Lo sguardo ritrovato

MiA, 28 giugno 2023


Lo sguardo ritrovato

 

Non c’è niente di più eccitante

dell’atto di vivere la musica,

 del fatto di credere ai suoi aspetti

 più indulgenti e più esaltanti.

È difficile poter immaginare di celebrare

 importanti momenti della nostra vita

 senza la nostra musica preferita…”.[1]

Antony Sher

 

 

Questo elaborato è il coronamento di un lavoro tanto affascinante quanto difficoltoso, durato due anni.

In qualità di musicoterapeuta mi sono trovata di fronte alla proposta di prendere in carico un bambino di sette anni, segnalato all’ASL dalla scuola elementare per gravi disturbi relazionali.

La decisione di accettare mi ha letteralmente catapultata nella complessità della realtà musicoterapica, una complessità che, sebbene sia conosciuta dal punto di vista razionale e accademico, può essere realmente compresa solo quando ci si trova immersi, si è esposti in prima persona e si vive sulla “propria pelle” la difficoltà di strutturare e applicare un intervento musicoterapico quanto più possibile coerente, organico e rispondente alle caratteristiche e ai bisogni del paziente.

In questo caso occorre fare un “salto di qualità”, porre ordine tra le conoscenze teoriche acquisite, riuscire a dare una propria definizione di musicoterapia e, quasi con la stessa sistematicità di un ricercatore, strutturare e portare avanti un intervento musicoterapico costruito ad hoc per il paziente.

È questa la strada che ho percorso dal momento in cui ho deciso di prendere in carico Luca. 

Questo elaborato nasce quindi da un’esperienza vissuta in prima persona, ne raccoglie le riflessioni teoriche, le scelte musicoterapiche, i percorsi seguiti, i dubbi, le difficoltà, le soddisfazioni. La scelta di una precisa metodica, quella della metodica musicoterapica relazionale individuale, è frutto dell’esigenza di trovare un metodo chiaro e coerente che mi aiutasse a strutturare l’intervento sulla base di dati quanto più oggettivi possibile o comunque derivati dalla realtà di Luca e dal setting musicoterapico e non dalle proiezioni del mio modo di sentire e sentirmi, risultando in tal modo il più adeguato al caso in esame. L’applicazione della metodica musicoterapica relazionale individuale mi ha consentito di “sperimentare” un tipo di intervento musicoterapico sistematico, aiutandomi ad “aprire gli occhi” sul vero senso dell’espressione “processo musicoterapico”, mi ha permesso di conoscerne i punti di forza e i limiti, ma soprattutto mi ha consentito di aiutare Luca a conseguire obbiettivi che all’inizio sembravano irraggiungibili, tendendogli una mano che forse lo ha guidato verso la possibilità di trovare un’uscita dal tunnel della malattia mentale e dell’isolamento sociale.

La musica fa parte della nostra vita, è la nostra “compagna di viaggio”.

Fin da quando siamo nel grembo materno, filtrati dal liquido amniotico, i profondi suoni corporei scandiscono il tempo del nostro divenire e ci avvolgono in un caldo e confortevole universo sonoro che scolpisce la nostra memoria più profonda e, talvolta, riaffiora dando luogo a manifestazioni ritmiche e melodiche tanto universali, quanto intimamente personali. Sono tante le persone che nel corso della loro vita prendono parte ad attività musicali, dall’ascolto, alla composizione, all’esecuzione.

Nel campo della psicologia della musica, Sloboda sostiene che ciò

 

sia dovuto al fatto che la “… musica è capace di suscitare in noi delle emozioni profonde e significative… ha la capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva”.[2]

 

Vivere la musica ci dà piacere, ci permette di scaricare la nostra energia fisica, ci dà soddisfazione, ci fa provare emozioni più o meno intense;

 


al riguardo L. Bunt afferma che la musica interagisce con i nostri pensieri più intimi, spirituali e personali. La musica ci aiuta a sentirci più umani”[3].

 

Esiste dunque un legame tra l’uomo e la musica e la natura di questo

 

legame risiede nelle emozioni, “… gli insiemi dinamici, costituiti da molteplici componenti… cognitiva, fisiologica, espressivo - motoria, motivazionale, soggettiva o dell’esperienza emozionale… organizzati in una struttura gerarchica…[4]”.

 

Questa affermazione sottende l’accettazione del fatto che la musica esercita, in qualche modo, un’influenza sull’uomo.

Come fa la musica ad influire sulle persone? 

Se la musica suscita effetti sulle persone, può essere usata con scopi terapeutici? 

Le risposte che gli psicologi della musica e i musicoterapeuti hanno formulato sono tante e diverse tra di loro, poiché nascono da modi diversi di intendere e di definire l’uomo e la musica, in base alla scuola di pensiero alla quale aderiscono.

Entrando nel campo specifico della musicoterapia è doveroso sottolineare che l’idea di fare un uso terapeutico della musica affonda le sue radici sin dall’antichità, ha attraversato i secoli, le diverse culture e società, sostenuta dalla convinzione condivisa del “potere terapeutico” della musica, ma solo negli ultimi decenni la musicoterapia ha cominciato ad evolversi come disciplina specifica. La sua età relativamente giovane, la sua natura transdisciplinare rendono arduo il compito di chi tenta di darne una definizione.

La definizione di musicoterapia è generalmente determinata da uno specifico contesto operativo del musicoterapeuta, dalle sue convinzioni teoriche e dai modi di pensare, che ne riflettono l’identità professionale e la filosofia personale.

È proprio all’interno di questo vasto panorama epistemologico che si vengono a delineare metodi e strategie d’intervento differenti: alcune sono a tutt’oggi riconosciute come “ufficiali”, o comunque godono di fama internazionale, altre si diffondono a livello locale e rappresentano il risultato di un lungo cammino di ricerca, di studio e di pratica in campo musicoterapico.


Note

[1] A. Sher, Year of The King, Londra,  Methuen, 1985, p. 215.

[2] J. A. Sloboda, La musica come abilità cognitiva, in La Mente Musicale, Il Mulino, 1988, ed. it. a cura di R. Luccio, p. 23.

[3] L. Bunt, Musicoterapia. Un’arte oltre le parole, a cura di M.M. Filippi, Bologna, Kappa, 1997, p. XII.

[4] P. E. Ricci Bitti, Le emozioni e la loro esteriorizzazione, in Regolazione delle emozioni e arti- terapie, Roma, Carocci, 1988, a cura di P.E. Ricci Bitti, p. 16.


Roberta Andrello

roberta.andrello@alice.it