L'Avvocato risponde

In questa sezione è possibile proporre brevi domande all'Avvocato Massimiliano Bertazzo, il quale fornirà una risposta previo versamento di un onorario parametrato alla complessità del quesito.

Le risposte non rivestiranno il carattere e l'attendibilità di un normale parere legale, il quale richiede un approfondimento maggiore, normalmente accertando le specificità del caso concreto mediante colloquio diretto con l'assistito, in modo da potere, mediante il dialogo, apprendere da lui nozioni che in una richiesta scritta potrebbe omettere non rendendosi conto della loro importanza.

Le domande e le risposte saranno pubblicate in questa pagina, ovviamente dopo avere eliminato ogni riferimento a persone reali, in modo da rispettare e garantire la riservatezza di chi abbia chiesto il parere e di terze persone coinvolte.

Inviando una domanda si autorizza la pubblicazione del caso.

L'Avvocato Bertazzo si riserva di pubblicare – a sua esclusiva discrezione – le questioni che riterrà di interesse generale, omettendo i casi le cui peculiarità siano poco diffuse; si riserva altresì di non dare alcuna risposta o di fare rispondere da altri professionisti, specializzati nella questione posta con la domanda.

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RISPOSTE DELL'ANNO 2008

  1. Sono proprietario di un garage in un condominio, da quasi un anno lamento delle infiltrazioni d'acqua in una parete...

  2. E’ possibile procedere alla vendita di un immobile diviso in quote...

  3. lavoravo in una cooperativa di facchinaggio e mi hanno proposto di andare dal notaio per mettere la seconda firma delle 3 che sono sullo statuto...

  4. sono il presidente di un'associazione sportiva subacquea, usufruisco di una piscina di proprietà del comune e gestita da una società esterna...

  5. Le espongo un quesito sulla vendita di un appartamento...

  6. durante la ristrutturazione dell'appartamento sovrastante il mio si è verificata la rottura di 1 tubo...

  7. Circa 20 anni fa ho partecipato a una costruzione di un fabbricato a schiera con altri 2 proprietari attualmente stiamo procedendo alla divisione...

  8. Sono stata truffata su internet sul sito ***** da un venditore che non mi ha spedito la merce già pagata...

  9. sono comproprietario per eredità di un immobile nella quota di 1/6...

  10. sono la proprietaria di un negozio il mio inquilino dopo i primi due pagamenti dell'affitto non ha piu pagato...

  11. Sono titolare di un negozio di calzature e sono affittuario dell'immobile in cui esercito. Ora succede che tutto l'immobile andrà all'asta...

  12. Ho un problema con un condominio di 8 condomini che confina con la mia proprietà...

  13. mio figlio ha acquistato nel Novembre 2007 una casetta a schiera la 1 di 3 (in testata). In questo periodo piove sempre...

  14. Alla morte di mio padre ho ereditato un locale con l'affittuario...

  15. sono affittuario da 12 anni di un locale ad uso commerciale; il proprietario 12 mesi prima della scadenza mi invia regolarmente raccomandata

  16. Sono un operaio che lavora in un capannone alto circa 10 metri largo30x 50 areato...

  17. Il comune sta varando un nuovo regolamento urbanistico nel quale si prevede la realizzazione di un parcheggio privato ad uso "collettivo"...

  18. l'inquilino dell'ultimo piano ha un'infiltrazione d'acqua nel centro del soffitto della stanza...

  19. ho ricevuto da parte di un avvocato un “atto di intimazione testi” in cui mi chiama a essere sentito come testimone in una causa...

  20. É possibile intentare una causa per un eventuale risarcimento dovuto ad un decesso di un congiunto per evidenti negligenze...

  21. ho preso in affitto un appartamento, con il locatore avevamo preso accordi diversi da quello che poi mi ha imposto con il contratto...

  22. sono un comunista per 1/12 di un terreno molto esteso...

  23. una società acquista da un coltivatore diretto circa 6 ettari di terreno; quest'ultima vende ad un altra società omettendo alla mia persona lettera di prelazione...

  24. le comproprietarie eredi non intendono ristrutturare l'appartamento fatiscente. Posso chiedere il risarcimento del danno economico...

  25. ho in corso una relazione con un uomo separato e padre di una bambina di 9 anni...

  26. Siamo tre fratelli, causa morte del padre erediteremo l'appartamento di famiglia in parti uguali.... prelazione...

  27. Sono conduttore di un appartamento... A causa di abbondanti piogge... è penetrata dell'acqua piovana ... macchie di umidità appartamento sottostante...

  28. vorrei sapere se è giusto pagare 300 euro per una lettera (querela)...

  29. sono comproprietaria di un appartamento ricevuto in eredità...Due coeredi,però non vogliono vendere...

  30. Siamo tre fratelli abbiamo ereditato una casa al 30.33°% circa ciascuno dai nostri genitori...Nel cortile della casa vivono tre cani...

  31. sono stata insultata in modo pesante e offensivo da parte di una mia vicina...

  32. Può una nonna adire le vie legali contro un figlio che non vuole fargli vedere il nipotino di 2 anni...

  33. desidero chiederle una cosa riguardante l'appartamento di mia figlia minore venduto all'asta, senza la benchè minima possibilità di riscatto...

  34. Villetta a schiera di proprietà dopo successione...La figlia A residente nell'abitazione, vorrebbe pitturare le facciate ...

  35. sono proprietario di un appartamento affittato regolarmente (con contratto registrato). Purtroppo non ho provveduto ad inviare la raccomandata...

  36. volevo chiedere un'informazione relativa a una polizza d'infortuni...

  37. Nel lontano 1996, insieme alla mia famiglia ho subìto un penosissimo crack finanziario...

  38. Effettuando lavori di ristrutturazione nel mio appartameto l'impresa esecutrice ha provocato una crepa nella parete attigua dei miei vicini...

  39. se io rinuncio alla paternità posso smettere di pagare gli alimenti?

  40. Se un immobile viene venduto all'asta e il debitore esecutato non ha pagato le somme dovute ai fini ICI per diversi anni...

  41. Ho una domanda riguardante il pagamento per il distacco e riallaccio della fornitura di energia elettrica per morosità e le spese...

  42. mia figlia è nata il 00 mese 00 mio marito all'ospedale l'ha registrata con un solo nome posso aggiungerne un secondo nome...

  43. La mia ex compagna aspetta una bambina ed io mi sono frequentato con essa fino alla fine di maggio, dopo di che ella mi ha lasciato...

  44. Quale tipo di garanzia ha l'acquirente di un immobile, nei confronti della società che lo ha edificato...

  45. Sono comproprietario di una strada dietro casa che serve oltre a me un’altra famiglia; su questa strada...

  46. se in un bando di gara, riguardo al trattamento dei dati personali non è indicato il nuovo dlgs 196/2003 ma quello precedentemente abrogato...

  47. Siamo 2 fratelli non più residenti nella nostra città natale. La nostra mamma ha comperato 1 attico nella stessa...

  48. Nel 2003 ho acquistato una vettura con un finanziamento presso la Una Soc. Finanziaria di Una Marca d'Auto con 24 rate...

  49. Ho avuto un semplice infiltrazione condominiale dal piano superiore (perchè i tubi della vasca del bagno perdono)...

  50. sono una ragazza universitaria nonchè conduttrice (da settembre) di un appartamento assieme ad altre 4 ragazze...

  51. vorrei cedere a mia moglie la quota di proprietà che ho in comunione con lei...

  52. Sono in procinto di separazione; mio marito e due dei miei figli hanno la residenza nel comune in cui viviamo...

  53. Ai primi giorni di marzo ho inviato una lettera di disdetta a Nota Compagnia Telefonica, con raccomandata A.R., per una linea telefonica di casa...

  54. Un padre dona a ciascuno dei suoi 5 figli una quota di un garage...

  55. Io ho in atto un pignoramento della casa da parte della tesoreria e in più mia moglie vorrebbe il divorzio per vari motivi...

  56. le scrivo per avere una delucidazione in merito ad una multa...

  57. abito in affitto in una casa ammobiliata; la proprietaria mi pretende di levigare e verniciare il portoncino principale...

  58. in che modo posso svincolarmi da una proposta d'acquisto effettuata presso una agenzia immobiliare...

  59. Mi sono iscritta a Una Nota Università Privata l'8 settembre 2008 al costo di 2600 euro l'anno...

  60. posso inserire una canzone inedita su una pagina web...

  61. Il mio vicino anni fa ha piantato un pino che oggi ha raggiunto la ragguardevole altezza di una quindicina di metri...

  62. ho comprato un abito da sposa...

  63. sono possessore di un appartamento ed ho avuto un problema idraulico che ha causato infiltrazioni all'appartamento sotto di me...

  64. Mia moglie ha una societa s.a.s che vende oggettistica varia da 1 euro dove essendo amministratrice ha...

  65. ho un bivani non ammobiliato affittato non registrato da un anno per colpa di un un extracomunitario che non mi ha mai pagato il canone...

  66. Salve ho un grave problema con la muffa. Sono in affitto dal...

  67. Sono in separazione giudiziale da circa un anno. Non abbiamo figli. Ho acquisito la casa dove abitavamo...

  68. Mi trovo nella situazione di legalmente separata. Al mio ex marito (attualmente senza fisso lavoro) hanno ritirato la patente...

  69. ho affittato un commerciale uso ristorante e da aprile di quest'anno non pagano ne' affitto...

  70. vorrei sapere se l'assicurazione di un fabbricato, tocca pagarla all'inquilino oppure...

  71. Mia figlia in qualità di ditta individuale, anni fà ha cosituito con altra azienda individuale, un'associazione in partecipazione...

  72. sono una studentessa. Un mese fa si è rotta la lavatrice dell'appartamento che ho in affitto...

  73. io incasso un canone di affitto .... e contemporaneamente pago un canone di affitto di uguale importo....

  74. Le detrazioni per i figli minori, prima della separazione, le percepivo io al 100%. Subito dopo l'udienza...

    1. nel nostro condominio familiare .. abbiamo .. sottoscritto una ... scrittura privata: .. " Prelazione"

DOMANDA n. 1

Sono proprietario di un garage in un condominio, da quasi un anno lamento delle infiltrazioni d'acqua in una parete, circa sei mesi fa l'amministratore ha inviato un paio di operai, questi hanno demolito un pezzo di muro (mattoni forati) ed hanno messo a luce la causa, si tratta di una perdita di tubi d'acqua tipo mannesman zincati molto fatiscenti ed arruginiti che attraversano l'intercapedine del mio muro per poi risalire ed alimentare i tre sovrastanti appartamenti.

A questo punto l'amministratore si è tirato fuori dicendomi che il contenzioso deve essere risolto tra me ed i sovrastanti proprietari.

Ho cercato in tutti i modi di sollecitare tale riparazione, anche perchè nella parete aperta ho messo un recipiente che di tanto in tanto svuoto, ho scritto avvertendoli che l'eventuale danno dovesse arrecare tale perdita e/o rottura sarà a totale loro carico... li ho sollecitati verbalmente... ma a questi da un orecchio entra e dall'altro esce....... che devo fare?...... devo continuare a svuotare i recipienti d'acqua?.... faccio presente che il garage è sprovvisto sia di acqua che di scarichi..... mi suggerisca la via più semplice senza incorrere magari in strascichi giudiziari...

RISPOSTA n. 1

Egregio Signore,

è effettivamente corretto quanto Le ha detto l'amministratore: se le tubazioni non sono di proprietà condominiale, il Condominio non è tenuto nè alla riparazione del guasto, nè al risarcimento del danno (danno inteso sia come ripristino del muro o di altre cose che siano state danneggiate, sia come eventuale mancato godimento del box, se la situazione dovesse peggiorare al punto da ridurre la possibilità di utilizzo dello stesso). Ed infatti responsabile è il proprietario delle tubazioni. Se le tubazioni sono di proprietà di tre diversi appartamenti come accertato dagli inviati dell'amministratore, essi sono tenuti sia alla riparazione delle tubazioni che al risarcimento del danno. Poichè mi sembra di capire che i tre siano comproprietari della medesima tubazione, sono tenuti in solido tra di loro (significa che Lei ha facoltà - volendo - di chiedere tutto ad uno di loro, e sarà poi un problema suo quello di rivalersi sugli altri due). Potrebbe, ad esempio, rivolgere le Sue pretese contro quello dei tre che sia coperto da una banale e molto diffusa assicurazione "capo famiglia", che normalmente prevede questi eventi. In tal modo avrebbe maggiori probabilità di risolvere il Suo problema con una transazione (e così di evitare una causa: le assicurazioni, se Lei ha ragione, difficilmente si fanno fare una causa). Ovviamente ogni Sua richiesta (di riparazione, risarcimento, e di comunicazione degli estremi della loro eventuale assicurazione) dovrà essere inviata per iscritto, mediante lettera raccomandata a.r., ed indirizzata ai tre (o più) intestatari degli appartamenti. Infine Le suggerisco di non specificare - nella Sua corrispondenza - lo stato di manutenzione dei tubi (fatiscenti/arrugginiti). Se non riuscirà a risolvere il Suo problema come Le ho indicato, non vi sarà altra alternativa che valutare la possibilità di una causa.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 2

E’ possibile procedere alla vendita di un immobile diviso in quote tra persone diverse e in dettaglio:

un proprietario 7 quote

un proprietario 1 quota

un proprietario 1 quota

un proprietario 1 quota

Tre proprietari sono propensi alla vendita per un totale di 9 quote, mentre un solo proprietario con una sola quota e’ contrario alla vendita.

Grazie per la risposta.

RISPOSTA n. 2

Egregio Signore,

Il problema della vendita dell'immobile appartenente pro quota a pià proprietari diversi non deve essere risolto come se si trattasse di un condominio, cioè individuando una sorta di maggioranza che decida che uso farne o se venderlo, e le modalità per costringere la minoranza dissenziente ad uniformarsi alla decisione della maggioranza.

La soluzione deve essere invece individuata alla luce per principio generale in forza del quale il nostro ordinamento privilegia la proprietà dell'intero rispetto alla proprietà delle quote. La proprietà per quote viene considerata una sorta di situazione temporanea, destinata comunque sempre a finire con la riunione di tutte le quote in capo ad un solo soggetto.

E' pertanto sempre possibile, per ciascuno dei comproprietari (tecnicamente definiti anche "comunisti", ma senza alcuna accezione politica), chiedere al Giudice lo scioglimento della comproprietà, promuovendo un giudizio di divisione.

In tale processo il Giudice dovrà preliminarmente verificare se uno dei comunisti sia in grado di acquistare le quote degli altri; in caso contrario, la soluzione estrema è appunto quella della vendita dell'immobile, per poi procedere alla ripartizione del prezzo in proporzione delle rispettive quote.

Diversamente, l'unica cosa che può fare il singolo comproprietario, è vendere a chi vuole la propria quota.

E' inutile dire che tale giudizio di divisione non conviene a nessuno, sia perchè comunque comporta notevoli spese e tempo, ma anche perchè difficilmente il prezzo di vendita potrà essere lo stesso ottenibile sul libero mercato.

E' quindi sempre preferibile convincere il dissenziente a fare spontaneamente ciò che dovrà fare comunque: vendere.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 3

lavoravo in una cooperativa di facchinaggio e mi hanno proposto di andare dal notaio per mettere la seconda firma delle 3 che sono sullo statuto; in seguito sono stato assunto dalla ditta per cui lavoravo e licenziato dalla cooperativa, ho chiesto di togliere il mio nome da quello statuto ma al momento risulto ancora come seconda firma, posso adire le vie legali contro questa cooperativa che usa il mio nome senza che io lo voglia?

grazie e distinti saluti

RISPOSTA n. 3

Egregio Sig. *****,

Lei, in qualità di socio, ha senz'altro diritto di recedere dalla società cooperativa, nei modi previsti dalla legge e nei casi previsti dalla legge o dallo statuto.

La legge prevede che Lei abbia diritto al recesso in caso di trasformazione della Società, in caso la Società trasferisca la propria sede all'estero, oppure cambi il proprio oggetto sociale.

Per quanto riguarda i casi di recesso eventualmente previsti dallo Statuto, occorre esaminare lo Statuto.

La procedura da seguire è quella prevista dall'art. 2532 del codice civile: comuncare il proprio recesso alla Società con lettera raccomandata; gli amministratori devono esaminarla entro 60 giorni dalla ricezione, e, se non ritengono che vi siano i presupposti per il recesso devono immediatamente comunicarglielo (ovviamente per iscritto). A quel punto Lei potrà proporre opposizione al Tribunale entro 60 giorni da quando riceve la comunicazione dell'inesistenza dei presupposti.

In ogni caso Le sconsiglio di intraprendere qualsiasi iniziativa senza l'assistenza di un legale che si occupi in maniera prevalente di diritto societario.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 4

Buongiorno Avvocato,

sono il presidente di un'associazione sportiva subacquea, usufruisco di una piscina di proprietà del comune e gestita da una società esterna.

secondo lei può una giunta comunale deliberare il prezzo del noleggio a luglio 2007, e senza che nessuno ci comunichi i nuovi listini può la societa che gestisce le strutture fatturare alla mia associazione a febbraio 2008 il nuovo importo e la differenza con la retroattività da gennaio 2007 a dicembre 2007. senza accordi di nessun tipo.

grazie per la sua risposta

RISPOSTA n. 4

Egregio Sig. ****,

innanzitutto credo che qualche accordo ci debba essere. Mi spiego: non sull'aumento, ma senza dubbio vi sarà un accordo, cioè un contratto, in forza del quale la Sua associazione usufruisce della piscina.

E questo contratto tra l'associazione e la società che gestisce la piscina dovrebbe contenere la risposta al Suo quesito.

Vi sarà poi anche un accordo tra il Comune e la società esterna.

E' indispensabile, per fornire una corretta risposta, l'esame di tali atti, al fine di individuare la fonte dell'obbligazione di pagamento a carico dell'associazione: se di natura privatistica, direi che si possa escludere la retroattività, ma forse anche l'aumento in sè (nel senso che non è neanche detto che possano aumentare l'importo a decorrere da adesso).

Mi spiace di non poter essere più preciso, ma questo è ciò che posso dire in assenza di ogni documentazione.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 5

Buongiorno Avvocato,

Le espongo un quesito sulla vendita di un appartamento.

Il proprietario di questo appartamento aveva dato mandato ad un Agenzia Immobiliare per la vendita, ma lo stesso proprietario ha contrattato con la sottoscritta la vendita in questione. L' importo accordato per l'eventuale acquisizione è di € 280.000,00. Il proprietario ha comunicato all'Agenzia che l'appartamento era stato venduto per tale cifra e l'Agente immobiliare ha sostenuto che aveva un "probabile" acquirente per un importo di € 285.000,00. Ora, la stessa agenzia sostiene che la percentuale dovuta (4%) sia per il proprietario che per l'acquirente (cioè la sottoscritta), deve essere calcolata sull'importo di € 285,000,00 anzichè sull'importo trattato dal proprietario. Mi domandavo se è giusto ciò che sostiene l'Agenzia e se non fosse così, come comportarsi a norma di legge per quanto riguarda i nostri diritti.

Ringraziando anticipatamente porgo cordiali saluti.

RISPOSTA n. 5

Gentile Signora,

innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui Le dò risposta.

Il problema che Lei mi ha esposto deve essere risolto analizzando il contratto stipulato dal venditore con l'agenzia, almeno per quanto riguarda la posizione del venditore; quanto a Lei, invece, che mi pare di intendere che non abbia firmato niente all'agente, il problema da affrontare non è "quanto" deve pagare, ma "se" deve pagare qualcosa all'agenzia.

Mi spiego meglio: se l'agenzia non ha avuto alcun ruolo attivo nei Suoi confronti (se - cioè - non ha avuto alcuna funzione nel mettere in contatto le parti, e quindi non ha messo l'annuncio sul giornale, o comunque Lei non ha saputo della vendita da tale annuncio, non Le ha mostrato l'appartamento, non ha partecipato alla formulazione della proposta d'acquisto, ecc.) Lei non deve versare alcunchè; diversamente dovrà versare un importo commisurato alla vendita effettiva, e cioè € 280.000,00.

Resta inteso che diverso potrebbe essere se Lei avesse firmato qualche impegno nei confronti dell'agenzia o si fosse in qualche modo avvalsa delle prestazioni messe a disposizione dall'agenzia.

Quanto al comportamento da tenere, è semplice: secondo il caso in cui Lei rientra, non pagare, oppure pagare solo il dovuto.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 6

durante la ristrutturazione dell'appartamento sovrastante il mio si è verificata la rottura di 1 tubo dell'acqua nella mia abitazione . la domanda che le porgo e se è possibile che la rottura sia stata provocata dalle vibrazioni, tenendo conto che i tubi nella mia abitazione sono vecchie di 30 anni, e se mi spetta 1 minimo di risarcimento in quanto sono state danneggiate le abitazioni sottostanti, le cui hanno richiesto giustamente alloro volta i danni nei miei confronti .attendo risposta urgente

RISPOSTA n. 6

Egregio Sig. ****,

il problema se le vibrazioni causate dalla ristrutturazione dell'appartamento sovrastante al Suo possano avere provocato la rottura delle tubazioni del Suo appartamento, non è giuridico, bensì tecnico.

Solo un tecnico qualificato (un perito tecnico, che faccia perizie per i Tribunali o per le assicurazioni, insomma iscritto al ruolo dei periti industriali, oppure un ingegnere) può darLe un parere attendibile, esaminando le tubazioni rotte prima che venga riparato e ri murato il tutto.

Se il perito confermerà la Sua ipotesi, non solo Lei avrà diritto al risarcimento del danno da parte del proprietario dell'appartamento soprastante, dell'impresa da lui incaricata e dalle relative eventuali assicurazioni, ma anche chi ha chiesto a Lei i danni dovrà essere da Lei indirizzato all'effettivo responsabile, e dovrà essere direttamente risarcito da lui.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 7

Circa 20 anni fa ho partecipato a una costruzione di un fabbricato a schiera con altri 2 proprietari attualmente stiamo procedendo alla divisione, ma uno di loro si oppone alla divisione. Cosa posso fare visto che 2 siamo d'accordo e uno no.

Premesso che le case sono state tutte accatastate e evidenziate in mappa con ognuno la propria particella .

Grazie

attendo una sua risposta in merito.

RISPOSTA n. 7

Egregio Sig. *****,

bisogna innanzitutto vedere se il fabbricato ha delle parti NECESSARIAMENTE comuni, perchè quelle rientrerebbero nella disciplina del condominio, e come tali sarebbero indivisibili. Mi riferisco ad eventuali scale in comune, riscaldamento e servizi vari, cortili, portici, portoni d'ingresso ecc.

Invece, per quanto riguarda la Vostra comproprietà delle diverse unità immobiliari (o per tutto, nel caso non vi siano le parti necessariamente comuni di cui parlavo sopra), è esperibile il giudizio di divisione, per il quale è necessario che sia assistito da un avvocato.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 8

Cortese Avvocato Massimiliano Bertazzo le espongo brevemente la mia domanda. Sono stata truffata su internet sul sito ***** da un venditore che non mi ha spedito la merce già pagata. Fatta la denuncia alla polizia postale sono stata rassicurata che non sarei stata risarcita del danno ma che avrebbero preso il truffatore ed io sarei stata avvertita solo del decorso dell'indagine..invece mesi dopo mi è arrivata una citazione dal tribunale di ***** dove mi si chiede di comparire come testimone pur essendo parte lesa.. mah!!!. Mi chiedo.. abito a ***** (600 km dal Tribunale) sono stata truffata di 260 euro e mi tocca pure pagarmi le spese che saranno cospicue per recarmi a **** (14 ore di treno o auto) oltre a far perdere due giorni di lavoro a mio marito col rischio poi che se il tipo (con recidiva infraquinquennale) fosse pure nullatenente correre anche il rischio di pagare le spese processuali ma le chiedo è possibile?? Un'ultima cosa,quante volte posso inviare un certificato di malattia prima di incorrere in sanzioni o spiacevoli trasferimenti forzati? almeno per posdatare la inevitabile partenza in altro migliore momento? (un certificato l'ho già inviato ma l'udienza è stata rinviata di nuovo al 00/00/00....soffro di labirintite acuta che ultimamente mi costringe spesso a letto...un viaggio simile sarebbe deleterio per la mia salute) la ringrazio anticipatamente aspettando cortese riscontro

RISPOSTA n. 8:

Gentile Sig.ra ***,

devo confermare che la parte lesa (tecnicamente detta: persona offesa), nel processo penale, può essere anche testimone (per intenderci, presta giuramento), anche se ovviamente il Giudice deve valutare con maggiore attenzione la sua deposizione.

Poichè testimoniare è un obbligo, è ovvio che Lei deve recarsi a testimoniare.

Per quanto riguarda le spese di viaggio, è previsto che il testimone sia rimborsato dallo Stato solo nel caso utilizzi mezzi pubblici e ne presenti ricevute: in sostanza Lei (e solo Lei, non suo marito) ha diritto al rimborso del biglietto del treno; le modalità devono essere concordate con un ufficio del Tribunale che normalmente è chiamato "modello 12", oppure "ufficio spese di giustizia", oppure "ufficio spese anticipate", che Le consiglio di contattare telefonicamente (tel 000000 centralino, oppure email tribunale.nomecittà@giustizia.it, ma non so se rispondono alle email) per avere informazioni precise e dettagliate relativamente alla loro prassi locale, e per evitare quindi di sostenere spese che poi non Le vengano rimborsate.

Va da sè che invece ha perfettamente ragione di ritenere del tutto improbabile un risarcimento da parte di un recidivo infraquinquennale, ma non si può mai dire; tuttavia, per chiedere ed ottenere il risarcimento dovrebbe costituirsi parte civile (ammesso che non sia troppo tardi) mediante un avvocato.... che Le costerebbe ben più di 260 euro.. quindi lasci perdere.

Quanto al certificato di malattia il discorso è più complesso: innanzitutto non c'è un numero di volte massimo, ma tutto dipende dalle Sue condizioni di salute; ciò significa che se la Sua labirintite La costringe a letto il 0/0/00 (giorno dell'udienza), potrà nuovamente inviare il certificato; ma se così non è, il medico non dovrà certificarLe nulla, e Lei dovrà andare.

Nel caso non vada, senza inviare alcun certificato, è discrezione del Giudice infliggerLe una sanzione amministrativa da 100 a 1000 euro e/o disporre l'accompagnamento coattivo (in sostanza farLa venire a prendere a casa dai Carabinieri). Però potrebbe anche succedere che le parti rinuncino a sentirLa ed acconsentano ad acquisire il verbale delle Sue dichiarazioni rilasciate alla Polizia durante le indagini, oppure ancora che il Giudice ritenga di avere prove a sufficienza per decidere anche senza la Sua testimonianza e quindi non disponga nè la sanzione amministrativa, nè l'accompagnamento coattivo.

In definitiva non vi può essere alcuna certezza, ma solo le possibilità sopra descritte.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 9

gentile avv. Massimiliano Bertazzo,

ho letto con interesse le risposte fornite sul sito http://www.avvocato-bertazzo.info/pareri.html da Lei gestito.

Desidererei porle un quesito:

sono comproprietario per eredità di un immobile nella quota di 1/6; l'immobile è cosi diviso

A) 1/6 - me medesimo

B) 1/6

C) 4/6

sono a conoscenza del fatto che se uno dei comproprietari volesse vendere ad un terzo la sua quota deve accordare il diritto di prelazione ai comproprietari.

Nel caso in cui io volessi acquistare la quota di C)

- è indispensabile comunicare a B) la vendita?

- nel caso C) proceda alla vendita mediante regolare atto di vendita a me, il soggetto B) può appellarsi a tale vendita?

Nell'attesa di sua cortese risposta, la ringrazio e le porgo distinti saluti.

RISPOSTA n. 9

Egregio Sig. ****, la risposta alle Sue domande è affermativa.

Infatti il diritto di prelazione, di cui Lei mi dice di essere a conoscenza, è quello previsto dall'art. 732 c.c., che spetta esclusivamente ai comproprietari che siano anche coeredi. Per meglio spiegarmi, non spetta a chiunque sia comproprietario, come ad esempio i coniugi o i soci di società di persone estinta, ma solo ai comproprietari della c.d. comunione ereditaria, cioè di quella comproprietà che si sia formata a causa dell'eredità da una medesima persona.

Tale articolo prevede che il coerede che intende vendere la propria quota a un estraneo deve "notificarlo" (con forma libera, ma al fine della prova è sempre meglio una raccomandata a.r.) agli altri coeredi. Solo dopo che siano trascorsi due mesi dal ricevimento della notifica, e il destinatario non abbia deciso di aderire, sarà possibile la vendita ad un estraneo, ovviamente alle medesime condizioni.

La lettera dovrà pertanto contenere necessariamente i dati identificativi dell'immobile, i dati del mittente, e la comunicazione che intende vendere la propria quota a quel determinato prezzo. Tale lettera costituisce una proposta di vendita, e conseguentemente il destinatario potrà accettare, acquistando al prezzo indicato.

Non sono ammessi comportamenti elusivi (ad esempio indicare un prezzo più alto, al fine di dissuaderlo, e poi vendere ad un prezzo più basso), perché si va incontro a probabili cause di riscatto (probabilmente perse).

L'unica peculiarità del Suo caso è data dal fatto che anche Lei è coerede: trova quindi applicazione il comma 2 dell'art. 732 c.c., il quale dispone che: "se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali".

In sostanza, tornando al Suo esempio, C deve notificare la propria proposta ad entrambi, A e B; poi, se aderirete entrambi, Lei e B diventate comproprietari al 50% ciascuno. Se invece - trascorso il termine di due mesi - avrà aderito uno solo dei due, quello che avrà aderito diventerà proprietario di 5/6, e l'altro lo rimarrà per 1/6.

Nella speranza di essere stato sufficientemente chiaro ed esaustivo, Le porgo distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 10

Buongiorno avvocato mi chiamo ***** e sono la proprietaria di un negozio il mio inquilino dopo i primi due pagamenti dell'affitto non ha piu pagato adesso dopo più di un anno sono riuscita tramite il tribunale a sfrattarlo,e finalmente uscito l'ufficiale giudiziario e abbiamo cambiato le serrature.

Adesso la mia domanda è questa il mio avvocato mi dice che l'inquilino ha 20 giorni per sgomberare il locale dopo i 20 giorni se non ha provveduto sono tenuta io a mie spese a sgomberare tutto e sempre a mie spese devo conservare tutto arredi e merce in un deposito questo mi sembra proprio il colmo che dopo averci perso l'affitto di un anno e avere sostenuto tutte le spese condominiali legali ecc. adesso devo anche prendermi cura a mie spese degli arredi e della sua merce.

posso sapere come mi devo comportare la ringrazio anticipatamente spero di riuscire a risolvere questo mio dubbio a presto

RISPOSTA n. 10:

Gentile Sig.ra,

devo rappresentarLe che la deontologia professionale forense prevede che un avvocato non possa rilasciare alcun parere o informazione sulle pratiche seguite da un altro avvocato.

Ciò in quanto si presume che alla base del rapporto Avvocato-Cliente vi sia la fiducia: se fiducia vi è, Lei ponga le domande al Suo avvocato, che meglio di chiunque altro conosce il Suo caso, e si fidi delle risposte che egli Le fornisce. Se fiducia non vi è, allora gli revochi l'incarico e si rivolga ad altro professionista, questa volta di Sua fiducia.

Tali norme non devono essere intese - come troppo spesso i mass media vogliono fare intendere - come una specie di muro corporativo eretto dalla categoria degli avvocati in difesa di se stessa, ma sono poste soprattutto a tutela del cliente, il quale, scegliendo tra diversi pareri, e non avendo la competenza tecnico-giuridica necessaria ad una scelta corretta, potrebbe facilmente cadere nella mani di professionisti poco seri, mossi dall'interesse di compiacere il cliente al fine di accaparrarselo.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 11

Sono titolare di un negozio di calzature e sono affittuario dell'immobile in cui esercito. Ora succede che tutto l'immobile andrà all'asta, negozi e appartamenti (il tribunale non ha ancora stabilito la data) ed ha fatto vari lotti.

La domanda è: io ho qualche diritto (prelazione) all'asta sul lotto che riguarda il negozio in cui sono?

Poi nel caso che compri un nuovo proprietario e che decida di venire lui ad aprire una nuova attività e pertanto mi dà lo sfratto (tenendo conto che fra 18 mesi il mio contratto scadrà essendo quasi 12 anni) per legge io ho diritto a 18 mensilità di affitto. Però dovrebbe esserci una legge che dice che se entro un anno nello stesso locale viene avviata una attività simile alla precedente io ho diritto ad altre 18 mensilità,le faccio un esempio io vendo scarpe se compra un cinese che decide di vendere borse,scarpe, collanine, cinture, occhiali etc..posso pretendere le altre 18 mensilità?

Grazie

RISPOSTA n. 11

Egregio Sig. ***,

innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui riscontro la Sua richiesta.

Quasi tutte le Sue domande trovano risposta nella Legge 27 luglio 1978 n. 392, altrimenti detta "dell'equo canone", che è rimasta in vigore anche dopo la riforma delle locazioni di immobili uso abitativo del 1998, e continua a disciplinare le locazioni ad uso commerciale.

In particolare è previsto dall'art. 38 il diritto di prelazione in favore del conduttore, e dall'art. 34 l'indennità per la perdita di avviamento.

Ovviamente la legge non si preoccupa di dire in modo esplicito se il diritto di prelazione valga anche nel caso l'immobile sia messo all'asta dall'autorità giudiziaria, lasciando tale compito all'interprete.

A mio avviso la natura e lo scopo della vendita all'asta sono incompatibili con la prelazione, perchè l'asta è finalizzata ad ottenere dai possibili acquirenti l'offerta più alta, mentre la prelazione è finalizzata ad attribuire una sorta di vantaggio ad uno dei possibili acquirenti.

Anche la Corte di Cassazione, una delle poche volte che si è trovata a decidere su casi come questo, ha ritenuto che la prelazione non spetti: "In caso di vendita all'asta, in sede di esecuzione forzata, dell'immobile locato ad uso diverso dall'abitazione, al conduttore di esso non spetta il diritto di prelazione di cui all'art. 38 l. n. 392 del 1978 ." Cass. civ. Sez. III, 16-12-1996, n. 11225.

Quanto invece alle ulteriori 18 mensilità spettanti se entro un anno nello stesso locale viene avviata una attività simile alla precedente, la legge è sempre l'articolo 34 L. 392/78, ma il secondo comma (il primo comma prevede le 18 mensilità, il secondo comma le ulteriori 18 mensilità).

Consideri comunque che - se effettivamente Le scade il contratto tra 18 mesi - difficilmente il nuovo proprietario - viste le lungaggini burocratiche che comporta l'aggiudicazione all'asta - riuscirà a dare la disdetta con il dovuto preavviso (12 mesi, art. 28 L. 392/78), e quindi con ogni probabilità il Suo contratto si rinnoverà per altri 6 anni.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 12

Buongiorno Avvocato

Ho un problema con un condominio di 8 condomini che confina con la mia proprietà. Devo comunicare con loro tramite raccomandata, ma mi hanno fatto sapere di non avere un amministratore. Non conoscendo i nomi dei singoli condomini a chi devo indirizzare la raccomandata? grazie

RISPOSTA n. 12

Gentile Signora,

secondo l'articolo 1129 del codice civile, quando i condomini siano più di quattro, l'assemblea deve nominare un amministratore; lo stesso articolo prosegue prevedendo che, se l'assemblea non provvede, ciascun condomino può rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere la nomina di un amministratore.

Il rimedio che è dato agli estranei (non condomini), e quindi a Lei, è diverso: essi - ai sensi dell'art. 65 delle disposizioni attuative del codice civile - se hanno intenzione di iniziare una lite contro un condominio - hanno diritto di chiedere all'autorità giudiziaria la nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 80 del codice di procedura civile. La persona così nominata avrà la rappresentanza del condominio, ma solo relativamente a quel problema.

Ovviamente per fare tutto ciò dovrà rivolgersi ad un avvocato, il quale poi le curerà la causa.

Se invece - come leggo tra le righe della Sua domanda - non ha ancora deciso di intraprendere una causa, e quindi di rivolgersi ad un avvocato, la soluzione più semplice è quella di mandare la raccomandata a tutti gli otto condomini.

Per conoscere i nomi è sufficiente che si rechi al catasto, ove Le comunicheranno gratuitamente le generalità degli intestatari.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 13

Egregio avvocato mio figlio ha acquistato nel Novembre 2007 una casetta a schiera la 1 di 3 (in testata). In questo periodo piove sempre ma non per questo deve avere dei problemi essendo nuova. Nella parete della camera da letto che confina con altro proprietario si sta scrostando il muro x l’umidità. Il suo garage è sotto l’abitazione e in questi giorni filtra dal muro l’acqua. Non ho detto che è sita in un paesino di montagna in *******. Ora cosa dobbiamo fare per risolvere i problemi in questione, è possibile una perizia? a chi dobbiamo chiedere? penso che ci saranno delle spese, sono a carico nostro oppure dell’impresa o di chi ha fatto il progetto?

Ringrazio tantissimo e fiduciosa attendo la sua risposta *************.

RISPOSTA n. 13

Gentile Signora,

da come Lei mi descrive i fatti, sembrerebbe che il muro si stia scrostando a causa di infiltrazioni di acqua piovana, ma allora non si spiega perchè si scrosti l'intonaco della parete confinante con altro proprietario (cioè una parete interna, invece di una che dà verso l'esterno).

E' inoltre singolare il fatto che filtri acqua anche nel garage sottostante!

Direi che quindi il primo passo da fare sia quello di consultare un tecnico, un perito, il quale accerti le cause di tali danni: potrebbe anche trattarsi della rottura di un tubo, se il vicino ad esempio avesse - dall'altra parte della vostra parete - un lavandino; oppure potrebbe essere condensa (se la parete danneggiata fosse per qualche motivo più fredda delle altre nella stanza), o infiltrazioni dal tetto...

All'esito di tale accertamento tecnico, il perito dovrà dirvi se si tratta di un difetto di progettazione o di realizzazione, e di che cosa (tetto, tubi di acque condotte, condensa o altro), e quale sia la soluzione ed i costi: in tutti i casi qualcuno dovrà rispondere di questi danni. In particolare chi ha eseguito lavori difettosi ne deve rispondere nei confronti del committente-venditore, perchè da Novembre 2007 il tempo è così poco che nessun termine può essere scaduto.

Comunque, nel Suo caso, prima di dare inizio ad una procedura così onerosa (i periti si pagano, e se lo incarica Lei deve pagarlo, salvo poi rivalersi; inoltre è opportuno che la cosa sia seguita da un avvocato) Le consiglio di parlarne con gli altri proprietari e quindi di fare una denuncia di vizi (con lettera raccomandata a.r. firmata da tutti e tre) all'impresa che ha costruito l'edificio (o che ve lo ha venduto, se diversa): probabilmente, se sono corretti, Vi invieranno qualcuno ad eliminare la causa delle infiltrazioni e a riparare l'intonaco.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 14

Buon giorno avvocato, mi chiamo ****, vorrei se è possibile sapere come devo comportarmi? Alla morte di mio padre ho ereditato un locale con l'affittuario, che ha sempre pagato puntualmente, ora però l'amministratore mi comunica che sono circa due anni che non paga le quote condominiali, sul contratto di locazione regolarmente registrato, le quote spettano all'inquilino. SE NON DOVESSE PAGARLE ME NE DOVREI FARE CARICO IO???

mi scuso per la sintassi se non è corretta. CORDIALMENTE ****

RISPOSTA n. 14

Egregio Sig. ****,

lo schema è il seguente: il condominio, mediante l'amministratore, ha diritto di agire nei confronti del proprietario per il recupero delle spese, a prescindere dal fatto che l'appartamento sia affittato; il proprietario, a sua volta, in forza della pattuizione contenuta nel contratto di locazione, ha diritto di ottenere dall'inquilino il rimborso delle spese versate al condominio.

In sostanza, sì: Lei se ne deve fare carico, e poi fare rivalsa contro l'inquilino.

Peraltro Le segnalo che l'art. 5 della Legge 27 luglio 1978 n. 392 (comunemente, ma impropriamente, nota come "legge dell'equo canone") prevede che ".... il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 c.c.", e che pertanto Lei può anche utilizzare la procedura di sfratto per morosità (molto più rapida ed efficace di un processo ordinario).

Solo per completezza Le rappresento che vi è giurisprudenza contraria - ma più vecchia, la quale ritiene che il mancato pagamento delle sole spese determina la risoluzione del contratto, ma non offre la possibilità di avvalersi della procedura di sfratto per morosità.

In ogni caso, poichè per tali azioni è indispensabile rivolgersi ad un avvocato (che io consiglio sempre di scegliere tra quelli del luogo ove si trova il Tribunale competente, cioè ove si trova l'appartamento), tale legale sicuramente conoscerà l'indirizzo dei Giudici del luogo e La consiglierà di conseguenza.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA N. 15

Salve,

sono affittuario da 12 anni di un locale ad uso commerciale; il proprietario 12 mesi prima della scadenza mi invia regolarmente raccomandata manifestando l'intenzione di non volermi più rinnovare il contratto, non motivando per il quale non intende farlo; (il quale un impiegato di un ente di categoria mi informa che non è valido perchè va specificato).

Allo scadere del contratto il proprietario manifesta l'intenzione a rinnovarlo, per cui entrano in trattativa i rispettivi legali delle parti avendo comunicato l'importo del nuovo canone ed accettandolo, da premettere che questa trattativa il proprietario la protrae per i due mesi successivi dello scadere contrattuale, per cui rimango all'interno del locale per altri due mesi.

Avendo corrisposto altri due mesi di locazione e avendo pensato di poter continuare visto la trattativa in corso, al momento della firma vuole espressamente che si continui a condurre la stessa attività che era di generi alimentari, avendo maturato l'esperienza negativa della precedente nell'ultimo anno esprimo il parere di iniziare una nuova attività (bar per passanti essendo in una strada periferica) il quale proprietario si rifiuta.

Rimanendo nei canoni previsti della legge; e venendo a conoscenza delle nuove normative quali le tabelle merceologiche non esistono più, e sono subordinate dalle seguenti (alimentari e non) per cui i nuovi contratti sono solo per attività commerciali e non serve specificare quale sia l'attività primaria: per cui non essendoci vincoli condominiali e non arrecando disturbi.

Il proprietario si rifiuta al rinnovo e mi propone le 18 mensilità riservandosi che se non mi spettano le devo restituire: vorrei sapere se avendosi incassato i due mesi successivi allo scadere del contratto abbia fatto scattare un rinnovo automatico, o me li deve restituire assieme alle 18 mensilità!

ed inoltre avendo il magazzino adiacente al negozio dello stesso proprietario con scadenza al prossimo anno, essendo incorpato alla stessa attività nell'autorizzazione sanitaria e comunale spettano pure le 18 mensilità?

rimanendo in attesa di una sua quanto celere risposta invio cordiali saluti

grazie ******

RISPOSTA n. 15

Egregio Sig. *****,

da quanto leggo, in particolare dalla Sua frase "...entrano in trattativa i rispettivi legali delle parti...", deduco che Lei è assistito da un Avvocato di Sua fiducia.

D'altra parte infatti il Suo non è un quesito con cui vuole sapere la disciplina giuridica di una situazione, ma la particolareggiata esposizione di un caso protrattosi negli anni e delle relative vicende.

La rimando pertanto alla mia RSPOSTA n. 10.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 16

Gentilissimo Avvocato:

Sono un operaio che lavora in un capannone alto circa 10 metri largo30x 50 areato.

Vorrei sapere se è possibile se esiste una legge che tutela i fumatori "pessimo vizio" ma purtroppo non riesco pur sapendo che fa del male a smettere, esiste una legge che dia spazio a chi ha questo difetto: è mai possibile che io debba rinunciare ad una sigaretta nell'orario di lavoro, capisco che io do fastidio a chi non fuma, ma cosa devo fare se avessi la forza per smettere lo farei ma......

La ditta mi dovrebbe dare il tempo per una sigaretta?

Sia così gentile.

Le invio i più Distinti Saluti

RISPOSTA n. 16

per motivi di tempo e di specializzazione (non si può sapere tutto!), vista l'impennata che hanno avuto recentemente le Vostre richieste, ho deciso di avvalermi della collaborazione di un mio Collega di Studio, l'Avv. Roberto Olivieri

Gentile Signor ****,

rispondo al quesito in vece del collega Avv. Bertazzo:

no, la legge non tutela il vizio del fumo, e nel prendere in considerazione le opposte esigenze dei fumatori e dei non fumatori, privilegia sempre e comunque quest'ultime a discapito delle prime. Ciò in quanto il diritto di fumarsi una sigaretta in santa pace soccombe davanti al diritto alla salute, che è, a differenza di quello, tutelato dalla costituzione.

Nè la ditta è tenuta a concederle il tempo per fumare all'esterno del luogo di lavoro o - peggio - ad istituire reparti per soli dipendenti fumatori. Quindi a meno di non voler impiegare per il fumo le brevi pause che è consuetudine vengano concesse per un caffè, temo proprio che dovrà rinunciare a fumare nell'orario di lavoro.

Taluni sostengono poi che la legge debba avere anche una funzione - per così dire - educativa, volta a mostrare ai cittadini cosa sia bene e cosa sia male, magari forzando inclinazioni naturali o sostituendosi alla poca forza di volontà.

Che poi il maestro che la sgrida se fuma sia la stessa persona che nemmeno sottobanco le vende le sigarette, è tutto un altro discorso.

Cordialità

Avv. Roberto Olivieri

DOMANDA N. 17

Sono proprietario di un lotto di terreno di circa 200 mq ed esattamente della particella 000 riportata a seguito nella bozza planimetrica.

Il comune sta varando un nuovo regolamento urbanistico nel quale si prevede la realizzazione di un parcheggio privato ad uso "collettivo"?

Noi proprietari ci opponiamo a questa ipotesi soprattutto perche' non si evidenzia la necessita' di intervenire su suoli privati in quanto a soli 15 metri dall' area interessata vi sono parcheggi pubblici.

Riporto a seguito parte del ricorso presentato

OGGETTO: Richiesta annullamento art. 000 NUOVO Regolamento Urbanistico XXXXXXXXXXXXXXXXXXX

In riferimento al parcheggio privato di uso collettivo individuato con il simbolo |\|, oggetto dell'art. 000 del R.U, i sottoscritti, proprietari delle particelle 000, 000, 000 (Foglio 00), ai quali si aggiungono i proprietari della part. 000 (particelle comprese tutte nell'area interessata dal suddetto parcheggio, come riportato da bozza planimetrica allegata, relativa alla Tav. 0 del R.U.):

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxPARTE DI TESTO MANCANTE

presa visione del Regolamento Urbanistico, con particolare riferimento all'art. 000, di seguito riportato:

«Il parcheggio individuato con il simbolo |\| è da intendere come parcheggio privato di uso collettivo e può essere realizzato direttamente dai proprietari delle aree e degli edifici circostanti previa presentazione di progetto che deve interessare anche le sistemazioni di tutta l'area interclusa. La sistemazione riportata nella Tav. 0 è indicativa e può essere modificata in fase di progetto. In caso di inerzia dei privati l'Amministrazione comunale provvede all'acquisizione delle aree intercluse e alla realizzazione di un parcheggio pubblico»,

e

PREMESSO CHE

allo stato attuale i proprietari dell'area interessata non hanno necessità oggettiva di realizzare parcheggi privati o viabilità private, per la presenza sia del parcheggio pubblico sito in Piazza ***, a distanza di soli 15 metri circa dalla zona in questione, sia di altri parcheggi siti nelle vicinanze ed agevolmente accessibili a tutti.

Nello specifico, attualmente, il proprietario della part. 000 ha già facoltà di utilizzare il proprio suolo come parcheggio privato, in quanto ha diretto accesso alla pubblica via.

I proprietari della part. 000 hanno anch'essi accesso alla pubblica via e dunque la possibilità di utilizzare il proprio suolo come parcheggio privato.

I proprietari della part. 000 non sono residenti nel Comune IN OGGETTO e non hanno interesse a realizzare sul proprio lotto parcheggi né privati né pubblici né, altrettanto, opere di viabilità.

Il proprietario della part. 000 intende attualmente conservarne la destinazione d'uso (orto e giardino) e di conseguenza respinge qualsiasi ipotesi riguardante la realizzazione di opere di viabilità o parcheggi privati e pubblici sul proprio suolo.

Si precisa inoltre che il proprietario della part. 000 utilizza già presso il suo domicilio, locali di sua proprietà adibiti a garages.

CONTESTANO

la realizzazione del parcheggio privato ad uso collettivo (|\|) e/o pubblico, nonché le relative opere di viabilità privata e/o pubblica, da costruirsi sui lotti privati alcuni dei quali destinati ad orti e giardini, in quanto lesiva della personale libertà di utilizzare il proprio lotto per i fini desiderati. L'art. in oggetto impone infatti la realizzazione di un'opera non richiesta e non voluta.

CHIEDONO

l'annullamento dell'art. 000 del Regolamento Urbanistico dell'00 Mese 0000, relativo alla realizzazione del parcheggio |\|, e di conseguenza di qualsiasi altra opera di viabilità privata e/o pubblica nell'area in questione.

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxPARTE DI TESTO MANCANTE

domanda: ................ci sono concrete possibilita' di ricorso per evitare che il parcheggio si realizzi?

come possiamo tutelare la nostra liberta' nello scegliere tra un parcheggio o un giardino su suolo privato?

grazie per la cortese attenzione

saluti

RISPOSTA n. 17

per motivi di tempo e di specializzazione (non si può sapere tutto!), vista l'impennata che hanno avuto recentemente le Vostre richieste, ho deciso di avvalermi della collaborazione di un mio Collega di Studio, l'Avv. Roberto Olivieri

Gentile signor ****

rispondo al quesito in vece dell'Avv. Bertazzo:

lo strumento ordinario avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione è il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale: la questione che lei pone è estremamente delicata, in quanto, mi pare di capire da quanto ha scritto, il problema non è (come generalmente avviene) che è stata autorizzata una edificazione su terreni altrui che voi non volete, ma che viene in qualche modo imposta, sotto minaccia di espropriazione, la realizzazione di posteggi su aree di VOSTRA proprietà su cui voi preferireste (se lo lasci dire: del tutto legittimamente) fare dell'altro.

In tal senso il regolamento presenta effettivamente dei profili di legittimità molto dubbi, sotto il profilo della sussistenza del requisito della pubblica utilità e in generale sotto il profilo della procedura prescelta.

Trattandosi però di cosa delicata, il mio suggerimento è quello di rivolgersi ad un collega avvocato amministrativista esperto di diritto urbanistico, il quale potrà certamente consigliarla per il meglio.

Cordialità

Avv. Roberto Olivieri

DOMANDA n. 18

Spett. avvocato

Desidero porre alla sua attenzione il seguente problema: l'inquilino dell'ultimo piano ha un'infiltrazione d'acqua nel centro del soffitto della stanza della larghezza di 50 cm circa proveniente dal terrazzo condominiale.

L' inquilino chiede: il tinteggiamento dell'intera stanza.

I condomini vorrebbero ripristinare a proprie spese solo il soffitto.

In attesa di una cortese risposta le inviamo

Distinti saluti

RISPOSTA n. 18

Egregio Signore,

la legge non è eccessivamente precisa nello stabilire queste cose: si limita a sancire che chi ha arrecato un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo.

Il risarcimento corrisponde sostanzialmente nel ripristino della situazione anteriore al verificarsi dell'evento, o mediante un'azione diretta (c.d. risarcimento in forma specifica, previsto dall'art. 2058 c.c., ma deve essere scelto dal danneggiato, ed è un'ipotesi rarissima) o mediante una somma di denaro (c.d. risarcimento per equivalente) che sia sufficiente a permettere al danneggiato di pagare le riparazioni necessarie al ripristino della situazione precedente al verificarsi dell'evento.

L'art. 2056 c.c., per la valutazione del danno, rinvia all'art. 1223 c.c., il quale stabilisce semplicemente che "il risarcimento del danno.... deve comprendere così la perdita subita ... come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta".

E' evidente che la conseguenza immediata e diretta di un'infiltrazione che rovini solo la parte centrale del soffitto sia esclusivamente la macchia di umidità nel soffitto stesso (con eventuale distacco dell'intonaco), e che pertanto, nel Vostro caso, solo la tinteggiatura del soffitto debba essere pagata (oltre alla riparazione del relativo intonaco, se si è danneggiato).

Unica ipotesi in cui - a mio avviso - vi è la necessità di tinteggiare l'intera stanza (ma non è la Vostra), è quella in cui la macchia nel soffitto sia laterale, e si estenda quindi parzialmente anche ad una parete, e tale parete sia tinteggiata di un colore particolare, di difficile imitazione (o meglio rivestita di tappezzeria), uguale alle altre pareti non danneggiate: in tal caso ovviamente - non essendo possibile tinteggiare una sola parete (o cambiare un solo pezzo di tappezzeria), perchè si vedrebbe la diversità rispetto alle pareti non rifatte - deve essere rifatta tutta la stanza.

Devo però segnalarLe che normalmente si ritiene che il danneggiato tragga da tali riparazioni un miglioramento rispetto alla "situazione precedente all'evento", specialmente quando la tinta (o tappezzeria) precedente è molto vecchia o rovinata (si intende rovinata per altri motivi).

In tali casi pertanto i periti - nell'eseguire la stima del danno - devono tenere conto del vantaggio ottenuto (tinta nuova in luogo di tinta vecchia) e ridurre conseguentemente l'importo da risarcire (che sarà quindi, inferiore alla somma necessaria per l'esecuzione dei lavori).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 19

Buongiorno Avvocato, ho ricevuto da parte di un avvocato un “atto di intimazione testi” in cui mi chiama a essere sentito come testimone in una causa tra due miei vicini di casa in conflitto per un confine. Premetto che nessuno mi aveva messo al corrente né che ci fosse una causa nè che sarei stato chiamato a testimoniare davanti ad un Giudice di pace. La mia domanda è queste, io sono obbligato a presentarmi o posso anche rifiutarmi?

Ringrazio anticipatamente e saluto.

RISPOSTA n. 19

Egregio Sig. ****,

come da me già illustrato nella mia RISPOSTA n. 8 con riferimento al processo penale, devo confermare che anche nel processo civile la testimonianza non è una facoltà, ma un obbligo, e che in caso Lei non ottemperi vi è la possibilità per il Giudice sia di infliggerLe una sanzione amministrativa, sia di disporre l'accompagnamento coattivo a mezzo forza pubblica (il tutto negli stessi importi e con le stesse modalità del procedimento penale).

Devo inoltre confermarLe che non è previsto alcun obbligo - a carico di chi La indichi come testimone - nè di informarLa del fatto che inizia una causa, nè del fatto che La chiamerà a testimoniare.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 20

É possibile intentare una causa per un eventuale risarcimento dovuto ad un decesso di un congiunto per evidenti negligenze da parte

della Sanità Pubblica anche da parte di sorelle e fratelli oltre il marito?

Grazie Avvocato Massimiliano Bertazzo per il suo quotidiano impegno.

RISPOSTA n. 20

Gentile Signora ***,

il decesso di una persona comporta indubbiamente un danno "morale" (a volte anche materiale, ma per quello dipende da caso a a caso) alle persone che gli erano più vicine, e quindi senza dubbio il coniuge, il convivente c.d. "more uxorio", i figli, i genitori, e sorelle e fratelli.

Ovviamente secondo il grado di parentela e/o vicinanza saranno diversi gli importi spettanti a titolo di risarcimento del danno morale: generalmente i fratelli e le sorelle sono considerati meno affranti dei figli o dei genitori o coniugi, e comunque, a parità di parentela, chi viveva in casa con il defunto ha diritto a maggior risarcimento.

La legge tuttavia non determina quali siano gli importi, che sostanzialmente dipendono dal potere discrezionale del giudice, il quale ha l'arduo compito di valutare - caso per caso - quale importo sia più adeguato a risarcire il c.d. "prezzo del dolore".

Per darsi un'uniformità di giudizio - almeno su base locale - i Tribunali hanno adottato delle "tabelle" le quali prevedono un minimo ed un massimo per ogni grado di parentela, distinguendo chi era convivente da chi non lo era. Generalmente poi, nelle varie cause, tali giudici si attengono a tali tabelle (anche se nulla vieta che se ne discostino, tant'è vero che ogni tanti escono con una nuova tabella).

Il problema è che i Tribunali italiani sono 164, e non dico che ciascuno abbia la sua tabella, ma quasi, essendo quasi più frequente che abbiano la propria, piuttosto che adottino quella di un altro.

Insomma se il fatto che qualcosa spetti ai fratelli è una certezza, per capire quanto gli spetti è invece una giungla.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 21

gentile avvocato mi chiamo **** avrei bisogno di un vostro consiglio urgentemente...ho preso in affitto un appartamento, con il locatore avevamo preso accordi diversi da quello che poi mi ha imposto con il contratto . Inizialmente quando ho preso visione dell'appartamento abbiamo stabilito il canone dovuto di 280 euro con un contratto di 4 anni inoltre il locatore mi aveva detto che la casa era provvista di caldaia probabilmente funzionante ma non lo era perchè poi ho saputo dal tecnico che mancavano dei pezzi della stessa quindi lui era già consapevole che non era funzionante..dopo aver preso conoscenza di tale presa in giro ho comunicato al locatore tale situazione e lui mi ha detto che dovevo installare e sostituire io la caldaia, cosa che poi dovevamo ancora concordare inoltre visto che eravamo anche parenti non mi aveva parlato delle garanzie cauzionale ..nel frattempo il locatore senza aver stipulato il contratto mi ha dato le chiavi di casa e fidandomi della sua parola ho iniziato a fare i lavori in casa tinteggiatura nonchè il trasloco a cose fatte mi porta due contratti... uno dove diceva che espressamente io mi facevo carico delle spese della caldaia. Con un contratto di tre anni inoltre vuole delle garanzie cauzionali .. nell'altro contratto l'aumento dell'affitto di 310 euro con garanzie cauzionali ma si fa carico delle spese della caldaia...ora mi trovo in totale confusione avevo diritto di sapere tutto prima chiaramente non con questo inganno? mi sarei regolata diversamente ora posso chiedere un risarcimento per tutto quello che concerne il trasloco e un risarcimento morale? insomma cosa posso fare? o meglio cosa mi dite di fare? la ringrazio anticipatamente una clausola nel contratto la metterei io fidarsi e bene ma non fidarsi e' meglio

RISPOSTA n. 21

Gentile Signora,

in realtà dal Suo quesito non è chiaro se Lei abbia già firmato il contratto: dalla frase "avevamo preso accordi diversi da quello che poi mi ha imposto con il contratto", sembrerebbe che Lei l'abbia già firmato; tuttavia siccome non specifica se ha firmato quello con il canone di locazione da 280 o da 310, ritengo sia possibile che Lei, con il termine "imposto" non intenda dire che l'ha già firmato, ma che il proprietario sta cercando di imporglielo.

D'altra parte io un parere - se Lei avesse già firmato - potrei darglielo solo esaminando il contratto, e quindi, non avendomelo inviato, altro non posso fare se non risponderLe come se Lei non avesse ancora firmato alcunchè.

Siete dunque in quella fase che comunemente viene definita "precontrattuale", cioè quella fase in cui si svolgono le trattative finalizzate a pervenire ad un accordo (che sarà, appunto, il contratto).

Da molto tempo ormai la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che nella fase delle trattative precontrattuali devono osservarsi i medesimi obblighi di correttezza e buona fede previsti dal codice civile (art. 1375) per l'esecuzione del contratto; chi non osserva tali obblighi, dovrà rispondere dei danni arrecati, anche se secondo una fonte di responsabilità extracontrattuale.

In sostanza se non riuscite a raggiungere l'accordo, e quindi se non firmate il contratto (ed è ovvio che Lei non lo firma, se le condizioni in esso contenuto non le stanno bene perchè meno favorevoli di quelle che Le hanno prospettato all'inizio), Lei ha diritto ad essere risarcita dal proprietario, dei danni subiti, consistenti nella spesa della caldaia e di entrambi i traslochi, sia quello per entrare, sia quello per uscire dall'immobile; nulla Le è invece dovuto a titolo di danno morale, poichè tale danno sussiste solo se è vittima di un reato, o viene altrimenti leso un Suo diritto di rango costituzionale.

L'unico problema è quello che Lei deve essere in grado di dare prova - anche mediante testimoni - di quanto asserisce; la cosa migliore, a tale scopo, è comunicare con il locatore sempre per iscritto (con raccomandata a.r.), pretendendo risposte scritte.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 22

Salve, vorrei porle questa domanda:

sono un comunista per 1/12 di un terreno molto esteso (6 ettari di cui 1,5 edificabile) in comproprietà con altri 3 signori che detengono una quota di 11/36esimi ciascuno.

Volevo sapere se nel caso di divisione giudiziale, magari una divisione in natura, il giudice potrebbe assegnarmi la porzione di terreno che interessa a me in virtù del fatto che posseggo al 100% altre particelle limitrofe al terreno desiderato.

C'è da dire anche che la zona del terreno che interessa me è notevolmente più pregiata delle altre.

Mi può aiutare?

Grazie

RISPOSTA n. 22

Egregio Signore,

innanzitutto bisogna premettere che la divisione "in natura", prevista dall'art. 1114 c.c., è possibile solo quando la cosa da dividere possa essere "comodamente" divisa in parti corrispondenti alle quote dei comproprietari.

Ciò significa che tale divisione (che è ovviamente esclusa ad esempio quando si tratti di un immobile assolutamente indivisibile) non deve provocare un eccessivo decremento del valore che avrebbe il bene nella sua unitarietà: ciò accade quando ad esempio il frazionamento sia in parti eccessivamente piccole, oppure quando determini servitù o altri oneri eccessivamente gravosi a carico dell'una o dell'altra frazione. O ancora quando il frazionamento alteri la destinazione economica del bene. Solo a titolo di esempio, se il frazionamento determina la non edificabilità di un terreno che altrimenti sarebbe stato edificabile, il Giudice ne rifiuterà la divisione in natura (Cass. n. 3922 del 1978).

Ciò premesso il Giudice, se ritiene divisibile il bene, nell'assegnazione di una parte all'uno o all'altro dei comproprietari dovrà tenere conto delle richieste delle parti (se sono concordi non c'è problema) e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese eventuali motivazioni contrarie addotte dagli altri comproprietari.

Quindi ovviamente dovrà tenere conto anche del fatto che uno dei comproprietari (Lei) sia proprietario di altro terreno confinante, cosa che mi sembra che possa ragionevolmente ritenersi criterio di preferenza per l'assegnazione (soprattutto in assenza di argomenti contrari da parte degli altri comproprietari).

Tuttavia è mio dovere segnalarLe che - poichè tale valutazione è a discrezione del Giudice - non vi è alcuna certezza.

Infine bisogna dire che il fatto che la zona di Suo interesse sia più pregiata rileva solo al fine di attribuire il corretto valore alla frazione. Mi spiego meglio: se il terreno è sostanzialmente omogeneo, poichè a Lei spetta 1/12, Le spetterà 1/12 dei 6 ettari. Ma se è costituito da più parti di diverso valore (come nel Suo caso), a Lei spetterà un appezzamento di valore pari ad 1/12 del totale, ma di metratura minore di 1/12 del totale: maggiore sarà il pregio della parte a Lei assegnata, minore sarà la metratura, e viceversa.

E' infine possibile il conguaglio, se ad esempio Le interessa una parte di valore superiore a quello che Le spetta.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 23

Buonasera,

sono *****, la ringrazio a priori per la sua disponibilità, le invio la presente poichè avrei l'esigenza di relazionarmi a voi gentilissimo, per un consulto e per comprendere meglio la situazione in questione, ora le spiego:

Mese gennaio 2008 una società acquista da un coltivatore diretto circa 6 ettari di terreno, dopo un mese, quest'ultima vende ad un altra società omettendo alla mia persona lettera di prelazione, essendo io primo ed unico confinante, cosa mi consiglia, dato questa "frode voluta" a mio danno, ovviamente a mia insaputa, considerando che intendo come mio diritto, replicare questa mancanza di rispetto e dato che ho intenzione di acquistare?

Attendo gentilmente risposta, le invio i miei più cordiali saluti.

RISPOSTA n. 23

Egregio Sig. *****,

Devo innanzitutto premettere che la prelazione agraria, di cui Lei mi parla, disciplinata dall'art. 8 della legge 590 del 1965 e dall'art. 7 legge 817 del 1971, è applicabile al Suo caso esclusivamente se Lei è coltivatore diretto. Lei nella Sua domanda non dice di essere coltivatore diretto, pertanto io Le fornirò la risposta ipotizzando che Lei sia coltivatore diretto (altrimenti, se non lo è, semplicemente non ha diritto alla prelazione).

Deve innanzitutto accertarsi che il fondo venduto non fosse coltivato da altri coltivatori diretti che lo avessero ad affitto, mezzadria, enfiteusi o altri contratti agrari, perchè in tal caso la prelazione spetterebbe a loro, e non a Lei.

Se la prelazione le spetta, Lei ha diritto, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita (quindi è perfettamente in tempo), di "riscattare il fondo dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa" (vale a dire da chi lo ha a sua volta comprato dal primo acquirente).

Dopodichè Le segnalo che l'art. 8 della legge 590/65 prevede altre condizioni, molto dettagliate, e una procedura per farle valere, anch'essa molto dettagliata e complessa; pertanto, nel caso che Lei abbia i requisiti che Le ho indicato sopra (sia cioè coltivatore diretto e nel fondo confinante venduto non vi fossero altri coltivatori diretti mezzadri, coloni, affittuari ecc.), Le consiglio - per esercitare il Suo diritto di prelazione - di avvalersi delle prestazioni di un avvocato locale.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 24

Gent. Avv. sono comproprietaria di un appartamento che non si può al momento alienare in quanto non e' trascorso il tempo dei fatidici dieci anni - edilizia pubblica - però credo si possa dare in locazione. Ma le comproprietarie eredi non intendono ristrutturare l'appartamento fatiscente. Posso chiedere il risarcimento del danno economico?

Grazie.

Distinti saluti.

RISPOSTA n. 24

Gentile Sig.ra *****,

in realtà dal Suo quesito non si capisce chiaramente che danno abbia avuto. Colgo un'allusione al fatto che il danno consista nel fatto che l'appartamento sia talmente fatiscente da rendere impossibile locarlo.

Ipotizzo inoltre che le comproprietarie non siano per principio contrarie alla ristrutturazione, ma più probabilmente siano contrarie ad investire il denaro necessario alla ristrutturazione.

A tale proposito Le segnalo che l'art. 1110 c.c. prevede che - in caso di trascuranza degli altri comproprietari - il comproprietario che ha sostenuto le spese necessarie alla conservazione della cosa comune ha diritto al rimborso.

Cioè ben potrebbe, Lei, provvedere a proprie spese alla ristrutturazione (niente innovazioni o spese voluttuarie ovviamente), e quindi agire contro gli altri perchè Le rimborsino ciascuno un importo proporzionale alla quota di proprietà.

Tale soluzione però presenterebbe notevoli problemi: innanzitutto l'anticipazione delle spese di ristrutturazione da parte Sua, per poi attendere i tempi e le incertezze di una causa al fine di ottenerne il rimborso; in secondo luogo l'inasprimento del conflitto con le comproprietarie determinerebbe la loro opposizione a concedere in locazione l'appartamento, magari per pura ritorsione. Consideri che, ai sensi dell'art. 1105 c.c. per dare in locazione l'appartamento, serve il consenso della maggioranza delle quote, e non so se Lei le abbia.

Quindi, in tale caso, sarebbe vanificata la spesa per la ristrutturazione.

Probabilmente la cosa migliore è cercare di convincerle, con proposte agevolmente sostenibili dal punto di vista economico: ad esempio, spesso chi si trova nella vostra situazione trova un conduttore disposto ad eseguire a proprie spese i lavori di ristrutturazione, scalandone poi l'importo dai canoni di locazione (in sostanza, soprattutto se i lavori sono molto onerosi, dovreste rinunciare magari al primo anno, o ai primi due anni di affitto).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 25

Buongiorno avvocato, ho in corso una relazione con un uomo separato e padre di una bambina di 9 anni. La separazione è stata voluta dalla moglie circa un anno e mezzo fa senza precise motivazioni, nessuno è al corrente se la ex moglie abbia o meno un'altra relazione ma, visto che sta sempre insieme alla figlia, pare di no. Il mio compagno ha chiesto all'avvocato (all'atto della separazione) che venisse riportato agli atti che non era suo desiderio separarsi. L'attivazione della pratica è avvenuta nel mese di gennaio di quest'anno. A mia volta, a maggio, mi sono separata legalmente anch'io. È dal mese di novembre dello scorso anno che ci frequentiamo (entrambi abbandonati dai nostro rispettivi coniugi) però, purtroppo, il mio attuale compagno non ci tiene a rivelare di avere un'altra relazione per timore che la ex moglie possa in qualche modo ostacolarlo nei confronti della figlia. Allo stato attuale lui vive con la propria madre, tiene con sè la figlia ogni quindici giorni e trascorre con lei 15 giorni di vacanza all'anno compatibilmente con il lavoro. Entrambi abbiamo sottoscritto una separazione consensuale.

Avrei il desiderio di tranquillizzarlo in merito a possibili ripercussioni da parte della ex moglie nei confronti della gestione della figlia, a lui è stato riferito da qualcuno, di tenere la cosa il più possibile nascosta al fine di non correre alcun rischio.

Sono ansiosa di sapere se possiamo tranquillamente vivere la nostra storia alla luce del sole senza particolari tensioni di questo tipo. Quali conseguenze potrebbero accorrere nel momento in cui la madre di sua figlia dovesse venire a conoscenza di una sua relazione?

La ringrazio in anticipo per la sua risposta.

RISPOSTA n. 25

Gentile signora,

premetto che - poichè entrambi avete proceduto alla separazione consensuale - ricorre un caso diverso da quelli di cui alle mie risposte n. 10 e n. 15 infatti in caso si instauri una procedura contenziosa tra uno di voi ed il rispettivo coniuge, nessuno dei due coniugi potrebbe essere assistito dal legale che ha proceduto alla separazione consensuale. Ritengo pertanto di poter rispondere, anche se cercando di essere il più possibile generico, poichè comunque ritengo che sarebbe stato più opportuno porre le Vostre domande al legale che ha assistito ciascuna coppia nella separazione consensuale.

Ciò premesso, devo dire che i timori del Suo compagno non sono del tutto infondati: deve infatti considerare che il Giudice, nello stabilire le modalità, i tempi ed i turni in cui i genitori separati possono stare con il figlio minore, tiene in primaria considerazione le esigenze del bambino.

Deve cioè valutare quanto l'ambiente in cui si viene a trovare il bambino sia per lui favorevole dal punto di vista economico, abitativo, culturale, ecc, e soprattutto anche dal punto di vista della stabilità emotiva ed affettiva. Tale giudizio è sostanzialmente senza limiti, perchè deve valutare tutti gli aspetti di vita di un caso concreto. Conseguentemente, mettere la Vostra relazione alla luce del sole, significherebbe sottoporre al giudizio del Giudice anche Lei, nonchè la Vostra relazione.

Ovviamente ciò non significa che il coniuge separato non possa intrecciare una nuova relazione sentimentale, ma significa solamente che prima di permettere che tale nuova relazione sentimentale si ripercuota anche sul bambino si deve usare prudenza, ad esempio attendendo che la relazione si consolidi al punto da poterla considerare quasi irreversibile (non necessariamente un nuovo matrimonio).

E' infatti evidente che Lei - in caso di consolidamento del Vostro rapporto - è potenzialmente destinata a diventare un nuovo punto di riferimento affettivo per la bambina, ed è altrettanto evidente che per la bambina i punti di riferimento affettivi devono essere stabili e numericamente limitati: che succederebbe nella psiche della bambina se Lei diventasse un suo nuovo punto di riferimento affettivo (anche indipendentemente dalla Sua volontà), e tra un anno si interrompesse la relazione?

In una parola, non è alla moglie che la relazione deve essere nascosta con chissà quali sotterfugi (a meno che non sia una che vuole strumentalizzarla, ma non credo, visto che ha fatto una separazione consensuale), ma è la bambina che deve essere tenuta all'oscuro inizialmente, ed eventualmente solo in tempi molto successivi gradualmente e progressivamente messa al corrente.

Cordiali saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 26

Egregio Avvocato,

le pongo la questione. Siamo tre fratelli, causa morte del padre erediteremo l'appartamento di famiglia in parti uguali. Io sono l'unico dei tre ad abitare nella casa, prima con il padre, ora solo. La residenza nell'appartamento invece, siamo in due fratelli ad averla. Vorrei sapere, se interessato all'acquisto, possa avvalermi di un qualche diritto di prelazione.

Ringrazio anticipatamente per l'eventuale risposta.

Cordiali saluti

RISPOSTA n. 26

Egregio Signore,

devo rispondere affermativamente alla Sua domanda, rimandandoLa per ogni dettaglio alla mia risposta n. 9. Tuttavia occorre qualche precisazione: Lei pone l'accento sul fatto di essere l'unico dei tre che risiede ed abita nell'appartamento, e ipotizza - quale presupposto della prelazione - se Lei è "interessato all'acquisto".

Le precisazioni, dunque, sono due: la prima è che la legge non attribuisce rilevanza al fatto che Lei abiti e/o risieda nell'appartamento, ma esclusivamente al fatto che ne è comproprietario per eredità; la seconda è che la questione non deve essere vista nell'ottica del fatto che Lei sia interessato o meno all'acquisto, quanto nell'ottica opposta: se qualcuno dei coeredi - comproprietari sia interessato a vendere.

In sostanza: se entrambi gli altri vogliono vendere la loro quota, Lei ha diritto di prelazione su tutte e due le loro quote; ma se uno solo intende vendere la propria quota, Lei avrà diritto di prelazione insieme al terzo fratello, senza poter vantare maggiori diritti per il fatto di abitare nell'appartamento.

Distinti saluti

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 27

Pregiatissimo Avvocato,

visionando il Suo sito ho appreso della Sua disponibilità a fornire pareri legali gratuitamente. Per tale motivo, ringraziandoLa fin d'ora per l'attenzione che Vorrà accordarmi, le sottopongo il seguente quesito.

Sono conduttore (non proprietario) di un appartamento sito al sesto piano di un condominio. A causa di abbondanti piogge di alcuni giorni orsono, dal balcone dell'abitazione che ho in locazione (balcone in uso esclusivo e non condominiale) è penetrata dell'acqua piovana che ha provovato alcune macchie di umidità al proprietario dell'appartamento sottostante.

Il proprietario sottostante, il cui soffitto è stato danneggiato dall'acqua piovana chiede il risarcimento del danno.

Chi è tenuto al pagamento il conduttore del piano sovrastante (cioè io) oppure il proprietario dell'appartamento (locatore)?

L'ammontare del danno da risarcire è solo quello della tinteggiatura delle due piccole macchie di umidità generatesi oppure, come pretende il danneggiato, deve provvedersi al pagamento della tinteggiatura dell'intera stanza ben più estesa rispetto alle due piccole macchie?

Infine, se l'infiltrazione di acqua dal balcone al piano sottostante è dipesa da una ostruzione (ancora tutta da accertare) del canale di scolo del balcone stesso, tappato dalla presenza di foglie secche (non rimosse dal conduttore dell'appartamento) che avrebbe quindi impedito il deflusso delle acque piovane, generando una condensa di pochi centimetri di acqua poi defluita nel piano sottostante, la responsabilità per il danno cagionato al proprietario del piano inferiore è del conduttore che non avrebbe pulito opportunamente il balcone oppure è del proprietario dell'appartamento (locatore) per la possibile vetustà delle guaine e/o dell'impermeabilizzante che dovrebbero impedire il deflusso delle acque dal balcone sovrastante all'immobile sottostante?

La ringrazio per l'attenzione. Spero di avere una Sua risposta.

Autorizzo la pubblicazione del quesito.

Grazie.

RISPOSTA n. 27

Egregio Sig. *****,

devo innanzitutto scusarmi con Lei per il ritardo con cui Le rispondo.

In secondo luogo devo precisare che io non fornisco pareri legali gratuitamente. Infatti, come può leggere nel prologo della pagina web contenente i quesiti giuridici con le relative risposte "Le risposte non rivestiranno il carattere e l'attendibilità di un normale parere legale, il quale richiede un approfondimento maggiore, normalmente accertando le specificità del caso concreto mediante colloquio diretto con l'assistito, in modo da potere, mediante il dialogo, apprendere da lui nozioni che in una richiesta scritta potrebbe omettere non rendendosi conto della loro importanza."

Precisato quanto sopra, credo sia opportuno riassumere il suo quesito in tre domande:

1) chi è tenuto al risarcimento: il proprietario o l'inquilino;

2) quale sia il danno da risarcire;

3) se la causa sono le foglie o l'impermeabilizzazione, cambia il soggetto tenuto al risarcimento?

Partendo dal punto n. 2 La soluzione è già da me stata abbondantemente indicata nella risposta n. 18.

Una risposta precisa alla prima domanda, invece, purtroppo non vi è.

Il problema è che bisogna accertare, dal punto di vista tecnico, quale sia l'esatta causa del danno: se è stata una pioggia anomala, di violenza ed intensità tale da determinare da sola l'infiltrazione, nonostante la corretta manutenzione di tutti gli scoli e nonostante la perfetta efficienza dell'impermeabilizzazione, nessuno è tenuto a risarcire alcunchè (è il classico caso di "forza maggiore", cioè quella forza della natura irresistibile, da sola sufficiente a causare il danno, e non si può certo addossare la colpa a Lei o al proprietario).

Se invece si tratta di ordinaria manutenzione, di cui deve curarsi l'inquilino, evidentemente sarà responsabile l'inquilino (il miglior esempio è quello che ha fatto Lei, del canale di scolo del balcone otturato dalle foglie secche), poichè tali piccoli interventi rientrano nella sfera di controllo dell'inquilino (come la perdita dalla lavatrice, dal lavandino otturato ecc.), il quale deve curarsi che le cose nella sua disponibilità non siano idonee ad arrecare danno ad altri.

Se invece si tratta di un problema di impermeabilizzazione, questo non è certo imputabile all'inquilino, ma al proprietario: l'inquilino - anche volesse - non potrebbe intervenire con un'opera di rifacimento dell'impermeabilizzazione, se non con il consenso del proprietario.

Unica eccezione in cui potrebbe essere ritenuta una responsabilità dell'inquilino, anche se l'intervento di manutenzione richiesto sia a carico del proprietario, è quella in cui si accorga che occorre quell'intervento di manutenzione, ma ometta di segnalarne la necessità e l'urgenza al proprietario.

In sintesi tenga presente che la fonte di questa forma di responsabilità è l'art. 2051 codice civile, il quale pone a carico del "custode" una presunzione di responsabilità: la giurisprudenza tende ad individuare il custode in "colui che ha la disponibilità materiale e giuridica della cosa", cioè colui che ha la possibilità (ed il dovere) di intervenire e non lo fa. Quindi l'inquilino ha la possibilità ed il dovere di rimuovere le foglie secche, il proprietario no (e viceversa per l'impermeabilizzazione).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 28

buona sera, vorrei sapere se è giusto pagare 300 euro per una lettera (querela) consegnata ai carabinieri e, visto che non ho nessun contratto, se sono obbligato a pagarla; faccio presente che la lettera non ha l'intestazione dell'avvocato nè la firma; comunque e solo a livello informativo, visto che non ho mai avuto a che fare con la legge mi e sembrato un po' eccessivo l'onorario dell'avvocato

RISPOSTA n. 28

Egregio Signore,

secondo il tariffario forense approvato con decreto ministeriale, con variazioni che dipendono da quale sia l'autorità giudiziaria competente per il reato per cui Lei ha presentato la querela, l'onorario può andare da € 50,00 ad € 345,00 per la querela, cui vanno sommate le voci "esame e studio" (da € 20,00 ad € 60,00, ma da conteggiare almeno 2 volte, e cioè in occasione del primo colloquio e della redazione della querela), un colloquio in studio (da € 19,00 ad € 65,00) e l'eventuale corrispondenza informativa, anche eventualmente telefonica (da € 6,00 a € 16,00 ciascuna)....

Al totale va aggiunto il 12,5% per spese generali, la cassa di previdenza (2%) e l'iva (20%), e quindi, come può calcolare, si parte da un minimo di € 160 fino ad un massimo di € 752.... per l'attività minima indispensabile per redigere una querela, ma consideri che normalmente, anche se Lei non ne è consapevole, l'attività svolta è di più (accesso ad uffici, colloqui con magistrati e/o controparti, ecc.).

Ciò premesso, anche se non è mia abitudine sindacare gli onorari dei colleghi, devo dire che ritengo più che onesta la richiesta che Le è stata formulata (sono al corrente di chi ne chiede 1000 o più).

Infine devo rappresentarLe che è assolutamente normale che la querela non sia firmata dall'avvocato, perchè è la legge che espressamente prevede sia sottoscritta dalla parte personalmente (nè avrebbe senso utilizzare la carta intestata quando l'atto sia firmato da altri).

Quanto al contratto, credo che Lei intenda che non ha un "contratto scritto", perchè è evidente che Lei l'incarico di scrivere la querela - anche se oralmente - lo ha dato.

Poichè per tali contratti non è obbligatoria la forma scritta, ma sono perfettamente validi anche se conclusi oralmente (come la compravendita di un pacchetto di sigarette) non vi è nessun dubbio che Lei debba pagare.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 29

Cortese Avvocato, mi chiamo *** e desidererei proporLe un quesito: sono comproprietaria di un appartamento ricevuto in eredità dai genitori defunti con altri tre fratelli. L'immobile è così diviso:

A) 1/4

b) 1/4

c) 1/4

d) 1/4

Due coeredi,però non vogliono vendere l'appartamento,mentre altri due si. In pratica non c'è accordo. Posso citarli in giudizio per chiedere lo scioglimento delle quote del suddetto appartamento?

Potrebbe gentilmente farmi sapere le spese che dovrò affrontare per una eventuale citazione con relativa causa?

La ringrazio anticipatamente

RISPOSTA n. 29

Gentile Signora,

La rimando alla risposta n. 2 pubblicata sulla pagina del mio sito che ha utilizzato per mandarmi questa mail.

In pratica, se i due eredi che non vogliono vendere non volessero nemmeno acquistare la Sua quota e quella dell'altro fratello che vuole venderla, non Le rimane altro che esperire il giudizio di divisione.

Come per quasi tutte le cause, non è possibile preventivare un costo per le spese legali, perchè le vicende di una causa possono essere tortuose, lunghe ed imprevedibili come (o più) di una vita!

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 30

Siamo tre fratelli abbiamo ereditato una casa al 30.33°% circa ciascuno dai nostri genitori.

Nel cortile della casa vivono tre cani che erano di mio padre.

I miei fratelli vogliono vendere perche' le spese di mantenimento sono alte per loro e vogliono realizzare.

Io no voglio vendere almeno fino a che i cani sono in vita.

Possono obbligarmi a vendere visto che loro sono in due e io sono solo?

Grazie

RISPOSTA n. 30

Egregio Signore,

La rimando alle mie risposte nn. 2 e 29: a meno che Lei non intenda rilevare le loro quote, non Le rimane che vendere.

Irrilevante il problema dei cani: può benissimo portarseli a casa, non sono vincolati al cortile.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 31

Salve, sono stata insultata in modo pesante e offensivo da parte di una mia vicina. In più si è permessa di sbandierare cose mie e della mia famiglia molto personali delle quali mi chiedo come faccia ad esserne a conoscenza. Cosa posso fare? Posso sporgere denuncia ritenendomi molto offesa?

RISPOSTA n. 31

Gentile Signora,

innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui Le rispondo.

Sì: gli insulti integrano un reato, che si chiama ingiuria ed è previsto e punito dall'art. 594 del codice penale. Tale reato però non è perseguibile se Lei si limita a fare una denuncia: è necessario che faccia una querela, cioè un'espressa richiesta di punire quella persona per gli insulti nei Suoi confronti, specificando esattamente quali parole sono state utilizzate, dove e quando.

Tale querela deve essere proposta entro tre mesi dal fatto, mediante un atto scritto depositato personalmente alla Procura della Repubblica (procedura normalmente adottata quando si è assistiti da un avvocato), oppure, più semplicemente ed economicamente, anche oralmente in qualsiasi posto di polizia o carabinieri, i quali la verbalizzeranno e la trasmetteranno alla Procura della Repubblica.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 32

Può una nonna adire le vie legali contro un figlio che non vuole fargli vedere il nipotino di 2 anni.

RISPOSTA n. 32

Gentile Signora,

sì, certamente può.

Anzi mi permetto di segnalarLe che tale conferma, a fronte di precedenti dubbi, proviene dalla Corte Suprema (Cassazione civile , sez. I, sentenza 23.11.2007 n° 24423), che ha recentemente affermato tale possibilità.

Consideri che comunque la decisione viene sempre presa nell'esclusivo interesse del minore: la legge non afferma, e non tutela, il diritto della nonna di vedere il nipotino, ma il diritto del nipotino agli affetti familiari.

La causa è ovviamente sempre molto delicata, e le decisioni vengono prese secondo il caso concreto, quando il giudice ritiene che vedere i nonni corrisponda all'interesse del minore.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 33

Spett.le Avv. Bertazzo, desidero chiederle una cosa riguardante l'appartamento di mia figlia minore venduto all'asta, senza la benchè minima possibilità di riscatto. Quanto tempo è possibile rimanervi tra una notifica di sfratto e l'altra?

RISPOSTA n. 33

Gentile Signora,

il problema è che non vi sono più notifiche di uno stesso sfratto, ma diverse notifiche riconducibili ad un'unica procedura di sfratto.

Mi sembra di poter intuire, dalla sua domanda, che Lei voglia sapere quanto è possibile concretamente rimanere nell'appartamento venduto prima di essere materialmente buttati fuori con l'ausilio della forza pubblica. Purtroppo a questa domanda non vi può essere risposta: dipende da moltissime variabili, tra cui il carico di lavoro degli ufficiali giudiziari ed il carico di lavoro della polizia, e quindi - ovviamente - anche dal luogo ove si trova l'immobile.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 34

Situazione : Villetta a schiera di proprietà dopo successione così divisa

Padre 4/6

Figlia A 1/6

Figlia B 1/6

La figlia A residente nell'abitazione, vorrebbe pitturare le facciate esterne dell'abitazione che non è mai stata tinteggiata (oramai ha 25 anni).

Sottolineo che la sorella B ha annullato senza una buona motivazione l'atto di donazione del padre e successiva divisione tra sorelle (con relativo compenso)... tale che A divenissi unica proprietaria dell'immobile.

Accordo saltato.... la figlia A in comune accordo con il padre può tinteggiare l'abitazione a proprie spese senza l'assenso della figlia B?

La figlia B minaccia lettere di avvocati se verrà pitturata anche la facciata del suo 1/6 e di lasciare una striscia corrispondente al 1/6 (B).

E' pazza B o ha ragione?

Grazie Avvocato

Distinti saluti

RISPOSTA n. 34

Egregio Signore,

Il Vostro è il classico caso di comunione (o comproprietà), almeno così mi sembra di capire: infatti non è chiaro cosa Lei intenda quando parla del fatto che una figlia ha annullato la donazione del padre e la divisione tra sorelle.....

Rispondo pertanto ipotizzando la situazione da lei specificata all'inizio (padre 4/6 e le due figlie 1/6 ciascuna), cioè ipotizzando che i discorsi relativi alla donazione ecc. siano inutili divagazioni.

Innanzitutto occorre stabilire se la tinteggiatura di cui Lei parla rientra nell'ordinaria amministrazione o in quella straordinaria, cioè, in pratica, se si tratta verniciare oppure del rifacimento anche dell'intonaco della facciata.

La semplice tinteggiatura, poco costosa, a mio avviso, rientra nell'ordinaria amministrazione, ma poichè Lei mi parla di vetustà di oltre 25 anni, è anche possibile che si tratti di un lavoro di manutenzione straordinaria.

Ciò premesso l'art. 1105 del codice civile stabilisce che per gli atti di ordinaria amministrazione le decisioni della maggioranza (calcolata secondo le quote) sono obbligatorie anche per la minoranza dissenziente, e che per la validità delle deliberazioni della maggioranza è necessario che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione.

L'art. 1108 del codice civile invece stabilisce che per gli atti di amministrazione straordinaria la maggioranza debba essere di almeno due terzi delle quote.

Quindi in entrambi i casi - che sia considerata ordinaria o straordinaria manutenzione - Lei e una delle due figlie (ma se non fosse d'accordo nessuna delle due, anche Lei da solo), avendo la maggioranza di due terzi delle quote decide in maniera vincolante per la minoranza.

L'unico limite che incontra, per quanto riguarda l'amministrazione straordinaria, è quello di innovazioni o di opere straordinarie che risultino pregiudizievoli all'interesse di uno degli altri partecipanti alla comunione, ma senza dubbio la tinteggiatura non vi rientra.

In definitiva potete procedere alla tinteggiatura, e la minoranza dissenziente è anche tenuta a partecipare alla spesa in proporzione alla sua quota.

Vi è infine un limite formale: il tutto è condizionato al fatto che "tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell'oggetto della deliberazione" (art. 1105, terzo comma): deve convocare entrambe le figlie in un luogo determinato, in un giorno ed orario determinati, con lettera raccomandata a.r., informandole che in tale occasione si delibererà se procedere alla tinteggiatura delle facciate (di quel determinato immobile, individuato con l'indirizzo completo).

Poi - dopo la riunione in cui deciderete di tinteggiare - spedisca altra lettera raccomandata a.r. ad entrambe, con cui le informa che in tale riunione la comunione, ha deciso, con la maggioranza dei 2/3 (o, se l'altra figlia è presente e d'accordo, 5/6), di tinteggiare.

Tutto questo è indispensabile, perchè la legge espressamente lo prevede, e non attribuisce nessuna rilevanza al fatto che il loro voto sarebbe stato ininfluente sulla deliberazione (anche se lo è): in caso di omessa convocazione (o convocazione incompleta) una delle figlie ha diritto di fare annullare dal giudice la deliberazione...

Cordiali saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 35

sono proprietario di un appartamento affittato regolarmente (con contratto registrato).

Purtroppo non ho provveduto ad inviare la raccomandata per la recessione del contratto nei termini convenuti dalla legge poichè avevo programmi diversi di vita.

Il contratto scadeva a gennaio 2008.

Successivamente mi sono fidanzato e ho deciso di sposarmi nel settembre 2009 e quindi adesso l'appartamento mi serve per andare ad abitarci con la mia futura moglie.

Ho chiesto tramite raccomandata all'affittuario di lasciare la casa in un lasso di tempo di 4-5 mesi in modo da poter effettuare dei lavori.

In più devo dire che l'inquilino ormai è moroso da 4 mesi.

Io su questa casa ci pago l'ici, le tasse e in più pago ancora delle rate di un prestito personale che chiesi per poter comprare la casa.

Aggiungo che sono in questo momento disoccupato, mentre l'inquilino lavora regolarmente e ottiene anche dal comune un rimborso perchè famiglia al di sotto di un certo reddito. L'inquilino non vuole andare via, a meno che non gli abbuoni le mensilità di morosità (cosa che sono dispostp a fare) con l'aggiunta di 3-4 mensilità di affitto nella sua nuova sistemazione.

Ah, dimenticavo! L'affitto è di soli € 260,00 al mese per un appartamento di 100,00 metri quadri + posto macchina custodito.

Sono disperato,cosa devo fare?

RISPOSTA n. 35

Egregio Signore,

la circostanza che Lei intende adibire a propria abitazione l'immobile sarebbe stata utile (anzi necessaria) per negare il rinnovo del contratto (sempre che si tratti della prima scadenza: alla seconda non serve), ma rispettando comunque il termine di legge.

Il termine Lei non lo ha rispettato, e quindi ... deve aspettare la prossima scadenza.

Tutte le altre circostanze da Lei indicate sono assolutamente irrilevanti, come ad esempio che paga l'ici (anzi vorrei cogliere l'occasione per precisare che il pagamento delle tasse è un obbligo fine a se stesso, non attribuisce alcun diritto in più), che il canone di locazione è bassissimo, che Lei è in affitto altrove o ancora che abbia un prestito da rimborsare e sia disoccupato.

L'unica cosa che forse potrà alleviare la Sua disperazione è sapere che se l'inquilino è moroso di quattro mensilità Lei può in qualsiasi momento sfrattarlo per morosità (basta il mancato pagamento dell'importo complessivo, tra canone e spese, pari a due mensilità di canone).

La buona notizia è che tale procedura è estremamente più efficace dello sfratto per fine locazione, per non dire che è l'unica che funziona anche dal punto di vista pratico (in sostanza l'unica in cui l'ordine di rilascio impartito dal giudice non rimane solo un pezzo di carta).

Unico neo è il fatto che LA PRIMA VOLTA (SOLO LA PRIMA VOLTA) l'inquilino ha diritto di comparire all'udienza e sanare la morosità (comprese le spese legali, gli interessi ecc.), così conservando il contratto di locazione. In tal caso non sarà riuscito a liberare l'appartamento, ma almeno avrà ottenuto i canoni di locazione arretrati; inoltre se la morosità dovesse ripetersi il conduttore non avrebbe più diritto a sanare la morosità, ma si riuscirebbe a liberare l'immobile.

Ovviamente tale procedura è esperibile solo mediante un avvocato, cui La invito a rivolgersi senza indugiare.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 36

Buongiorno volevo chiedere un'informazione relativa a una polizza d'infortuni con *** Compagnia di Assicurazioni S.p.A. che mi ha comunicato dopo diverso tempo che non e' possibile dar corso ad alcun indennizzo in quanto le conseguenze sono imputabili ad un preesistente stato patologico sono stata operata a una spalla per capsulite adesiva.

Il liquidatore *** Compagnia di Assicurazioni S.p.A. dopo aver relazionato con il loro medico mi ha comunicato che mi riconosceranno solo due punti e mi hanno suggerito di fare un ARBITRATO Volevo sapere che cosa comporta a livello di spese e se in questi casi ne vale la pena procedere.

Grazie per la collaborazione.

RISPOSTA n. 36

Gentile Signora,

purtroppo non posso dirLe se vale la pena di procedere, perchè le polizze infortuni pagano quanto previsto nelle polizze stesse: il "punto" percentuale di invalidità può valere da € 50,00 a molte migliaia... può essere prevista una franchigia di uno, due o più punti ... (la franchigia non viene pagata), può prevedere una diaria da ricovero o per la semplice inabilità temporanea, anch'essa dell'importo stabilito nella polizza e con eventuali franchigie stabilite nella polizza.

In sostanza non si sa di che cifre stiamo parlando.

L'unica cosa che posso dirLe è che normalmente l'arbitrato è deciso da tre arbitri, e che normalmente ciascuno paga quello che sceglie e metà di quello terzo, e quello che sceglie si prende normalmente l'importo pari ad un punto. Ma ben potrebbe la polizza prevedere diversamente (che paghi tutto la Compagnia di assicurazioni, ad esempio, ed in tal caso sarebbe senza dubbio conveniente farlo).

L'unica cosa certa nelle polizze infortuni è che non devono pagare quanto vi sia di preesistente alla stipulazione della polizza.

Dalla Sua domanda, peraltro, non si capisce se Le riconoscano 2 punti, ma li ritengano preesistenti, e quindi rifiutino qualsiasi pagamento (e se sono preesistenti, è giusto così), oppure se Le riconoscano più di due punti, di cui alcuni preesistenti e 2 riconducibili all'infortunio di adesso (aggravamento), e quindi Le propongano di pagarli (correttamente), rifiutando di pagare quelli preesistenti (come devono fare in tale caso).

In ogni caso la valutazione se l'invalidità sia preesistente ed in che misura lo sia è una valutazione strettamente medica, e quindi il consiglio migliore dovrebbe poterglielo dare il Suo medico legale.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 37

Nel lontano 1996, insieme alla mia famiglia ho subìto un penosissimo crack finanziario che ci privò improvvisamente del frutto dei sacrifici di una vita. Ritrovandoci improvvisamente letteralmente senza una lira come altri creditori truffati, non potendo permetterci di pagare le cifre esose che l'avvocato (il cui nome oggi risulta nella lista di coloro che hanno finalmente ottenuto ragione della causa contro la Consob) ci chiedeva in quell'occasione, ci riunimmo con un legale meno 'potente' che chiedeva solo le spese minime e procedeva perché la sua stessa moglie era coinvolta nel crack e ci aveva rimesso anche lui attraverso la consorte.

Abbiamo continuato la causa sui due fronti, civile e penale, uscendo infine da quella civile solo nel momento in cui quell'avvocato ci fece perdere, per probabile sua imperizia, altri milioni di lire, essendo giudicati colpevoli e dovendo risarcire anche le spese processuali.

Non ce la sentimmo di procedere con l'appello, essendo pesantemente sfiduciati che senza il potere del vil denaro, saremmo stati ulteriormente fagocitati dal Sistema e ributtati a mare come i pesci piccoli già soffocati la prima volta ... Restammo però parte civile nel processo penale che si spostò a *****.

Oggi che la Consob è stata condannata a risarcire i creditori nella sentenza, la domanda tecnica che vorrei porle è: c'è alcun modo per noi ora di impugnare la sentenza e rivalerci del grave danno subìto? In che termini potremmo procedere e soprattutto con quali garanzie?

La ringrazio di cuore e attendo fiduciosa la Sua gentile risposta!

*****

RISPOSTA n. 37

Gentile Signora,

purtroppo a questa domanda posso dare poche risposte: il termine per impugnare la sentenza è di trenta giorni, decorrenti dalla data della notifica, che di norma viene fatta presso il difensore (quindi non è detto che Lei ne conosca la data esatta). Se la sentenza non è stata notificata, il termine è di un anno dalla pubblicazione della sentenza (deposito in cancelleria, annotato di norma sulla sentenza).

Se quindi è passato più di un anno (in realtà un anno, un mese e 15 giorni, se c'è in mezzo l'estate, perchè i giorni dal 1 agosto al 15 settembre non valgono), non c'è possibilità di impugnazione; se è passato meno deve vedere la data della notifica.

In ogni caso, se i termini predetti non sono ancora scaduti, come procedere deve vederlo l'avvocato cui vi rivolgete, dopo attento esame della sentenza e di tutte le carte processuali; e garanzie non ve ne sono, come in tutte le cause.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 38

Gentile avvocato Le porgo la seguente domanda:

Effettuando lavori di ristrutturazione nel mio appartameto l'impresa esecutrice ha provocato una crepa nella parete attigua dei miei vicini. Sono stato subito disponibile alla riparazione nonché alla tinteggiatura non solo della parete ma anche della stanza che risulta essere un soggiorno. Essendo l'abitazione sviluppata su due piani, all'interno dello stesso locale è presente una scala che raggiunge una stanza ed un bagno al piano terra. Fin dove sono obbligato a tinteggiare? Ovvero devo comprendere anche i muri che corrono lungo la scala e anche il corridoio sottostante, come pretendono i vicini? O limitarmi alla tinteggiatura del solo soggiorno? La ringrazio anticipatamente per La sua cortese disponibilità.

*******

RISPOSTA n. 38

Egregio Signore,

troverà risposta alla Sua domanda nella risposta da me fornita al quesito n. 18, essendo irrilevante il fatto che in tale caso il danno era stato causato dal condominio e non invece, come nel Suo caso dal singolo proprietario; ed essendo altresì irrilevante se il danno è stato causato da infiltrazioni di umidità o sia una crepa causata da lavori di ristrutturazione.

Le segnalo inoltre che - essendo il danno causato da un'impresa - è l'impresa stessa (anche eventualmente mediante la sua assicurazione, se ne ha una) che deve provvedere al risarcimento, rimborsandoLe quanto da Lei speso per risarcire i vicini.

Per evitare di avere poi - in sede di rimborso - contestazioni da parte dell'impresa o della sua assicurazione, Le conviene chiedere che provvedano loro direttamente a risarcire il vicino.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 39

se io rinuncio alla paternità posso smettere di pagare gli alimenti?

RISPOSTA n. 39

Egregio Signore,

la paternità non è rinunciabile: nel caso il figlio sia Suo in forza della presunzione di paternità del marito della madre (prevista dall'art. 231 del codice civile: in pratica, se è figlio di una coppia sposata) l'unica azione ammessa dalla legge è il disconoscimento della paternità, che può essere esercitata dal marito della madre quando sostenga di non essere il vero padre. L'art. 235 del codice civile elenca i casi tassativi in cui può essere esercitata tale azione. Azione che comunque può essere esperita solo fino ad un anno dalla nascita del figlio, o da quando il marito è rientrato nella residenza familiare (o comunque nel luogo dove è nato il bambino), se il marito era assente al momento della nascita.

Nel caso invece che si tratti di un figlio naturale riconosciuto (cioè se Lei e la madre non siete sposati) trova applicazione l'art. 256 del codice civile, che stabilisce l'irrevocabilità del riconoscimento.

In sostanza il concetto è che non si può essere padri a momenti alterni: se lo si è (e quindi si è riconosciuto il figlio naturale, oppure non si è disconosciuto quello nato nel matrimonio), automaticamente sono applicabili tutte le norme relative alla paternità, e quindi anche quella che obbliga a versare gli alimenti.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 40

Buonasera, vorrei cortesemente ricevere risposta per il seguente quesito che credo possa risultare di interesse generale:

"Se un immobile viene venduto all'asta e il debitore esecutato non ha pagato le somme dovute ai fini ICI per diversi anni, che tutela è riservata all'acquirente (aggiudicatario) per tali debiti pregressi?"

Grazie per la gentile risposta.

RISPOSTA n. 40

Egregio Signore,

innanzitutto mi scuso, sia con Lei che con chi riceverà risposta dopo di Lei (solo per avere inviato la domanda dopo, poichè seguo un ordine strettamente cronologico), per il ritardo con cui Le rispondo. Le richieste sono sempre di più, richiedono comunque uno studio (non è che un avvocato sia onniscente solo per il fatto di avere tale titolo) e riguardano le materie più disparate. Quindi, soprattutto nei mesi dell'anno in cui la professione mi impegna di più, è fisiologico che io anteponga la tutela dei miei assistiti rispetto a questa attività gratuita (non so ancora per quanto) finalizzata esclusivamente alla diffusione - a favore dei cittadini/consumatori - di informazioni che ritengo sia loro diritto avere. Ed effettivamente se fossimo in un paese normale - cioè con una minore produzione normativa, e molto più chiara - alla maggioranza delle domande che mi fate sapreste rispondevi da soli.

Detto questo, passo alla risposta.

La regola è che chi compra una casa acquista la proprietà dell'immobile, e che tale proprietà possa essere gravata esclusivamente da "diritti reali", dove reali significa inerenti alla "cosa" (in latino res) cioè eventuali servitù (passaggio ecc.), usufrutto, abitazione, uso o ipoteche.

Tutti gli altri debiti del venditore, che hanno natura personale (tasse, multe, debiti verso altre persone ecc.), non si trasferiscono insieme alla vendita della cosa (salvo, ovviamente, il caso che la cosa venga acquistata, ad esempio, per successione nei diritti del precedente proprietario, come nel caso dell'eredità).

Esistono eccezioni a tale regola, ma devono essere espressamente previste dalla legge, come ad esempio l'obbligo di pagare eventuali spese condominiali arretrate, che il venditore non abbia pagato (espressamente previsto dall'art. 63, comma 2, delle disposizioni di attuazione del codice civile).

Nella legge istitutiva dell'ICI (D.lgs 504/92) non vi sono disposizioni simili, e pertanto bisogna ritenere che l'acquirente non sia obbligato al pagamento dell'ICI arretrato (precedente all'acquisto).

Deve essere inoltre escluso il privilegio dello Stato o degli enti locali (art. 2771 e 2772 c.c.) sull'immobile venduto, per il soddisfacimento di alcuni tributi (quasi tutti per la verità), tra cui non è compreso l'ICI. Per quasi tutte le altre tasse avviene invece che il nuovo proprietario non sarebbe tenuto al pagamento delle tasse dovute dal venditore, ma lo Stato ha diritto di soddisfarsi sull'immobile (quindi in pratica l'acquirente è costretto a pagare).

Nel caso della vendita forzata il discorso non cambia: in effetti l'esecuzione forzata serve proprio a permettere che i creditori si soddisfino sul prezzo a cui viene venduto l'immobile.

Pertanto anche il Comune - per i propri crediti, tra cui l'ICI - può partecipare come creditore alla procedura esecutiva finalizzata alla vendita forzata, e concorrerà con gli altri creditori alla spartizione del ricavato.

Nella speranza di essere stato sufficientemente chiaro ed esaustivo, Le porgo distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 41

Salve,

Ho trovato la Sua pagina internet. Ho una domanda riguardante il pagamento per il distacco e riallaccio della fornitura di energia elettrica per morosità e le spese di invio della lettera di sollecito e della raccomandata.

Le spiego la situazione, abbiamo firmato il contratto di fitto dell'appartamento il 27/06/2008, il fitto partiva il 01/07/2008. Con il proprietario della casa abbiamo deciso di fare la voltura del contratto della energia elettrica. Il proprietario ha fatto la voltura telefonicamente, mandandogli anche la copia del contratto tramite fax. Ai primi giorni di settembre sul contatore compare la scritta : " Distacco impostato, supero potenza del 1%". Ci siamo preoccupati, dopo tante telefonate presso servizio clienti di Enel, ci hanno risposto che la fattura non è stata pagata. Il problema che la fattura non è mai arrivata presso indirizzo di fornitura (e l'indirizzo di nostra residenza). Mi sono registrata sul sito internet, ho stampato la fattura e l'ho pagata immediatamente (il 18/07/2008). Adesso siamo in mese di ottobre è stata emessa la fattura per i mesi di settembre - ottobre, ci hanno addebitato:

- oneri amministrativi per distacco e riallaccio della fornitura di energia elettrica per morosità - 13,50 euro

- contributo fisso per distacco della fornitura di energia elettrica per morosità - 23,00 euro

-contributo fisso per riallaccio della fornitura di energia elettrica per morosità - 23,00 euro

- interessi mora rit.pag. fattura 27/06/2008 al 3% per gg 10 su eur 69,62 - 0,06 euro

- interessi mora rit.pag. fattura 27/06/2008 al 7,75% per gg 53 su eur 69,62 - 0,78 euro

- spese di invio della lettera di sollecito del 07/08/2008 - 0,43 euro

- spese per invio della raccomandata di sollecito del 27/08/2008 - 2,80 euro.

Sono + di 60 euro di spese + iva

Pero a noi non arrivata ne la fattura, ne il sollecito, ne la raccomandata. Probabilmente hanno sbagliato l'indirizzo, ma se hanno ricevuto il fax con la copia del contratto di fitto...? Secondo Lei devo pagare tutte queste spese di mora, distacco, riallaccio? La colpa è nostra? Con chi me la devo prendere? Con me stessa? Enel mi ha risposto che il fatto che non hanno spedito le fatture non mi da il diritto di non pagarle! Ma noi non sapevamo niente e non abbiamo ricevuto nessun preavviso. l'inquilino precedente non aveva mai problemi del genere. Secondo Lei, come devo risolvere questa questione? Io non mi sento per niente colpevole, anzi…

Grazie per la risposta,

Le auguro buona giornata,

Cordiali Saluti

*****

RISPOSTA n. 41

Gentile Signora,

devo innanzitutto rilevare alcune incongruenze nel Suo racconto: se la scritta sul contatore "Distacco impostato, supero potenza del 1%" l'ha letta ai primi di settembre, come ha fatto a registrarsi al sito e pagare il 18/7/08?

In ogni caso il problema è un altro.

Come al solito nei confronti di enti sostanzialmente monopolistici (nonostante tutti si riempiano la bocca di "liberalizzazioni", ad oggi questi servizi sono ancora in regime di monopolio, forse con l'eccezione dei telefoni cellulari) occorre cedere al ricatto: o Lei paga la bolletta così come le arriva, oppure fanno un nuovo distacco e la lasciano al buio.

Quindi paghi.

L'unica cosa che può fare è di spedire, contemporaneamente al pagamento o subito prima, una raccomandata all'Enel, con cui gli comunica che ha pagato per evitare nuovi distacchi, ma che non ritiene l'importo dovuto e lo rivuole indietro.

Poi potrà fare causa all'Enel per avere indietro la somma. A tale scopo potrebbe anche andare dal Giudice di Pace senza l'obbligo di avere un avvocato, poichè l'importo è inferiore a 516,00 € (occorre però che il Giudice sia d'accordo, e quindi La autorizzi a difendersi da sola).

Sulla ragione, per me è difficile pronunciarmi: gli importi non mi sembrano eccessivi; il problema è se siano dovuti.

Tutto dipende dal fatto se Lei è in grado di dare prova del fatto che ha comunicato correttamente il Suo indirizzo. Era giusto e ben leggibile quello indicato nel contratto di locazione che avete faxato? avete la ricevuta del fax?

Se sì, allora avete probabilità di vittoria.

Potete anche indicare come testimone il proprietario, per riferire il contenuto del suo colloquio quando ha telefonato per la voltura.

In bocca al lupo!

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 42

gentile avvocato buonasera vorrei sapere un 'informazione mia figlia è nata il 00 mese 00 mio marito all'ospedale l'ha registrata con un solo nome posso aggiungerne un secondo nome la prego mi risponda al più presto possibile perchè sto impazzendo

RISPOSTA n. 42

Gentile Signora,

l'aggiunta di un ulteriore nome equivale sostanzialmente alla modifica del nome.

Ai sensi dell'art. 89 del D.P.R. 396 del 2000 l'interessato che vuole cambiare nome (ovviamente per lui i genitori, nel caso sia minorenne) "deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce".

Ovviamente c'è una procedura da seguire, che include l'affissione per trenta giorni, la possibilità che qualcuno presenti opposizioni, infine il decreto del Prefetto con cui accoglie o respinge la domanda, e quindi l'annotazione nei registri dello stato civile.

Non l'ho mai fatta (d'altra parte non la devono fare gli avvocati, essendo una procedura puramente amministrativa), ma ho la sensazione che sia una specie di calvario burocratico.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 43

Buonasera avvocato,

la mia situazione è un po' grave nel senso che vi è di mezzo una creatura,le espongo qui di seguito i fatti.

La mia ex compagna aspetta una bambina ed io mi sono frequentato con essa fino alla fine di maggio, dopo di che ella mi ha lasciato dicendomi che aveva perso la bambina poichè ha preso volontariamente degli antistaminici "uccidendo"la bambina.

Dopo una ventina di giorno la rivedo con un nuovo ragazzo e ella aveva ancora una pancia sospetta;tornato dalle vacanze la rividi con il pancione allora mi insospetti e gli chiesi di chi era. Ella mi rispose che non sapeva chi fosse il padre se io o un altro ragazzo cioè un terzo. Prima domanda posso chiedere eventuali danni morali, poichè ho passato un periodo di depressione accentuata varie volte da sentimenti omicidi e posso testimoniarlo tramite testimoni.

Mi sono risentito con essa da qualche tempo poichè vorrei sapere chi è il padre e mi sono impegnato a fare il test del dna ed oggi lei mi ha detto che se voglio riconoscerla nel caso fosse mia le devo versare mensilmente 500 euro se no su di essa non ho nessun diritto, ma prendo a malapena 900 euro...cosa mi consiglia di fare grazie ed arrivederci.

RISPOSTA n. 43

Egregio Signore,

rispondo supponendo che nessuno dei protagonisti di questa vicenda sia sposato, e che quindi si tratti di quella che il codice civile chiama "filiazione naturale".

Devo innanzitutto premettere che ormai la casistica del "danno esistenziale", cioè quel danno derivante dalla lesione di diritti garantiti dalla Costituzione, è ormai estremamente ampia, e viene ampliata ulteriormente, giorno dopo giorno, dalla giurisprudenza. Quindi, visto che la famiglia, e quindi la paternità, sono senza dubbio tutelati dalla Costituzione, se Lei agisce in giudizio contro la madre di Suo figlio, dando prova di quanto mi ha riferito, con ogni probabilità Le sarà riconosciuto un risarcimento (non si aspetti però cifre elevate).

Ciò premesso, devo dirLe che l'art. 250 del codice civile prevede che se il riconoscimento non avviene da parte di entrambi i genitori congiuntamente, il secondo che vuole effettuare il riconoscimento deve ottenere il consenso del primo (salvo il figlio abbia più di 16 anni).

Ciò significa che Lei può cercare di effettuare il riconoscimento per primo, oppure, nel caso sia arrivato per secondo, deve esserci il consenso della madre.

Lo stesso articolo prevede comunque che il consenso non possa essere rifiutato quando corrisponde all'interesse del figlio; se comunque permane il rifiuto di tale consenso, è possibile ricorrere al Tribunale.

Tenga presente che il Tribunale deciderà esclusivamente nell'interesse del bambino; le probabilità di vincere sono elevate, perchè è ritenuto abbastanza ovvio che il bambino abbia interesse ad avere entrambi i genitori. Bisognerà comunque vedere che ragioni addurrà la madre a sostegno del proprio dissenso.

Certo è che una situazione conflittuale tra Lei e la madre (come nel caso le chiedesse il risarcimento del danno morale per il tentativo di farLe credere di avere abortito) non sarà ben visto dal tribunale, quindi Le consiglio di scegliere: o l'uno o l'altro.

In tale processo il Tribunale eviterà qualunque indagine sulla paternità (cioè si disinteresserà del fatto se il padre sia effettivamente Lei o l'altro): tale circostanza verrà accertata solo se qualcuno (per esempio l'altro) impugnerà il riconoscimento per difetto di veridicità, come previsto dall'art. 263 del codice civile.

Infine, per quanto riguarda il discorso dei versamenti mensili, devo rappresentarLe che la partecipazione al mantenimento del bambino è un ovvio dovere di entrambi i genitori, e quindi anche Suo, se effettuerà il riconoscimento (così diventandone, giuridicamente, padre).

Non è detto che si tratti di € 500,00 mensili: La misura esatta di tale partecipazione - ove non concordata - è decisa dal Giudice, e può essere un po' meno, ma anche un po' di più.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 44 (proveniente dall'indirizzo e-mail di un avvocato)

Quale tipo di garanzia ha l'acquirente di un immobile, nei confronti della società che lo ha edificato, nel caso in cui un vicino lamenti, a seguito di azione giudiziale, il mancato rispetto delle distanze legali tra le costruzioni? Può trovare applicazione la decadenza sui vizi costruttivi prevista dalle norme sulla compravendita nel rapporto contrattuale tra venditore e acquirente?

La ringrazio sin d'ora per il suo interessamento.

RISPOSTA n. 44

Egregio Collega,

questa sezione del mio sito è desinata a consumatori e/o piccoli imprenditori e/o artigiani, cioè, in sostanza, a chi non ha gli strumenti tecnico giuridici per pervenire da solo alla soluzione del problema.

I Colleghi Avvocati, pertanto, essendo per antonomasia tecnici del diritto, non riceveranno alcuna risposta.

Cordiali saluti.

Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 45

Sono comproprietario di una strada dietro casa che serve oltre a me un’altra famiglia; su questa strada per far defluire l’acqua piovana sono stati costruiti dei pozzetti collegati con una tubazione che va in un vecchio fosso oramai chiuso per metà verso la fine. Ho saputo che un mio vicino ha acquistato un pezzo di terreno confinante con questa strada sul quale ho sentito ha intenzione di costruire un parcheggio privato di non so bene quale entità. La mia domanda è: per salvaguardare lo scarico delle acque bianche piovane, il costruttore di tale parcheggio ha qualche obbligo o è libero di chiudere la tubazione tranquillamente? Tengo a precisare che la strada in questione e quindi la tubazione hanno un’età minima di 7/8 anni. Se oltre ad una sua attessissima risposta mi potesse dare anche qualche indicazione su articoli di legge vari gliene sarei ancora maggiormente grato.

Grazie

RISPOSTA n. 45

Egregio Signore,

Le rispondo ipotizzando che il vecchio fosso non sia Suo. A prescindere da cosa il Suo vicino voglia costruire, la situazione creatasi con lo scarico di acque piovane dai pozzetti - situati nella strada di Sua proprietà - al fosso, rientra, a mio modo di vedere, in una servitù di scarico acque.

La servitù di scarico acque ha la particolarità di poter essere anche coattiva (art. 1043 del codice civile): cioè può essere imposta anche a chi non è d'accordo, mediante sentenza, dietro versamento di un indennizzo (art. 1032 codice civile).

Tuttavia nel Suo caso non c'è neanche bisogno della costituzione coattiva di tale servitù: Lei già ne è in possesso, e quindi, per il solo fatto di esserne in possesso, nel caso venga "spossessato" (cioè venga chiusa la tubazione o comunque il fosso), può esercitare un'azione possessoria (art. 1168 e seguenti del codice civile), nella quale è sufficiente provare di avere il possesso per ottenere di essere reintegrato nel possesso della servitù.

E' possibile inoltre esercitare un'azione di accertamento e tutela della servitù, come previsto dall'art. 1079 del codice civile: tuttavia se Lei non ha un titolo (contratto, testamento, o, come dicevo sopra, sentenza) da cui risulti la costituzione della servitù, rischia che venga accertato che Lei non ha la servitù.

Consideri infine che le servitù apparenti (come è questa, perchè esistono opere funzionali alla sua esistenza: pozzetti e tubazione) si possono acquistare anche per usucapione, ma occorrono vent'anni.

Ritengo pertanto che la cosa migliore sia attendere di vedere cosa fa il vicino: se chiude la tubazione, agisce mediante un'azione possessoria (entro un anno dallo "spossessamento"), e successivamente chiede la costituzione di una servitù coattiva (pagando l'indennizzo stabilito dal giudice).

Se non Le chiudono la tubazione... meglio: avrà tempo di raggiungere i 20 anni ed eventualmente chiedere l'usucapione (senza il pagamento dell'indennizzo).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 46

Gentile Avvocato,

se in un bando di gara, riguardo al trattamento dei dati personali non è indicato il nuovo dlgs 196/2003 ma quello precedentemente abrogato, il suddetto bando è valido? Se una ditta dovesse aggiudicarsi i lavori potrebbe essere bloccata da un ricorso per tale errore tale che sia rindetto un nuovo bando di gara?

Grazie.

RISPOSTA n. 46

Egregio Signore,

ritengo che anche la totale omissione dell'indicazione della legge sulla privacy non sarebbe tale da inficiare il bando: al massimo potrà determinare sanzioni a carico di chi fosse tenuto a tale indicazione.

Nel caso da Lei sottoposto sussistono ancora meno dubbi: nonostante il Dlgs 196/2003, all'art. 183, affermi di abrogare la legge 675 del 1996, di fatto ne recepisce la maggioranza dei contenuti, spesso interi articoli.

Non per nulla il nuovo dlgs 196/2003 è un testo unico, denominato "codice in materia di protezione dei dati personali", il quale - nonostante abbia introdotto alcune novità - ha avuto per lo più la funzione di riordinare una materia ove il proliferare di molte norme, contenute nelle leggi più disparate, provocava confusione.

Pertanto l'indicazione della legge 675/96 non costituisce l'indicazione di una normativa "abrogata", ma della maggior parte della normativa vigente (trasposta nel nuovo "contenitore": il Dlgs 196/2003).

Probabilmente, in tal caso di puro errore materiale, non potrebbero nemmeno essere irrogate sanzioni.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 47

Siamo 2 fratelli non più residenti nella nostra città natale.

La nostra mamma ha comperato 1 attico nella stessa e con mio stupore e' stato ammobiliato di nascosto dal fratellino (che nello stato di famiglia è con mia mamma) e io non ne ho accesso.

Chiaramente il mobilio e' il meno ma cosi' ha segnato il territorio,come gli animali.

Detto questo, Volevo chiederle essendo mia madre esclusiva proprietaria solo il buon senso e la ragione possono permettermi di sfruttare l'appartamento?

Lo stato di famiglia, io ho la mia, e' parte funzionale del problema?

La ringrazio anticipatamente

RISPOSTA n. 47

Egregio Signore,

Non è il buon senso o la ragione che possono permetterLe di sfruttare l'appartamento, poichè Lei non ne ha alcun diritto: se Sua madre è esclusiva proprietaria, spetta esclusivamente a lei stabilire chi ne possa fare uso e a quali condizioni: Lei o Suo fratello o altri o nessuno, a titolo gratuito o a pagamento.

Nulla c'entrano la residenza, lo stato di famiglia o il mobilio.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 48

Buongiorno, cercando in internet ho trovato il suo sito e lo ho ritenuto molto interessante, ne approfitto per porle un quesito.

Breve riassunto:

Nel 2003 ho acquistato una vettura con un finanziamento presso la Una Soc. Finanziaria di Una Marca d'Auto con 24 rate.

Pago regolarmente le rate con bonifico bancario.

Nel novembre 2005, ricevo una lettera dalla società Una Soc. Finanziaria che mi avvisa che il mio finanziamento e regolarmente estinto e "nulla è più dovuto" alla società.

A questo punto sospendo il pagamento di novembre, contatto la società tramite call center e chiedo chiarimenti. Mi viene confermato che il finanziamento e regolarmente estinto come scritto nel documento inviatomi.

Ad ogni buon conto, dopo aver verificato che ancora dovevo pagare alcune rate, contatto di nuovo la Società, invio copia del documento ricevuto e attendo notizie.

Nel mese di dicembre, mi chiama la Società chiedendomi spiegazioni per il ritardato pagamento.

Ripeto di nuovo tutto alla nuova operatrice che mi richiede di nuovo la spedizione della documentazione, dice di non tenere conto del documento e riprendere regolarmente le rate altrimenti dovranno intentare azione legale nei miei confronti.

A questo punto, per non avere problemi, decidiamo con l'operatrice (Sig. Barbara di cui oggi nessuno ha notizia) di riprendere il versamento delle rate mancanti e di pagare la prossima in modo doppio per riportarmi in pareggio con i versamenti.

Con tutta questa confusione... sospendi i pagamenti.... riattiva i pagamenti .... finiamo con pagare una rata in più che a distanza di qualche mese, mi viene rimborsata con addebito di circa 25€ come spese.

A distanza di due anni, ricevo dalla ditta Una Soc. di Recupero Crediti incaricata da Una Soc. Finanziaria di riscuotere il credito, una ingiunzione di pagamento tramite normale lettera, per 26€ (Ventisei Euro) per ritardato pagamento di una rata senza menzionare nient'altro che il numero del contratto intimandomi di fare un versamento entro sette giorni. (ma da quale data visto che non c'è nessun timbro postale ???)

A parte la cifra quasi ridicola, per cui potrei pagare e chiudere tutto, decido di sentire la suddetta ditta che mi rimanda al call center della Una Soc. Finanziaria, il quale mi ri-chiede di nuovo tutta la documentazione dicendo che a loro non interessa niente del perché c'è stato il ritardo, del fatto che la Sig. Barbara mi aveva assicurato che la cosa era stata risolta e che in ogni caso loro avrebbero continuato con l'azione legale di recupero credito se non eseguo il versamento entro 7 giorni, chiarendomi che loro in ogni caso hanno diritto entro 5 anni dalla fine del contratto di chiedere eventuali more o spese derivanti dal finanziamento. (Sul contratto non si fa menzione di tutto ciò)

A questo punto sono indeciso sul da farsi; farmi prendere in giro e "truffare" da questi signori oppure non pagare il richiesto e vedere cosa succede.

E' chiaro che visto la cifra irrisoria, non mi sembra il caso di fare azioni legali o quant'altro, però in questo momento sono davvero molto arrabbiato perché nonostante la mia buona fede e volontà di pagare regolarmente le rate (a parte questa tutte sono state regolarmente eseguite alla data di scadenza) questi signori credono di poter fare i gradassi solo perché sono una grossa società.

La ringrazio anticipatamente per il parere che vorrà darmi e cordialmente saluto

RISPOSTA n. 48

Egregio Signore,

da quanto Lei ha esposto, mi sembra che abbia proprio ragione. E mi sembra altresì che abbia prova scritta di quanto mi dice, costituita dalla loro lettera del novembre 2005, nonchè, spero, da copia del fax inviato e relativa ricevuta (spero Lei abbia scritto anche una richiesta di chiarimenti, non limitandosi solo all'invio del loro documento liberatorio).

D'altra parte nell'esecuzione dei contratti il codice civile prevede che le parti siano tenute a correttezza e buona fede: così ha fatto Lei, pagando nonostante il loro errore, e così devono fare loro, evitando di addebitarLe costi dovuti evidentemente a loro errori.

Conservi la documentazione di tutto, ed eventualmente i Suoi tabulati telefonici (da cui dovrebbero risultare le telefonate ai loro call center), smetta di perdere tempo a contattare le loro società di recupero crediti, e non paghi alcunchè.

Ha inoltre ragione di non volere fare azioni legali per 26 €, anche perchè se insistono a volere i 26 €, saranno loro a dover fare azioni legali: da un lato non credo le faranno per 26 € (anche le società di recupero devono avvalersi di un avvocato e pagarlo), dall'altro saranno anche dissuasi dalla prospettiva di perderle, perchè Lei ha ragione.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 49

Ho avuto un semplice infiltrazione condominiale dal piano superiore (perchè i tubi della vasca del bagno perdono) dove vive un inquilino (proprietario), con conseguente degrado del mio soffitto , io sono proprietario dell'appartamento che ha subito il danno, a quali articoli di legge devo appelarmi per chiedergli di ripararmi il soffitto, visto che lui non ne vuole sapere? L'assicurazione condominiale potrebbe fare qualcosa?

Grazie

RISPOSTA n. 49

Egregio Signore,

innanzitutto non occorre che Lei invochi specificamente un articolo di legge per chiedere il risarcimento.

Comunque gli articoli di riferimento sono: il 2043, il 2051 ed il 2053 del codice civile: il primo stabilisce che "qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno", dove il "fatto" può consistere anche in un'omissione (ad esempio, nel nostro caso, omessa manutenzione delle tubature della vasca), e colposo vuole dire involontario, ma comunque evitabile con la dovuta diligenza (ad esempio effettuando la doverosa manutenzione delle tubature). L'ingiustizia del danno consiste nel fatto che il danno non trova fondamento in norme di legge (ingiusto= non avvenuto secondo la legge).

Gli altri 2 articoli invece stabiliscono delle presunzioni di responsabilità a carico del custode della cosa che ha arrecato il danno (2051), e del proprietario dell'edificio che - con la sua rovina (non è solo il crollo, ma la rottura delle parti fisse, murate, come anche i tubi) - ha causato il danno.

Infine l'assicurazione condominiale: sempre più spesso la polizze di assicurazione stipulata dal condominio, generalmente detta "globale fabbricati", copre anche responsabilità attribuibili ai singoli condòmini, oltre, ovviamente, alle responsabilità del condominio.

Può facilmente ottenere dall'amministratore copia delle condizioni generali di contratto: se prevedono anche i casi attribuibili ai singoli appartamenti, faccia fare la denuncia all'amministratore: otterrà un risarcimento molto più facilmente che dal proprietario soprastante.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 50

Salve,

sono una ragazza universitaria nonchè conduttrice (da settembre) di un appartamento assieme ad altre 4 ragazze. Sin dal giorno in cui ho preso possesso della casa mi sono accorta che la caldaia (abbastanza vecchia) non andava bene (non sempre si accendeva nell'aprire l'acqua calda) tant'è che dopo un mese ha iniziato a perdere acqua.

Abbiamo chiamato il locatore che ci ha fornito il numero del tecnico il quale, a sua volta, ha sostituito un pezzo e ci ha comunicato che pochi mesi prima era stato richiamato per lo stesso problema. Essendo la caldaia abbastanza vecchia necessita della sostituzione di diversi pezzi che ovviamente con il tempo si usurano! ora il locatore ritiene che la spesa sia a nostro carico perchè di ordinaria amministrazione ma nonostante la somma sia esigua (33.00 euro)non mi sembra giusto dal momento che non siamo state certo noi ad usurarla!

Come posso contestare questa sua pretesa??

La ringrazio anticipatamente!

RISPOSTA n. 50

Gentile Signora,

salvo diverse pattuizioni contrattuali (per le quali La invito a cercare nel contratto), il codice civile, all'art. 1576, prevede l'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in buono stato locativo, e quindi di eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.

L'art. 1609 c.c. (relativo ai soli fondi urbani) definisce tali "spese di piccola manutenzione" come quelle "dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito".

L'enorme confusione che si determina in questa materia è dovuta alla tendenza un po' superficiale dei vari tecnici ad attribuire la colpa dei guasti alla vetustà, senza meglio specificare la causa del guasto.

Le posso comunque dire, ad esempio, che la Cassazione ha ritenuto che l'inquilino debba provvedere a rimuovere l'eccessivo accumulo di fuliggine in una canna fumaria, e, più nello specifico con la sentenza n. 271 del 19/1/89, la Cass. civ. Sez. III ha affermato che: "Non rientrano tra le riparazioni di piccola manutenzione a carico dell'inquilino a norma dell'art. 1609 c. c. quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico) per l'erogazione dei servizi indispensabili al godimento dell'immobile, atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, gli eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell'inquilino per un uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito od a vetustà e, pertanto, la spesa per le relative riparazioni grava sul locatore che, ai sensi dell'art. 1575, n. 2, c. c., deve mantenere costantemente l'immobile in stato da servire all'uso convenuto".

Quindi, nel Suo caso, pare proprio che spetti al locatore, poichè non credo proprio che la perdita d'acqua possa essere attribuibile ad un "uso anormale della cosa locata", ma è ovviamente vetustà.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 51

Egregio Avvocato,

vorrei cedere a mia moglie la quota di proprietà che ho in comunione con lei. Si tratta di due appartamenti che al momento sono dati in comodato d'uso ai nostri due figli. Gradirei sapere se ciò è possibile tenendo conto anche che

la cessione potrebbe dover essere fatta senza il suo consenso.

Con molti ringraziamenti, distinti saluti

RISPOSTA n. 51

Egregio Signore,

la cessione di cui Lei parla, da quello che mi sembra di capire, è a titolo gratuito.

Pertanto rientra nella disciplina delle donazioni (obbligo di atto pubblico notarile).

Come previsto dall'art. 769 del codice civile, la donazione è un contratto ... e in quanto tale ha come elemento essenziale l'accordo delle parti.

Insomma, per quanto possa sembrarLe paradossale, senza il consenso di Sua moglie Lei può fare la donazione, ma la donazione si perfeziona (cioè diventa effettiva), solo se e quando Sua moglie fa l'accettazione e glielo comunica (art. 782 del codice civile).

Ovviamente invece, con il consenso di Sua moglie si può fare senza alcun problema.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 52

Gentilissimo avvocato

Scrivo questa mail perché ho bisogno di un consiglio legale piuttosto urgente,navigando in internet ho trovato il suo contatto.

Sono in procinto di separazione; mio marito e due dei miei figli hanno la residenza nel comune in cui viviamo e nel quale ci siamo trasferiti due anni fa: Comune A in provincia di Provincia B, mentre io ho la residenza nel comune in cui abbiamo vissuto fino a due anni fa: Comune C in provincia di Provincia D, ho dovuto lasciare la mia residenza in Comune C per permettere all’altra mia figlia di poter continuare ad abitare nell’appartamento di proprietà del comune fino al momento in cui avesse trovato un’ altra sistemazione dato che non ha voluto seguirci nel trasferimento.

La mia domanda è questa: posso avvalermi di un avvocato di Provincia B anche se non ho la residenza nel comune di domicilio o sono costretta a cercare un avvocato in Provincia D?

Tenga presente che nel caso dovrei fare richiesta di libero patrocinio visto che non ho reddito.

La ringrazio anticipatamente.

RISPOSTA n. 52

Gentile Signora,

Lei può scegliere un avvocato di qualsiasi città italiana, a prescindere dalla Sua residenza.

Generalmente comunque si cerca di scegliere un avvocato del luogo dove si trova il Tribunale a cui si ricorre, in modo da evitare inutili costi di trasferta (o di un secondo avvocato nel luogo dove si trova il Tribunale).

Quindi occorre innanzitutto vedere a quale Tribunale vi rivolgete: se fate una separazione consensuale potete scegliere tra il Tribunale di residenza del marito o quello della moglie; se invece fate una separazione non consensuale, è competente il Tribunale del convenuto (cioè di chi subisce la causa: in pratica chi la inizia deve rivolgersi al Tribunale dove risiede l'altro).

Per quanto riguarda il patrocinio a spese dello Stato, la situazione più agevole è nominare un difensore della città ove si trova il Tribunale; se ne incarica uno di un'altra città, ai sensi dell'art. 82 DPR 115/2002, non gli verrà pagata la trasferta.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 53

Buongiorno. Ai primi giorni di marzo ho inviato una lettera di disdetta a Nota Compagnia Telefonica, con raccomandata A.R., per una linea telefonica di casa. Non avendo letto le condizioni del contratto l'ho inviata alla sede legale (Città 1) e non quella operativa (Città 2) indicata nel contratto. Nota Compagnia Telefonica ha accettato la disdetta ma con decorrenza tre mesi dopo cioè dalla data in cui la comunicazione è stata inviata da Città 1 a Città 2 (tre mesi di viaggio !!!)

E' valida la mia disdetta?

Posso rifiutarmi di pagare la bolletta per il periodo a mio avviso non dovuto?

Grazie

RISPOSTA n. 53

Sì, certo, prima di tutto perchè se tale nota compagnia telefonica voleva ricevere le comunicazioni in una determinata sede, altro non doveva fare se non sceglierla come "sede legale"; dall'altro perchè è singolare il fatto che tale compagnia, per trasmettersi informazioni da una propria sede ad altra propria sede, non sia in grado di avvalersi di fax o posta elettronica o telefono o rete interna (siamo nel 2008, e le telecomunicazioni non hanno confini, se non per tale nota compagnia telefonica!), in modo da fare viaggiare le informazioni in tempo reale.

In realtà, i problemi di cui il codice civile si preoccupa sono esattamente opposti al Suo, e cioè di quando raccomandate ed atti siano inviati alla sede amministrativa o operativa o alle sedi secondarie, preoccupandosi di salvare in determinati casi l'efficacia delle comunicazioni, nonostante non siano state inviate alla sede legale.

Il punto è che la sede è una sola, ed è quella legale: quella operativa o amministrativa (o altre diciture analoghe), semplicemente non è la sede.

Ritengo inoltre che in forza del Codice del Consumo,(art. 33, lettera T) una clausola che preveda l'obbligo di inviare la disdetta ad un indirizzo diverso dalla sede legale, prescindendo dal fatto che si sia verificata l'effettiva conoscenza da parte del destinatario, sia vessatoria.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 54 (proveniente dall'indirizzo e-mail di un avvocato)

Preg.mo Avv. Bertazzo, Le sottopongo il seguente quesito:

Un padre dona a ciascuno dei suoi 5 figli una quota di un garage.

Uno di questi 5 fratelli germani aliena ad un terzo estraneo la quota di sua pertinenza (cioè, 1/5).

Orbene, il mio dubbio è il seguente: la comunione tra fratelli germani è una comunione "speciale" (stante l'adfectio familiae in essa presente) tale che il fratello prima di alienare la sua quota avrebbe dovuto comunicare tale intenzione agli altri fratelli in modo da metterli in condizione di poter esercitare il loro ius praelationis?

In altri termini, è possibile estendere a tale tipo di comunione l'istituto del retratto successorio di cui all'art. 732 c.c.?

In caso contrario, di quali strumenti giuridici possono servirsi gli altri 4 fratelli per evitare l'intromissione del terzo estraneo in un bene di cui essi hanno un diritto di proprietà pro quota?

Si potrebbe, in tale ipotesi, applicare l'art. 1108, comma 3, c. c.?

Qualora dovessero esistere orientamenti giurisprudenziali a sostegno delle pretese dei 4 fratelli, potrebbe gentilmente segnalarmeli?

In attesa di un a Sua Risposta, Le porgo Distinti saluti

RISPOSTA n. 54

Egregio Collega,

questa sezione del mio sito è desinata a consumatori e/o piccoli imprenditori e/o artigiani, cioè, in sostanza, a chi non ha gli strumenti tecnico giuridici per pervenire da solo alla soluzione del problema.

I Colleghi Avvocati, pertanto, essendo per antonomasia tecnici del diritto, non riceveranno alcuna risposta.

Cordiali saluti.

Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 55

Buongiorno e grazie per la sua disponibilità.

Il mio caso è molto complesso e spero di spiegarlo in poche parole:

Io ho in atto un pignoramento della casa da parte della tesoreria e in più mia moglie vorrebbe il divorzio per vari motivi.

Vorrei sapere in caso di divorzio oltre agli alimenti per il figlio minorenne 11 anni, visto che la casa ha ipoteca sopra di pignoramento, le aspetta lo stesso l'assegnazione dell'immobile fino alla maggiore età del figlio o lo sequestrano.

In tal caso dovrò provvedere io a trovare un nuovo alloggio e a pagare le spese.

Spero di essere stato abbastanza chiaro.

La ringrazio sin da ora per la sua cortesia.

RISPOSTA n. 55

Egregio Signore,

Le rispondo ipotizzando che dove Lei scrive "divorzio" intenda dire "separazione", visto che non dice di essere già separato, ed il divorzio lo otterrà solo dopo tre anni di separazione.

Mi spiace contraddirLa, ma il Suo caso, purtroppo, è semplice, in quanto il pignoramento c'è già stato, e quello che Lei ha in corso è la procedura esecutiva finalizzata alla vendita della casa già pignorata.

Sua moglie può quindi ottenere l'assegnazione della casa coniugale per adesso, cioè fino a quando la casa rimarrà Sua; poi, in seguito al decreto di trasferimento dell'immobile a chi se lo aggiudichi all'asta, la casa diventerà dell'acquirente, al quale non sarà opponibile il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, per il semplice fatto che tale provvedimento recherà una data successiva a quella del pignoramento.

In una parola: tra pignoramento e provvedimento di assegnazione della casa coniugale prevale quello dei due che venga per primo trascritto nei pubblici registri, cioè, nel Suo caso, il pignoramento.

Quando Sua moglie sarà costretta a liberare tale casa, con ogni probabilità anche Lei dovrà contribuire alle spese per l'affitto di un altro appartamento.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 56

Salve,

le scrivo per avere una delucidazione in merito ad una multa. In agosto mi è arrivata via raccomandata, una multa scattata dall'autovelox il 6 giugno 2008. Il verbale riporta la targa dell'automobile sbagliata perciò ho fatto ricorso al giudice di pace della zona e l' udienza è fissata per il 13 gennaio 2009. Il 03 Novembre è arrivata un' altra multa, riporta la stessa data della precedente con la stessa violazione, praticamente è stato duplicato il verbale ma con la targa corretta. Ora devo pagare quest'ultima multa e presentarmi lo stesso per l' udienza di gennaio dove credo verrà invalidato il verbale? Come devo muovermi?

Grazie per l'attenzione

RISPOSTA n. 56

Gentile Signora,

purtroppo evidentemente, forse anche per il fatto di avere ricevuto il Suo ricorso, l'amministrazione si è accorta dell'errore ed è corsa ai ripari, notificandoLe il verbale corretto.

A questo punto l'unica certezza è che Lei debba recarsi all'udienza del 13/1/09, portando anche copia del verbale corretto: lì otterrà l'annullamento del primo verbale.

Più complessa è la sorte del secondo verbale: personalmente ritengo che debba essere fatto ricorso anche contro quello, se non altro perchè la procedura seguita dall'amministrazione è piuttosto anomala: avrebbero dovuto prima annullare il primo verbale, indicando quale motivazione l'erronea indicazione della targa, e quindi emettere il secondo.

Emettere il secondo, senza previamente annullare il primo, da un lato rischia di duplicare la sanzione, dall'altro provoca un'evidente inammissibile contraddizione tra i due verbali (e sì che il primo verrà annullato dal Giudice, ma il vizio è originario: l'hanno emesso in contraddizione con il primo, perchè il primo è attualmente valido, fino a che il Giudice non lo annulli).

I verbali infatti sono atti pubblici, fidefacenti: cioè sono atti destinati a costituire prova del loro contenuto, e non è ammessa prova contraria (salvo la "querela di falso", che è una procedura per la quale il Giudice di Pace deve sospendere il processo, attendere la decisione del Tribunale, e all'esito della quale, se si accerta la falsità del verbale, è anche possibile l'instaurazione di un processo penale per il reato di falso a carico del pubblico ufficiale che ha scritto l'atto).

Ebbene, come possono due atti pubblici fidefacenti ad avere contenuti tra loro opposti? Dico opposti, perchè un numero sulla targa non è un'imprecisione: identifica un'altra auto, e quindi un'altra persona.

Se non fosse altro, è evidente che la contraddizione è indice di inattendibilità del verbale: anche del secondo.

Ovviamente non c'è alcuna certezza dell'accoglimento del secondo ricorso.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 57

Spett.le avvocato, la mia domanda è questa: abito in affitto in una casa ammobiliata; la proprietaria mi pretende di levigare e verniciare il portoncino principale e gli infissi a spese mie; le chiedo se ciò è giusto. La saluto e la ringrazio.

RISPOSTA n. 57

Egregio Signore,

troverà risposta alla Sua domanda leggendo la mia RISPOSTA n. 50.

In particolare tutto dipende dal fatto se questi interventi si siano resi necessari a causa di un uso anomalo o a causa di vecchiaia. Cioè, in sostanza, se Lei ha in qualche modo, magari durante il trasloco, rovinato la vernice, o se eventuali Suoi familiari (es. bambini) abbiano anomalamente sporcato - con pennarelli e simili - le vernici, e in tali casi deve provvedere a Suo carico; oppure se tali vernici siano scrostate e rovinate perchè esposte da 30 anni alle intemperie, ed in tale caso deve provvedere la proprietaria.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 58

Egregio avvocato Bertazzo, buon giorno,

mi rivolgo a Lei perchè mi consigli in che modo posso svincolarmi da una proposta d'acquisto effettuata presso una agenzia immobiliare senza incorrere in sanzioni penali.

Proposta d'acquisto stilata in data 30 ottobre 2008

Tale proposta non riporta la data di validità della proposta stessa.

Sulla proposta d'acquisto l'agente immobiliare non ha firmato

La proposta recita : "appartamento intestato alla società.... in forza di preliminare di compravendita con gli attuali proprietari Signori.....

L'agente dopo qualche giorno mi chiama e mi dice che la proposta è stata accettata solo dalla società .

I proprietari non hanno firmato. Secondo Lei la proposta è valida?

RISPOSTA n. 58

Gentile Signora,

la materia dei contratti aventi ad oggetto immobili è caratterizzata dal requisito della forma scritta a pena di inesistenza.

E' quindi ovvio che per formulare una mia valutazione sul Suo caso concreto sarebbe necessario l'esame della proposta e della relativa accettazione.

Ciò premesso, da punto di vista generale:

1) la Sua proposta - salvo sia stabilita l'irrevocabilità per un determinato periodo, per intenderci si tratta probabilmente di quella da Lei chiama "data di validità della proposta" - è valida fino a quando Lei non la revochi (revoca da portare a conoscenza dell'altra parte per iscritto, con raccomandata a.r.);

2) nel caso la controparte riesca a comunicarLe - per iscritto, e con raccomandata a.r. - di avere accettato la Sua proposta, prima di ricevere la Sua revoca, il contratto sarà concluso, e non ci sarà più nulla da fare;

3) è quindi irrilevante la telefonata dell'agente che Le comunica che la proposta è stata accettata (perchè una telefonata non è scritta);

4) è irrilevante la firma dell'agente sulla proposta (se non ai fini della Sua percentuale per la mediazione).

Mi è poi poco chiaro quanto da Lei citato della proposta (appartamento intestato alla società.... in forza di preliminare di compravendita con gli attuali proprietari Signori), perchè se è intestato alla società, la proprietaria è la società, non altri....

Potrebbe trattarsi di un contratto preliminare tra la società ed i proprietari, con cui questi si impegnano a vendere alla società... in tal caso per vincolare Lei è sufficiente l'accettazione da parte della Società.

Saranno poi problemi della società procurarsi la proprietà dell'immobile dai Signori.., in modo da poterglielo trasferire.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 59

Gent.mo Sign. Bertazzo,

La ringrazio innanzitutto per la sua "opera" volontaria e gratuita per noi cittadini.

Il mio problema è il seguente: Mi sono iscritta a Una Nota Università Privata l'8 settembre 2008 al costo di 2600 euro l'anno (pagamento semestrale di 1300 euro) . In data 5 novembre 2008, dunque dopo nemmeno due mesi, la retta è salita vertiginosamente a 3700 euro l'anno. Per gli iscritti prima del 5 novembre 2008, la tassa iniziale di 2600 può non subire variazioni soltanto se verranno pagate anticipatamente, entro il 30 novembre 2008, le rette per il secondo e terzo anno: entro la fine di questo mese dovrei andare a pagare 1300-fine semestre primo anno- + 2600 euro anno secondo + 2600 euro anno terzo). Dunque entro fine mese dovrei versare euro 6.500, altrimenti rientro a pagare a inizio secondo anno una retta pari a euro 3.700 euro annui.

1) E' legale effettuare un aumento simile senza preavviso e senza argomentazioni a sostegno di questo aumento( a noi studenti è stato semplicemente detto che dobbiamo pagare, ma non ci è stata riferita alcuna delucidazione in merito al perchè)?

2) Come possiamo agire?

3) Dopo solo due mesi di iscrizione, e dopo questa bella sorpresa, ho deciso di trasferirmi in un altro ateneo più serio: posso in termini di legge recuperare una parte dei soldi che ho versato visto che di sei mesi che ho pagato ne ho frequentati solamente due senza dare alcun esame?

Grazie per la Sua attenzione.

RISPOSTA n. 59

Gentile Signora,

è singolare che nella documentazione da Lei inviatami non si rinvenga traccia del compenso pattuito. Sarà sicuramente contenuta altrove.

Comunque il contratto da Lei stipulato è annuale (art. 8), e quindi ovviamente l'università può decidere di cambiare le condizioni contrattuali (in questo caso il prezzo) per gli anni successivi, salvo ovviamente il Suo diritto di recedere - e quindi cambiare università - se riterrà eccessivo il nuovo prezzo.

Per quanto riguarda invece il fatto che Lei non abbia usufruito dei mesi successivi ai primi due, e voglia ottenere il rimborso dei 4 mesi pagati in eccesso, Le segnalo le seguenti due decisioni:

Trib. Padova Sez. I, 23-02-2002: "La clausola contenuta nel contratto di iscrizione ad anno scolastico presso una scuola privata, che preveda l'obbligo di corrispondere integralmente la quota annuale anche in caso di abbandono anticipato del corso, non può ritenersi vessatoria. Essa infatti non presenta quei requisiti di significativo squilibrio delle prestazioni, atteso che l'istituto, a seguito dell'accettazione manifestata da parte del richiedente il servizio, si assume l'onere di predisporre ed organizzare l'intero corso di studio, assumendo il personale docente e approntando tutto quanto necessario per lo svolgimento dell'attività didattica."

Trib. Genova Sez. VI, 19-03-2007: "In caso di un contratto stipulato con una scuola privata non per il conseguimento della laurea ma per un'assistenza, burocratica e didattica, per la scelta del corso e per il superamento degli esami, secondo i "desiderata" del cliente, deve ritenersi applicabile l'art. 2237 c.c. a norma del quale proprio a causa della natura delicata del rapporto che si viene a instaurare tra il prestatore d'opera intellettuale e il suo cliente, questi può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta sino al momento del recesso. Il contratto stipulato tra la "scuola privata" e il cliente prevede, è vero, il recesso nel termine di dieci giorni, ma si tratta, testualmente, del recesso gratuito e senza oneri di sorta, che caratterizza i contratti del "consumatore pentito". Tale clausola non esclude evidentemente il più generale potere del cliente di recedere nel corso dell'esecuzione del contratto, ai sensi del primo comma dell'art. 2237 c.c."

La prima non mi pare corrisponda al Suo caso, perchè non rinvengo, nel contratto, nessuna clausola che preveda il pagamento della quota annuale a prescindere dall'abbandono anticipato del corso (però valuti bene la documentazione a Sue mani, perchè probabilmente c'è di più di quello che mi ha mandato, visto che non c'è nemmeno il prezzo).

La seconda sembra invece proprio favorevole, anche se si riferisce ad un caso leggermente diverso, dove lo scopo era diverso dal conseguimento della laurea.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 60

Salve avvocato, avrei bisogno si sapere se posso inserire una canzone inedita su una pagina web. Questa canzone è stata già eseguita molte volte live dalla band autrice, ma non compare in nessun album. Si trova anche su Noto Sito Internet che pubblica Filmati, come base per video di immagini. Di solito Noto Sito Internet che pubblica Filmati, quando qualcuno viola le leggi sul copyright, cancella il video. Vorrei sapere se inserirla su una pagina pdf sul web, è illegale. Grazie mille.

RISPOSTA n. 60

per motivi di tempo e di specializzazione (non si può sapere tutto!), vista l'impennata che hanno avuto recentemente le Vostre richieste, ho deciso di avvalermi della collaborazione di un mio Collega di Studio, l'Avv. Roberto Olivieri

Si, può inserire il contenuto sulla sua pagina web con il consenso preferibilmente scritto del titolare del diritto d'autore.

Il fatto che il contenuto sia già stato pubblicato altrove non esclude la necessità del consenso e non me la sentirei di invocare davanti a un giudice la giurisprudenza di Noto Sito Internet che pubblica Filmati in tema di copyright.

Il diritto d'autore nasce con la creazione dell'opera e ha un duplice contenuto, e cioè il diritto a vedersi riconoscere la paternità dell'opera (cosicchè è bene sempre indicare l'autore, citare la fonte etc.) e il diritto di sfruttarla economicamente. Quindi la autorizzazione dell'autore è alla fine una autorizzazione alla pubblicazione gratuita.

In tempi recenti si è fatta strada l'idea (giuridicamente ineccepibile) che l'autore possa disporre del proprio diritto un po' come vuole, dettando lui i termini e le modalità in cui vuole esercitarlo.

Molti autori quindi oggi rilasciano le proprie opere con licenza creative commons: rispettando i termini di tale licenza la diffusione è consentita.

Quindi per prima cosa è meglio vedere se l'opera è rilasciata sub licenza creative commons e infine privilegiare per il suo sito contenuti del genere.

Distinti saluti.

Avv. Roberto Olivieri

DOMANDA n. 61

Ill.mo Avvocato

Il mio vicino anni fa ha piantato un pino che oggi ha raggiunto la ragguardevole altezza di una quindicina di metri.

Le chiedo questa pianta dista 1,70 mt. da un camminamento pubblico e 2,70 dal mio confine,in pratica tra la mia proprietà e il pino nonostante in mezzo ci sia un camminamento pubblico ci sono solo 2,70. Posso chiedere l'abbattimento? Devo e posso far intervenire il Comune? (vedi camminamento)

Le sarei grato se mi rispondesse, (nel sito chiaramente). In attesa di leggerla cordiali saluti.

RISPOSTA n. 61

Egregio Signore,

l'art. 892 del codice civile prevede che i pini non possano essere piantati a distanza di meno di tre metri dal confine (salvo diversa distanza prevista da regolamenti o usi locali, sulla cui esistenza e contenuto può informarsi in Comune).

La distanza si misura dal confine alla base esterna del tronco dell'albero.

Siccome la ragione di questa norma è evitare che il vicino veda la pianta, nonchè subisca la conseguente diminuzione di aria, luce, soleggiamento e panoramicità (Cass. 12956/00), mi sembra assolutamente irrilevante che tra i due confini vi sia un camminamento pubblico.

Può pertanto chiedere - ai sensi dell'art. 894 del codice civile - l'estirpazione della pianta.

Poichè è competente il Giudice di Pace, volendo può chiedere al Giudice stesso, l'autorizzazione a stare in giudizio senza l'assistenza di un avvocato.

Tenga presente però che il diritto di mantenere piante a distanze non regolamentari ha natura di servitù, e come tale è soggetto ad usucapione, ventennale.

Poichè Lei nel quesito non indica il numero di anni da quando è avvenuto il piantamento del pino, non posso dirLe se sia già avvenuto.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 62

L’anno scorso nel mese di novembre, ho comprato un abito da sposa (per il mio matrimonio che si è celebrato il 20/06/2008 ultimo scorso) presso un negozio a Milano. Il vestito che mi hanno consegnato presentava un grosso difetto sartoriale di cucitura bottoni che ha compromesso non solo i miei movimenti per tutto l’arco della giornata, ma anche gran parte dell’album fotografico (in tutte le foto fatte al ristorante, infatti, si vede l’intimo della sposa IO e le foto non hanno avuto lo stesso effetto!). Ho chiesto (tramite RR allegando anche CD con foto del matrimonio) il risarcimento sia per le riparazioni sbagliate sia per i danni morali a me causati da quell’errore. Per un totale complessivo di 500 euro.

La titolare del negozio può non rispondermi? E’ obbligata a risarcirmi?

Grazie in anticipo.

Cordiali saluti.

RISPOSTA n. 62

Gentile Signora,

l'acquisto dell'abito da sposa deve essere inquadrato come qualsiasi altra compravendita, e quindi tenendo conto delle garanzie attribuite al compratore dal codice civile, nonchè, in questo caso, del Codice del Consumo.

Come in ogni compravendita, il venditore è tenuto alla garanzia per i vizi della cosa venduta (art. 1490 c.c.); il compratore, nel caso vi siano vizi, può chiedere a sua scelta la risoluzione del contratto (e la conseguente restituzione del prezzo) o la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.), oltre, ovviamente, in entrambi i casi, al risarcimento del danno (art. 1494 c.c.).

In casi come questo si tratta per lo più di mancanza di qualità (art. 1497 c.c.), per cui in realtà può chiedere solo la riduzione del prezzo.

Però, purtroppo per Lei, l'art. 1495 c.c. prevede che "il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta", dove per denunzia si intende la contestazione dei vizi al venditore; ovviamente è Suo l'onere di provare di avere fatto la denunzia nei termini previsti.

Anche considerando le più favorevoli norme sulla compravendita del consumatore, non cambia molto: infatti l'unico reale vantaggio, relativamente al Suo caso, è il maggior termine previsto dall'art. 132 del Codice del Consumo per denunciare i vizi: due mesi dalla scoperta.

Quanto al danno morale Le devo dire che, nonostante negli ultimi tempi alcuni Giudici di Pace abbiano stabilito risarcimenti anche per cose di questo tipo, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, proprio in data 11/11/08, con la sentenza n. 26972, ha confermato invece l'irrisarcibilità del danno morale, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge o quando sia riconducibile alla lesione di un diritto inviolabile della persona, di rango costituzionale.

Per rispondere quindi alle Sue domande, la titolare del negozio può ben non rispondere, e Lei, se ha denunciato i vizi in tempo (entro 2 mesi), può ottenere la restituzione di una parte del prezzo pagato.

Ovviamente, essendo la causa di competenza del Giudice di Pace, se contiene le Sue pretese nel limite di € 516,00, può chiedere al Giudice di autorizzarLa a stare in giudizio personalmente, senza difensore, e può provare a chiedere anche il danno morale (visto che comunque, nonostante l'indirizzo contrario della Cassazione, molti di loro lo riconoscono).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 63

Egregio Avv.

sono possessore di un appartamento ed ho avuto un problema idraulico che ha causato infiltrazioni all'appartamento sotto di me.

vorrei sapere se posso rimediare io personalmente o con un operaio di mia scelta o se l'inquilino di sotto ha facoltà di scegliere lui a chi far fare i lavori?

grazie.

Cordiali saluti.

RISPOSTA n. 63

Egregio Signore,

come potrà leggere nella mia RISPOSTA n. 18, quello di cui Lei parla è il "risarcimento in forma specifica", previsto dall'art. 2058 del codice civile, ed è possibile solo se lo sceglie il danneggiato.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 64

salve, Le sintetizzo la mia domanda e per qualsiasi chiarimento Le darò altre informazioni da Lei richieste.

Mia moglie ha una societa s.a.s che vende oggettistica varia da 1 euro dove essendo amministratrice ha come quota il 51% e la socia il 49%.

A luglio l'agenzia delle entrate e' venuta a fargli delle domande in modo non proprio cortese e le ragazze ancora giovanissime e senza esperienze lavorative (rispettivamente di 29 e 28 anni), impaurite e suggestionate sbagliarono a dire la data di assunzione della socia, avendo capito dalle domande quale fosse la data di apertura della societa', ma invece si riferivano alla data di assunzione.

Avendo riletto e confermato con la firma entrambi, il verbale e' diventato di 38'000,00€, perchè e' come se avessero detto che la socia fosse stata 6 mesi in nero.

Ma la socia non sarebbe dovuta essere assunta in quei 6 mesi perchè non lavorava all'interno del negozio, ma dopo alcuni mesi vista la mole di lavoro raggiunta dall'attività faceva sì che l'assunzione fosse necessaria nel mese di maggio. E cosi facemmo.

La domanda e' molto semplice, quasi gliela stessi chiedendo in ginocchio, cosa potrei fare?

Se vendessi la societa', la sanzione andrà all'acquirente che diventerà amministratore?

RISPOSTA n. 64

Egregio Signore,

la risposta alla Sua domanda è reperibile nel Dlgs 472/97, il quale prevede:

art. 27: che le violazioni riferite a società ecc. siano riferibili alle persone fisiche che ne sono autori;

art. 11: che quando la violazione è commessa dal dipendente o dal rappresentante o dall'amministratore, anche di fatto, di società ecc., nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, la società nell'interesse della quale ha agito l'autore della violazione sono obbligati in solido al pagamento della sanzione, salvo il diritto di regresso;

art. 14: che in caso di cessione di azienda il cessionario è obbligato in solido con il cedente al pagamento delle sanzioni per violazioni commesse (e sanzioni irrogate) nell'anno della cessione e nei due anni precedenti, salvo il beneficio della preventiva escussione del

cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda.

Quindi, in sostanza, tenuti al pagamento sono Sua moglie e la società in solido; se per caso paga la società (magari nel frattempo ceduta ad un terzo), la società ha diritto di regresso nei confronti di Sua moglie; comunque, in caso di cessione, l'acquirente è tenuto in solido con il cedente, ma con il beneficio di preventiva escussione, cioè pretendendo che il creditore cerchi prima di ottenere il pagamento dal cedente.

Insomma, non ha scampo.

Consideri inoltre che chi acquista la società pretenderà giustamente di pagarla meno: esattamente € 38000 in meno, e quindi.... A meno che Lei non ipotizzi di riuscire a nascondere (non so come potrebbe riuscirci) queste circostanze al compratore, ma in tal caso incorrerebbe in gravi responsabilità anche di natura penale, quanto meno per il reato di truffa di cui all'art. 640 C.P.

Credo che invece la cosa migliore sia rivolgersi ad un mio collega della Sua città, sottoporgli tutti gli atti, e valutare la possibilità di impugnare l'accertamento o di concordare con l'Agenzia delle Entrate un minore importo.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 65

Salve, ho un bivani non ammobiliato affittato non registrato da un anno per colpa di un un extracomunitario che non mi ha mai pagato il canone. Il contratto non è valido con la legge finanziaria 2005 comma 346 articolo 1. Chiedo posso buttare fuori l'inquilino in quanto occupante abusivo oppure devo registrare il contratto e fargli lo sfratto? Quale conviene delle due per fare più presto a buttarlo fuori? Grazie

RISPOSTA n. 65

Gentile Signora,

effettivamente l'art. 1, comma 346, della legge finanziaria 2005 (L. 311/2004), dice, testualmente: I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati.

Ciò premesso, devo innanzitutto puntualizzare che l'onere di registrare il contratto incombe su entrambe le parti. Non è dunque "colpa" del solo conduttore se non è registrato, ma di entrambi: Lei ed il conduttore in pari misura.

Per rispondere alla Sua domanda, devo dire che ritengo preferibile e più corretta la procedura di sfratto, previa registrazione del contratto, anche se ciò implica il versamento dell'imposta arretrata, maggiorata di interessi e sanzioni.

Infatti, sostenere che l'inquilino sia "occupante abusivo", cioè senza titolo, non corrisponderebbe ad assoluta verità: il contratto, sebbene nullo, esiste! Sembra una distinzione cavillosa, ma è stata più volte affrontata sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina; si tratta di due cose diverse.

Anche sotto il profilo pratico, pensi cosa succederebbe se, iniziato il procedimento per occupazione sine titulo, l'inquilino registrasse il contratto e si costituisse sostenendone la validità.

In ogni caso, poichè entrambi i procedimenti richiedono l'assistenza di un legale, Le consiglio di rivolgersi ad un mio Collega Avvocato locale, il quale saprà senz'altro consigliarLe la migliore soluzione, tenendo conto anche dei tempi e della giurisprudenza locali.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 66

Salve, ho un grave problema con la muffa. Sono in affitto dal 1 aprile 2008 con un regolare contratto 4+4 ,con una regolare caparra di 2000 euro e pago un affitto di 600 euro mensili, pero' ho riscontrato gia' da un paio di mesi (ottobre, novembre ) che ci sono delle infiltrazioni d'acqua, e muffa con un tremendo odore nella camera da letto con parquet e nel bagno con acquetta per terra.

ps. Dato il problema, il mobile dei vestiti tenuto alla dovuta distanza che e di 8-10 centimetri si e' impregnato di cattivo odore e di muffa ed il mobile era nuovo.

Io ho gia' avvertito il proprietario, e mi e' stato detto che il problema e' mio e lo devo risolvere io....

La casa e' nuova da costruzione e ha poco piu' di 2 anni,

VOLEVO CHIEDERLE

Se e' possibile avere il risarcimento danni dell'armadio, e far terminare in anticipo, preavviso dei 6 mesi (visto che si hanno dei problemi di salute documentabili)

PUO' CONTATTARMI ALLA MIA E MAIL

DISTINTI SALUTI

RISPOSTA n. 66

Egregio Signore,

troverà risposta alla parte della Sua domanda su chi debba provvedere alle riparazioni, leggendo la mia RISPOSTA n. 50.

Le rappresento inoltre:

    1. che l'art. 1577 del codice civile prevede che "quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore";

    2. che l'art. 1578, comma 1, del codice civile prevede che "se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi conosciuti o facilmente conoscibili";

    3. che l'art. 1578, comma 2, del codice civile prevede che "il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna";

    4. che l'art. 1581 del codice civile estende l'applicabilità di tali regole anche ai vizi sopravvenuti nel corso della locazione.

Poichè le infiltrazioni non erano certamente da Lei conosciute o facilmente conoscibili al momento del contratto (al contrario, visto che si tratta di immobile recente, poteva anzi fare affidamento sul fatto che non presentasse questo tipo di problemi), Lei ha diritto a chiedere al Giudice la risoluzione del contratto (cui consegue, di regola, anche il risarcimento del danno) o, in alternativa, a Sua scelta, la riduzione del canone.

Al fine di ottenere dal locatore l'esecuzione delle riparazioni necessarie ad eliminare il problema, ed il risarcimento del danno, deve provvedere al più presto ad inviargli una lettera raccomandata a.r. nella quale premette l'esposizione dei fatti (così come li ha esposti a me, e se possibile arricchiti di maggiori dettagli) come se il proprietario non sapesse nulla (anche se glielo ha già detto a voce), dandogli un termine (15 giorni dal ricevimento della raccomandata) per risolvere il problema e risarcire io danno, avvertendolo che in caso non provveda sarà costretto a rivolgersi ad un legale.

Eviti invece di dare disdette con termini inferiori ai 6 mesi per motivi di salute, poichè non è la procedura corretta: può ottenere lo stesso effetto (anzi anche migliore) seguendo le istruzioni sopra fornite, cioè avvisandolo della necessità di riparazioni e diffidandolo ad adempiere e poi chiedendo al Giudice la risoluzione del contratto, che è più favorevole ed è quanto previsto dalla legge.

Se ciononostante non otterrà nulla, Le consiglio di rivolgersi ad un mio Collega della Sua città.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 67

Salve Avvocato,

Le vorrei porle questo quesito.

Sono in separazione giudiziale da circa un anno. Non abbiamo figli. Ho acquisito la casa dove abitavamo prima di contrarre matrimonio. Siamo ambedue residenti lì. Nella prima udienza la mia ex moglie ha chiesto l'assegnazione esclusiva dell'abitazione. Il giudice, sciolto la riserva, ha così scritto: non esistono i presupposti per l'assegnazione della casa alla moglie in quanto non ci sono figli. La casa è di esclusiva proprietà del marito. Autorizzo a vivere separati con l'obbligo del rispetto. Passato ormai un anno la mia ex moglie continua a abitare in casa mia non pagando nemmeno le utenze. A novembre c'è stata la seconda udienza dove il giudice ha espressamente detto che la casa è di proprietà esclusiva mia e con questo se ne è lavata le mani.

Adesso Le vorrei chiedere i passi che posso fare affinchè possa mandare fuori casa la mia ex moglie in quanto il mio avvocato continua a cercare invano un accordo che tanto non arriverà mai. Siamo tutti e 2 lavoratori dipendenti e percepiamo lo stesso reddito.

RISPOSTA n. 67

Egregio Signore,

devo rappresentarLe che la deontologia professionale forense prevede che un avvocato non possa rilasciare alcun parere o informazione sulle pratiche seguite da un altro avvocato.

Ciò in quanto si presume che alla base del rapporto Avvocato-Cliente vi sia la fiducia: se fiducia vi è, Lei ponga le domande al Suo avvocato, che meglio di chiunque altro conosce il Suo caso, e si fidi delle risposte che egli Le fornisce. Se fiducia non vi è, allora gli revochi l'incarico e si rivolga ad altro professionista, questa volta di Sua fiducia.

Tali norme non devono essere intese - come troppo spesso i mass media vogliono fare intendere - come una specie di muro corporativo eretto dalla categoria degli avvocati in difesa di se stessa, ma sono poste soprattutto a tutela del cliente, il quale, scegliendo tra diversi pareri, e non avendo la competenza tecnico-giuridica necessaria ad una scelta corretta, potrebbe facilmente cadere nella mani di professionisti poco seri, mossi dall'interesse di compiacere il cliente al fine di accaparrarselo.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 68

Mi trovo nella situazione di legalmente separata. Al mio ex marito (attualmente senza fisso lavoro) hanno ritirato la patente, ma ciò nonostante guida ancora liberamente la macchina. Mi chiedo in caso di incidente da lui provocato, se io e i miei due figli maggiorenni

dobbiamo rispondere dei danni provocati (vista la situazione in cui l'assicurazione non risponderebbe perchè non in regola con la patente).

In caso affermativo come posso fare per tutelare me e i miei figli da eventuali oneri di risarcimento?. Può essere utile informare le

autorità giudiziali a tutela sua e nostra? Il divorzio potrebbe risolvere il problema?

Ringrazio e chiedo cortesemente di non pubblicare il mio nome

RISPOSTA n. 68

Gentile Signora,

devo innanzitutto precisare che le assicurazioni invocano qualsiasi pretesto per non pagare, ma alla fine, ove costrette dal Giudice, devono pagare.

Perche' il Giudice esoneri l'assicurazione dal risarcimento, è necessario che la Società dimostri un collegamento causale tra il fatto da lei invocato, e l'incidente: in tale senso possono assumere rilevanza, ad esempio, la dimostrazione di un guasto ai freni, unitamente alla dimostrazione che, in assenza di tale guasto, l'incidente non si sarebbe verificato.

Non possono invece assumere rilevanza - se non indiziaria - le carenze di tipo puramente burocratico, quali, ad esempio, l'omessa revisione periodica obbligatoria, o il ritiro della patente.

Tali indizi possono senz'altro indurre il giudice a voler indagare i motivi della carenza burocratica, ma non lo inducono certo ad automatismi come: patente scaduta o revocata=colpa e/o mancata copertura assicurativa.

Ciò premesso, secondo quanto previsto dall'art. 2054 del codice civile, e dall'art. 91 del Codice della Strada, l'unico soggetto (oltre all'assicurazione, quando vi sia copertura) che è responsabile in solido con il conducente del veicolo per i danni da esso causati, è il proprietario (o l'usufruttuario, o l'acquirente con patto di riservato dominio o il locatario, in caso di locazione finanziaria, comunemente conosciuta come leasing).

Tali qualità devono tutte risultare dalla carta di circolazione e dal PRA.

Ciò vale anche per le sanzioni amministrative.

Quindi, per rispondere alla Sua domanda, se Lei non è comproprietaria del veicolo (o una delle altre qualita' sopra indicate), non avrà alcuna responsabilità.

Purtroppo però non sono in grado di sapere se Lei è comproprietaria: ciò dipende dal regime patrimoniale matrimoniale da Voi scelto e dalla data di acquisto del veicolo: se avevate la separazione dei beni e l'ha acquistata solo Suo marito, ne è esclusivo proprietario lui.

Se avevate la comunione dei beni, e Suo marito l'ha acquistata dopo il matrimonio e prima della separazione, è di proprietà comune; salvo ovviamente eventuali pattuizioni in sede di separazione, con cui si preveda che l'auto sia assegnata esclusivamente a lui.

Problemi potrebbe invece presentarsi, in questo caso anche per i Suoi figli, solo in qualità di eredi, nel malaugurato caso di decesso di Suo marito dopo avere causato un incidente senza copertura assicurativa, perche' ovviamente - ciascuno per la quota di propria spettanza - erediterebbe da un asse ereditario fortemente eroso da tale debito (se invece non ha nulla, è possibile liberarsi del solo debito mediante la rinuncia all'eredità).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 69

gentile avvocato, intanto la ringrazio della risposta.

Ho un problema che si protrae da qualche mese: ho affittato un commerciale uso ristorante e da aprile di quest'anno non pagano ne' affitto ne' spese condominiali il giudice ha gia' emesso sentenza di sfratto per gennaio 2009, ora i signori pretendono il riscaldamento, sono obbligata a fornire comunque?

grazie ancora per la risposta

RISPOSTA n. 69

Gentile Signora,

devo rappresentarLe che la deontologia professionale forense prevede che un avvocato non possa rilasciare alcun parere o informazione sulle pratiche seguite da un altro avvocato.

Ciò in quanto si presume che alla base del rapporto Avvocato-Cliente vi sia la fiducia: se fiducia vi è, Lei ponga le domande al Suo avvocato, che meglio di chiunque altro conosce il Suo caso, e si fidi delle risposte che egli Le fornisce. Se fiducia non vi è, allora gli revochi l'incarico e si rivolga ad altro professionista, questa volta di Sua fiducia.

Tali norme non devono essere intese - come troppo spesso i mass media vogliono fare intendere - come una specie di muro corporativo eretto dalla categoria degli avvocati in difesa di se stessa, ma sono poste soprattutto a tutela del cliente, il quale, scegliendo tra diversi pareri, e non avendo la competenza tecnico-giuridica necessaria ad una scelta corretta, potrebbe facilmente cadere nella mani di professionisti poco seri, mossi dall'interesse di compiacere il cliente al fine di accaparrarselo.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 70

Se gentilmente potrebbe rispondermi a questa domanda: vorrei sapere se l'assicurazione di un fabbricato, tocca pagarla all'inquilino oppure al proprietario.

O se per caso ci sono altri metodi esempio: metà ciascuno,oppure un tot all'inquilino e un tot aproprietario o ancora altri metodi.

Attendo vostra risposta, e nel frattempo la saluto e la ringrazio.

RISPOSTA n. 70

Egregio Signore,

il primo comma dell'art. 9 della legge 392/78, comunemente detta "dell'equo canone", prevede che siano a carico dell'inquilino, "salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonchè alla fornitura di altri servizi comuni".

Quindi, non essendo inclusa in tale elencazione, l'assicurazione condominiale e' a carico del proprietario.

Inoltre devo osservare che la cosa ha anche un senso logico, poichè l'assicurazione è per lo più stipulata a vantaggio del proprietario: infatti normalmente copre la responsabilità civile per i danni arrecati a terzi (quelli che sarebbero a carico del proprietario), e le spese di ricostruzione del palazzo per il caso di crollo (è esclusivamente il proprietario il danneggiato dal crollo).

Solo alcune coprono anche i danni c.d. "da conduzione", così coprendo anche la responsabilità civile per i danni da risarcire a carico degli inquilini (classico esempio, l'allagamento dovuto al rubinetto lasciato aperto), ma tale voce credo sia del tutto marginale nel calcolo del premio, e le assicurazioni normalmente indicano il premio in un forfait, senza distinguere quale parte del premio è attribuibile alla copertura dei danni "da conduzione".

Anche la giurisprudenza di legittimità ha consolidato il proprio orientamento interpretativo nel senso che l'assicurazione è a carico del proprietario: "Nelle locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso dell'amministratore ed il concorso nelle spese di riparazione dell'impianto di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non sono compresi tra gli oneri accessori che l'art. 9, l. n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore, salvo patto contrario, da valutarsi alla stregua del divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in contrasto con le disposizioni della predetta legge (art. 79, 1° comma); del pari deve ritenersi escluso dalle spese a carico del conduttore l'ammortamento degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di danaro necessarie per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetustà di quelli in uso, trattandosi di una destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da servire all'uso convenuto, e quindi, a prestare i relativi servizi." (Cass. civ. Sez. III, 11-11-1988, n. 6088).

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 71

Gent.mo Avv. Massimiliano Bertazzo,

nel ringraziarla anticipatamente vorrei sottoporle la mia questione.

Mia figlia in qualità di ditta individuale, anni fa ha costituito con altra azienda individuale, un'associazione in partecipazione per la vendita su internet e le veniva riconosciuta una partecipazione agli utili del 10% sul fatturato.

Sicchè dopo due anni l'altro socio si è impossessato del nome a dominio nonchè sito (lo ha trasferito senza dire niente in quanto per comodità era stato registrato solo a nome dell'altro socio ma nel contratto era specificato che era di proprietà al 50%).

Poichè il nome a dominio nonchè sito ha acquistato notevole visibilità grazie al lavoro svolto anche da mia figlia che lo gestiva dal punto di vista tecnico, può chiedere il risarcimento danni per il valore aggiunto acquisito dal nome a dominio e per essersene impossessato?

Grazie per la risposta

RISPOSTA n. 71

Gentile Signora,

l'associazione in partecipazione è il contratto con cui "l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa.... verso il corrispettivo di un determinato apporto" (art. 2549 del codice civile).

Dopodichè, nell'arco degli anni, di questa ambigua figura molti si sono serviti per dissimulare altri contratti, come quello di lavoro subordinato, l'associazione temporanea di imprese e le società.

Vediamo dunque quali sono le caratteristiche dell'associazione in partecipazione:

    1. che vi sia un solo imprenditore: l'associante;

    2. che quindi l'associante sia il titolare dell'impresa, che solo a lui spetti la gestione dell'impresa, e che i terzi acquistino diritti ed obblighi solo nei suoi confronti;

    3. che l'associato partecipi ad una parte degli utili dell'imprenditore, ed in cambio fornisca un determinato apporto, che può consistere in beni o in lavoro;

    4. che nel momento in cui l'associazione viene meno, l'apporto conferito dall'associato debba essergli restituito, sempre che l'apporto non consista in lavoro.

A seguito delle forzature imposte da chi nel tempo ha preteso di utilizzare l'associazione in partecipazione in modo diverso da quanto previsto, la Corte di Cassazione ha deciso:

    1. che l'apporto dell'associato possa concorrere a creare l'impresa dell'associante (Sentenza n. 2398 del 1969);

    2. che anche l'associato possa rivestire la qualifica di imprenditore, se pattuito negli accordi tra le parti, in deroga alla disciplina contenuta nel codice civile (Sentenza n. 6549 del 1983);

    3. che "l'aumento di valore dell'impresa o dell'azienda conferita dall'associante in un rapporto di associazione in partecipazione spetta, alla cessazione del rapporto, all'associante stesso, rimasto titolare esclusivo dell'impresa o dell'azienda, anche se l'aumento di valore sia stato realizzato, almeno in parte, con l'attività esplicata dall'associato" (Sentenza n. 5329 del 1989).

Pertanto la risposta è alla Sua domanda è: nel contratto di associazione in partecipazione, mentre gli apporti di beni materiali o denaro devono essere restituiti all'associato alla fine del rapporto, al contrario, gli apporti di opere (cioè attività lavorativa) non solo non sono restituibili (ovviamente), ma non danno nemmeno diritto a pretendere una quota pari all'aumento di valore conseguito dall'imprenditore.

Tuttavia, poichè il Vostro contratto è tra due imprenditori e prevede la proprietà del dominio al 50% (percentuale ben diversa dal 10% di diritto di partecipazione agli utili), e pertanto presenta caratteristiche proprie di altri contratti, è possibile che il contratto di cui Lei mi parla serva a dissimulare un'altra forma contrattuale (come la società o la associazione temporanea di imprese).

Poichè nel nostro ordinamento i contratti non valgono per il loro titolo, ma per il loro contenuto, spetterà al Giudice di merito, in un'eventuale causa, qualificare il contratto tra Voi instauratosi tenendo conto sia del contenuto del contratto, sia a quello che era di fatto il rapporto intercorrente tra le parti, sia altre circostanze di fatto.

Con riferimento infine alla specifica disciplina dei siti, la questione è sempre stata decisa in relazione al problema di chi abbia il diritto di detenere un certo nome, e non di come due se lo possano dividere.

In generale sono stati individuati due criteri, e cioè la registrazione e la "titolarità" del nome usato come nome a dominio. Mi spiego. Il diritto di usare quel dominio spetta a chi in qualche modo abbia già il nome, oppure, se registro un nome di fantasia che non significa nulla e che ho inventato io è mio. Se registro il dominio toyota.it ho leso il diritto della toyota perchè non mi chiamo toyota; se registro toyota.it e mi chiamo toyota, beh, il dominio se lo tiene il Sig. Toyota che ha registrato per primo (consideri che per registrare un cognome occorre dimostrare che sia il proprio).

Va da se' che io, non avendo copia del contratto, e non conoscendo tutte le circostanze di fatto del caso sottopostomi, non posso procedere alla qualificazione del Vostro contratto.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 72

Gentilissimo avvocato,

mi chiamo ********* e sono una studentessa.

un mese fa si è rotta la lavatrice dell'appartamento che ho in affitto. Gli strani rumori che faceva erano già stati segnalati a luglio.

la suddetta lavatrice ha 8 anni e il tecnico, quando è venuto insieme alla padrona di casa, ha proposto alla signora o di ripararla, sostituendo motore, resistenza e cuscinetti (costo 220€) o prenderne una nuova (costo 300€ circa).

la padrona di casa ha deciso di farla riparare.

Ora vorrei sapere: chi deve pagare la rimessa a nuovo della lavatrice?

Alla signora hanno detto che la spesa è di mia competenza, ma i miei studi di diritto mi suggeriscono che non lo sia.

La ringrazio in anticipo.

RISPOSTA n. 72

Gentile Signora,

i Suoi studi Le suggeriscono bene: a tale riguardo, La rimando innanzitutto alla mia risposta n. 50 del 2008 e alla mia risposta n. 57 del 2008: la prima riguardano un'ipotesi quasi del tutto identica alla Sua (ad eccezione del fatto che si tratta di una caldaia), e la seconda è comunque utile all'inquadramento del problema.

In particolare il punto è sempre capire se si tratta di rottura determinata da un Suo uso anomalo (e da quanto Lei dice, non mi sembra proprio), oppure da vetustà o caso fortuito.

Nel caso di vetustà o caso fortuito, se la lavatrice è del proprietario, e SE IL CONTRATTO NON PREVEDE IL CONTRARIO, è il proprietario che deve pagare.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo

DOMANDA n. 73

Egregio Avvocato Bertazzo,

io incasso un canone di affitto per una locazione di un immobile di mia proprietà e contemporaneamente pago un canone di affitto di uguale importo su immobile che ho preso in affitto. Avendo compensato gli importi, non devo pagare imposte su queste cifre.

La ringrazio anticipatamente e, in attesa di un gradito riscontro porgo cordiali saluti.

RISPOSTA n. 73

per motivi di tempo e di specializzazione (non si può sapere tutto!), vista l'impennata che hanno avuto recentemente le Vostre richieste, ho deciso di avvalermi della collaborazione di un esperto della materia fiscale: il dott. Fabrizio Rebolia, commercialista

La soluzione proposta NON è assolutamente condivisibile in quanto:

    1. non tiene conto della progressività della tassazione per scaglioni, per cui il reddito di fabbricati deve essere assommato agli altri redditi del dichiarante, finendo quindi, per essere tassabile dal 23% (scaglione minimo) al 43% (scaglione massimo). Mentre il canone passivo di locazione corrisposto è onere detraibile e quindi è in funzione del reddito del soggetto (e non del canone corrisposto);

    2. il canone passivo corrisposto è onere detraibile solo a certe condizioni (che quindi non è detto siano quelle del casi in specie):

      • 2a) Per la generalità degli inquilini, solo se l'immobile su cui si paga il canone è abitazione principale e solo se il reddito complessivo del soggetto passivo non è superiore ad € 30.987,41.

      • 2b) Per categorie particolari che sono:

        • 2b1) Per i giovani tra 20 e 30 anni (se il loro reddito complessivo non è supeiore ad € 15.493,71), solo se il contratto è fatto ai sensi della L 431/98;

        • 2b2) Per gli studenti universitari fuori sede (100Km di distanza e, comunque, provincia diversa dalla residenza), e solo e il contratto è fatto ai sensi della L 431/98;

        • 2b3) Lavoratori dipendenti in trasferimento sede di lavoro, per i primi 3 anni dal trasferimento, e se il reddito complessivo del soggetto passivo è non superiore ad € 30.987,41.

MORALE: non sapendo l'Erario se il contribuente ha o meno diritto a queste agevolazioni, ne esige la dichiarazione, ai fini dell'eventuale controllo. Il contribuente non può da sé operare questa autocompensazione.

Dott. Fabrizio Rebolia

DOMANDA n. 74

Egr. Avvocato

Sono separato dal 2004 (separazione giudiziale con udienza presidenziale 20/01/2004). Da maggio 2005 sono consensualmente separato. Ho 2 figli tuttora minori (17 e 16 anni). Io e mia moglie siamo lavoratori dipendenti statali con contratto a tempo indeterminato; mia moglie convive da 3 anni circa con un'altra persona che lavora (anche lui dipendente statale a tempo indeterminato).

Le disposizioni Presidenziali furono: figli affidati alla madre; casa coniugale assegnata alla madre; contributo, da parte mia, di 150Euro/mese per ciascun figlio, rivalutabili annualmente secondo gli indici ISTAT; il 50% delle spese mediche e straordinarie che dovessero rendersi necessarie; nulla, da parte mia, per la madre (e viceversa).

Facoltà di visita da parte mia: 2 gg/settimana, di mia scelta, dalle 17 alle 20; i fine settimana, a settimane alterne, dalle 13 del sabato alle 20 della domenica; tutte le festività non di domenica ad anni alterni; 30gg in estate, di un periodo di mia scelta, da comunicare entro il 15 maggio.

Non è stato fatto alcun accenno alle detrazioni familiari.

Le disposizioni di quando raggiungemmo l'accordo confermarono tute le diposizioni presidenziali tranne per:

fine settimana: dal venerdì alle 13,30 alla domenica alle 20,30.

Se esercitavo la facoltà di tenere con me i figli nei 30 giorni estivi, non avrei dovuto dare (in via eccezionale) il contributo di 150Euro/figlio, relativamente a quei 30 giorni, sia per il 2005 sia per il 2006.

La casa coniugale non è stata assegnata.

Non è stato fatto alcun accenno alle detrazioni familiari.

Quesito

Le detrazioni per i figli minori, prima della separazione, le percepivo io al 100%. Subito dopo l'udienza presidenziale, tramite la mia amministrazione, ho iniziato a percepirli al 50% (cosa che avviene tuttora).

Qualche giorno fa ho scoperto che la controparte percepisce, dal 2006, gli assegni al 100%.

All'ufficio tributario mi hanno detto, in via informale, che dovrò restituire 2300Euro di assegni indebitamente percepiti.

Io sostengo che è la controparte a doverli restituire.

Lei che ne pensa?

Grazie per l'eventuale risposta e le porgo cordiali saluti.

****** ******

P.S. La pregherei di non mettere il mio Cognome

RISPOSTA n. 74

per motivi di tempo e di specializzazione (non si può sapere tutto!), vista l'impennata che hanno avuto recentemente le Vostre richieste, ho deciso di avvalermi della collaborazione di un esperto della materia fiscale: il dott. Fabrizio Rebolia, commercialista.

Premesso che il comportamento del Giudice è stato l'unico possibile, in quanto non spetta all'Autorità Giudiziaria la decisione circa le detrazioni che competono ai contribuenti, bensì al Legislatore Tributario, in sede di Manovra Economica annua, il problema è qui focalizzato sull'obbligo o meno di restituzione degli "assegni" .

Innanzitutto occorre precisare che si tratta senz'altro di "assegni per il nucleo familiare" (spettanti ai lavoratori dipendenti) e non di "assegni familiari" (spettanti agli artigiani, commercianti, lavoratori agricoli ed autonomi).

L'assegno per il nucleo familiare spetta al lavoratore o al pensionato richiedente in relazione alla composizione ed al reddito del nucleo familiare. AI fini della nozione di nucleo familiare (art. 2, c. 6, DL 69/88 convertito in Legge 153/88) sono qui esclusi:

    • il coniuge legalmente ed effettivamente separato;

    • i figli affidati all'altro coniuge o ex coniuge (in casi di separazione legale o divorzio). Il fatto di corrispondere una somma mensile di 150€ per figlio non significa affidamento (infatti nella sua richiesta di parere si dice "figli affidati alla madre").

Ne consegue che effettivamente gli assegni per il nucleo familiare non le spettano (per la parte concernente la ex-moglie ed ambo i figli), e soprattutto non le spettano a partire dal 20 gennaio 2004.

Spettava invece a lei dichiarare (in sede di richiesta annua di permanenza delle detrazioni per il nucleo familiare) che le condizioni erano variate:

    • dal 20 gennaio 2004 per la disposizione iniziale;

    • da maggio 2005 per la disposizione definitiva ed il conseguente accordo.

Quindi la somma in questione va restituita perché indebitamente percepita.

Sul "quantum", invece, nutro dei dubbi, quindi le consiglio di far fare il calcolo da un patronato di sua fiducia e di chiedere senz'altro un rateizzo.

Dott. Fabrizio Rebolia, Commercialista.

DOMANDA n. 75

Egregio Avv.to,

nel nostro condominio familiare (4 fratelli), abbiamo previsto e sottoscritto una sorta di regolamento condominiale, in cui tra l'altro si prevedeva espressamente, con scrittura privata :

"Prelazione" le parti tutte, reciprocamente, si obbligano a concedersi, in ipotesi di vendita e/o locazione ( totale o parziale) degli immobili di rispettiva proprietà, il diritto di prelazione. I condomini eventualmente aventi interesse, dovranno esercitare la detta prelazione entro e non oltre 60 giorni dalla richiesta di esercizio. La prelazione, naturalmente, potrà essere esercitata solo a parità di prezzo".

la mia prima domanda è che significa solo a parità di prezzo;

la seconda attiene l'esercizio del diritto, ovvero due fratelli hanno un immobile commerciale in comune ed indiviso. Ora uno di questi ha deciso di vendere la sua quota (ideale) all'altro, o forse di fittare: può farlo liberamente? i restanti due fratelli non hanno diritto all'esercizio della prelazione??

chi decide di vendere o locare la propria quota di bene (in questo caso indiviso) ha comunque l'bbligo di partecipare a tutti i fratelli l'intenzione, il prezzo ecc??Ed ancora, se decido di fittare il mio appartamento o quota di esso e non comunico a nessuno a cosa vado incontro? o se comunico l'intenzione di fittare ad uno solo dei fratelli?

grazie, ****

RISPOSTA n. 75

Egregio Signore,

per rendere più chiara tutta la risposta, rispondo innanzitutto alla Sua prima domanda: a parità di prezzo significa inequivocabilmente che quando Lei offre il contratto (vendita o locazione che sia) ai titolari del diritto di prelazione non può indicare un prezzo più alto rispetto a quello cui poi - dopo il loro rifiuto - va a collocare a terzi estranei il contratto (in pratica non può avvertirli che vende a 100 e poi - dopo la loro mancata adesione - vendere a 90, perchè "a parità di prezzo" - cioè a 90 - devono poter acquistare i titolari del diritto di prelazione).

Più complesso è il problema posto con la seconda domanda: ipotizzo che la vostra non sia una comunione ereditaria (poichè Lei non lo dice).

Devo innanzitutto osservare che mi sembra evidente che lo scopo della clausola da Lei citata è quello di evitare che entrino a fare parte del condominio soggetti estranei: cioè, a parità di prezzo, ha lo scopo di favorire il conservamento della proprietà (e dell'utilizzo) in famiglia.

Ovviamente tale clausola non prende in considerazione l'ipotesi - poi puntualmente verificatasi - della comproprietà di un'unità immobiliare.

Ragionando secondo lo scopo della clausola - si dovrebbe desumere che il comproprietario possa tranquillamente locare o vendere la propria quota all'altro comproprietario o ad un altro condomino, poichè tale comportamento non introdurrebbe nel condominio alcun soggetto estraneo.

Ragionando secondo il dato letterale, la clausola parla delle sole ipotesi di "vendita e/o locazione", e quindi non include lo "scioglimento della comunione" sull'unità immobiliare, nè, ad esempio, il comodato, o l'utilizzo dell'unità immobiliare da parte di uno solo dei due comproprietari (che non impedisca all'altro di farne parimenti uso, ma basta che siano d'accordo...): quindi anche ragionando secondo il dato letterale, è possibile evitare la vendita ma pervenire alla proprietà esclusiva di uno dei due comproprietari, ed anche evitare la locazione, ma pervenire di fatto all'utilizzo esclusivo di uno dei due comproprietari.

Ma anche volendo tenere il comportamento più prudente, cioè concedendo la prelazione a tutti, consideri che tale diritto di prelazione spetta anche al comproprietario dell'unità immobiliare, e quindi si tratta di un falso problema: il venditore/locatore potrà benissimo formulare formale offerta in prelazione (che, trattandosi di prelazione convenzionale, ha natura di proposta contrattuale, come chiarito dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 2045 del 1988 e 1407 del 1981) contemporaneamente a tutti e tre i fratelli, e si aggiudicherà il contratto (di vendita o di locazione) quello che per primo porta a conoscenza del venditore/locatore la propria accettazione.

In sostanza la soluzione più prudente è che, se è Lei che deve vendere o locare, invii, a mezzo raccomandata a.r. a tutti e tre i Suoi fratelli, l'offerta della Sua quota in vendita (o in locazione, come preferisce) indicando il prezzo a cui intende venderla (o locarla), chiedendo loro di esercitare il loro diritto di prelazione, se vogliono, e avvertendoli che hanno 60 giorni per farlo, e che dopo i 60 giorni dal ricevimento della raccomandata Lei sarà libero di vendere a chi vuole (al prezzo a loro comunicato o ad uno più elevato). Ovviamente troverà il sistema di fare in modo che il fratello da Lei preferito (il comproprietario), Le faccia pervenire per primo l'accettazione scritta.

Quanto alla terza domanda (cioè se omette la comunicazione a uno o più degli aventi diritto alla prelazione), trattandosi di prelazione "convenzionale", cioè contrattuale, Lei commetterebbe un inadempimento contrattuale e quindi ognuno - tra i Suoi fratelli - che non riceva la comunicazione, ha diritto al risarcimento del danno. Non hanno invece diritto alla revoca dell'atto.

Distinti saluti.

Avv. Massimiliano Bertazzo