La dispersione edilizia oltre la rendita: stress urbanistico post‐sismico nel comune dell’Aquila

Lorena Fiorini, Alessandro Marucci, Francesco Zullo

Università dell'Aquila


Sunto

Il sisma del 2009 ha colpito la città dell’Aquila in un momento di stasi organizzativa e di incertezza di ruolo territoriale. Dopo l’esuberanza trasformativa perdurata fino alle soglie del 2000 e attivata dal vecchio PRG del 1975, la città viveva oggettivamente una crisi senza una alternativa convincente all’inevitabile declino della energia economica legata alle costruzioni che aveva caratterizzato i decenni precedenti, una energia ancora guardata con nostalgia da molti politici e imprenditori.

Lo shock sismico ingenera una caduta di presidio nel controllo del territorio, per quanto debole fosse quello espresso dall’antiquariale strumento urbanistico vigente ormai esausto. Già l’azione emergenziale produce un punteggiamento di interventi edilizi distribuiti su tutto il territorio comunale, ma altrettanto presto alcune componenti politiche premono sull’amministrazione per ottenere la possibilità di realizzare costruzioni inaree prima precluse, dietro la spinta della necessità di edilizia “provvisoria”. La situazione imprevista crea le condizioni, ancora prima che inizino le operazioni della vera e propria “ricostruzione”, per una intensa azione di sostituzione/integrazione edilizia con forte impronta dispersiva, soprattutto nelle aree pianeggianti agricole. La localizzazione dei servizi segue naturalmente le concentrazioni residenziali e tutto procede senza coordinamento per diversi anni. Tali spinte espansive del dopo sisma sono state sostanzialmente compulsive e sganciate da quelle, pur discutibili, logiche dell’investimento che avevano guidato gli interventi negli anni ‘80 e hanno portato la città ad avere oggi un enorme stock edilizio a fronte sia dell’effettivo carico demografico che delle reali prospettive di acquisizione di rango funzionale penalizzate anche dalla posizione sfavorevole di area interna.

In realtà poi neanche il processo di “ricostruzione” ufficiale, quello finanziato dallo Stato, ha perseguito finalità di ri‐disegno urbanistico dei molti impianti irrazionali, o di riqualificazione edilizia, insistendo ostinatamente sul metodo del “dov’era e com’era”, anche in evidente contrapposizione con le convenienze della rendita immobiliare che, infatti, ha subito una sensibile flessione.

L’analisi della mappa dei valori degli immobili mostra infatti, inequivocabilmente, una drastica riduzione dei prezzi al metro quadrato se confrontati con quelli ante‐sisma, pur naturalmente depurando il confronto dai fenomeni nazionali di analoga caduta dei valori immobiliari registrata progressivamente negli ultimi dieci anni. Una più accorta politica urbanistica avrebbe forse suggerito di provare a compensare la riduzione dell’interesse sulla città, causata dal suo oggettivo impoverimento prestazionale post‐sisma, con un importante miglioramento della qualità urbanistica e dell’ambiente costruito e non, ma le cose non sono andate così.

Parole chiave: dispersione insediativa, ricostruzione post‐sisma, rendita immobiliare