Cristian Cannaos
Università di Sassari
Sunto
Non sempre la crescita di suoli edificabili produce una rendita differenziale positiva sul patrimonio edilizio esistente.
Il saggio ha la finalità di dibattere un caso particolare per cui il fenomeno dell’espansione urbana ha effetti negativi sulla rendita di tutti i terreni edificabili o immobili esistenti. Parliamo del caso in cui cioè si ha aumento dei suoli edificabili, per cui generalmente si realizza comunque una qualche forma di rendita assoluta, ma invece, rispetto al caso classico, non si realizza una rendita differenziale, anzi questa tende ad assumere valori negativi crescenti nel tempo, portando cioè ad un abbassamento progressivo dei valori dell’esistente, soprattutto per quanto riguarda gli edifici. È questo il caso in cui, alla possibilità di espansione della città identificata dal piano, non corrisponda una reale necessità di espandere l’edificato, ovvero siamo generalmente in presenza di centri urbani già in fase di contrazione demografica, per cui la domanda di residenza è sostanzialmente soddisfabile dal patrimonio edificabile ed edificato esistente.
Questo fenomeno (a volte realizzato tramite piani urbanistici, altre tramite programmi di fabbricazione) è molto presente e rilevante, e, a partire dagli anni sessanta, ha interessato, (ed ancora interessa), molta parte dei centri minori dell’Italia. Mentre nelle città, che fungevano da attrattori di popolazione, l’espansione urbana portava alla creazione di una rendita (assoluta e differenziale) positiva e crescente, nei centri in fase di spopolamento, su un patrimonio edilizio totale certo non indifferente, sia dal punto di vista numerico che qualitativo, la stessa espansione produceva effetti pressoché opposti.
Complici alcune nuove e più moderne visioni rispetto alla tipologia ed alle dimensioni della propria abitazione, la motorizzazione di massa, l’uso dell’automobile spesso poco compatibile con le strette strade dei centri storici, una crescente vincolistica su centri ed edifici storici, la sempre presente spinta speculativa locale, in un momento di ristrutturazione culturale epocale, si riformulava e cresceva una domanda per nuova edificazione in periferia, che andava a sostituire la domanda per l’acquisto, ristrutturazione o restauro degli edifici esistenti.
Rispetto al caso classico dunque gli edifici in zona centrale all’espandersi della città subivano una perdita di valore, poiché i nuovi suoli edificabili avevano la possibilità di aderire meglio ai desiderata culturali del momento.
Per cinquanta anni questo ha prodotto espansioni importanti anche in centri urbani in forte contrazione demografica, con conseguente surplus di produzione di edificato, e svuotamento ed abbandono di larga parte dei centri storici. La periferia di questi centri è oggi il luogo in cui per lo più ancora esiste un mercato degli immobili (seppure anche questo sempre meno attivo e dunque registri valori sempre più slegati da domanda ed offerta), mentre molti dei centri storici languono e si ruderizzano con scarse prospettive di recupero abitativo, fosse pure temporaneo o parziale.
Il saggio, fatto un primo inquadramento teorico della questione, proverà ad offrire alcuni spunti di riflessione utilizzando come caso studio la Sardegna, andando a fare considerazioni sulla rendita e sui valori immobiliari, partendo dall'analisi dello sviluppo dell’edificato dei paesi dell’interno in forte calo demografico e tracciando alcune possibili traiettorie di ricerca.