Riflessioni in Autonomia

Pathos architettonico

Pensieri sulla "Architettura Emotiva"

A seguito delle letture di:

https://www.architecturaldigest.com/story/emotional-design

https://www.domusweb.it/en/news/2017/02/01/emotional_architecture.html

Colori, luci e ombre, alcuni degli strumenti usati oggi per emozionare un uomo sempre più circondato da spazi spesso anonimi, freddi di una digitalizzazione fatta di led e schermi al plasma che altro non fanno che gridare all’ultima uscita.

Spazio invece alla poesia e all’Architetto artigiano e poeta, che nella libertà della forma curva, così come nella policromia e nel contatto con materiali naturali e a cui noi siamo ancora inevitabilmente legati, riesce a pizzicare le nostre corde interiori.

A queste corde corrispondono delle emozioni e l’intenzione di stimolarle, allontanarle o farle suonare. Così le architetture dell’Architetto messicano Luis Barragàn si colorano di tinte pastello in delle composizioni quasi oniriche fatte di volumi puri. Scenografie oniriche “dechirichiane”.

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Ma allo stesso modo possiamo osservare le imponenti e “impossibili” architetture del colosso asiatico MAD che nella fredda Harbin edifica la Opera House come una sinuosa collina artificiale. Un gesto a mano libera scritto in lingua parametrica, che con una lunga “Promenade Architecturale” trasporta gli ospiti e i passanti attraverso un vero e proprio organismo architettonico.

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Egli si ammanta dei colori freddi e apparentemente impenetrabili dell’alluminio all’esterno per poi avvolgere nel morbido tepore degli interni in legno ed emozionare nella potenza dei volumi privi di angoli e per questo così familiari all’essere umano. Uno spazio che accoglie perché simile ad una grande ed accogliente caverna, calda, sicura dove far echeggiare i nostri canti e lasciar libere le nostre emozioni.

Penso dunque, è vero che sta nella semplicità delle "piccole" cose che risiedono le emozioni più grandi. Non nei grandiosi viali monumentali, ma nella semplicità di una passeggiata da scoprire curva dopo curva; non nell'imperturbabile rigore del metallo ma nella porosità della pietra e nella morbidezza del legno; non certo nel candore dei marmi nobili, ma nella naturalezza dei milioni di colori a cui siamo irresistibilmente sensibili.

Architettura Multispecie

Riflettendo sulla domanda "How will we live together?"

La riflessione nasce dall’incontro dapprima di curiosità schiva con l’opera “Alive” di David Benjamin. Essa si presenta come una tenda, una caverna porosa e leggere e di fatto proprio di questo si tratta.

Una moderna caverna domestica articolata in un percorso breve che in un secondo momento, ha trasformato le sensazioni iniziali in un fascino fanciullesco. La struttura è composta di “mattoncini” fatti in Loffa, una spugna a microporosità molto variabili, che si scopre essere intesa come una serie di alloggi, atti ad ospitare chi di fatto già vive intorno a noi, ma ci è invisibile.

Benjamin risponde alla domanda della Biennale non rispondendo solo alla convivenza tra esseri umani, ma munendosi di una lente microscopica, mette in contatto il micromondo microbiotico col macro mondo che diciamo appartenga a noi.

E mi sono chiesto sentendomi cadere dalle nuvole “Come ho fatto a non pensarci prima?”

Rispetto e convivenza pacifica derivano esclusivamente dalla coscienza delle cose e della realtà ed è stato incredibilmente suggestivo e affascinante vedere l’architettura come abitazione anche per i microbi, buoni o cattivi che essi siano. Di conseguenza quindi, non ho potuto evitare di considerare di nuovo e ancora più con forza il coro umano, come una magnifica architettura, casa di miliardi di microorganismi buoni o cattivi che siano.

Questo ulteriore passo verso la pace con la nostra natura di creature animali, ci potrebbe portare un domani verso un’architettura probiotica! Edifici con spazi sia per le persone che per i microbi. Con stanze a porosità differenti, con microclimi differenti, per microbi differenti.

A ciò si aggiunge una considerazione molto interessante e orientata verso la cura della salute e ad invertire la tendenza molto diffusa dei tanti edifici malati ed invasi da altri microrganismi meno salutari. E la chiave risiederebbe proprio nella diversità.

E come non fare un passo avanti immaginando delle architetture che vivranno di sensori e ci abbraccino con la loro pelle come noi abbracciamo i miliardi di organismi che abbiamo dentro di noi? Una pelle nervata da sensori e irrorata di flussi di dati?


http://thisisalive.com/bio-computation/

Architettura Inclusiva

Contro gli slogan "armati" di Modelli

Attraversando con gli occhi il libro “Van Berkel Digitale”, scritto da Andrea Sollazzo ed edito da EdilStampa nel 2010, si incontra un paragrafo riguardante la “Dimensione Programmatica” di UNStudio.

Fondamentalmente, il paragrafo prova a rispondere alla domanda: Come valorizzare davvero le nuove potenzialità dell’architettura digitale attraverso un progetto di architettura? La risposta è lavorando sotto la pelle di quest’ultimo. Sotto la “facciata” di un edificio. Al di sotto e al di la delle sue forme, colori, radici o intenzioni. Per continuare in una più approfondita definizione di fluidità e complessità del “sistema nervoso” dell’architettura.

La mia riflessione però e questo inciso, sono sorti spontanei all’apparire della parola “inclusività”, e la mia memoria è tornata all’interno del padiglione dei Paesi Bassi ed all’esposizione in esso contenuta alla Biennale di Venezia 2021.

Francien Van Westrenen, la curatrice della mostra pone una controdomanda alla domanda “How will we live togheter?” e questa domanda è: “Who is We?” “Chi siamo noi?”

E la domanda è molto sensata e pertinente, perché un’architettura da vivere insieme, non potrà che essere una che tenga conto della molteplicità e della varietà di cui è composta la specie umana e le sue comunità.

Ciò detto, ecco di seguito la mission della mostra Olandese:

“Il progetto mette in discussione le narrazioni e le strutture urbanistiche dominanti ponendole di fronte a un’urbanistica che sia femminile, indigena, di colore, queer, e multispecie. Molte delle odierne urgenze ecologiche, urbanistiche e sociali derivano da un sistema basato su egemonie che prevalgono e si concretizzano attraverso la pratica di progettazione.”

Personalmente ho trovato molto debole, vago e forse cavalcante una serie di tematiche e parole in maniera decisamente incosciente. Perché è assente al giorno d’oggi fortunatamente, un’architettura “monocolore”, prettamente maschile o che escluda la varietà di generi e gli orientamenti che compongono la nostra società. È stata una mostra sciocca mi permetto di dire, perché non è usando slogan e drappeggi colorati che fa vera inclusione.

L’Inclusione quella vera, concreta, tangibile ed efficace, si fa solo laddove le diversità, le pluralità vengono ascoltate e considerate all’interno di un sistema di dati che li riguarda; e che fornendo una visione d’insieme danno modo al progettista o chi per lui, di compiere un “gesto globale mirato ad assorbire tutte le diversità”.

Osservare un progetto nella sua stratificazione e nella sua totalità da modo di comprenderne le aree grigie e quindi le potenzialità di intervento. Ma anche le storture e le disfunzioni.

Col giusto approccio e con la giusta conoscenza dell’informatica e della sua potenza di calcolo, si può non solo fare inclusione, ma dinamicamente accettare le future mutazioni dei bisogni e delle intenzioni della pluralità componente una società.

Si osservi il progetto per lo sviluppo urbanistico della città di Rotterdam che UNStudio definisce già nel (lontano) 1995. Proprio la complessità di un modello che raccoglie più necessità della città contemporanea (l’abitare, il lavorare, il divertimento, il paesaggio) e li intreccia ad alcune variabili fondamentali (il valore delle aree, degli affitti, la densità degli edifici, la densità lavorativa, l’aumento delle attività produttive).

Così ad esempio nasce “Rubber Mat” un mutevole “Materasso d’Acqua” che si adatta alle varie oscillazioni e previsioni del computer sui parametri inseriti.

Come questo è il modo di prevedere un ipotetico sviluppo della città in accordo alle necessità ed ai bisogni di una società, così questo deve essere il principio logico che può e deve portare l’architettura, e senza voler uscire fuori traccia anche la politica, le istituzioni e la società, a fare vera, concreta ed efficace inclusività. Senza futili slogan ed elenchi di parole e colori senza utilità.

Interattività come Nuovo Catalizzatore

La volontà della nostra epoca

Analizzare i concetti di:

REIFICAZIONE dell'INTERAZIONE

Tipologia di Interattività (Processuale; Proiettiva; Fisica)

Enea, Virgilio e l'umano

Studio Azzurro e l'interazione umana nelle opere d'Arte

Le figure viste al vaticano narranti della loro vita in parallelo alle figure storiche o eminenti legate a dei luoghi o a degli ambienti