Riuso delle città e strumenti di prelievo delle rendite urbane

Ezio Micelli

Università IUAV di Venezia


Sunto

A distanza di quasi vent’anni dall’introduzione delle norme di carattere regionali relative a nuovi strumenti di ripartizione del valore fondiario esito di decisioni di pianificazione è possibile delineare un primo bilancio, ponendo in evidenza gli strumenti maggiormente capaci di dare soluzione ai problemi delle amministrazioni e quelli invece che stentano ad affermarsi nei processi economici e sociali della trasformazione urbana.

Tre strumenti sono dunque posti a confronto in relazione alla propria efficacia: la perequazione urbanistica, i diritti edificatori e gli accordi pubblico/privato.

Nella nuova agenda degli enti locali, tesa alla trasformazione della città esistente e non all’espansione su nuove aree sottratte a usi del settore primario, il rilievo operativo della perequazione urbanistica, intesa in senso classico come strumento per il recupero di aree eccedenti lo standard, appare modesto. A uno sguardo attento, la perequazione appare come derivata di accordi pubblico/privato in cui le parti possono decidere molto più liberamente come ripartire il plusvalore determinato dalle decisioni di pianificazione non solo in aree, ma anche in opere e servizi.

Analogamente, i diritti edificatori si manifestano come strumenti di nicchia, presenti in mercati immobiliari evoluti e sofisticati e consentono la soluzione di alcuni problemi di rilievo, ma di natura circoscritta. Ancora una volta, per ragioni connaturate alla variabilità dei loro valori, i diritti edificatori pongono alle amministrazioni questioni di rilievo in merito al loro valore e non stupisce come spesso vengano impiegati all’interno di accordi pubblico/privato allo scopo di controllarne il valore economico.

Ciò che emerge dall’indagine empirica è il successo degli accordi pubblico privato, il cui impiego appare massivo a tutte le scale e rispetto alla più grande varietà di temi funzionali e progettuali. Con alcune conseguenze importanti: in primo luogo la trasformazione della pianificazione in strumento di prelievo delle rendite in assenza di forme di tassazione delle rendite assolute e differenziali; in secondo luogo, la mutazione in radice delle forme della pianificazione a seguito delle utilità che le amministrazioni ritraggono dagli accordi.

La relazione tra strumenti di attuazione e natura del piano appare problematica: in particolare, il successo degli strumenti incide sulla natura stessa dei piani (di cui, in teoria, dovrebbero rappresentare mere declinazioni operative), aprendo scenari di rilievo sul modo in cui è possibile riorganizzare il rapporto tra valutazione e politiche urbane.