MiA, 17 ottobre 2023
L’altrove
Storicamente la musicoterapia ha sempre avuto a che fare con l’altrove; basta pensare ai riti terapeutici di guarigione con la musica ben descritti da Ernesto De Martino nel celeberrimo libro “La terra del rimorso” e da Marius Schneider nel meno conosciuto “La danza delle spade e la tarantella”.
Per guarire dal morso del ragno, ossia da una malattia, è necessario, tramite una specifica musica, una pizzica terapeutica, entrare in un “altrove” mitico e, grazie a questa specifica musica, compiere un viaggio, una danza rituale reale, che porta l’ammalato alla guarigione.
Questa è in estrema sintesi il percorso terapeutico descritto dal De Martino e da Schneider nei loro libri ovviamente con prospettive culturali ben differenti.
Per De Martino la malattia è una “fuoriuscita” dell’individuo dalla storia. Per ritornare alla vita, alla presenza, ossia per poter guarire, il singolo deve “deviare” dalla storia ed entrare nel mondo mitico culturale che gli appartiene che, tramite una iatromusica specifica, lo riporta nella storia e alla vita.
Per Schneider la guarigione da una malattia è sempre avvenuta, in tutte le culture esaminate dall’alsaziano, mediante il ricorso di un percorso mitico conosciuto e tramandato dalle culture che non vivono solo di storia ma bensì di miti.
La musicoterapia quindi, fin dalle sue origini, strizza l’occhio all’altrove, culturalmente definito e, contemporaneamente, alla presenza socialmente organizzata che garantisce la guarigione.
L’ altrove oggi
Ma cos’è oggi questo altrove?
È curioso constatare come l’interazione sia una delle grandi scoperte della fisica quantistica.
Non esistono le “cose” in sé ma esistono le “cose”, solo in relazione tra di loro.
Questo pensiero è interessante perché, ripensando alla dimensione intersoggettiva dell’essere umano, è chiaro che il primo altro che incontro non è un individuo diverso da me ma sono io: me stesso.
L’altrove in realtà sono io, me stesso ossia il mio mondo interno fatto di aspirazioni, pensieri, emozioni, sensazioni, sentimenti, passioni, sospiri, atti, convinzioni che possono essere espressi e condivisi o rimangono chiusi dentro di me.
Prima di entrare in relazione con il mondo esterno e con gli altri entriamo in relazione con noi, riflettiamo, meditiamo e poi agiamo.
L’altrove è contemporaneamente immaginario e reale.
Immaginario perché è pensato dalla nostra mente ma al contempo è reale perché lo creiamo noi.
Per sopravvivere abbiamo bisogno del nostro altrove per poter dialogare con noi stessi, per prendere decisioni semplici o importanti, per rifugiarci in caso di difficoltà, per poter relazionare con altri individui.
Questo transire tra noi e noi, questo estasiarsi in noi, sognando ad occhi aperti, è necessario e salutare perché ci permette di vivere.
In questa prospettiva la trance e l’estasi che ci possono spaventare perché a noi appaiono come pratiche esotiche, sciamaniche, culturalmente lontane e prive di evidenze tangibili, in realtà, se ci pensiamo un poco, ci appartengono perché fanno parte del nostro dialogo interiore.
Il transire tra sé e sé, ossia il riflettere, e il sognare, ossia l’estasiarsi, lo viviamo quotidianamente forse senza dare a questi atti vitali la giusta importanza.
L’altrove è quindi, in primis, la relazione che stabiliamo con noi stessi ed è, contemporaneamente, anche il nostro salutare rifugio.
L’altrove è il rifugio dalle avversità della vita per cui, in certi momenti vi permaniamo lungamente, immergendoci nelle convinzioni esistenziali che viviamo.
L’altrove ci dà felicità o disperazione in relazione al dialogo interiore che stabiliamo con noi stessi, alle emozioni, alle sensazioni e ai sentimenti che viviamo.
Di fatto le declinazioni dell’altrove sono innumerevoli come sono innumerevoli gli individui esistenti.
In musicoterapia siamo in ascolto, seduta dopo seduta, di questi specifici altrove che ci possono sembrare bizzarri, incomprensibili, insopportabili e fastidiosi ma, a ben ascoltare, ci rendiamo conto che ogni individuo per poter sopravvivere dialoga con il proprio altrove così capiamo quanto gli serva questo dialogo intersoggettivo e quanta fatica fa per andare dal proprio altrove per venire da noi.
C’è chi entra ed esce tranquillamente dal suo altrove fatto di dinosauri e tu sei spiazzato perché non ne sai nulla e arranchi vistosamente.
C’è chi manipola per interminabili minuti uno strumento musicale e non ti degna di uno sguardo mentre è concentratissimo e sorride.
C’è chi esalta i divi del momento e ti inonda del suo contagiante piacere e tu arranchi cercando una via d’uscita.
C’è chi conosce perfettamente un mondo virtuale e ha una competenza che ti fa sentire di un’ignoranza abissale.
C’è chi si diverte ad andare avanti e indietro dal suo mondo interno verso te, portandoti una piastra dello xilofono e ti senti un poco sollevato.
C’è chi ostinatamente propone solo le proprie canzoni e tu sei esausto ad ascoltarle.
C’è chi esprime il delirio allucinatorio e tu cerchi, con fatica, di ascoltarlo.
C’è chi esprime il proprio lamento doloroso e tu arranchi ad ascoltarlo.
C’è chi non riesce a esprimere il proprio dolore dirompente e tu aspetti, pazientemente, quando lo farà.
C’è chi si affaccia alla vocalità e si diverte e tu non capisci niente di ciò che dice e aspetti che la sua prosodia diventi relazione.
C’è chi improvvisa col pianoforte una meravigliosa composizione che ti manda in estasi ma capisci che in realtà sta suonando benissimo solo per sé stesso e tu rimani, ancora una volta, un ascoltatore privilegiato ma solo un ascoltatore.
Ci sono altre mille declinazioni dell’altrove compresa la tua che è salutare, da ascoltare per poter stare bene con te stesso.
Ma se smetti di richiedere un’aderenza dell’altro in cura al dialogo relazionale con te e ti metti in ascolto, ti rendi conto che questi altrove così bizzarri e folli in realtà sono doni di persone che cercano, per quanto possono, di farti partecipe del loro mondo interno, del loro altrove, per riuscire, se tu rimani in paziente ascolto, a entrare in dialogo con te.
È con questa consapevolezza che aspetti, nel tempo dell’incontro con l’altro, il momento propizio in cui la persona si apre al dialogo relazionale con te, anche per pochi preziosi secondi, e questa apertura ti ripaga di tutti gli sforzi che fai per esserci in ascolto.
Non aspettarti grandi mutamenti ma rimani in ascolto e godi delle piccole aperture relazionali.