MiA, 20 settembre 2022
In uno scritto fondamentale1, Marius Schneider, riferendosi alla straordinaria capacità osservativa dell’uomo primitivo, espone la sua particolare attitudine percettiva. Secondo il pensatore alsaziano, il nostro progenitore nel momento in cui si poneva nello stato osservativo aveva la capacità di cogliere l’essenza ritmica della realtà fenomenica percepita. In questa prospettiva il nostro antenato, durante l’osservazione, non era attratto dagli aspetti superficiali che apparivano alla sua vista e, fatto ancor più rilevante, al suo udito ma la sua attenzione era catturata dalla percezione dell’essenza acustica di ciò che osservava, ossia la dimensione ritmica della realtà in cui era immerso. Pertanto la persona, durante l’atto osservativo, era in grado di distinguere, nel limite del possibile, la propria dimensione ritmica, ossia la percezione dei ritmi accidentali da quella che proveniva dall’insieme osservato, ossia i ritmi incidentali. Durante la percezione del ritmo accidentale (sé) e di quello incidentale (altro da sé), il nostro antenato era attratto da alcune dimensioni: l’ora, il luogo e l’emozione.
Ritmo accidentale (osservatore)
«Nel ritmo accidentale, l’ora si riferisce principalmente alla luce
del giorno e al momento preciso dell’osservazione.
Il luogo indica il posto dove si è prodotto il fenomeno osservato.
L’emozione corrisponde alla situazione psicologica soggettiva nella quale si trovava l’osservatore in quel momento»2.
Ritmo incidentale (osservato)
«Nel ritmo incidentale, […] l’ora si riferisce al tempo come fattore dinamico e veicolo del ritmo creativo […].
Il luogo […] si riferisce... agli stessi ritmi caratteristici che la natura di questo luogo ha imposto (azioni compiute dall’osservato) […].
L’emozione […] è […] comunicata all’osservatore dal ritmo dell’oggetto stesso»3.
Sebbene la riflessione di Marius Schneider provenga dall’etnomusicologia, di cui l’alsaziano è ritenuto l’ideatore, a parer mio può avere feconde implicazioni in ambito musicoterapico.
Ripensando alla personale realtà lavorativa, il contesto musicoterapico in cui opero è caratterizzato dalla compresenza dei ritmi accidentali (la mia soggettività) e quelli incidentali che promanano dalle altre persone presenti. Nel processo musicoterapico quindi, io e le persone coinvolte viviamo il tempo (l’ora) e lo spazio (il luogo), esprimendo, con gli strumenti musicali, le musiche ascoltate e i silenzi, il nostro carico emozionale.
Ho sempre sottolineato l’importanza di ascoltare e accogliere la propria dimensione emozionale4, cercando di distinguerla nettamente da ciò che l’altro esprime al fine di evitare dannose proiezioni. L’apporto schneideriano ci suggerisce una nuova possibilità d’azione musicoterapica poiché, secondo il pensatore alsaziano, l’emozione vissuta dall’osservato è comunicata all’osservatore mediante i ritmi che realizza nello scenario osservativo.
Ora, alla luce di questa stimolante riflessione, ripenso e mi interrogo sul mio modo d’operare. Se l’uomo primitivo aveva e affinava la capacità di cogliere intuitivamente la dimensione ritmica propria e altrui, perché è ora così difficile per me, pensatore razionale e analitico, ascoltare, senza correre il rischio di falsare il dato preso in esame, la dimensione emozionale che l’altro esprime con gli strumenti musicali che sceglie?
Una possibile risposta al singolar quesito la posso ritrovare, ancora una volta, nel contributo schneideriano quando afferma che la percezione ritmica non avviene per ragionamento analitico ma intuitivamente poiché per
«[…] vivere un ritmo […] è indispensabile abbandonarsi senza riserve a tale ritmo per un tempo molto lungo, scartando ogni tipo di intervento dell’intelligenza discorsiva»5.
In questa prospettiva forse la mia ricerca deve avvalersi di un atavico e sopito intuito percettivo da risvegliare con cautela, ossia affidarsi alla ricezione dei ritmi incidentali e, in particolare, alla dimensione emotiva che li caratterizzano, facendo attenzione a non confonderli con i miei ritmi accidentali.
Ovviamente questa prospettiva di lavoro privilegia la percezione della dimensione emozionale dei partecipanti, trascurando apparentemente aspetti maggiormente oggettivi. Dalle iniziali e personali rilevazioni posso testimoniare che inspiegabilmente i dati oggettivi, caratterizzanti le dimensioni temporali, spaziali e musicali dell’altrui interlocutore, acquisiscono significato e non appaiono come freddi indicatori delle evoluzioni del processo musicoterapico anzi lo avvalorano e lo rendono maggiormente umano se circostanziati alla dimensione emozionale da cui promanano.
1 M. Schneider (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e
nella scultura antiche, Milano, Rusconi, 1986, p. 29, 30.
2 M. Schneider (1946), Op. cit., pp. 29, 30.
3 M. Schneider (1946), Op. cit., p. 30.
4 G.Bonardi (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Mercatello sul Metauro
(PU), Progetti Sonori, p. 38-42.
5 M. Schneider (1946), Op. cit., p. 24.
Giangiuseppe Bonardi