Don Giuseppe Diana, detto confidenzialmente Don Peppino, nasce nel 1958 e muore assassinato nel 1994 a Casal di Principe, uno dei luoghi della provincia di Caserta a più alto tasso di presenza camorristica. Appartenente ad una famiglia modesta di piccoli proprietari terrieri e agricoltori, spinto da una precoce vocazione religiosa a soli 10 anni di età entra in seminario (la scuola di chi vuole diventare sacerdote), dove prima consegue la maturità classica e poi si laurea in teologia (poi conseguirà anche la laurea in filosofia). A 24 anni è ordinato sacerdote e qualche anno dopo gli viene assegnata la parrocchia di San Nicola di Bari nel suo paese di origine, Casal di Principe, dove svolge anche la professione di insegnante scolastico. Erano gli anni in cui era più forte e oppressiva la presenza dei clan camorristici, spesso in guerra tra loro e attivi in tutti quei settori in cui i mafiosi di ogni specie e latitudine operano con i loro terribili metodi terroristici: dal traffico di droga, che oltre a creare enormi profitti illeciti, subito riciclati in attività lecite, produce la marginalizzazione dei giovani e la loro disponibilità a diventare manovalanza criminale. Questa terra nota come “Terra dei fuochi” è famosa per i roghi di sostanze nocive e addirittura cancerogene, le estorsioni praticate nei confronti di qualsiasi attività produttiva presente nel territorio, la corruzione politica a ogni livello amministrativo e la monopolizzazione di tutti gli appalti pubblici. Il tutto in un clima emergenziale continuo di sopraffazione e violenza. A tutto ciò il giovane sacerdote, mosso dal suo alto senso civico e religioso, ritenne che dovesse in qualche modo opporsi. Lo fa con le sue parole nelle omelie e nei suoi incontri quotidiani con la gente, ma soprattutto con una sua famosa lettera: “Per amore del mio popolo non tacerò” che fece affiggere nel Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della Diocesi di Aversa, in cui analizzava puntualmente, esprimendo anche forte preoccupazione, il fenomeno criminale camorristico, dicendo con chiarezza quanto esso avesse infiltrato e corrotto la pubblica amministrazione e l’intera società civile; invitando e sollecitando infine la Chiesa autenticamente cristiana e in generale tutti i cittadini onesti ad opporsi con energia e determinazione a questa drammatica situazione. La lettera suscitò molto scalpore e con essa Don Peppino divenne un obiettivo designato della Camorra che non gli perdonò il suo forte impegno antimafia. La condanna a morte fu eseguita il 19 marzo del 1994, giorno del suo onomastico (aveva appena 36 anni), nella sagrestia della sua chiesa mentre si accingeva a svolger la funzione religiosa del mattino.
I contributi e l’esempio del sacerdote eroe vittima della mafia, sono ora ricordati e perpetuati dal “Comitato Don Peppino Diana” sorto a Casal di Principe negli anni Novanta, che si occupa di far sì che il suo sacrificio non sia avvenuto invano e che la situazione da quelle parti possa cambiare. A questo proposito ha scritto di lui il famoso scrittore antimafia, anche lui di Casal di Principe, Roberto Saviano, che aveva 15 anni quando Don Diana venne ucciso: “Il lascito di Don Peppino Diana ancora oggi resta difficile da accogliere. La speranza è che le nuove generazioni sapranno riconoscere quanto fosse davvero incredibilmente nuova e potente la volontà di porre la parola al centro di una lotta contro i meccanismi di potere. Una parola che è sentinella, testimone, così vera e ardente e lucida che puoi cercare di eliminarla solo ammazzando. E che malgrado tutto è riuscita a sopravvivere”.
Sono trascorsi trent’anni dal giorno in cui i camorristi uccisero vigliaccamente Don Giuseppe Diana nella sacrestia della chiesa dove si preparava a celebrare la messa. Volevano far tacere una voce scomoda che, senza timore, si ribellava al giogo delle mafie. Queste le parole del Presidente della Repubblica nel suo ricordo del sacrificio del sacerdote. “Un testimone di speranza, educatore alla libertà, punto di riferimento per i giovani e le persone oneste di Casal di Principe. La crudeltà con cui hanno strappato alla vita un uomo giusto, non è riuscita a sottomettere la comunità. Gli assassini sono stati individuati e condannati. La testimonianza di Don Diana è divenuta un simbolo potente di liberazione, una spinta al riscatto sociale. Don Giuseppe ai ragazzi insegnava che la via della libertà passa dal non piegare la testa al ricatto mafioso e che è possibile costruire un mondo migliore. Pagò con la vita il coraggio e la coerenza personale e la sua vita è diventata lezione, patrimonio per il Paese”. (Darian Francisci)
27 marzo 2024