Temi e problemi della fiscalità locale: imposte di scopo, finanziamento degli investimenti dei comuni e bilancio partecipativo

Vittorio Ferri

Università degli Studi di Milano Bicocca e Università di Pavia


Sunto

L’obiettivo di questo contributo è di richiamare l’attenzione su alcune imposte e strumenti di finanziamento dei comuni, l’imposta di scopo e il contributo straordinario, sostanzialmente non utilizzati e su altri applicati in numerose esperienze internazionali.

In Italia, l’imposta di scopo è stata istituita nel 2006 dalla legge n. 296 (legge finanziaria per il 2007) ed ha ricevuto scarsa attenzione da parte di economisti e amministratori locali, pur in presenza, negli ultimi anni, di particolari difficoltà per l’azione dei comuni, riconducibili all’instabilità della tassazione sulla proprietà degli immobili, all’incertezza intertemporale e normativa e alla scarsità di risorse per gli investimenti. Il comma 145 della legge n. 296 consente ai comuni di istituire un imposta di scopo destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche. In altre parole l’imposta di scopo non è altro che un contributo di miglioria. Oltre al problema della “cattura del valore” in questi anni è emerso il problema di ridurre le differenze di trattamento nel regime IMU tra proprietari di prima casa, di altre abitazioni e tipologie di immobili, che potrebbero aver contribuito alla crisi del mercato immobiliare. La ricerca del consenso politico ha determinato la personalizzazione delle esenzioni dell’Imu sulla prima casa, costruito situazioni di privilegio rispetto agli altri proprietari di immobili e contribuito a ridurre gli investimenti dei comuni.

La disciplina nazionale del contributo straordinario (la legge n. 164 del 2014, articolo 17 comma 1 lettera g) ha modificato il testo unico sull’edilizia (il Dpr 380/2001, articolo 16 comma 4, lettera d-ter e comma 4 bis). Le amministrazioni comunali, oltre ad applicare gli oneri di urbanizzazione, devono valutare il maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso. Prima dell’introduzione del contributo straordinario, va segnalata la decisione del Comune di Parma (delibera n.1240 del 23 settembre 2010) di integrare gli oneri di urbanizzazione con un “contributo perequativo per la città pubblica” in particolari aree di trasformazione edilizia.

Naturalmente l’imposta di scopo incide sul patrimonio immobiliare esistente, mentre il contributo straordinario riguarda le nuove trasformazioni, ma entrambi sono utili per il finanziamento dei costi della città pubblica. Il loro utilizzo consente di costruire politiche di cattura del valore, per contribuire al pagamento delle infrastrutture urbane e più in generale per una redistribuzione del carico fiscale tra i contribuenti dei comuni, i costruttori ed i proprietari di immobili.

Il paper suggerisce di collegare l’imposta di scopo al piano triennale delle opere pubbliche e al bilancio partecipativo per costruire una modalità condivisa di finanziamento degli investimenti dei comuni che incida tutti i proprietari degli immobili che beneficiano della spesa comunale e catturi almeno una parte dei benefici dovuti agli investimenti per opere pubbliche che aumentano il valore degli immobili.

Dopo una breve rassegna di esperienze internazionali relative ad alcune pratiche di imposte di scopo:

i) in Francia e in alcune regioni della Spagna, la tassa sulle superfici commerciali;

ii) a Barcellona il tributo metropolitano, applicato nei comuni della prima corona dell’area metropolitana, è un’addizionale all’imposta sugli immobili urbani, il gettito è destinato al finanziamento delle infrastrutture del trasporto pubblico;

iii) in Canada la tassa sui miglioramenti locali è applicata da alcuni comuni della Provincia del Quebec a carico dei proprietari di immobili, anche in parti circoscritte del territorio comunale;

l’attenzione sarà concentrata in primo luogo sull’analisi dei motivi della mancata applicazione dell’imposta di scopo da parte dei comuni, che sembrano preferire i trasferimenti finanziari per evitare i rischi di perdita del consenso politico-elettorale. In secondo luogo, sugli esiti dell’applicazione dell’imposta di scopo nel Comune di Rimini (con esclusione dei proprietari residenti). In terzo luogo sui vantaggi che possono derivare dall’applicazione congiunta dell’imposta di scopo con il bilancio partecipativo. Per quest’ultimo, l’esperienza del Comune di Parigi evidenzia risultati positivi per la selezione degli investimenti, il coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale e la rendicontazione dell’uso delle risorse. Anche se in Italia il testo unico degli enti locali non prevede il bilancio partecipativo, ogni comune può procedere con regolamento. Con la sua adozione i cittadini possono partecipare alla selezione delle opere da inserire nel piano triennale delle opere pubbliche, limitare la discrezionalità delle scelte politiche per la spesa pubblica locale e favorire la convergenza tra le proprie preferenze e quelle dei politici nelle decisioni di investimento. Dunque, il bilancio partecipativo potrebbe rivelarsi uno strumento valido per attivare l’imposta di scopo, la cui applicazione è stata finora ostacolata dal problema del consenso politico-elettorale, direttamente collegato alla tassazione locale degli immobili.

Se le argomentazioni proposte nel paper sono valide, l’imposta di scopo dovrebbe essere applicata, senza necessariamente aumentare il carico fiscale IMU, per alimentare gli investimenti dei comuni, ma le prime case di abitazione non dovrebbero essere esentate, secondo il principio chi beneficia paga. Lo scambio tra imposta di scopo e investimenti (certi) per nuove opere pubbliche, decise con l’intervento diretto dei cittadini, renderebbe più accettabile la tassazione locale per i proprietari di immobili, ridurrebbe il privilegio ingiustificato finora accordato ai proprietari di prima casa e la discrezionalità delle scelte dei comuni. In definitiva aumenterebbe la qualità delle politiche locali.