S1 E2

Le Sabine

Las Sabinas

The Sabine Women

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Quando Romolo rapisce le donne Sabine per far sì che i romani le sposino, i loro padri non possono fare altro che muovere guerra contro Roma. Vogliono riportarle a casa a tutti i costi. Ecco che allora, nel bel mezzo dello scontro, le coraggiose donne irrompono sul campo di battaglia per dividere gli eserciti e impedire che i mariti e i padri si uccidano a vicenda. Nonostante questo mito sia un’invenzione più recente rispetto alla fondazione di Roma, i segreti che nasconde sono più attuali che mai al tempo della tarda repubblica. 


Autrici: Valentina Rossi, Elena Missaggia.

Voci: Alvise Merelli (Dionigi di Alicarnasso), Alessandro Rucco (Livio), Valentina Rossi (narratrice). 

Montaggio e produzione: Elena Missaggia, Valentina Rossi. 

Le Sabine (trascrizione italiano)

Sigla. Sigla. Benvenuta o benvenuto, questo è Matronae, il podcast che restituisce la voce alle donne dell’antica Roma. In questo episodio parleremo del mito delle Sabine, le coraggiose donne che hanno salvato Roma all’inizio della sua storia.

 

[Effetti sonori: rumore di spade, musica epica]


Narratore. Roma, 753-751 a.C. I Romani e i Sabini combattono ferocemente quella che ricordiamo come Battaglia del lago Curzio (no, non si tratta di un lago, ma di un’infossatura del Foro di Roma). Nei racconti di Livio, Dionigi di Alicarnasso, e nelle successive rielaborazioni di Ovidio e Plutarco, il fragore delle spade viene interrotto dal leggendario coraggio di un gruppo di donne, le Sabine.

Quando Livio per primo scrive di questo mito, la Repubblica romana è ormai un ricordo. L’imperatore Augusto ha appena emanato delle leggi che riducono il potere dei mariti sulle doti delle mogli, aumentando la libertà economica e pubblica delle matrone. Le donne non sono più relegate alla sola dimensione domestica: ora sono commercianti, imprenditrici come Livia Drusilla e letterate come Sulpicia. Ma soprattutto, dalla tarda repubblica si occupano anche di politica: un comportamento extra mores, ovvero al di là del normale costume della società romana. L’uso della parola pubblica era loro, infatti, precluso sin dalle origini, così come l’intervento nelle questioni dello stato. Ecco il perché di questa leggenda, ecco da dove nasce il mito delle Sabine, intessuto proprio per legittimare le nuove abitudini delle donne tardo repubblicane. Una leggenda creata perché questa libertà non facesse più tanto scalpore, perché per i Romani, tutto ciò che era antico era legittimo.

Il mito delle Sabine viene intessuto proprio per legittimare le nuove abitudini delle donne coeve. Una leggenda creata perché questa nuova libertà non facesse più tanto scalpore, sostenuta da un exemplum antico. Come sempre, infatti, il mos maiorum - il recupero dei valori degli antenati - era un riferimento imprescindibile per i Romani. 

Ma torniamo alla battaglia del Lago Curzio e riavvolgiamo il nastro della storia. Qual è la causa di questa sanguinosa guerra? Conosciamo tutti la leggenda che attribuisce la fondazione di Roma a due gemelli, Romolo e Remo, allattati da una lupa dopo essere stati abbandonati ancora in fasce. Ma dietro alla leggenda, ci sono dinamiche più complesse. Nell’VIII secolo a.C., il Lazio è un importante snodo commerciale per mercanti e marinai, le sue acque sono spesso solcate da navi fenicie e a Nord si trova il potente impero etrusco. La zona di Roma è paludosa, ma fortunatamente ci sono sette piccoli colli che permettono di costruire delle capanne e di vivere all’asciutto. Roma cresce e in poco tempo si fortifica: c’è un solo, unico, problema.

 Come riportato da Livio:

 

Livio. «Lo Stato romano era ormai diventato così forte da costituire un possibile nemico per i suoi vicini, ma la sua grandezza minacciava di durare solo per una generazione perché a causa dell’assenza di donne non c'era speranza di discendenza, e non c'era diritto di matrimonio con i vicini.» (Livio, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narratore. Romolo si rivolge alle popolazioni circostanti per stringere alleanze, ma l’accoglienza non è delle più calorose - anzi, tutto il contrario. Nelle fonti antiche, qui il mito si fonde con la realtà e la soluzione trovata è subdola e crudele. Romolo invita le popolazioni vicine ai Consualia, i giochi solenni in onore del dio Conso. Dopo aver preso posto tra la folla, al segnale stabilito i Romani estraggono le spade e rapiscono le figlie dei Sabini. I padri fuggono, in preda alla confusione e allo shock, non prima, però, di aver giurato vendetta.

Come riportato da Livio.

 

Livio. «(Le Sabine) avrebbero vissuto in onorevole matrimonio e condiviso le proprietà e i diritti civili, e sarebbero state madri di uomini liberi.» (Livio, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narratore. Sebbene apparentemente Romolo conceda alle Sabine la facoltà di scegliere, il controllo del loro corpo risiede in realtà nell’assegnazione casuale all’uomo che le aveva scelte. Romolo stesso ne sposa una: Ersilia.

La violenza chiama altra violenza: il re dei Sabini, Tito Tazio, invita i propri uomini a muovere guerra contro Roma per riportare a casa le figlie rapite. Grazie alla complicità della giovane Tarpea, corrotta con dell’oro, riescono a entrare nella città e iniziano a combattere contro i Romani. I due nemici schierano i propri eserciti ai piedi del Palatino: i colli romani circondano il campo di battaglia, impedendo eventuali vie di fuga. Combattere o morire.  È qui che torniamo alla battaglia del lago Curzio: quando i Romani sembrano avere la meglio sui Sabini e il combattimento è all’apice della tensione, Livio e Ovidio ci raccontano di un gesto dirompente. Le Sabine, con i figli in braccio, i capelli spettinati e i vestiti strappati, irrompono tragicamente sul campo di battaglia.

Come riportato da Livio,

 

Livio. «Fu in quel momento che le donne sabine, il cui rapimento aveva scatenato la guerra in corso, con le chiome al vento e i vestiti a brandelli, lasciarono che le disgrazie presenti avessero la meglio sulla loro timidezza di donne e non esitarono a buttarsi sotto una pioggia di proiettili e a irrompere dai lati tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte supplicavano i mariti e dall'altra i padri. Li imploravano di non commettere un crimine orrendo macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di non lasciare il marchio del parricidio nelle creature che esse avrebbero messo al mondo, figli per gli uni e nipoti per gli altri.»  (Livio, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narratore. Il fatto commuove tanto gli uomini quanto i capi militari: d’un tratto cala il silenzio.


[Effetti sonori: silenzio]


Narratore. In Livio a parlare sono tutte le donne Sabine, collettivamente. La loro voce è la voce del gruppo, mossa dal dolore e dalla disperazione. Il discorso trasuda pathos: parlano di sangue, di omicidi e di un futuro nefasto:

 

Sabine (urlando). «Se vi infastidisce la parentela reciproca, il matrimonio, rivolgete su di noi la vostra ira: noi siamo la causa della guerra, noi la causa delle ferite e della morte dei (nostri) mariti e dei (nostri) padri, meglio per noi sarà morire che vivere come orfane o vedove, senza gli uni o gli altri di voi.»  (Livio, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narratore. Il loro è l’ultimo, disperato tentativo di riconciliare i padri con i mariti, di salvare le proprie famiglie dall’odio, di gettare le premesse per una convivenza pacifica.

In Dionigi di Alicarnasso, invece, a ergersi portavoce delle Sabine è Ersilia: la narrazione è più statica rispetto a quella di Livio e la donna viene dipinta come imperscrutabile, congelata e senza alcun legame con le Sabine stesse.

 

Dionigi. «Ersilia fece una lunga e patetica esposizione: chiedeva che si accordasse la pace a loro, che intercedevano per i mariti, a loro per cui, ella pensava, era stata dichiarata la guerra: che i capi si riunissero per discutere tra di loro a quali giuste condizioni potesse nascere la pace, tenendo presente il bene di entrambe le parti.» (Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1.)

 

Narratore. La fredda razionalità consente a Ersilia di proporre un accordo equilibrato per entrambe le parti. Mentre il discorso costruito da Livio si disvela in un crescendo di tensione emotiva, Dionigi affievolisce gradualmente il pathos delle parole di Ersilia, fino ad arrivare alla proposta di mediazione.

A prima vista, potremmo pensare che il comportamento di Ersilia sia naturale e giustificato. In realtà, però, i lettori romani potrebbero aver trovato la sua interferenza disturbante, se non addirittura fuori luogo: una donna, mossa dalle lamentele di altre donne rapite, che ha l’ardire di intromettersi in un contesto militare. Si tratta certamente di una scelta narrativa forte. La freddezza di Ersilia è in aperta contraddizione con la scena che segue le sue parole.

Come riportato da Dionigi di Alicarnasso:

 

Dionigi. «Dette queste parole, tutte si gettarono ai piedi del re con i loro bambini e rimasero prostrate finché i presenti (gli uomini) non le fecero alzare da terra e non promisero che avrebbero fatto tutto ciò che era giusto e possibile.» (Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1)

 

Narratore. Usando il participio “dette queste parole” al plurale, Dionigi crea una stretta sinergia tra il discorso di Ersilia e le Sabine. Il suo discorso diventa il loro, le loro azioni diventano le sue.

Il coraggioso gesto delle donne Sabine ha come esito il ricongiungimento delle due popolazioni: le loro famiglie ottengono il diritto di trasferirsi nel territorio romano. Il loro discorso riporta la concordia nella società romana e permette il prosperare in quello che diventerà l’impero degli imperi.

 

Titoli di coda. Podcast prodotto dall'Università Ca' Foscari di Venezia, GIEFFRA e VeDPH.

Cuando Rómulo secuestra a las mujeres sabinas para que los romanos se casen con ellas, sus padres no tienen más remedio que declarar la guerra a Roma. Quieren traerlas de vuelta a casa a toda costa. En medio de esta guerra, las valientes mujeres irrumpen en el campo de batalla para dividir a los ejércitos y evitar que sus maridos y padres se maten entre sí. Aunque este mito es una invención más reciente que la fundación de Roma, los secretos que esconde son más relevantes que nunca en la época de la República tardía.

 

Autoras: Valentina Rossi, Elena Missaggia. 

Traductoras al español: Alessia Andriola, Autora Moreto, Priscilla Pentecoste, Giulia Rasente. 

Voces:Alessia Andriola, Aurora Moretto, Giulia Rasente. 

Editora y productora: Elena Missaggia.

Las Sabinas  (edición española)

Cortina musical. Bienvenida o bienvenido, esto es Matronae, el podcast que devuelve la voz a las mujeres de la antigua Roma. En este episodio hablaremos del mito de las Sabinas, las valientes mujeres que salvaron Roma al principio de su historia.

[Efectos de sonido: ruido de espada, música épica]

Narrador. Roma, 753-751 a.C. 

Los romanos y los sabinos luchan encarnizadamente en la que recordamos como la Batalla del Lago Curcio (no, no se trata de un lago, sino del emplazamiento del Foro de Roma). En los relatos de Livio, Dionisio de Halicarnaso y en las posteriores versiones de Ovidio y Plutarco, el fragor de las espadas se ve interrumpido por el legendario valor de un grupo de mujeres, las Sabinas.

Cuando Livio escribe por primera vez sobre este mito, la República romana ya no es más que un recuerdo. El emperador Augusto acababa de promulgar leyes que reducían el poder de los maridos sobre las dotes de sus esposas y aumentaban la libertad económica y pública de las matronas. Las mujeres ya no están relegadas únicamente al ámbito doméstico: ahora son comerciantes, empresarias, como Livia Drusila, y literatas, como Sulpicia. Pero, sobre todo, a partir de la República tardía participan también en la política: un comportamiento más allá de las mores, es decir, más allá de las costumbres normales de la sociedad romana. De hecho, el uso de la palabra se les había prohibido en público desde el principio, así como la intervención en los asuntos de Estado. De aquí procede esta leyenda, el origen del mito de las Sabinas, entretejido precisamente para legitimar las nuevas costumbres de las mujeres tardo-republicanas. Una leyenda creada para que esta nueva libertad ya no causara tanto revuelo, porque para los romanos todo lo antiguo era legítimo.

El mito de las Sabinas se teje precisamente para legitimar las nuevas costumbres de las mujeres contemporáneas, apoyándose en un ejemplo antiguo. Desde siempre, el mos maiorum, es decir, la recuperación de los valores de los ancestros, había sido una referencia imprescindible para los romanos.

Pero volvamos a la batalla del Lago Curcio y devolvámonos a los orígenes de la historia. ¿Cuál es la causa de esta sangrienta guerra? Todos conocemos la leyenda que atribuye la fundación de Roma a los gemelos Rómulo y Remo, amamantados por una loba tras haber sido abandonados todavía en pañales. Pero detrás de la leyenda se esconden dinámicas más complejas. En el siglo VIII a.C., la región del Lacio representaba un importante núcleo comercial para mercaderes y marineros, sus aguas eran a menudo surcadas por naves fenicias y en el norte se encontraba el poderoso imperio etrusco. La zona de Roma es pantanosa, pero afortunadamente hay siete pequeñas colinas que permiten construir cabañas sobre terreno seco. Roma sigue expansionándose y en poco tiempo se fortifica. Hay un único problema.

Según refiere Livio:

 

Livio. «El Estado romano se había vuelto tan fuerte que resultaba atractivo para cualquiera de sus vecinos, pero su grandeza amenazaba con durar solo una generación, ya que por la ausencia de mujeres no había ninguna esperanza de descendencia, y no tenían el derecho de matrimonio con sus vecinos.» (Livio, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narrador. Rómulo se dirige a las poblaciones circundantes para forjar alianzas, pero la acogida no es la más calurosa, sino todo lo contrario. En las fuentes antiguas el mito se funde con la realidad y la solución encontrada es maliciosa y cruel: Rómulo invita a las poblaciones cercanas a los Consualia, los juegos solemnes en honor del dios Consus. Después de posicionarse entre la multitud, a la señal establecida los romanos desenvainan las espadas y secuestran a las hijas de los sabinos. Los padres huyen presas de la confusión y el shock, pero no sin antes haber prometido venganza.

Como relata Livio:

 

Livio. «(Las Sabinas) vivirían en honroso matrimonio y compartirían todos sus bienes y derechos civiles, y serían madres de hombres libres.» (Livio, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narrador. Aunque Rómulo concede aparentemente a las sabinas la posibilidad de elegir, el control de sus cuerpos reside, en realidad, en la asignación casual al hombre que las había elegido. El propio Rómulo se casa con una de ellas: Hersilia.

La violencia llama más violencia: el rey de los sabinos, Tito Tacio, invita a sus hombres a declararle la guerra a Roma para devolver a casa a las hijas secuestradas. Gracias a la complicidad de la joven Tarpeya, sobornada con oro, consiguen entrar en la ciudad y empiezan la batalla contra los romanos. Los dos enemigos despliegan sus ejércitos al pie del monte Palatino: las colinas romanas rodean el campo de batalla, impidiendo cualquier vía de fuga. Luchar o morir. Y aquí volvemos a la batalla del Lago Curcio: cuando los romanos parecen llevar ventaja sobre los Sabinos y la lucha alcanza el punto álgido de la tensión, Livio y Ovidio nos cuentan de un gesto perturbador. Las mujeres sabinas, con sus hijos en brazos, los cabellos revueltos y los vestidos rasgados, irrumpen trágicamente en el campo de batalla.

Como relata Livio:

 

Livio. «Fue entonces cuando las Sabinas, cuyo secuestro había llevado a la guerra, despojándose de todo temor en medio de su aflicción, irrumpieron en medio de los proyectiles con el pelo revuelto y las ropas rasgadas. Corriendo a través de los dos ejércitos, trataron de impedir la lucha y calmar las pasiones exaltadas apelando a sus padres por un lado y a sus maridos por otro para que no cayesen en la maldición de manchar sus manos con la sangre de un suegro o de un yerno y cometer parricidio..»

(Livio, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narrador. El hecho conmueve tanto a los hombres como a los dirigentes militares: de repente se hace el silencio.

 

[Efectos sonoros: silencio]

 

Narrador. En Livio son todas las mujeres sabinas las que hablan, colectivamente. Su voz es la voz del grupo, conmovida por el dolor y la desesperación. Su discurso apela al pathos: hablan de sangre, de asesinatos y de un futuro nefasto:

 

Sabinas (gritando). «Si […] estáis hastiados de estos lazos de parentesco, de estas uniones matrimoniales, volcad vuestra ira sobre nosotras; somos nosotras la causa de la guerra, somos nosotras las que han herido y matado a nuestros maridos y padres. Mejor será para nosotras morir que vivir sin el uno o el otro, como viudas o como huérfanas.» (Livio, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narrador. Este es el último y desesperado intento de reconciliar a los padres con sus maridos, de salvar a sus familias del odio, de sentar las bases para una convivencia pacífica.

En Dionisio de Halicarnaso, en cambio, es Hersilia quién se erige como portavoz de las Sabinas: la narración es más estática que la de Livio y caracteriza a la mujer como inescrutable, fría y sin conexión alguna con las propias Sabinas.

 

Dionisio. «Hersilia pronunció un largo y patético discurso: pedía que se concediera la paz a las mujeres que intercedían por sus maridos, a aquellas por las que ella creía que se había declarado la guerra. Solicitaba que los líderes se reunieran para discutir cuáles eran las condiciones justas en las que podría surgir la paz, teniendo en cuenta los intereses de ambas partes.» (Dionisio de Halicarnaso, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1.)

 

Narrador. La fría racionalidad le permite a Hersilia proponer un acuerdo equilibrado para ambas partes. Mientras que el discurso construido por Livio revela una creciente tensión emotiva, Dionisio suaviza gradualmente el pathos de las palabras de Hersilia hasta llegar a la propuesta de mediación.

En un primer momento, podríamos pensar que el comportamiento de Hersilia es natural y justificado. Pero en realidad, los lectores romanos podrían considerar su intromisión no sólo perturbadora, sino incluso inapropiada: una mujer, movida por las quejas de otras mujeres secuestradas, que tiene la osadía de inmiscuirse en una cuestión militar. Sin duda es una opción narrativa atrevida. La imperturbabilidad de Hersilia está en abierta contradicción con la escena que sigue a sus palabras.

Como relata Dionisio de Halicarnaso:

 

Dionisio. «Pronunciadas estas palabras, todas se arrojaron a los pies del rey con sus hijos en brazos y permanecieron postradas hasta que los hombres las hicieron levantarse del suelo, prometiéndoles que harían todo lo correcto y posible.» (Dionisio de Halicarnaso, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1.)

 

Narrador. Al utilizar el participio “pronunciadas estas palabras” en plural, Dionisio crea una estrecha sinergia entre el discurso de Hersilia y las Sabinas. El discurso de Hersilia se convierte en el de las Sabinas y las acciones de la Sabinas son también las acciones de Hersilia.

El valiente gesto de las mujeres sabinas tiene como resultado la reunificación entre los dos pueblos: sus familias obtienen el derecho a trasladarse al territorio romano. Su discurso devuelve la concordia a la sociedad romana y permite la prosperidad de lo que se convertirá en el imperio de los imperios.

 

Créditos finales. Podcast producido por la Universidad Ca' Foscari de Venecia, GIEFFRA y VeDPH, en el marco del proyecto SPIN 2023: Women's Oratory in the Roman world: the gender Dimension in ancient Speeches.

The Sabine  Women (english translation) 

Theme song. Theme song. Welcome, this is Matronae. The podcast that restores the voice to the women of ancient Rome. In this episode we will discuss the myth of the Sabine women, the brave women who saved Rome early in its history.

 

[background noise: sword, background music]

 

Narrator. Rome, 753-751 BC. The Romans and Sabines fiercely fight what we remember as the Battle of Lake Curtius (no, it is not a lake, but a ditch in the Forum of Rome). In the accounts of Livy, Dionysius of Halicarnassus, and later retellings by Ovid and Plutarch, the clanging of swords is interrupted by the legendary bravery of a group of women, the Sabines

By the time Livy is first writing about this myth, the Roman Republic is a memory. Emperor Augustus has just enacted laws that reduce husbands' power over their wives' dowries, increasing matrons' economic and public freedom. Women are no longer relegated to the domestic sphere: they are now merchants, entrepreneurs like Livia Drusilla, and literate women like Sulpicia. Most importantly, from the late republic they also engaged in politics: behaviour extra mores, that is, beyond the normal code of Roman society. Indeed, the use of public speech was precluded to them from the beginning, as was the intervention in the affairs of the state. That is the reason for this legend, that is where the myth of the Sabine women came from, precisely to legitimize the new habits of late Republican women. A legend created so that this freedom would no longer make such a fuss because, for the Romans, everything ancient was legitimate.

But let us go back to the Battle of Curtius Lake and rewind the tape of history. What is the cause of this bloody war? We all know the legend that attributes the founding of Rome to twins, Romulus and Remus, who were nursed by a she-wolf after being abandoned while still in swaddling clothes. But behind the legend, there are more complex dynamics. In the 8th century B.C., Latium is an important trading hub for merchants and sailors, its waters are often sailed by Phoenician ships and to the north lies the powerful Etruscan empire. The area of Rome is swampy, but fortunately, there are seven small hills that make it possible to build huts and live dry. Rome grows and in a short time fortifies itself: there is only one, single problem.

As reported by Livy.

 

Livy. «The Roman state had now become so strong that it was a possible enemy to its neighbors, but its greatness threatened to last only for a generation because due to the absence of women, there was no hope of offspring, and there was no right of marriage with neighbors.» (Livy, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narrator. Romulus reaches out to the surrounding peoples to forge alliances, but the response is not the warmest - in fact, quite the opposite. In ancient sources, here myth merges with reality and the solution found is devious and cruel. Romulus invites the neighboring peoples to the Consualia, the solemn games in honor of the god Conso. After taking their places in the crowd, at the appointed signal the Romans draw their swords and kidnap the daughters of the Sabines. The fathers flee, in confusion and shock, not before, however, vowing revenge.

As reported by Livy.

 

Livy. «(The Sabine women) would have lived in honourable marriage and shared property and civil rights and would have been mothers of free men.» (Livy, Ab urbe condita 1, 9.)

 

Narrator. Although Romulus seems to grant the Sabine women the power of choice, the control of their bodies actually lies to the man who had chosen them. Romulus himself marries one: Ersilia.

Violence calls for more violence: the king of the Sabines, Titus Tatius, calls on his men to wage war against Rome in order to bring home his kidnapped daughters. Thanks to the complicity of the young Tarpea, bribed with gold, they manage to enter the city and begin to fight against the Romans. The two enemies deploy their armies at the foot of the Palatine: the Roman hills surround the battlefield, preventing any escape routes. Fight or die.

It is here that we return to the battle of Lake Curtius: when the Romans seem to have the better over the Sabines and the fighting is at its height, Livy and Ovid tell us about a disruptive gesture. The Sabines, with their children in their arms, their hair disheveled and their clothes torn, tragically burst onto the battlefield.

As reported by Livy,

 

Livy. «It was at that moment that the Sabine women, whose abduction had triggered the ongoing war, with their hair in the wind and their clothes in tatters, let the present misfortunes get the better of their timidity as women and did not hesitate to throw themselves under a shower of darts and burst in from the sides between the opposing factions to divide the contenders and appease their wrath. They pleaded with their husbands on one side and their fathers on the other. They implored them not to commit a horrendous crime by staining themselves with the blood of a father-in-law or son-in-law and not to leave the mark of patricide in the creatures they would bring into the world, children for the one and grandchildren for the other.» (Livy, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narrator. The fact moves the men as much as the military leaders: suddenly silence falls.


[silence]

 

Narrator. In Livy to speak are all the Sabine women, collectively. Their voice is the voice of the group, moved by grief and despair. The speech exudes pathos: they speak of blood, murder, and a nefarious future:

 

Sabine women. «If you are bothered by mutual relatedness, by marriage, turn your rage on us: we are the cause of war, we are the cause of the wounds and death of (our) husbands and (our) fathers, better for us will be to die than to live as orphans or widows, without one or the other of you.» (Livio, Ab urbe condita 1, 13.)

 

Narrator. Theirs is the last, desperate attempt to reconcile fathers with husbands, save their families from hatred, and lay the groundwork for peaceful coexistence.

In Dionysius of Halicarnassus, on the other hand, the spokesperson for the Sabine women is Ersilia: the narrative is more static than Livy's, and the woman is portrayed as inscrutable, frozen and with no connection to the Sabine women themselves.

 

Dionysius. «Ersilia made a long exposition: she demanded that peace be granted to them, who interceded for their husbands, to them for whom, she thought, war had been declared: that the leaders come together to discuss among themselves on what fair terms peace might arise, keeping in mind the good of both sides.» (Dionysius of Halicarnassus, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1.)

 

Narrator. The cold rationality allows Ersilia to propose a balanced agreement for both sides. As Livy's constructed discourse unravels in a crescendo of emotional tension, Dionysius gradually fades the pathos of Ersilia's words until he arrives at the mediation proposal.

At first glance, we might think that Ersilia's behaviour is natural and justified. In reality, however, Roman readers may have found her interference disturbing, if not out of place: a woman, moved by the complaints of other kidnapped women, having the audacity to intrude into a military context. This is certainly a strong narrative choice. Ersilia's coldness is in open contradiction to the scene that follows her words.

As reported by Dionysius of Halicarnassus:

 

Dionysius. «Having said these words, they all threw themselves at the king's feet with their children and remained prostrate until those present made them stand up from the ground and promised that they would do all that was right and possible. » (Dionysius of Halicarnassus, Antiquitates Romanae 2,26-45; 3,1)

 

Narrator. By using the participle "said these words" in the plural form, Dionysius creates a close synergy between Ersilia's speech and the Sabine women. Her speech becomes theirs, their actions become hers.

The courageous gesture of the Sabine women results in the reunion of the two populations: their families obtain the right to move into Roman territory. Their speech brings harmony back to Roman society and enables prosperity in what will become the empire of empires.

 

End credits. Podcast produced by Ca’ Foscari University of Venice, GIEFFRA, and VeDPH.

Bibliografia di riferimento


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