La lotta dei fantasmi di Luca

MiA, 5 agosto 2023

La lotta dei fantasmi di Luca

Per tutta la seconda fase dell’intervento ho mantenuto invariata la disposizione degli arredi e degli strumenti impostata col cambiamento avvenuto il 12/10/00[1], sia per salvaguardare la stabilità della cornice del setting, sia perché l’ubicazione scelta sembrava adeguata alla nostra situazione e non avevo avvertito la necessità e l’utilità di un cambiamento. Avendo conseguito un adeguato adattamento temporale, gli sforzi di questo periodo di lavoro erano tutti rivolti al miglioramento dell’adattamento spaziale, strettamente correlato al tipo di rapporto che Luca (nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) maturava gradualmente con gli strumenti musicali e con me. Col tempo ero riuscita ad identificare alcuni miei comportamenti utili allo scopo di creare un argine al movimento e al rumore assordante dal quale inizialmente mi sentivo invasa: quando Luca cercava di colpirmi, con dolce fermezza gli impedivo di far male tanto a me, quanto a se stesso. In molti casi, anziché agire verbalmente o fisicamente era sufficiente che io rispecchiassi il suo gesto o lo trasformassi in suono, oppure in un gioco, restituendolo così spogliato dei suoi aspetti insostenibili, perché Luca cambiasse atteggiamento e l’aggressività, assumendo una forma diversa, diventasse più tollerabile. Attraverso questo comportamento, che Bion definisce “rêverie”, cercavo di rispondere nel modo più idoneo possibile alle proiezioni di Luca. Era molto importante che io parlassi piano e dolcemente: in questo modo ho lentamente costruito uno spazio in cui inserirmi per ottenere il suo silenzio e farglielo ascoltare come una cosa bella, come uno spazio “buono”, ripulito dal fluire di parole e dal continuo movimento, uno spazio mio e suo nel quale era possibile stare insieme. A poco a poco il silenzio sembrava non più solo un’esigenza mia, ma anche e soprattutto sua: erano tanti e a volte lunghi anche 10 minuti, i momenti che Luca trascorreva in silenzio sul tappeto. Sebbene non fosse facile per me “resistere alla tentazione” di intervenire in qualche modo, tuttavia restavo ad osservare Luca e a pensare: quel silenzio era lo spazio del quale io avevo bisogno per pensare e per poter intervenire successivamente, ed era lo spazio nel quale Luca poteva ascoltare e ascoltarsi. Non era necessario che attirassi l’attenzione di Luca, quando lui era pronto tornava da me, vicino agli strumenti, e insieme iniziavamo un gioco. Tra i giochi nuovi e più frequenti di questa fase c’è quello di aggiustare gli strumenti: Luca si metteva per terra sotto i bonghi o vicino allo djembe e con uno o due battenti li “riparava”, chiedendomi di aiutarlo. Era come se si stesse passando dalla fase di “distruzione” a quella della “riparazione” che, in un’ottica Kleiniana, poteva essere intesa come un segno dell’evoluzione verso la riduzione della scissione tra oggetto “buono” e “cattivo” e della riduzione dello scarto tra oggetto interno ed oggetto esterno. Col passare del tempo il gioco è diventato l’unico mezzo attraverso il quale fosse possibile l’interazione e lo strumento musicale era il nostro mediatore: la realizzazione del gioco passava infatti attraverso la produzione di suoni. Un esempio è costituito dal gioco della “morra" (“bim bum bam”), nel quale i movimenti e le parole erano scanditi dai colpi battuti sui bonghi o sullo djembe, strumenti che poi fungevano da piano d’appoggio per le mani. In questo modo si era lentamente sviluppato un rapporto transazionale tra musica e gioco: anche la musica era diventata accettabile, purchè funzionale al gioco stesso. In questo modo, rispetto alla fase precedente, è aumentato il tempo di tolleranza del contatto con me: solo ogni tanto Luca riferiva di essere stanco e di dover riposare, ma ciò accadeva almeno dopo 30 minuti che era con me e soprattutto dopo un’interazione corporea o musicale, breve e non caratterizzata dalla presenza di aggressività. Era dunque evidente il miglioramento dell’adattamento spaziale. Purtroppo, a metà di questa fase, Luca ha cambiato insegnante di sostegno: era molto affezionato alla precedente e sembrava non voler accettare la sua perdita; sembrava che avesse perso una parte di sé: parlava continuamente di lei, rifiutava la nuova maestra e, durante le sedute, manifestava una regressione al livello in cui lanciava gli strumenti, era aggressivo e si muoveva continuamente. Era ricomparso, dopo parecchio tempo, il tema della morte. Successivamente, comunque, man mano che Luca superava il lutto dell’insegnante, le sedute hanno cominciato ad assumere una struttura che è rimasta invariata quasi fino alla fine del trattamento. Luca entrava e si sedeva sulla sedia di fronte a me, iniziava un gioco con l’uso degli strumenti come mediatori, poi fuggiva sul tappeto, ritornava, si sdraiava per terra e dichiarava di essere morto, poi risorgeva grazie alla “musica del risveglio” che io eseguivo e si concludeva la seduta. Questa sequenza degli eventi mi era sembrato un passo avanti notevole: stavamo cominciando a porre ordine al caos ed il movimento era notevolmente ridotto. Il mio obiettivo era a quel punto quello di riuscire a ridurre anche la presenza del verbale ed il contatto corporeo: inventando la storia della montagna ho gradualmente evitato che Luca mi si sedesse in braccio, mentre l’introduzione dell’espressione “bla, bla, bla, bla [...]”, intonata sulla melodia e col ritmo della “canzon dell’uccellin” (precedentemente descritta)[2] ha in parte sostituito le parole. Per poter comunicare, la chiave d’accesso era il “bla” e le parole erano sostituite dai versi che molto spesso Luca accoppiava facendoli diventare “parolacce” o comunque espressioni di disgusto. Lo stesso “bla”, col tempo ha assunto l’aspetto di un’espressione che indicava qualcosa di disgustoso, “blah!”, che Luca definiva “schifoso” e, non a caso, spesso lo faceva seguire dalla parola “schifo”. Il punto di volta di questa fase è rappresentato da tre episodi di onanismo che si sono susseguiti l’uno dopo l’altro in un crescendo che è culminato con la scopertura dei... Confrontandomi con lo psicologo che aveva in carico Luca, ho pensato che con questo gesto fortemente aggressivo, Luca avesse voluto mostrare chi comandava, chi aveva il potere; ho però pensato che potesse anche trattarsi di un ennesimo tentativo, questa volta decisamente forte, di mettermi alla prova per vedere se sopravvivevo a questo suo attacco e rimanevo accanto a lui. Non nego di aver provato un certo imbarazzo, soprattutto perché, presa alla sprovvista, non sapevo al momento quale potesse essere la reazione “meno dannosa”. Sono quindi rimasta ferma, impassibile, e quando, dopo pochissimi secondi, Luca si è ricoperto, gli ho proposto di fare il gioco della “morra” usando entrambe le mani. Dopo quella seduta è aumentato gradualmente il tempo che Luca trascorreva seduto di fronte a me e, alcune volte, riuscivamo a suonare i bonghi insieme, costruendo così dei giochi d’imitazione basati sulle sintonizzazioni inesatte. Luca comunque non ha mai tollerato i suoni forti e quando capitava che sia il ritmo che l’intensità diventavano incalzanti, fuggiva sul tappeto. Una volta ha gridato” Basta, sto diventando matto!” e ha nascosto gli strumenti minacciando di andarsene. Per tre volte consecutive ha chiesto di poter andare in bagno: ho verificato che in realtà la sua richiesta corrispondeva ad un bisogno fisiologico, ma per evitare che l’uscita diventasse un’abitudine e un’ulteriore strategia di fuga, ho invitato Luca ad andare in bagno prima di iniziare la seduta. Luca non ha più chiesto di uscire, fino a molto tempo dopo. Questa fase si è conclusa con due eventi importanti: il primo è una novità assoluta: Luca ha detto di sentirsi triste ed ha attuato un comportamento che corrispondeva e sottolineava questo suo stato d’animo. All’improvviso è come se avesse preso consapevolezza del fatto che si sentiva “un perdente” (così si è definito lui) e ciò lo rattristava, pertanto non voleva fare nulla, lì, in quel momento, con me. In effetti Luca non ha mai espresso le sue emozioni verbalmente: la sua produzione verbale era spesso legata a fatti o storie che lui inventava, ma in esse non compariva mai il nome di un’emozione. Sebbene Luca avesse agito più volte con rabbia, per esempio, tuttavia sembrava non aver mai riconosciuto questo modo di sentirsi.  Il secondo evento è legato al tema della morte: durante un gioco in cui moriva, Luca ha affermato che si era svegliato il suo fantasma cattivo. Io ho detto lui di vedere anche quello buono; Luca li ha fatti lottare e quello buono ha vinto, mentre il cattivo è morto, ucciso da quello buono. Ancora una volta non ho potuto non fare riferimento alla Klein e chiedermi se di fatto questo evento non fosse un indicatore del tentativo di ripristinare l’integrità dell’oggetto materno, in stretta relazione e coerente con la riparazione testé descritta.

 

 

Note

R. Andrello, I dolorosi vissuti di Luca, MiA, 1 agosto 2023, https://sites.google.com/view/mia-musicoterapie-in-ascolto/letture-di-musicoterapia-clinica/i-dolorosi-vissuti-di-luca 

[2] Ibidem.

Roberta Andrello

roberta.andrello@alice.it