Montichiari, 27 luglio 2025
Confini e limiti delle prassi musicali
Quando cerchiamo di comprendere cosa sia in realtà una prassi che utilizza la musica, ci imbattiamo immediatamente sul problema di individuare i confini e i limiti di questi specifici modi di fare.
In primo luogo il confine di ogni prassi musicale è dato dal contesto in cui la musica è utilizzata ossia dalla finalità perseguita da quella specifica attività.
Tra gli innumerevoli contesti che utilizzano la musica prendiamo in considerazione quello: educativo, animativo, riabilitativo, concertistico e terapeutico.
È ben chiaro che, in ambito educativo, il fine perseguito è quello di favorire nell’allievo l’apprendimento di competenze musicali sempre più raffinate.
Nell’ambito animativo, il fine perseguito è quello di facilitare la coesione tra i partecipanti di un nutrito numero di persone.
Nell’ambito riabilitativo il fine perseguito, tramite l’adozione della musica, è quello di migliorare la realizzazione della stessa prassi.
Nell’ambito concertistico, il fine perseguito dall’uso della musica è quello di suscitare nel fruitore la connessione con la personale dimensione estetica o estatica.
Durante l’esecuzione concertistica, la musica riattiva nell'ascoltatore le proprie dimensioni d'ascolto, spesso intrise di emozioni, sensazioni corporee, analogie e risonanze sintattiche.
Infine, nell’ambito terapeutico, ossia in musicoterapia, la musica cura, assiste la persona, cercando di reintegrare le disarmonie emotive che vive.
I confini di ogni prassi musicale sono richiusi nelle specifiche finalità che perseguono.
D’altro canto ogni prassi musicale dialoga con le altre quando si pone sul limite del proprio confine.
Il limite, come ben afferma il filosofo Carlo Sini, «… è la soglia in cui e per cui due «cose» entrano in relazione di reciprocità.
Il limite infatti è una relazione, non una cosa.
Una cosa ha dunque l’altra al limite, ma il limite non è un’altra cosa, è l’essere in relazione della cosa[1]».
Stare sul limite è quindi porsi in relazione con l’altro reciprocamente per cui ogni prassi musicoterapica può porsi in relazione con un’altra e viceversa.
In questa prospettiva un insegante, durante l’insegnamento di un contenuto musicale rivolto ai suoi allievi, ha due possibilità di scelta.
Nella prima situazione il docente può scegliere di attenersi scrupolosamente a rimanere nel proprio ambito disciplinare per cui insegna il contenuto da far apprendere, puntando l’attenzione sullo sviluppo delle competenze cognitive dell’allievo.
In questo caso il docente, mentre insegna, rimane dentro i confini della sua materia di insegnamento.
Nel secondo caso se il docente è attento anche al benessere psichico e relazionale del suo alunno, per una personale sensibilità o perché sta compiendo, guarda caso, un percorso formativo di musicoterapia, ecco che svolge la sua docenza musicale con un’attenzione rivolta alla sua area di competenza disciplinare e, al contempo, si pone sul limite della sua prassi disciplinare, prendendo in considerazione la dimensione emotivo-relazionale del suo alunno.
Porsi sul limite del confine della propria prassi disciplinare non equivale a una trasformazione della propria identità di insegnante e della propria prassi disciplinare.
In ogni caso l’insegnante rimane sempre un insegnante e non può trasformarsi in un musicoterapeuta perché prende in considerazione la dimensione emotiva del suo allievo.
Al massimo il docente diventa un insegnante che arricchisce la sua competenza cognitiva, integrandola con l’attenzione rivolta a prendere in considerazione anche la dimensione emotivo-relazionale del suo allievo.
Allo stesso modo se un musicoterapeuta, durante il suo lavoro terapeutico, si pone sul limite del confine della sua prassi disciplinare, adottando apprendimenti cognitivi utili a comporre, ad esempio, una canzone, il musicoterapeuta si pone in relazione con la prassi disciplinare educativa sebbene rimanga, di fatto, un musicoterapeuta.
Porsi sul limite del proprio campo prassico-disciplinare è stare in relazione con un altro confine disciplinare ma questo porsi sul limite il musicoterapeuta non stravolge e non trasforma la propria identità professionale e la propria prassi-disciplinare in un’altra ma rimane la stessa poiché il musicoterapeuta, anche quando facilita la composizione di una canzone con il suo assistito non diventa, per imposizione divina, un insegnante ma rimane ciò che è e che fa professionalmente ossia: è e rimane musicoterapeuta.
Così anche gli altri professionisti quando si pongono sul limite dei propri specifici confini disciplinari, superandoli un poco, si mettono in relazione con altri ambiti disciplinari ma non subiscono trasformazioni magiche, diventando un altro professionista ma rimangono ciò che sono con una marcia in più.
È ben chiaro che avendo la forza di definirsi chi si è professionalmente, assumendosi la responsabilità del proprio agire, facilita la collocazione di sé nell’ambito operativo professionale maggiormente adeguato a sé e al proprio agire.
In estrema sintesi il proprio agire professionale non dipende solo esclusivamente da altri ma, in primis, da sé stessi.
Sono io che devo definire chi sono professionalmente così facendo posso collocarmi nell’ambito disciplinare in cui mi ritrovo meglio e riesco a individuare, con serenità, i confini e i limiti del mio agire.
In conclusione, non dobbiamo mai dimenticare che il fare e l’utilizzare una componente di una specifica prassi musicale non la può trasformare magicamente in un’altra.
In questa prospettiva è ragionevole pensare che realizzare un concerto in un ospedale non trasforma questa attività in musicoterapia, perché si svolge in un ambito clinico, ma rimane un’attività estetica che viene svolta in un contesto di guarigione diverso da quello abituale.
Il contesto di realizzazione cambia ma l'attività concertistica non cambia di una virgola.
Realizzare dialoghi sonori facilitando la coesione sociale di un gruppo di persone non trasforma questa attività in musicoterapia ma rimane un’attività animativa con un occhio e un orecchio alle variegate relazioni emotivo-musicali scaturite nel contesto gruppale.
Adottare in ambito educativo principi e strategie tipiche della prassi disciplinare musicoterapica, non trasforma questa attività in musicoterapia ma questa prassi rimane una proposta didattica maggiormente attenta alla situazione scolastica a cui è rivolta.
L’adozione di ascolti musicali significati alla persona in cura, preso in prestito dalla prassi disciplinare musicoterapica, ad opera di logopedisti, fisioterapisti, psicomotricisti, ecc., non trasforma queste loro specifiche prassi in musicoterapia perché rimangono sempre ciò che realmente sono: logopedia, fisioterapia e psicomotricità che tendono ad essere maggiormente calibrate sulla persona.
Giangiuseppe Bonardi
[1] C. Sini, Il limite della figura, in: Il sapere dei segni, Milano, Jaca Book, Prima ristampa, 2019, p. 11.