of America.[19]
Nel 2009 le è stato conferito il titolo onorario di Dottore di Lettere dalla Harvard University.[20]
L'Università Yale le ha conferito un altro titolo onorario di Dottore di Lettere nel 2011.[21]
Il 3 luglio 2013 la Casa Bianca ha annunciato che Didion era tra i beneficiari della National Medal of Arts and Humanities, conferita dal presidente statunitense Barack Obama in persona.[22]
Run, River (1963)
Play As It Lays (1970)
A Book of Common Prayer (1977)
Democracy (1984)
Il suo ultimo desiderio (The Last Thing He Wanted) (1996)
Slouching Towards Betlehem (1968)
The White Album (1979)
Miami (1987)
After Henry (1992)
Political Fictions (2001)
Where I Was From (2003)
Fixed Ideas: America Since 9.11 (2003, prefazione di Frank Rich)
Vintage Didion (2004, estratti selezionati di opere precedenti)
The Year of Magical Thinking (2005)
We Tell Ourselves Stories in Order to Live: Collected Nonfiction (2006, include i primi sette volumi delle raccolte di saggi)
Blue Nights (2011)
The Year of Magical Thinking (2006)
Panico a Needle Park (1971)
Play It As It Lays (1972) (basato sul suo romanzo)
È nata una stella (1976)
L'assoluzione (1981) (basato sul romanzo Verità confessate di suo marito John Gregory Dunne)
Qualcosa di personale (1996)
Prendila così, trad. di Adriana Dell'Orto, Milano, Bompiani, 1978; Milano, Il Saggiatore, 2014. ISBN 9788842818373
Diglielo da parte mia, trad. di Adriana Dell’Orto, Milano, Bompiani, 1979; Roma, Edizioni E/O, 2013. ISBN 9788866323990
Democracy, trad. di Rossella Bernascone, Milano, Frassinelli, 1984; Roma, Edizioni E/O, 2014. ISBN 9788866325024
Miami, trad. di Teresa Martini, Milano, Mondadori, 2006; Milano, Il Saggiatore 2016
L'anno del pensiero magico. Monologo, trad. di Vincenzo Mantovani, Milano, Il Saggiatore, 2008. ISBN 9788856500066
Verso Betlemme. Scritti 1961-1968, trad. di Delfina Vezzoli, Milano, Il Saggiatore, 2008. ISBN 9788842814818
L'anno del pensiero magico, trad. di Vincenzo Mantovani, Milano, Il Saggiatore, 20006. ISBN 9788856500981
Blue nights, trad. di Delfina Vezzoli, Milano, Il Saggiatore, 2012. ISBN 9788842817574
The White Album, trad. di Delfina Vezzoli, Milano, Il Saggiatore, 2015. ISBN 9788842821472
Run river, trad. di Sarah Victoria Barberis, Milano, Il Saggiatore, 2016. ISBN 9788842822370
Nel paese del Re pescatore (ed. or. After Henry), trad. di Sara Sullam, Milano, Il Saggiatore, 2017. ISBN 9788842823599
Da dove vengo. Un'autobiografia, trad. di Sara Sullam, Milano, Il Saggiatore, 2018. ISBN 9788842825203
https://www.sololibri.net/joan-didion-addio-icona-letteraria.html
Chiara Albertini ha intervistato la scrittrice Nguyễn Phan Quế Mai, in libreria con il romanzo “Quando le montagne cantano”, un romanzo “corale” dall'ampio respiro epico e di forte impatto emotivo che ripercorre diverse generazioni con il proposito di onorare i ricordi delle persone e le loro diverse prospettive. Perché, come afferma la stessa autrice, credere nella necessità di ascoltare prospettive differenti, semplicemente ascoltando gli altri, ci permette di arricchire la nostra comprensione della Storia e del mondo.
Richard Powers è un acclamato romanziere statunitense, esaltato dalla critica tra i migliori e più influenti scrittori americani del momento. Nasce a Evanston nel 1957, dove vive i primi anni della sua infanzia prima di trasferirsi con la famiglia in Tailandia. Torna negli USA all’età di sedici anni, ed è qui che completa gli studi. Durante gli anni universitari intraprende anche un percorso in Fisica, che abbandona però in favore della Letteratura Inglese. Si laurea in questa materia presso la University of Illinois at Urbana–Champaign nel 1980. Oggi è tuttora professore emerito della facoltà. Da sempre interessato alle scienze e all’effetto che la sperimentazione scientifica estrema può avere sull’umanità, lavora per anni come programmatore e come insegnante all’Università di Stanford a Palo Alto, in California. Ma la sua passione è la scrittura e la sua carriera letteraria inizia nel 1985 con la pubblicazione del suo primo romanzo, Tre contadini che vanno a ballare.
Negli anni ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il MacArthur Fellowship nel 1989, il National Book Award nel 2008, il Premio Pulitzer per la sezione narrativa con il romanzo Il sussurro del mondo nel 2019.Sebbene sia famoso per i suoi romanzi, l’autore ha scritto anche alcuni racconti brevi e saggi. Scopriamo insieme alcuni romanzi ha scritto Richard Powers.
Nelle sue opere particolare attenzione va ai tipi di linguaggi: il linguaggio segreto delle piante, la complessità del dialogo tra linguaggi scientifici e artistici. Vi troviamo anche ricerche scientifiche, riflessioni filosofiche e personaggi complessi ed eccentrici.
Centrale a tanti dei suoi romanzi la crisi dell’umanità, sempre più tecnologica, che si allontana dalla natura e la possibilità di speranza operando un cambiamento di prospettiva, allontanandosi dal materialismo, dal consumismo e dalla cultura del possesso. Vi troviamo un’attenzione particolare alla devastazione dello “specismo” come grande difetto e crisi nella società umana e anche all’ambiente, anche se la grande protagonista dei romanzi di Powers è la scienza.
Tra i più celebri c’è senz’altro il libro che gli è valso il Premio Pulitzer, Il sussurro del mondo, edito in Italia da La nave di Teseo. Pat, studioso di botanica, dopo anni trascorsi nella foresta, tra la natura e gli animali, scopre che gli alberi comunicano tra di loro. Il suo destino si intreccia con intreccia con quello di altri nove personaggi, che giungono in California per salvare una sequoia dal pericolo di essere distrutta
Il profilo che i lettori si erano costruiti leggendo le interviste pubblicate era il seguente: quello di una donna, insegnante, talentuosa autrice di bestseller di fama mondiale, che scrive sotto pseudonimo per tutelare il suo anonimato. Vi ricorda qualcuno? Sebbene la scrittrice spagnola Carmen Mola sia un’autrice di thriller, viene spesso associata all’italiana Elena Ferrante, proprio per il discorso dell’identità misteriosa.
Nel caso della celebre autrice spagnola però, il mistero è stato dissipato alla cerimonia di premiazione Planeta, avvenuta il 16 ottobre 2021 a Barcellona, alla presenza del re Felipe VI, dove è stata rivelata la vera identità dell’autrice. A ritirare il premio sul palco infatti anziché una donna sono state tre persone di sesso maschile. Tre scrittori dunque dietro lo pseudonimo femminile Carmen Mola: Jorge Díaz, Agustín Martínez e Antonio Mercero. Scopriamo insieme chi sono.
La Elena Ferrante spagnola ha finalmente calato la maschera, rivelando la sua vera identità. Chi è Carmen Mola, dunque? Fino a poco tempo fa le informazioni che si avevano su di lei, emerse da diverse interviste, erano le seguenti: l’autrice era una donna spagnola nata a Madrid, che lavorava come professoressa; sposata e madre di tre figli, dal momento che ci teneva a mantenere l’anonimato scriveva sotto pseudonimo. Tra l’altro il nome si basa su un gioco di parole, dal momento che in spagnolo “molar” è un verbo che potrebbe essere tradotto in questa accezione in italiano come “spaccare, essere figo”. Quindi Carmen Mola significa qualcosa tipo “Carmen spacca”, o “Carmen è cool”.
Oggi sappiamo la verità: dietro questo pseudonimo scrivono Jorge Díaz, Agustín Martínez e Antonio Mercero, tre scrittori e sceneggiatori televisivi tra i 40 e i 50 anni molto famosi nel panorama televisivo spagnolo: hanno lavorato in programmi come On Duty Pharmacy, Central Hospital e No Heaven Without Breasts. Il pubblico in sala e il mondo letterario in generale, è stato così colto di sorpresa dalla rivelazione della vera identità di Carmen Mola.
Il romanzo vincitore del Premio Planeta si intotla La bestia, un thriller storico ambientato durante un’epidemia di colera nel 1834. Un giornalista, una giovane donna e un poliziotto sono sulle tracce di un temibile serial killer, che aggiunge vittime alla lunga lista di morti del periodo. Il romanzo, ancora inedito, dovrà essere pubblicato da Planeta, al contrario degli altri libri già editi, usciti per Penguin Random House.
I libri che l’hanno resa celebre, però, fanno parte di una serie che vede come protagonista l’ispettrice Elena Blanco. Si tratta di thriller molto violenti, espliciti, con scene in cui il sangue scorre copioso. Il personaggio protagonista è una donna solitaria, che ama il karaoke e bere grappa, e che è a capo della misteriosa Brigada de Análisis de Casos. I tre romanzi che la riguardano si intitolano La nena, La red púrpura e La novia gitana.
In italiano è stato tradotto il suo romanzo d’esordio per Mondadori con il titolo La sposa di sangue.
Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, paesino delle Langhe in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino, anche se il giovane scrittore rimpiangerà sempre con malinconia i luoghi e i paesaggi del suo paese, visti come simbolo di serenità e spensieratezza e come luoghi dove trascorrere sempre le vacanze.
Una volta nella città piemontese di lì a poco il padre muore; questo episodio inciderà molto sull'indole del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso. Già nell'età dell'adolescenza Pavese manifestava attitudini assai diverse da quelle dei suoi coetanei. Timido ed introverso, amante dei libri e della natura, vedeva il contatto umano come il fumo negli occhi, preferendo lunghe passeggiate nei boschi in cui osservava farfalle e uccelli.
Rimasto dunque solo con la madre, anche quest'ultima aveva subìto un duro contraccolpo alla perdita del marito. Rifugiatasi nel suo dolore e irrigiditasi nei confronti del figlio, questa comincia a manifestare freddezza e riserbo, attuando un sistema educativo più consono ad un padre "vecchio stampo" che a una madre prodiga di affetto.
Un altro aspetto inquietante che si ricava dalla personalità del giovane Pavese è la sua già ben delineata "vocazione" al suicidio (quella che lui stesso chiamerà il "vizio assurdo"), che si riscontra in quasi tutte le lettere del periodo liceale, soprattutto quelle dirette all'amico Mario Sturani.
Il profilo e le ragioni del temperamento pavesiano, segnato da profondi tormenti e da una drammatica oscillazione fra il desiderio di solitudine e il bisogno degli altri, è stato letto in più modi: per alcuni sarebbe il fisiologico risultato di un'introversione tipica dell'adolescenza, per altri la risultante dei traumi infantili sopra richiamati. Per altri ancora vi si cela il dramma dell'impotenza sessuale, forse indimostrabile ma che trapela in controluce in alcune pagine del suo celebre diario "Il Mestiere di vivere".
Compie gli studi a Torino dove ha come professore al liceo Augusto Monti, figura di grande prestigio della Torino antifascista e al quale molti intellettuali torinesi di quegli anni devono molto. Durante questi anni Cesare Pavese prende anche parte ad alcune iniziative politiche a cui aderisce con riluttanza e resistenza, assorbito com'è da problematiche squisitamente letterarie.
Successivamente si iscrive all'Università nella Facoltà di Lettere. Mettendo a frutto i suoi studi di letteratura inglese, dopo la laurea (presenta la tesi "Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman"), si dedica a un'intensa attività di traduzioni di scrittori americani (come ad esempio Sinclair Lewis, Herman Melville, Sherwood Anderson).
Nel 1931 Pavese perde la madre, in un periodo già pieno di difficoltà. Lo scrittore non è iscritto al partito fascista e la sua condizione lavorativa è molto precaria, riuscendo solo saltuariamente a insegnare in istituti scolastici pubblici e privati. Dopo l'arresto di Leone Ginzburg, un celebre intellettuale antifascista, anche Pavese viene condannato al confino per aver tentato di proteggere una donna iscritta al partito comunista; passa un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il già citato diario "Il mestiere di vivere" (edito postumo nel 1952). Intanto diviene, nel 1934, direttore della rivista "Cultura".
Tornato a Torino pubblica la sua prima raccolta di versi, "Lavorare stanca" (1936), quasi ignorata dalla critica; continua però a tradurre scrittori inglesi e americani (John Dos Passos, Gertrude Stein, Daniel Defoe) e collabora attivamente con la casa editrice Einaudi.
Il periodo compreso tra il 1936 e il 1949 la sua produzione letteraria è ricchissima.
Durante la guerra si nasconde a casa della sorella Maria, a Monferrato, il cui ricordo è descritto ne "La casa in collina". Il primo tentativo di suicidio avviene al suo ritorno in Piemonte, quando scopre che la donna di cui era innamorato nel frattempo si era sposata.
Alla fine della guerra si iscrive al Pci e pubblica sull'Unità "I dialoghi col compagno" (1945); nel 1950 pubblica "La luna e i falò", vincendo nello stesso anno il Premio Strega con "La bella estate".
Il 27 agosto 1950, in una camera d'albergo a Torino, Cesare Pavese, a soli 42 anni, si toglie la vita. Lascia scritto a penna sulla prima pagina di una copia de "I dialoghi con Leucò", prefigurando il clamore che la sua morte avrebbe suscitato: "Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi".
Dialoghi con Leucò
Poesie
Racconti
Lotte di giovani e altri racconti 1925-1939
La collana viola. Lettere 1945-1950
Letteratura americana e altri saggi
Il mestiere di vivere (1935-1950)
Dal carcere
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Poesie del disamore
Prima che il gallo canti
La spiaggia
Paesi tuoi
Feria d'agosto
Vita attraverso le lettere
Lavorare stanca
“Ho scelto da tempo di raccontarvi il (mio) mondo attraverso il potere immaginifico delle fotografie e quello evocativo delle parole”. Roberto Cotroneo, appassionato fotografo e scrittore di una trentina di libri, da sempre è un attento osservatore della realtà in cui viviamo ed è nell'Arte - compreso l'amore per la Musica - che ritrova il suo ossigeno.
Roberto Cotroneo è recentemente uscito in libreria per Neri Pozza con il suo ultimo romanzo Loro, una rivisitazione della ghost story dal sapore fortemente gotico. Attraverso le pagine di questo libro, che in quanto cariche di una costante suspense costituiscono una vera e propria calamita per il lettore, l’esplorazione del tema universale della dicotomia bene-male viene proposta attraverso un’architettura strutturale ben articolata e un’inquietante poliedricità semantica, riuscendo a offrire come risultato finale un mosaico variopinto dove ogni piccola tessera combacia l’una con l’altra in un incastro perfetto e geniale, che non ammette repliche.
Jean Giono nasce il giorno 30 marzo 1895 a Manosque, nella Provenza francese. Il padre è di origini piemontesi, di professione calzolaio, mentre la madre lavora come stiratrice: tra l'officina del padre e l'atellier della madre, il piccolo Jean legge da autodidatta Omero e la Bibbia.
Le difficoltà finanziarie dei genitori non gli permettono di terminare gli studi in collegio, così proprio mentre sta per scoppiare la Prima Guerra Mondiale, nel 1914 abbandona il proprio percorso scolastico per diventare impiegato di banca. Terminato il conflitto nel 1919 riprende a lavorare. L'anno seguente Jean Giono si unisce in matrimonio con Elise, un'amica d'infanzia: dalla coppia nascono due figle, Aline (1926) e Sylvie (1934).
Il background culturale di Giono è caratterizzato dalla sua condizione di autodidatta ma anche dal grande e vasto sapere, frutto della sua curiosità universale. Nel 1930 pubblica "Collines" e "Un de Baumugnes", opere che ottengono un buon successo editoriale, tanto che Giono decide di abbandonare il suo impiego in la banca per dedicarsi completamente alla letteratura.
In campo letterario conosce e instaura amicizie con Lucien Jacques, André Gide e Jean Guéhenno.
Il suo romanzo "Le grand troupeau", del 1931, è un'opera che racconta quanto l'autore sia stato segnato dalla guerra. All'età di vent'anni e durante quattro interminabili anni, Giono aveva conosciuto l'inferno dei campi di battaglia, da Eparges a Verdun, tanto che conterà solo undici superstiti nella sua compagnia.
Giono rimarrà sempre legato alla sua città natale, Monosque, lasciandola solamente per alcuni brevi soggiorni a Parigi e per brevi viaggi all'estero: tra i più importanti c'è quello che gli permette di scrivere "Viaggio in Italia", pubblicato nel 1953.
Sempre nel 1953 ottiene il "Premio Ranieri di Monaco", per l'insieme della sua opera. Nel 1954 entra a far parte dell'Accademia Goncourt e nel 1963 del Consiglio Letterario di Monaco.
Autore inesauribile, l'opera omnia di Giono comprende saggi, dialoghi, poesie, commedie teatrali e circa trenta romanzi, tra i quali ricordiamo "Le chant du monde", "Que ma joie demeure", "Un roi sans divertissement", "Hussard sur le toit" (L'ussaro sul tetto), "Le moulin de Pologne". Ha firmato inoltre il soggetto di numerosi film, tra i lavori il più noto è "L'Ussaro sul tetto".
Jean Giono muore a Monosque il 9 ottobre 1970.
Di lui Henry Miller ha scritto: "Nell'opera di Giono chiunque possiede una dose sufficiente di vitalità e di sensibilità, riconosce subito 'le chant du monde'. Secondo me questo canto, di cui egli ci dà con ogni nuovo libro delle variazioni senza fine, è molto più prezioso, più commovente, più poetico del Cantico delle creature".
Ha vinto il Premio Strega 2017 col romanzo Le otto montagne.
Nato a Milano nel 1978, ha studiato matematica all'Università degli Studi di Milano prima di lasciare gli studi accademici e diplomarsi, nel 1999, alla Civica Scuola di Cinema di Milano. Nel decennio successivo si è dedicato alla realizzazione di documentari a carattere sociale, politico e letterario.
Come scrittore ha esordito nel 2003 con il racconto Fare ordine, vincitore del Premio Subway-Letteratura e l'anno successivo all'interno dell'antologia La qualità dell'aria, curata da Nicola Lagioia e Christian Raimo. Negli anni seguenti ha pubblicato tre raccolte di racconti: Manuale per ragazze di successo (2004), Una cosa piccola che sta per esplodere (2007) e Sofia si veste sempre di nero (2012), tutti usciti per minimum fax.
Nel 2009 ha vinto il premio Lo Straniero, riconoscimento attribuito dalla rivista Lo Straniero diretta da Goffredo Fofi ad artisti, saggisti, operatori, iniziative culturali e sociali di particolare spessore e generosità, con la seguente motivazione: "Paolo Cognetti, milanese, è tra i giovani scrittori italiani (ha da poco superato i trent'anni) uno dei più attenti a sentire e narrare il disagio delle nuove generazioni e gli anni difficili dell'adolescenza di questi anni, di fronte a un contesto di incerta sostanza e di sicurezza precaria. È anche autore di documentari e inchieste sulla giovane letteratura statunitense, ma sono le sue raccolte di racconti ad aver convinto del suo talento e del suo rigore, e della sua moralità di scrittore vero".[1]
Ha frequentato New York per diversi anni tra il 2004 e il 2016. Dopo una serie di documentari sulla letteratura americana (Scrivere/New York, 2004) ha pubblicato nel 2010 New York è una finestra senza tende, seguito nel 2014 da Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, due guide personali alla città di New York. Nel 2015 ha curato per Einaudi l'antologia New York Stories, una raccolta di racconti newyorkesi dei grandi scrittori del Novecento.
L'altro luogo di Cognetti è la montagna, in particolare la Valle d'Aosta, dove ha trascorso le estati d'infanzia ed è tornato a vivere dopo i trent'anni. Dai suoi primi eremitaggi è nato un diario, Il ragazzo selvatico, del 2013. Nel 2014 è uscito A pesca nelle pozze più profonde, una meditazione sull'arte di scrivere racconti. Nel 2016 è uscito per Einaudi il suo primo romanzo: Le otto montagne, venduto in 30 paesi ancor prima della pubblicazione,[2] con il quale si è aggiudicato il Premio Strega 2017[3], il Prix Médicis étranger, l'English Pen Translates Award, il Premio Itas e il Grand Prize del Banff Mountain Book Competition.[4].
Dal 2017 ha organizzato, con l'associazione culturale Gli urogalli, tre edizioni (2017-2018-2019) de "Il richiamo della foresta", festival di arte, libri e musica in montagna, intorno al terzo fine settimana di luglio, a 1800 m. s.l.m. a Estoul - Brusson, Valle d'Ayas (AO).
Nel 2018 è uscito per Einaudi Senza mai arrivare in cima, racconto di viaggio basato sulla sua esperienza nelle montagne dell'Himalaya.
Les Huit Montages: edizione francese di Le otto montagne, 2017
Manuale per ragazze di successo, Roma, Minimum fax, 2004. ISBN 88-7521-034-9. [sette racconti]
Una cosa piccola che sta per esplodere, Roma, Minimum fax, 2007. ISBN 978-88-7521-137-0. [raccolta di cinque racconti. Vincitore del Premio Settembrini 2008, sezione giovani. Finalista al Premio Chiara 2008. Vincitore del Premio Renato Fucini 2009]
Sofia si veste sempre di nero, Roma, Minimum fax, 2012. ISBN 978-88-7521-440-1. [romanzo di racconti. Finalista al Premio Strega 2013]
Il nuotatore, con Mara Cerri, Roma, Orecchio Acerbo, 2013. ISBN 978-88-96806-66-1.
Le otto montagne, Torino, Einaudi, 2016. ISBN 978-88-06-22672-5. [romanzo. Vincitore del Premio Strega Giovani 2017. Vincitore del Premio Strega OFF 2017[5]], del Prix Médicis étranger e dell'English Pen Translates Award nel 2017[4].
New York è una finestra senza tende, con DVD, Roma-Bari, Laterza, 2010. ISBN 978-88-420-9218-6. [prima parte di una guida alla città di New York]
Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna, Milano, Terre di Mezzo, 2013. ISBN 978-88-6189-235-4.
Tutte le mie preghiere guardano verso Ovest, Torino, Edt, 2014. ISBN 978-88-592-0450-3. [seconda parte di una guida alla città di New York]
A pesca nelle pozze più profonde. Meditazioni sull'arte di scrivere racconti, Roma, Minimum fax, 2014. ISBN 978-88-7521-594-1.
Senza mai arrivare in cima, Einaudi, 2018.[6]
Fare ordine [Genere: storia d'amore; 1 racconto da 5 fermate], Milano, Comune, Settore giovani, 2003.
Manuale per ragazze di successo in La qualità dell'aria. Storie di questo tempo, a cura di Nicola Lagioia e Christian Raimo, Roma, Minimum fax, 2004. ISBN 88-7521-012-8.
I lanciatori, in effe – Periodico di Altre Narratività, numero 6[7], 2017.
Erich Fromm nacque a Francoforte sul Meno da una famiglia di religione ebraica molto osservante. Nel 1922 ottenne il dottorato in sociologia all'università di Heidelberg con una tesi dal titolo Sulla funzione sociologica della legge giudaica nella Diaspora. In seguito studiò psicologia all'Università di Monaco e al Berliner Psychoanalytisches Institut di Berlino, dove venne analizzato da Hanns Sachs e dove seguì le lezioni di alcuni dei più famosi esponenti del movimento freudiano tra i quali Theodor Reik. Nel 1926 incominciò a esercitare la professione presso il sanatorio psicoanalitico di Heidelberg di Frieda Fromm-Reichmann che sposò il 16 giugno 1926 e da cui divorziò nel 1931. Nel 1930 divenne membro del famoso Istituto di ricerche sociali di Francoforte al quale era legato il gruppo di studiosi che diede vita alla cosiddetta scuola di Francoforte e nello stesso anno pubblicò la sua prima tesi sulla funzione delle religioni su una rivista edita da Freud, chiamata Imago.
Iniziò la sua carriera come psicoanalista freudiano ortodosso a Berlino. Dopo la presa del potere in Germania da parte dei nazisti Fromm si trasferì prima a Ginevra e il 25 maggio 1934 emigrò negli Stati Uniti dove compose quasi tutte le sue opere. Esattamente sei anni dopo, il 25 maggio 1940, diventò cittadino statunitense. Il 24 luglio 1944 sposò Henny Gurland, la quale nel 1948 si ammalò e morì quattro anni dopo, il 4 giugno 1952. Dopo circa un anno e mezzo Fromm si sposò per la terza volta il 18 dicembre 1953 con Annis Glove Freeman.
Fromm insegnò in varie università degli Stati Uniti fra le quali la Columbia, la Yale e la New York University fino al 1950, quando si trasferì a Cuernavaca, in Messico. Nel 1955 fu chiamato a dirigere il dipartimento di psicoanalisi dell'Università Nazionale di Città del Messico. Con Karen Horney e Harry Stack Sullivan si distinse in questo periodo come uno dei principali esponenti di quell'indirizzo "culturalista" che riuniva i freudiani revisionisti, protesi a sottolineare l'influenza dei fattori sociali nella formazione della personalità umana.
Nel 1974 si trasferì in Svizzera, a Muralto, dove morì cinque giorni prima del suo ottantesimo compleanno il 18 marzo 1980.
A partire dal suo primo lavoro del 1941, Fuga dalla libertà gli scritti di Fromm furono notevoli tanto per il loro commento sociale e politico quanto per i loro fondamenti filosofici e psicologici. Infatti, Fuga dalla libertà è considerata come una delle opere fondanti della psicologia politica. Il suo secondo lavoro importante, Dalla parte dell'uomo - indagine sulla psicologia della morale, pubblicato per la prima volta nel 1947, ha continuato e arricchito le idee di Fuga dalla libertà. Considerati insieme, questi libri hanno delineato la teoria del carattere umano di Fromm, che è stata una naturale eredità della teoria di Fromm della natura umana. Il libro più popolare di Fromm è stato L'arte di amare, un bestseller internazionale pubblicato per la prima volta nel 1956, che ha riassunto e completato i principi teorici della natura umana trovati in Fuga dalla libertà e Dalla parte dell'uomo, principi rivisitati in molte altre opere di Fromm.
https://www.filosofico.net/erichfromm.htm
Colette, pseudonimo di Sidonie-Gabrielle Colette (Saint-Sauveur-en-Puisaye, 28 gennaio 1873 – Parigi, 3 agosto 1954), è stata una scrittrice e attrice teatrale francese, considerata fra le maggiori figure della prima metà del XX secolo. Insignita delle più importanti onorificenze accademiche, nonché Grand'Ufficiale della Legion d'onore, fu la seconda donna nella storia della Repubblica Francese a ricevere funerali di stato (la prima era stata Sarah Bernhardt).
Colette è stata una delle grandi protagoniste della sua epoca, un mito nazionale: oltre che scrittrice prolifica fu attrice di music-hall, spesso nuda durante le sue esibizioni, autrice e critica teatrale, giornalista e caporedattrice, sceneggiatrice e critica cinematografica, estetista e commerciante di cosmetici. Ebbe tre mariti e un'amante, più volte fu al centro di scandali per le sue disinibite relazioni sentimentali con alcune personalità mondane, di ambo i sessi, della società francese.
Pur disprezzando le femministe della sua epoca[1], la sua vita e la sua opera letteraria furono la testimonianza di una donna libera, anticonformista ed emancipata, che sfidò le convenzioni e restrizioni morali, e che contribuì a rompere alcuni tabù femminili già a partire dalla sua prima creazione letteraria, il personaggio di Claudine "dall'ammiccante selvatichezza, dalla spregiudicata sensualità"[2] e, come la definirà Willy, "una tahitiana prima dell'avvento dei missionari […], più amorale che immorale"[3]. La fortunata serie delle Claudine, piena di un certo pigmento erotico, ai primi del XX secolo rivestiva un carattere osé notevole.
Figlia ultimogenita di un capitano degli zuavi in congedo, Jules Joseph Colette, e di una vedova in prime nozze di un ricco proprietario terriero, Sidonie Landoy (detta "Sido"), Colette cresce in Borgogna in grande libertà e a stretto contatto con la natura; ha un'infanzia felice circondata dall'affetto della famiglia, e fin da bambina impara ad amare la musica e i libri, può leggere tutto ciò che desidera: a sei anni già legge Honoré de Balzac, Alphonse Daudet, Prosper Mérimée e William Shakespeare. Con un padre sprovvisto di senso pratico, Colette viene educata soprattutto dalla madre, una donna perspicace, di mentalità moderna, atea dichiarata e anticonformista, che in paese dà scandalo prendendo a servizio ragazze madri[4]. Sido insegna alla figlia a osservare la natura e le trasmette la passione per il giardinaggio; in ricordo della madre, Colette scriverà il romanzo Sido.
Iscritta alla scuola pubblica di Saint-Sauveur-en-Puisaye, nel 1889 Colette supera brillantemente gli esami di Licenza (Brevet élémentaire) e di Licenza superiore (Certificat d'études primaires supérieures), abilitante all'insegnamento primario. Presumibilmente lo stesso anno conosce Henri Gauthier-Villars, il suo futuro primo marito.
Nel 1891, per problemi finanziari, la famiglia Colette si trasferisce a Châtillon-Coligny, destando così nella futura scrittrice grande rimpianto per l'amato paese natio. Fino al 1892 Colette si dedica ad approfondire la propria formazione musicale e teatrale, stringe il rapporto di conoscenza con Henri Gauthier-Villars, divenuto nel frattempo amico di famiglia, fino a fidanzarsi con lui.
Nel 1893 Colette sposa Henri Gauthier-Villars, noto con lo pseudonimo di Willy, più anziano di lei di quattordici anni, e si stabilisce a Parigi. Willy, scrittore, editore, pubblicitario, giornalista di satira di costume e feroce critico musicale, dirige e coordina all'interno di una sorta di officina letteraria, il lavoro di un nutrito gruppo di letterati emergenti, detti "gli schiavi"[5], i cui scritti egli dà alle stampe con il proprio nome. Con una fama da donnaiolo e viveur, Willy è un uomo molto in vista nell'ambiente artistico e mondano della belle époque parigina, e ama essere al centro dell'attenzione, provocare e scandalizzare.
Già al secondo anno di matrimonio Colette si ammala a causa, si presume, di una depressione dovuta alla scoperta dei tradimenti del marito, della vita insalubre che conduce a Parigi e, forse, di una malattia venerea, ristabilendosi dopo qualche mese.
Willy introduce Colette nell'ambiente artistico e mondano parigino e qui fa amicizia con Paul Masson, uno scrittore la cui specialità è produrre falsi letterari, Marcel Schwob, scrittore e traduttore, Mme Arman de Caillavet, la musa di Anatole France, Jean Lorrain, scrittore, e Marguerite Moreno, famosa attrice che diventa sua confidente, conosce fra gli altri La Bella Otero, Marcel Proust, Rachilde, Paul Valéry, Maurice Ravel e Claude Debussy.
Assieme a coloro che già lavorano per lui, Colette è invitata dal marito a collaborare alla sua officina letteraria, pertanto, con la firma congiunta "Colette Gauthier-Villars" appaiono, su giornali e riviste, le sue prime cronache musicali e collaborazioni giornalistiche. Willy inoltre incoraggia la moglie a trasferire in un libro anche le divertenti avventure di bambina che è solita narrargli, Colette inizia così a scrivere il suo primo romanzo, Claudine a scuola, il cui manoscritto verrà da Willy, dopo una prima lettura, giudicato inservibile e riposto in un cassetto per circa quattro anni.
Nel 1899 il manoscritto di Claudine a scuola viene riscoperto da Willy il quale, intuendone ora le potenzialità e con l'intento di proporne la pubblicazione, suggerisce a Colette di accentuarne i temi piccanti, che in origine erano appena accennati: «Non potreste […] rendere un po' piccante questo… queste bambinate? per esempio, fra Claudine e una delle sue compagne, un'amicizia troppo tenera…[6]». Nella stesura di questo primo romanzo, così come nei successivi della serie delle Claudine, ci furono interventi diretti per mano del marito ma, ad ogni modo, poiché il manoscritto originale di Claudine a scuola andò distrutto per ordine di Willy, l'entità del suo contributo rimane per gli studiosi di difficile quantificazione.
Nel 1900 viene pubblicato, a firma "Willy", Claudine a scuola (Claudine à l'école) che, grazie alle conoscenze e alla destrezza da impresario artistico di Willy, ottiene in breve tempo uno strepitoso successo[7], e rende a Colette, come dono da parte del marito, una proprietà campestre presso Besançon, molto amata dalla scrittrice.
Sfruttando l'onda del successo, Colette scrive il suo seguito, Claudine a Parigi (Claudine à Paris), che viene pubblicato nel 1901 sempre a firma "Willy". Questo secondo romanzo viene da Willy rapidamente trasposto in un'omonima commedia teatrale, interpretata dall'attrice Polaire, che l'anno successivo andrà in scena con successo ai Bouffes-Parisiens, entrando poi in tournée. Sempre nel 1901, mentre il numero delle tirature delle prime due Claudine continua a crescere, Colette, incoraggiata dal marito, che assieme a lei vi partecipa in ménage à trois, intreccia una relazione amorosa con Georgie Raoul-Duval, l'affascinante moglie di un miliardario americano, già nota per le sue seduzioni prevalentemente di tipo saffico. Stando alla testimonianza di Willy[8], l'intesa fra Colette e Georgie si interrompe allorquando Colette scopre che essa ha una relazione a due anche con Willy.
Georgie viene poi raffigurata da Colette nel personaggio di "Rézy" all'interno del romanzo Claudine amoureuse, pubblicato nel 1902, e mai messo in vendita poiché prontamente ritirato da Georgie nel tentativo di evitare uno scandalo. Lo stesso anno, viene pubblicato Claudine si sposa (Claudine en ménage), seconda stesura riveduta di Claudine amoreuse e, quindi, terzo romanzo della serie delle Claudine. Intanto, mentre il numero delle copie dei romanzi cresce e la commedia va in scena propagandata anche da Colette in abiti da Claudine, la coppia Willy-Colette si fa fotografare e intervistare da numerosi giornali e riviste, e Willy, abile pubblicitario che sa sfruttare le sue conoscenze, trasforma il personaggio di Claudine in un marchio che poi mette in vendita ad uso di fabbricanti di oggetti vari[9].
Il quarto romanzo della serie, Claudine se ne va (Claudine s'en va), viene pubblicato nel 1903, anch'esso come i precedenti uscito a firma del marito, il quale pubblicamente raccoglie tutto il merito e la gloria della serie sebbene la vera autrice sia sempre Colette: la cui immagine ufficiale a questo punto è diventata quella della moglie-adolescente devota al suo barbuto e maturo marito[10]. Solo dopo il loro divorzio la serie delle Claudine verrà pubblicata con le firme congiunte di Colette e Willy.
Claudine a scuola, assieme agli altri romanzi della serie, divenne così "uno dei maggiori best seller francesi di tutti i tempi"[11], creò un personaggio originale nella letteratura francese, "la prima teenager del secolo"[3], un personaggio che invase la Francia. Nei cabaret e nei caffè-concerto apparve «il tipo» Claudine, "si dice che non ci sia bordello di lusso che non abbia fra il personale una Claudine"[9], numerosi articoli commerciali lanciarono anch'essi "la moda Claudine"[11], apparvero così i "profumi Claudine", i "capelli alla Claudine", i "grembiuli alla Claudine", perfino le "cravatte alla Claudine".
Nel 1904 viene pubblicato Dialogues de bêtes, firmato Colette Willy, il primo libro di Colette in cui, accanto al nome del marito, compare anche il suo. Intanto Willy, sperando di rinnovare la tiratura delle Claudine, fa scrivere a Colette una versione più libertina del suo noto personaggio, dando così alle stampe Minne, pubblicato a nome "Willy", che l'anno successivo avrà un seguito, Les egarements de Minne, nel quale Colette, ormai stanca della sua sottomissione alle esigenze letterarie del marito, fa morire nel finale il personaggio principale impedendone così ulteriori sviluppi da parte del marito. Il 1905 è anche l'anno che vede la progressiva separazione della coppia Willy-Colette, l'uno ormai palesemente infedele alla moglie, l'altra che si avvicina sempre più al raffinato mondo della Lesbo parigina e che inizia ad esibirsi a teatro.
Attrice di music-hall
Nel 1906 Colette diventa compagna e protetta di "Missy", pseudonimo della marchesa Mathilde de Morny, una delle protagoniste del bel mondo e del demi-monde parigino, nota per il suo lesbismo che manifesta vestendosi da uomo. Colette, aiutata da Missy e ormai determinata a intraprendere una carriera teatrale da mima-danzatrice, si separa da Willy e cambia domicilio.
Nel 1907 al Moulin Rouge, durante la messa in scena della pantomima Rêve d'Égypte, Colette e Missy danno scandalo baciandosi con passione sul palco: dopo la seconda rappresentazione il prefetto Lépine vieterà lo spettacolo. Lo stesso anno Colette e Willy si separano legalmente e Colette fa pubblicare, a firma di "Colette Willy", il romanzo Il rifugio sentimentale (La retraite sentimentale): questo romanzo è l'ultimo atto della saga delle Claudine, nel quale l'autrice prende le distanze dall'ideale di coppia proposto nei precedenti quattro e nel quale il personaggio di "Renaud", marito di "Claudine", muore[10]. Lo stesso anno, i rapporti fra i due ex coniugi si fanno tesi allorquando Willy vende i diritti delle quattro Claudine e la proprietà campestre presso Besançon. Intanto Colette continua ad esibirsi a teatro.
Nel 1908 si fa notare dalla critica pubblicando su La Vie Parisienne dei testi, poi raccolti nel volume Viticci (Les vrilles de la vigne), uno dei quali (Nuit blanche) tratta della sua relazione con Missy. Prosegue la carriera teatrale di Colette, che si esibisce anche nel ruolo di Claudine, e nel 1909 scrive e interpreta una commedia per il teatro dal titolo En camarades. Sacha Guitry la sceglie come protagonista di una sua commedia e con lei tiene una conferenza teatrale: negli anni Colette proseguirà quest'attività di conferenziera. Ha un nuovo amante, il ricco Auguste Hériot, e lo stesso anno è ammessa alla Société des Auteurs, intraprende così una serie di azioni legali contro il marito, che le fruttano, tra l'altro, l'inserimento del suo nome nella serie Claudine, una percentuale sulle vendite e i diritti dei due romanzi Minne che, dopo averli rielaborati e fusi in un unico romanzo, pubblica con il titolo L’ingenua libertina (L'ingénue libertine).
Dopo il divorzio da Willy, nel 1910, Colette inizia le sue collaborazioni giornalistiche con il Paris-Journal e con Le Matin, ed è impegnata con una tournée teatrale. Esce a puntate, ne La Vie parisienne, La vagabonda (La vagabonde), che riscuote un discreto successo di critica e pubblico. Durante le vacanze estive Colette ammira le bellezze della Bretagna in una villa di Missy, che l'anno successivo gliela regalerà e sarà poi descritta nei suoi romanzi.
Il 1911 la vedrà impegnata in una tournée teatrale e, nella commedia Xantho chez les courtisanes, Colette si esibisce nuda e ingioiellata. Riceve una proposta di matrimonio da Heriot ma si lega al barone Henry de Jouvenel, divorziato e con un figlio, Bertrand de Jouvenel. De Jouvenel, detto "Sidi", è un giornalista politico e redattore capo de Le Matin quando conosce Colette è legato a un'altra donna, una contessa. Dopo varie traversie e sotterfugi per liberarsi dai rispettivi amanti, Colette e Sidi vanno a vivere assieme. Nonostante l'influente posizione del compagno, la coppia ha delle difficoltà economiche. Colette quindi non interrompe il suo lavoro di attrice e continua a collaborare con i giornali con racconti e articoli, anche di cronaca.
Nell'autunno del 1912 muore Sido, sua madre. Incinta, Colette sposa in dicembre Henry de Jouvenel, diventando la baronessa de Jouvenel.
Giornalista e critica teatrale
Nel 1913 Colette, pur incinta, continua a esibirsi a teatro e scrive I retroscena del music hall (L'envers du music hall) che viene pubblicato lo stesso anno. Pubblica anche il libro Prrou, Poucette et quelques autres: si tratta di una serie di dialoghi fra animali, e sulla rivista La Vie Parisienne viene pubblicato a puntate il romanzo L'ancora (L'entrave), con lo stesso personaggio protagonista de La vagabonda. Nasce a maggio la figlia: Colette Renée de Jouvenel, detta "Bel-Gazou". La bambina, affidata a una severa governante inglese, è da questa allevata in campagna, a Castel-Novel. Colette sarà una madre spesso assente; soprattutto durante l'infanzia e l'adolescenza della Piccola Colette, si manterrà in contatto con la figlia prevalentemente per corrispondenza.
Durante gli anni della prima guerra mondiale (1914 - 1918) l'attività giornalistica di Colette s'intensifica: nel 1914, raggiunto a Verdun il marito partito per il fronte, invia a Parigi dei reportage che, però, non passeranno la censura. Con l'entrata dell'Italia in guerra, nel 1915 Colette si reca a Roma dove incontra Gabriele d'Annunzio; da qui e da altre città italiane spedisce articoli a Parigi, articoli che successivamente saranno raccolti da lei nel volume Les Heureus longues. Ritornerà altre due volte in Italia, a Cernobbio nel 1916 e a Roma l'anno seguente, continuando a scrivere articoli per la stampa e intensificando il suo interesse per il cinema: scriverà infatti articoli di critica cinematografica e una sceneggiatura originale per il film La flamme cachée, sceneggiatura richiestale dalla società cinematografica fondata da "Musidora", attrice e amica di Colette, già protagonista di due film tratti dai suoi romanzi (Minne e La vagabonde). Durante la guerra, il suo lavoro di scrittrice non s'interrompe: pubblica tra gli altri La pace tra le bestie (La paix chez les bêtes, 1916). Il matrimonio con il marito invece, che nel frattempo ha intrapreso una carriera politica, conosce alti e bassi per via dei tradimenti di lui.
Nel 1919 esce in volume Mitsou ovvero come le fanciulle diventano sagge (Mitsou ou Comment l'ésprit vient aux filles) che, malgrado la critica sia discorde, ha successo. Fra gli estimatori di Mitsou c'è Marcel Proust il quale scrive: "Ho un poco pianto stasera, per la prima volta dopo molto tempo, eppure da un pezzo sono oppresso da dispiaceri, da sofferenze, e da seccature. Ma se ho pianto non è per tutto questo, è leggendo la lettera di Mitsou… Le due lettere finali sono il capolavoro del libro"[12]. Lo stesso anno Henry de Jouvenel riprende il suo lavoro di direttore a Le Matin e Colette è nominata caporedattrice della sezione letteraria del giornale del marito e successivamente assumerà anche l'incarico di critica teatrale. Nella sua nuova veste di importante giornalista e moglie di un uomo politicamente influente ha modo di conoscere i personaggi più noti di tutta Parigi (tra gli altri anche il presidente della repubblica, Raymond Poincaré).
Primi riconoscimenti ufficiali
Nel 1920 ne La Vie Parisienne viene pubblicato a puntate il romanzo Chéri, che subito suscita scandalo ma che annovera fra i suoi estimatori André Gide, che così scrive: "Da un capo all'altro del libro, non un cedimento, non una ridondanza, non un luogo comune"[13] e anche "Che splendido argomento è quello che ha scelto! E con quale intelligenza, padronanza e conoscenza dei segreti meno confessati della carne"[14]. Ma "quel che si scrive succede"[13] dice Colette, e infatti lo stesso anno, la quarantasettenne Colette conosce Bertrand de Jouvenel, il figlio diciassettenne del marito, con il quale instaura una relazione amorosa. Sempre quest'anno viene insignita della Legion d'onore con il grado di Cavaliere.
Nel 1921 Henry de Jouvenel diventa senatore ma, poiché una rivista tedesca pubblica una foto di Colette nuda risalente agli anni del teatro, viene stroncata la sua possibilità di diventare il futuro ambasciatore a Berlino: Colette farà di tutto perché il suo passato non sia nuovamente usato contro di lei. Intanto esce a teatro Chéri, riadattamento di Colette, in collaborazione con Léopold Marchand, del romanzo omonimo, che l'anno successivo sarà interpretato da Colette stessa nella parte di "Léa": il pubblico non si lascerà sfuggire l'occasione di notare la correlazione fra "Léa"-Colette e "Chéri"-Bertrand. Sempre nel 1922 esce La Maison de Claudine, un libro che rievoca luoghi e persone della sua infanzia a Saint-Sauveur. Vi si ritrova l'evocazione della casa natale: Grande maison grave...qui ne sourait que d'un côté (Grande casa bassa... che non sorrideva che da un lato). Intanto il matrimonio fra Colette e Henry de Jouvenel, anch'esso impegnato in relazioni extra-coniugali, entra sempre più in crisi.
Nel 1923 esce a puntate su Le Matin, Il grano in erba (Le Blé en herbe), la cui pubblicazione viene interrotta per scandalo dopo quattordici puntate; lo stesso anno verrà pubblicato in volume e sarà questo il primo libro firmato solo Colette (gli altri erano firmati "Colette Willy"). Intanto il marito tronca bruscamente i rapporti, forse a causa della chiacchierata relazione di Colette con Bertrand: iniziano così le trattative per il divorzio. L'anno successivo Colette interrompe la collaborazione con Le Matin (poiché il marito ne era il direttore) e inizia a collaborare con altri giornali, tra i quali Le Figaro, vivendo dei proventi da giornalista e continuando a pubblicare altri libri (La Femme cachée e Aventures quotidiennes).
Nel 1925 la scrittrice è impegnata a portare in tournée la commedia Chéri, e Maurice Ravel musica l'opera di Colette Divertissement pour ma fille, facendone un balletto dal titolo L'Enfant et les sortilèges, che va in scena a Montecarlo. In occasione dello spettacolo, Marguerite Moreno giunge a Montecarlo con l'amico Maurice Goudeket, un commerciante di perle, che s'innamora, corrisposto, di Colette. Intanto Colette e Bertrand de Jouvenel si lasciano e il divorzio con il marito diventa definitivo.
Nel 1926 esce La fine di Chéri (La fin de Chéri), il seguito di Chéri, nel quale il protagonista perseguitato dai ricordi del suo amore per "Léa" muore suicida. Colette si disfa di ciò che le ricorda il suo passato vendendo o affittando le sue precedenti abitazioni e compra in Costa Azzurra una casa immersa nel verde, poi descritta nei suoi libri. A teatro interpreta la parte di "Renée" ne La vagabonde, opera tratta dal suo omonimo romanzo. L'anno seguente gli intellettuali iniziano a interessarsi al complesso della sua produzione letteraria, e Colette durante l'estate, rileggendo le lettere di sua madre che affettuosamente descriveva ...petite dame toute ronde... vêtue de blanc... (...piccola signora rotondetta... vestita di bianco), inizia a scrivere La nascita del giorno (La naissance du jour) che sarà pubblicato con successo nel 1928: si tratta di una serie di ricordi, alcuni anche su sua madre. Sempre nel 1928 è promossa al grado di Ufficiale della Legion d'onore, l'anno seguente viaggia in Spagna, Marocco e Belgio raccogliendo impressioni che saranno poi trascritte nei suoi libri e pubblica La Seconda (La Seconde) e una prima versione del libro Sido.
Nel 1930 esce Sido, il romanzo di ricordi su sua madre e, durante un viaggio in crociera, inizia a scrivere Ces plaisirs… (il futuro Il puro e l'impuro) e pubblica Histoires pour Bel-Gazou.
Nel 1931 muore Willy e Colette si fa notare per la sua assenza ai funerali. Esce un film tratto da La vagabonda, con la sceneggiatura di Colette, primo film sonoro in Francia. Esce a puntate, sulla rivista Gringoire, Ces plaisirs…, la cui pubblicazione, per via dell'argomento scabroso, viene interrotta dopo solo tre puntate.
Affermazione definitiva
Nel 1932 Colette apre un istituto di bellezza nel quale distribuisce consigli di make-up e di bellezza alle dame parigine che lei stessa trucca personalmente. Visto il successo di questa impresa nascono quattro succursali e altri negozi vendono i prodotti e i cosmetici pubblicizzati e curati da Colette, con la sua immagine sulle etichette, disegnata da lei stessa. Pubblica Prisons et paradis, ma già l'anno successivo l'attività commerciale, sebbene riscuota successo, risulta sfibrante e rallenta il suo lavoro di scrittrice; nel 1933 collabora a una sceneggiatura per il cinema, diventa critico teatrale per Le Journal e pubblica La gatta (La chatte).
Gli anni dal 1934 al 1939 sono i meno prolifici per la Colette-scrittrice; in questo periodo infatti è molto impegnata nella sua attività di critica teatrale per Le Journal: le sue recensioni saranno ogni anno, per quattro anni, raccolte e pubblicate in un volume dal titolo Le Jumelle noire. Non smette comunque di pubblicare: nel 1934 esce il romanzo Duo, nel 1936 il romanzo autobiografico Il mio noviziato (Mes Apprentissages. Ce que Claudine n'a pas dit) che tratta dei suoi esordi e di Willy, e nel 1937 una raccolta di racconti dal titolo Bellavista (Bella-vista). Durante questo periodo, mentre la sua notorietà va accrescendosi sempre più, collabora per l'adattamento cinematografico del suo libro I retroscena del music-hall. Nel 1935 si sposa con Goudeket e trascorre il viaggio di nozze negli USA; lo stesso anno anche sua figlia si sposa separandosi poi, con scandalo, poche settimane dopo il matrimonio. Nel 1936 diventa Commendatore della Legion d'onore e viene ufficialmente eletta membro dell'Académie royale belge de langue et de littérature françaises. Nel 1938 si trasferisce a vivere al primo piano del Palais-Royal, sua dimora parigina definitiva, termina la sua collaborazione con Le Journal e inizia a collaborare per il Paris-Soir. Nel 1939 pubblica il seguito di Duo, Il cucciolaio (Le Toutounier), le viene diagnosticata un'artrosi all'anca e allo scoppio della seconda guerra mondiale collabora per Radio Paris-Mondial assieme al marito.
Colette, muovendosi sempre più a fatica per il progressivo peggioramento della sua artrosi, trascorre tutto il periodo della guerra a Parigi, chiusa dentro il suo appartamento al Palais-Royal, riuscendo a barcamenarsi con le spese grazie alle sue conoscenze e al suo senso pratico. In questi primi anni pubblica nel 1940 Camera d'albergo (Chambre d'hôtel), e nel 1941 Julie de Carneilhan, Journal à rebours, Mes cahiers, e Il puro e l'impuro (Le pur et l'impur), la versione definitiva di Ces plaisirs…, oltre ad una serie di articoli che diventeranno poi un libro Dalla mia finestra (De ma fenêtre). Sempre nel 1941 il marito, che è ebreo, viene arrestato e spedito in un campo di concentramento; l'anno successivo Colette riuscirà a farlo liberare, non si sa come, ma si presume sfruttando le sue amicizie. Nel 1942 esce su una rivista Gigi che sarà poi pubblicato due anni dopo assieme ad altri racconti. Nel 1943 pubblica Flore et Pomone e Il kepì (Le képi), una serie di racconti. Nell'anno della liberazione della Francia, il 1944, mentre la fama di Colette si consolida, sua figlia giunge a Parigi da partigiana. Al termine della guerra anche Bel-Gazou tenterà la strada del giornalismo: fra l'altro sarà l'autrice di un grande reportage sull'estate tedesca del '45, ma la notorietà della madre sarà per lei un ostacolo ineludibile: in seguito diventerà antiquaria e gli ultimi anni della sua vita (morirà nel 1981) li dedicherà a consacrare la memoria della madre.
Nel 1945 Colette viene eletta membro dell'Académie Goncourt, seconda donna dopo la scrittrice Judith Gautier, il marito intanto è diventato editore.
Nel 1946 intraprende una serie di cure per la malattia di cui soffre e pubblica L'Etoile Vesper; l'anno successivo la sua salute migliora un po' e Colette continua a partecipare alla vita accademica: riceve anche la visita di Truman Capote, che ne parlerà in uno dei suoi testi.
Nel 1948 si occupa della revisione e della raccolta dell'intera sua opera per l'edizione Le Fleuron, diretta dal marito, e pubblicata poi in 15 volumi (Œuvre complete, 1948-1950), un impegno colossale che la terrà occupata a lungo; pubblica anche Per un erbario (Pour un herbier).
Nel 1949 la fama di Colette è consacrata e, come a un "monumento delle lettere francesi […] istituzione vivente, testimone del tempo"[15]; all'interno del suo appartamento al Palais-Royal Colette vedrà sfilare un susseguirsi incessante di visitatori. Noto è anche il divano-letto sul quale Colette, semi paralizzata, lavora e passa gran parte del suo tempo. Diventa Presidente dell'Académie Goncourt e pubblica Le fanal bleu e il suo ultimo libro, En pays connu, una raccolta di scritti.
Nel 1950, fra spostamenti vari in cerca di cure e il lavoro di adattamento teatrale del suo romanzo La Seconda (che va in scena l'anno seguente), viene eletta presidente onoraria del Consiglio letterario del Principato di Monaco e riceve in visita la regina Elisabetta del Belgio.
Nel 1951, tornata a Montecarlo sempre in cerca di cure, nota all'Hôtel de Paris una giovane attrice, Audrey Hepburn, e la sceglie per interpretare la commedia Gigi, che andrà in scena a Broadway.
L'anno seguente le sue condizioni di salute peggiorano sempre di più: nel 1953, in occasione dei suoi 80 anni, l'idolo Colette riceve tributi e onorificenze quali la medaglia della Città di Parigi, l'elezione a membro onorario del National Institute of Art and Letters di New York e il grado di Grand'Ufficiale della Legion d'onore.
Nel 1954 Colette, giunta al termine della sua lunga malattia, muore il 3 agosto a Parigi, nella sua stanza al Palais-Royal. Non senza un seguito di polemiche e indignazioni, la Chiesa rifiuta i funerali religiosi; ciò nonostante Colette, prima donna in Francia, riceverà le esequie di stato nella corte d'onore del Palais-Royal. È sepolta nel cimitero di Père-Lachaise.
Colette fu una scrittrice prolifica, nella sua lunga carriera produsse circa un'ottantina di volumi fra romanzi, racconti, memorie, opere per il teatro, raccolte di articoli giornalistici e di recensioni teatrali, oltre ad una sterminata corrispondenza personale che venne raccolta e pubblicata in epistolari.
Claudine, serie composta da quattro romanzi con lo stesso personaggio protagonista:
1900 Claudine a scuola (Claudine à l'école)
1901 Claudine a Parigi (Claudine à Paris)
1902 Claudine sposata (Claudine en ménage)
1903 Claudine se ne va (Claudine s'en va)
1904 Cane & gatto (Dialogues de bêtes)
1907 Il rifugio sentimentale (La retraite sentimentale)
1909 L'ingenua libertina (L'ingénue libertine)
1910 La vagabonda (La vagabonde)
1913 I retroscena del music-hall (L'envers du music-hall)
1916 La pace tra le bestie (La paix chez les bêtes)
1917 Le ore lunghe 1914-1917 (Les heures longues 1914-1917)
1919 Mitsou ovvero come le fanciulle diventano sagge (Mitsou ou Comment l'esprit vient aux filles)
1923 Il grano in erba (Le Blé en herbe)
1926 La fine di Chéri (La fin de Chéri)
1928 La nascita del giorno (La naissance du jour)
1929 La seconda (La seconde)
1932 Prigioni e paradisi (Prisons et paradis)
1936 Il mio noviziato (Mes apprentissages. Ce que Claudine n'a pas dit)
1937 Bellavista (Bella-vista)
1939 Il cucciolaio (Le Toutounier)
1940 Camera d’albergo (Chambre d'hôtel)
1941 Il puro e l'impuro (Le pur et l'impur)
1941 Julie de Carneilhan (Julie de Carneilhan)
1942 Dalla mia finestra (De ma fenêtre)
1946 La stella del vespro (L'étoile Vesper)
1948 Per un erbario (Pour un herbier)
Alessandro Boffa
Alessandro Boffa è nato a Mosca. Ha fatto il biologo, ha vissuto a lungo in Estremo Oriente e in California, e ora abita a Roma. Sei una bestia, Viskovitz (1998) è il suo primo libro. Tradotto in oltre venti lingue è stato un grande successo in Italia e all’estero.
Sei una bestia, Viskovitz (1998) è il suo primo libro. Tradotto in oltre venti lingue è stato un grande successo in Italia e all’estero.
Non era facile per me accettare il fatto che mio padre fosse la moglie di sua madre.
Sei una bestia, Viskovitz è il libro di Alessandro Boffa, biologo e scrittore per caso. In ognuna delle venti «favole» che compongono il volume un narratore di nome Viskovitz ci parla della sua vita animalesca, calato di volta in volta nei panni di un ghiro, o una lumaca, uno squalo, un leone, uno scorpione, e molte altre bestie esplicitamente antropomorfe. Tutte le storie hanno elementi comuni: il narratore Viskovitz, ovviamente, ma anche i suoi amici (o antagonisti, sodali, fratelli) che si chiamano sempre Zucotic, Petrovic e Lopez, o il Grande Amore che porta sempre il nome Ljuba. In quanto vivente, Viskovitz ha i suoi tempi ben scanditi. Nasce, cresce, vive (sopravvive), si riproduce, cerca di non morire. Ma il suo pensiero dominante è il sesso, nei modi che solo un biologo può conoscere e raccontare: imprevedibile e aberrante quanto si vuole ma sempre necessario e funzionale all'imperativo della riproduzione (e rigorosamente amorale). Tra giochi di parole, battute demenziali, situazioni assurde, la galleria di animali che ci sfila davanti parrebbe convocata solo per farci ridere. Ma a ben vedere, come un nuovo sgangherato Esopo, Boffa affida a questi loquaci animali il compito di rappresentare la condizione umana in tutta la sua finitezza, vanità, maniacalità, lasciando in sospeso la questione fondamentale: siamo animali o bestie?
Marcela Serrano
Nasce a Santiago del Cile nel 1951. È figlia della romanziera Elisa Pérez Walker e del saggista Horacio Serrano, ed è la quarta di cinque sorelle, con due delle quali trascorre un anno a Parigi per studiare alla "Maison des Amériques". Nel 1973, a causa del golpe militare, lascia il Cile e si trasferisce in Italia a Roma.
Nel 1977 rientra definitivamente in Cile. Si iscrive alla facoltà di Belle Arti della Pontificia Università Cattolica del Cile, ottenendo il diploma in incisione nel 1983. In seguito lavora in diversi ambiti delle arti visive, vincendo anche un premio del Museo delle Belle Arti per un lavoro sulle donne del sud del Cile, ma presto abbandona queste attività. Sebbene cominci a scrivere molto presto, pubblica il suo primo romanzo, Noi che ci vogliamo così bene, nel 1991.
Il romanzo è la rivelazione dell'anno e vince nel 1994 il Premio Sor Juana Inés de la Cruz e il Premio Feria del Libro de Guadalajara e nel 1996 il premio della casa editrice francese Coté des Femmes, come miglior romanzo ispanoamericano scritto da una donna. Nel 1993 pubblica Para que no me olvides, che ottiene il Premio Municipal de Literatura , a Santiago del Cile. Nel 1995 scrive in Guatemala Antigua, Vita Mia, e nel 1997 L'albergo delle donne tristi.
Dopo molte riedizioni dei precedenti romanzi, pubblica il romanzo giallo Nostra signora della solitudine (1999), i racconti Un mundo raro (2000), Quel che c'è nel mio cuore (2001), finalista del Premio Planeta 2001 a Barcellona e Arrivederci piccole donne (2004).
Marcela Serrano è una delle figure più rinomate e significative della nuova narrativa del suo paese e dell'America Latina. Ha vissuto in Messico col marito, Luis Maira Aguirre, e le loro due figlie, Elisa e Margarita, poiché il marito è stato ambasciatore del Cile in Messico e Belize fino al 2003 e dal 2004 al 2010 ambasciatore in Argentina.
Noi che ci vogliamo così bene (Nosotras que nos queremos tanto, 1991), Feltrinelli, 1996.
vincitore del Premio Sor Juana Inés de la Cruz, 1994
vincitore del Premio Feria del Libro de Guadalajara, 1994
vincitore del Premio Coté des Femmes, 1996
Il tempo di Blanca (Para que no me olvides, 1993), Feltrinelli, 1998.
vincitore del Premio Municipal de Literatura, 1994
Antigua, vita mia (Antigua vida mía, 1995), Feltrinelli, 2006.
L'albergo delle donne tristi (El albergue de las mujeres tristes,1997), Feltrinelli, 1999.
Nostra signora della solitudine (Nuestra Señora de la soledad,1999), Feltrinelli, 2001.
Un mundo raro (2000, racconti)
Quel che c'è nel mio cuore (Lo que está en mi corazón, 2001), Feltrinelli, 2002.
finalista Premio Planeta 2001
Arrivederci piccole donne (Hasta siempre, mujercitas,2004), Feltrinelli, 2004.
I quaderni del pianto (La llorona, 2008), Feltrinelli, 2007.
Dieci donne (Diez mujeres, 2011), Feltrinelli, 2011.
Adorata nemica mia (Dulce enemiga mía, 2013), Feltrinelli, 2013.
Il giardino di Amelia (La novena, 2016), Feltrinelli, 2016.
Valerio Massimo Manfredi Nato l'8 marzo del 1943 a Piumazzo, nel comune modenese di Castelfranco Emilia, Valerio Massimo Manfredi è scrittore, storico, archeologo. Si laurea in Lettere classiche all’Università di Bologna; si specializza poi in Topografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Marito della traduttrice Christine Feddersen e padre di due figlie è divulgatore di materia storica in tv e le sue opere sbarcano anche al cinema.
All’Università Cattolica di Milano torna anche nelle vesti di insegnante. Stessa esperienza Valerio Massimo Manfredi la fa nella prestigiosa Ca’ Foscari di Venezia, alla Loyola University di Chicago, all’Ècole pratique des hautes ètudes della Sorbona di Parigi e anche alla Bocconi di Milano. I suoi seminari, negli anni, si tengono anche al New College di Oxford, all’University of California di Los Angeles, all’University di Canberra, in Australia, dell’Avana, a Cuba, de Antiochia, Medelin, in Colombia, di Bilbao, di Tenerife e molte altre.
Pubblicazioni: una bibliografia importante
L’attività di ricercatore e storico di Manfredi si esprime, dal 1998, in 24 opere, 7 racconti, 8 antologie, 18 saggi critici e un romanzo grafico.
Fra le opere vi sono due trilogie di grandissimo successo: una dedicata ad Alessandro Magno, l’altra a Ulisse.
La prima si intitola “Alexandros” e si articola in 3 atti, tutti del 1998:
“Il figlio del sogno”;
“Le sabbie di Amon”;
“Il confine del mondo”.
La seconda, invece, dedicata all’eroe omerico, si intitola “Il mio nome è Nessuno” ed esce nella trilogia:
“Il giuramento”;
“Il ritorno”;
“L’oracolo”.
Con la lunga lista dei romanzi pubblicati, dal 1994 al 2018, Manfredi propone studi sulla Grecia micenea, la Grecia classica e l’Antica Roma.
Di archeologia tratta nei sei romanzi, pubblicati fra 1985 e il 2004: “Palladion”, “L’oracolo”, “La torre della solitudine”, “Il faraone delle sabbie”, “Chimaira” e “L’isola dei morti”.
Approfondisce, invece, temi di contemporaneità in “Otel bruni” del 2011 e “Quinto comandamento” del 2018.
Se nelle antologie spazia dai grandi condottieri della storia antica alla mitologia, nella sezione di critica e saggistica, della sua ampia produzione letteraria, Manfredi lascia ai lettori approfondimenti più mirati alla letteratura classica greca e latina. Inoltre pubblica diversi volumi di tema topografico e storico, che oltre a trattare le antiche civiltà romane ed elleniche approfondiscono la vicenda di altre popolazioni antiche come gli etruschi e i celti.
Recuperare la verità storica dei fatti è impossibile. Non solo perché la memoria di ogni uomo ha diversa estensione, ma perché ciò che attrae l'attenzione di uno sfugge a quella dell'altro. Anche ammettendo la buona fede di ognuno, ciascuno ricorda quanto ha attratto la sua attenzione, non ciò che è passato realmente sotto il suo sguardo.
Ancora in fatto di scrittura vanno aggiunte le numerose collaborazioni con testate come Il messaggero, Panorama, Focus, Il Giornale, La voce, Gente Viaggi, Grazia e El mundo (spagnolo) fra le altre.
La produzione letteraria, in Valerio Massimo Manfredi, fa il paio con quelle cinematografica. La trilogia “Alexandros” è stata acquistata da Universal Pictures per un film; Dino De Laurentiis ha prodotto “L’ultima legione”. Da suoi scritti inoltre si sono prodotti gli adattamenti di “Marco d’Avario”, “Gilgamesh”. Fra gli adattamenti di Manfredi anche quello delle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar.
In fatto di cinema, inoltre, partecipa come attore a tre lungometraggi: “Vajont” del 2001, “Piazza delle cinque lune” del 2003 e “Il mistero di Dante” del 2014.
Come divulgatore, ancora, Manfredi promuove trasmissioni televisive quali “Stargate – Linea di confine” (condotto da Roberto Giacobbo) per La7 dal 2003 al 2005 e “Impero” sempre su La7 nel 2008. Nel 2011 è inviato di “E se domani” di Alex Zanardi. È ancora in Rai per “Metropoli” nel 2013 e “Argo” su Rai Storia nel 2016.
Scavi
Tra le tante produzioni letterarie, cinematografiche e televisive, Valerio Massimo Manfredi prosegue la sua attività di archeologo partecipando a importanti lavori di scavo. Fra questi: Lavinium, Forum Gallorum, Forte Urbano, in Italia; Tucum in Perù nel 1990, nel deserto di Neghev in Israele fra il 1990 e il 2004 e in Anatolia orientale nel 2002.
Premi e riconoscimenti
L’ampia attività di storico e autore di Manfredi, infine, gli vale negli anni numerosi e prestigiosi premi. Nel 1999 è “Man of the year” per l’American Biographical Institute, nel 2003 è investito del ruolo di Commendatore della Repubblica da Carlo Azeglio Ciampi. Riceve anche premi letterari come il Premio Hemingway nel 2004, il Premio Bancarella con “L’armata perduta” nel 2005 e, in ultimo, il Premio Scanno “Archanes” nel 2010.
Umberto Eco1][2]) è stato un semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico, bibliofilo e medievista italiano.
Saggista e intellettuale di fama mondiale, ha scritto numerosi saggi di semiotica, estetica medievale, linguistica e filosofia, oltre a romanzi di successo. Nel 1971 è stato tra gli ispiratori del primo corso del DAMS all'Università di Bologna[3][4]. Sempre nello stesso ateneo, negli anni Ottanta ha promosso l'attivazione del corso di laurea in Scienze della comunicazione[5], già attivo in altre sedi. Nel 1988 ha fondato il Dipartimento della Comunicazione dell'Università di San Marino. Dal 2008 era professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici dell'Università di Bologna.[6] Dal 12 novembre 2010 Umberto Eco era socio dell'Accademia dei Lincei, per la classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche.[7] Tra i suoi romanzi più famosi figura Il nome della rosa vincitore del Premio Strega e tradotto in più di 40 lingue, che è divenuto un bestseller internazionale avendo venduto oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo; da quest'opera sono stati tratti un film ed una serie televisiva. Nei suoi romanzi, Eco racconta storie realmente accadute o leggende che hanno come protagonisti personaggi storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi dibattiti filosofici sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura dell'universo.
Attratto da temi piuttosto misteriosi e oscuri (i cavalieri Templari, il sacro Graal, la sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi gli scienziati e gli uomini che hanno fatto la storia sono spesso trattati con indifferenza dai contemporanei.
L'umorismo è l'arma letteraria preferita dallo scrittore di Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e collegamenti a opere di vario genere, conosciute quasi esclusivamente da filologi e bibliofili. Ciò rende romanzi come Il nome della rosa o L'isola del giorno prima un turbinio variopinto di nozioni di carattere storico, filosofico, artistico e matematico.
Centrale ne Il nome della rosa è la questione del riso, post-modernisticamente declinata.
Ne Il pendolo di Foucault Eco affronta temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei cavalieri Templari, facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e moderna, rivisitati in chiave parodistica.
Ne L'isola del giorno prima l'umanità intera è simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca un'isola al di fuori del tempo e dello spazio.
In Baudolino dà vita ad un picaresco personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso terrestre (il regno leggendario di Prete Giovanni).
Ne La misteriosa fiamma della regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del ricordo, rivolto, in questo caso, ad episodi del XX secolo.
Il cimitero di Praga è incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla storia 'europea' del popolo ebraico.
Il suo ultimo romanzo, Numero zero, riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave complottistica.
«L'arte è nell'erba e bisogna avere l'umiltà di chinarsi a raccoglierla»
(Boris Pasternak[1])
La data di nascita è il 29 gennaio 1890 secondo il calendario giuliano in vigore all'epoca in Russia, il 10 febbraio 1890 secondo il calendario gregoriano. Nato da agiata famiglia ebraica laica assimilata,[2] trascorse l'infanzia in un ambiente intellettuale ed artistico. Suo padre Leonid era artista e professore alla Scuola moscovita di pittura, mentre sua madre, Rosa Kaufmann, era pianista. Tra le personalità della cultura – musicisti, artisti e scrittori – Pasternak ebbe modo di incontrare a casa dei genitori anche Lev Tolstoj, per il quale suo padre Leonid illustrò i libri. In Autobiografia e nuovi versi, Pasternak fornisce una descrizione memorabile e commovente della Mosca della sua infanzia:
«Alla fine del secolo Mosca conservava ancora la sua vecchia fisionomia di angolo remoto, tanto pittoresco da sembrare favoloso, con le caratteristiche leggendarie di una terza Roma e di una capitale dell'epoca eroica, nella magnificenza delle sue stupende, innumerevoli chiese.»
Fin dall'incontro con il compositore russo Skrjabin, Pasternak sognava di diventare pianista e compositore e si dedicava al piano, alla teoria di musica e la composizione. Compiuti gli studi al liceo tedesco di Mosca nel 1908, si iscrisse però alla facoltà di filosofia all'università di quella città. Durante il semestre all'Università di Marburgo, la Philipps-Universität, nell'estate del 1912 e dopo i viaggi in Svizzera ed in Italia, maturò la sua decisione di dedicarsi alla poesia. In quegli anni scrisse le sue prime poesie, che uscirono nell'almanacco Lirika (Лирика) e mostrano l'influenza del simbolismo e del futurismo. Nel 1914 pubblicò la sua prima raccolta di poesie nel libro Il gemello delle nuvole (Близнец в тучах), seguito da Oltre le barriere (Поверх барьеров, 1917), che gli portò un riconoscimento ampio negli ambienti letterari. Dal 1914 fu membro del gruppo di poeti futuristi Centrifuga (Центрифуга).
Nel 1922 Pasternak sposò Evgenija Vladimirovna Lourie da cui ebbe un figlio. Divorziarono nel 1931. Seguì un secondo matrimonio nel 1934 con Zinaida Nikolaevna Neuhaus; la famiglia si trasferì nel sobborgo moscovita di Peredelkino nel 1936. Tra le sue opere sono da segnalare anche diverse raccolte di poesie, alcune delle quali raccolte nel volume Autobiografia e nuovi versi, che poté pubblicare per la prima volta solo in Italia, e Il salvacondotto, sorta di opera autobiografica riferibile non tanto alle vicende della sua vita quanto alla sua vocazione intellettuale.
«Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci.»
(Boris Pasternak, Il dottor Živago)
Dopo la seconda guerra mondiale Pasternak mise mano al suo primo e unico romanzo, Il dottor Živago (Доктор Живаго). Il romanzo venne rifiutato dall'Unione degli Scrittori, che ai tempi del regime bolscevico-stalinista non poteva permettere la pubblicazione di un libro che, fortemente autobiografico, raccontava i lati più oscuri della Rivoluzione d'ottobre. La stesura dell'opera, che fu bandita dal governo, fu causa per l'autore di persecuzioni intellettuali da parte del regime e dei servizi segreti, che lo costrinsero negli ultimi anni della sua vita alla povertà e all'isolamento. Ad ogni modo il manoscritto riuscì a superare i confini sovietici e il libro, nel 1957, venne pubblicato per la prima volta in Italia, tra molte difficoltà, dalla Giangiacomo Feltrinelli Editore in una edizione diventata poi storica, di cui subito parlò il critico letterario Francesco Bruno. Il libro si diffonderà in occidente e nel giro di pochissimo tempo, tradotto in più lingue, diventerà il simbolo della testimonianza della realtà sovietica.
Nel 1958 Il dottor Živago frutterà a Pasternak l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura. Proprio l'assegnazione del premio scatenò una vicenda singolare che vide il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali. Infatti il regolamento dell'Accademia Svedese, ente designato a scegliere il vincitore del Nobel per la letteratura, prevede che per ottenere il riconoscimento, l'opera in questione debba essere stata pubblicata nella lingua materna dell'autore, requisito di cui Il dottor Živago difettava. Pertanto, a pochi giorni dal momento in cui l'assegnazione avrebbe dovuto essere resa nota, un gruppo di agenti della CIA e dell'intelligence britannica riuscì ad intercettare la presenza di un manoscritto in lingua russa a bordo di un aereo in volo verso Malta. Obbligarono così l'aereo a deviare, per entrare in possesso momentaneamente del manoscritto che, fotografato pagina per pagina, fu precipitosamente pubblicato su carta con intestazione russa e con le tecniche tipografiche tipiche delle edizioni russe, al fine di conformarsi alle regole per il conferimento del premio Nobel.
Dapprima Pasternak inviò un telegramma a Stoccolma esprimendo la sua gratitudine attraverso parole di sorpresa e incredulità. Alcuni giorni più tardi, in seguito a pressanti minacce e avvertimenti da parte del KGB circa la sua definitiva espulsione dalla Russia e la confisca delle sue già limitatissime proprietà, lo scrittore con rammarico comunica all'organizzazione del prestigioso premio la sua rinuncia per motivi di ostilità del suo Paese. Pasternak fu così costretto a rinunciare al denaro del premio e al riconoscimento che avrebbe trovato all'estero per non vedersi negata la possibilità di rientrare nell'URSS. Da allora trascorrerà il resto dei suoi giorni senza aver ritirato il premio e comunque perseguitato.[senza fonte] Morirà due anni più tardi in povertà a Peredelkino, nei dintorni moscoviti, nel 1960.
Il romanzo fu pubblicato legalmente in Russia solo nel 1988, nel periodo di riforma dell'Unione Sovietica promosso da Gorbačëv, e sarà nel 1989 che il figlio dell'autore Evgenij si recherà in Svezia per ritirare il premio spettante al padre 31 anni prima. Da questo capolavoro della narrativa novecentesca sarà tratto il film omonimo di successo (1965) con Omar Sharif, Julie Christie, Geraldine Chaplin, Alec Guinness, Rod Steiger. Evgenij Pasternak, il figlio dello scrittore, che ha dedicato la vita alla memoria del padre pubblicando tra l'altro un'edizione critica in undici volumi dell'Opera Omnia e ripercorrendo il percorso esistenziale che aveva portato lo scrittore alla conversione cristiana,[3] è morto a Mosca il 31 luglio 2012, all'età di 88 anni.
Il gemello tra le nuvole (Близнец в тучах, 1914, poesie)
Oltre le barriere (Поверх барьеров, 1917)
L'infanzia di Ženja Ljuvers (Детство Люверс, 1918, racconto)
Mia sorella è la vita (Сестра моя — жизнь, 1922, poesie)
Temi e variazioni (Темы и вариации, 1923, poesie); traduzione di Paola Ferretti, Firenze: Passigli Editori), 2019.
L'anno 1905 (Девятьсот пятый год, 1925/26, poemetto)
Il tenente Schmidt[4] (Лейтенант Шмидт, 1926/1927, poemetto)
Il salvacondotto, Ricordi (1931)
Seconda nascita (Второе рождение, 1932, poesie)
Sui treni mattinali (На ранних поездах, 1943, poesie)
La vastità terrestre (Земной простор, 1945, poesie)
Quando il tempo si rasserena (Когда разгуляется, 1956/1959, poesie)
Il dottor Živago (Доктор Живаго, 1957, romanzo); traduzione di Pietro Zveteremich, Milano: Feltrinelli, 1958, 1959.
Autobiografia e nuovi versi
Parole salvate dalle fiamme. Ricordi e lettere
Quintessenza. Saggi sulla letteratura e sull'arte
Le tue lettere hanno occhi
Lettere agli amici georgiani
Traduzione da Shakespeare di Amleto (Гамлет, 1939), Romeo e Giulietta (Ромео и Джульетта, 1942), Antonio e Cleopatra (Антоний и Клеопатра, 1943), Otello (Отелло, 1944), Enrico IV (Король Генрих Четвертый, 1945), Re Lear (Король Лир, 1947), Macbeth (Макбет, 1950)
Il 1° dicembre 1944 nasceva a Casablanca Daniel Pennac. Celebriamo lo scrittore nel giorno del suo compleanno con le frasi e le citazioni più belle tratte dai suoi libri.
Il sito Bookshop.org ha pubblicato un elenco di consigli di lettura della misteriosa autrice de “L'amica geniale”. Da Anna Maria Ortese a Chimamanda Ngozi Adichie: ecco i libri di scrittrici selezionati da Elena Ferrante.
Ci siamo! Il genio esce dalla lampada. L’ebook de “La Fine è il mio Inizio REDUX” di Tiziano Terzani è disponibile, gratis, a questi link,
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#redux #tizianoterzani #7dicembre
John Le Carré è morto. Uno dei più grandi scrittori inglesi, vero nome David John Moore Cornwell, è deceduto all’età di 89 anni. sabato 12/12/2020 nell’ospedale pubblico di Truro, in Cornovaglia, dopo una breve malattia, una polmonite. Un dolore enorme per la sua cara moglie Jane e i suoi quattro figli Nicholas, Timothy, Stephen e Simon”.
Colosso della letteratura anglosassone e re indiscusso di quella di spionaggio, Le Carré, ex 007 anche lui, è stato reso famoso in tutto il mondo dal suo capolavoro La spia che venne dal freddo, il suo terzo romanzo, del 1963. E poi dalle storie con protagonista il suo celebre George Smiley, apparentemente anonimo ufficiale dei servizi inglesi MI5, che comparirà ne La talpa, L'onorevole scolaro, Tutti gli uomini di Smiley, Chiamata per il morto e Un delitto di classe, nel recente Il visitatore segreto e in diversi film e serie tv tratti dalle sue opere.
Le Carré comincia a scrivere i suoi romanzi a Londra negli anni Sessanta proprio mentre arruolava e seguiva le spie inglesi inviate o operanti nelle aree di orbita sovietica. Il suo vero nome è David John Moore Cornwell, ma inizia a pubblicare col nome di John Le Carré perché i suoi superiori non avrebbero mai approvato quelle opere, col rischio di far saltare la copertura a qualche agente. Anche per questo, poi lo scrittore avrebbe dichiarato che La spia che venne dal freddo non aveva alcun riferimento con la realtà, per lo meno nei suoi protagonisti principali, ma è anche vero che, per Smiley, Le Carré si ispirò al romanziere e suo collega nell’intelligence britannica dell’MI5 John Bingham.
Massimo Recalcati è uno psicoanalista, saggista e accademico italiano. Figlio di floricoltori, dopo il diploma di agrotecnico compie gli studi universitari sotto la guida del professor Franco Fergnani e consegue la laurea in filosofia nel 1985 presso l'Università degli Studi di Milano, discutendo una tesi dal titolo Désir d'être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud. Nell'estate dello stesso anno, la lettura degli Scritti di Jacques Lacan orienta la sua formazione verso la psicoanalisi. Nel 1989 si specializza in psicologia sociale presso la Scuola di psicologia di Milano diretta da Marcello Cesa-Bianchi. Svolge la sua formazione analitica tra Milano e Parigi, dal 1988 al 2007. È iscritto all'albo dell'Ordine degli psicologi della Lombardia. Ha insegnato nelle Università di Milano, Padova, Urbino e Losanna.
Oggi insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l’Università degli Studi di Pavia e Psicoanalisi e scienze umane presso il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi di Verona.
Nel 2003 ha fondato Jonas: Centro di ricerca psicoanalitica per i nuovi sintomi e nel 2007 ha ideato Palea: Seminario permanente di psicoanalisi e scienze sociali. Nel 2017 ha vinto il Premio Ernest Hemingway, Testimone del nostro tempo, con la seguente motivazione: «... per aver raccontato nelle sue opere, con profondità e intelligenza, le mutazioni avvenute nella nostra società, indicando temi e bisogni che, per l’acume analitico, diventano paradigmatici del nostro tempo».
Dirige la collana Eredi per l'editore Feltrinelli e la collana Studi di Psicanalisi per le edizioni Mimesis, insieme a Franco Lolli. Ha tenuto conferenze e seminari in diverse città d'Italia e d'Europa (Dublino, Ginevra, Valencia, Madrid, Parigi, Siviglia, Losanna, Granada).
Da anni affianca alla pratica clinica la scrittura: oltre a collaborare regolarmente con «il manifesto» e «la Repubblica», ha pubblicato numerosi saggi, fra cui Cosa resta del padre? (Raffaello Cortina 2011), L’uomo senza inconscio (Cortina 2010), Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione (Cortina 2012), Ritratti del desiderio (Cortina 2012) Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana (minimum fax 2013), Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (Feltrinelli 2013), Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa (Raffaello Cortina 2014), L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento (Einaudi 2014), Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del moderno (Feltrinelli, 2015), Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto(Raffaello Cortina, 2016), Un cammino nella psicoanalisi. Dalla clinica del vuoto al padre della testimonianza (inediti e scritti rari 2003-2013) (Mimesis, 2016), Il mistero delle cose (Feltrinelli 2016), I tabù del mondo (Einaudi 2017), Cosa resta del padre? La paternità nell'epoca ipermoderna (Cortina Raffaello 2017), Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale (Cortina Raffaello 2017), Il segreto del figlio (Feltrinelli 2017), A libro aperto, una vita è i suoi libri (Feltrinelli 2018), Mantieni il bacio (Feltrinelli 2019), La notte del Getsemani (Einaudi, 2019), Il gesto di Caino (Einaudi, 2020) e Critica della ragione psicanalitica. Tre saggi su Elvio Fachinelli (Ponte alle Grazie 2020).
8 gennaio 2021 - Centenario della nascita di Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d'arte e insegnante italiano.
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. All'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all'uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All'influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l'umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna.[1]
Ebbe anche un'attività politica importante, attestato su posizioni di socialismo democratico e marxismo moderato, poi di radicalismo liberale, garantismo e socialdemocrazia.[2] Dapprima fu consigliere comunale a Palermo (1975-1977) per il Partito Comunista Italiano, ed in seguito (dal 1979 al 1983) deputato in Parlamento per il Partito Radicale, infine fu simpatizzante del Partito Socialista.
Tra i suoi scritti i più celebri : Il giorno della civetta, L’affaire Moro, La scomparsa di Majorana, A ciascuno il suo, Il contesto.
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Einaudi 1973
Collana Nuovi Coralli ; 43
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Adelphi 1993
Collana Fabula 66
ISBN 9788845909573
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Adelphi 1991
Collana Fabula 52
ISBN 9788845908408
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Adelphi 1989
Collana Piccola biblioteca Adelphi 238
ISBN 9788845907296
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Einaudi 1977
Collana Nuovi coralli - Einaudi
Leonardo Sciascia
Sciascia, Leonardo
Einaudi 1975
Collana Nuovi coralli 139
Leonardo Sciascia ; prefazione di Andrea Purgatori
Sciascia, Leonardo
Corriere della Sera 2003
Collana I grandi romanzi italiani - Corriere della Sera
ISBN 9771129085155
una parodia
Sciascia, Leonardo
Einaudi 1979
Collana Nuovi coralli 147
Leonardo Sciascia ; a cura di Jole F.Magri
Einaudi 1976
Collana Letture per la Scuola Media 38
una parodia
Sciascia, Leonardo
Einaudi 1990
Collana Einaudi tascabili 14
ISBN 9788806117207