Fig. 1: lo stato della Basilica dopo l’incendio, in un’acquaforte di L. Rossini (1823)
Fig. 2: il progetto di G. Valadier
Fig. 3: l’interno della Basilica oggi
È prassi abbastanza diffusa, nel mondo dell’informazione, enfatizzare il buon esito di restauri e consolidamenti di opere d’arte e monumenti affermando che questi sono tornati “al loro antico splendore”. L’anniversario del devastante incendio che, nel 1823, danneggiò gravemente la Basilica romana di San Paolo fuori le Mura ci offre, oggi, lo spunto per una riflessione sul significato e l’opportunità di quel ricorrente “adagio”, attraverso una sintetica descrizione di casi che testimoniano la diversa interpretazione del restauro nel corso degli ultimi due secoli.
Elena Frustaci, Tommaso Frezza, Alessandro Bruni e Diletta Antonelli, si occuperanno, rispettivamente, del caso sopracitato della Basilica di San Paolo, di alcuni restauri “archeologici” condotti a Roma sul Colosseo e sull’Arco di Tito, del prevalente indirizzo del restauro dei monumenti seguito in Europa nel XIX secolo ed oltre e, infine, delle posizioni “antirestaurative” romantiche nate, parallelamente, in ambito letterario. (Mauro De Meo)
Nella notte tra il 15 e il 16 luglio 1823, un incendio devastò la Basilica di S. Paolo fuori le mura, facendone precipitare le coperture lignee che, in fiamme, trascinarono buona parte dei muri centrali e calcinarono – ossia trasformarono in calce il marmo per effetto del calore - un notevole numero di colonne (fig. 1). Per la sua gravità e per l'eccezionale importanza dell'edificio, il danno fu particolarmente sentito in tutto il mondo cristiano. Nonostante la distruzione non fosse così totale da richiedere il rifacimento dell'intera basilica, che si sarebbe potuta restaurare esattamente come sarebbe accaduto ai tanti edifici del secondo dopoguerra, non si ebbero dubbi sulle uniche due – opposte – possibilità d’intervento: riconfigurare la chiesa in un edificio totalmente nuovo, conservandone le parti superstiti, o ricostruirla secondo le antiche linee.
Giuseppe Valadier, esponente della prima corrente culturale, fu il primo tra gli architetti romani ad interessarsi del problema e preparò rapidamente alcuni importanti progetti del tutto innovatori, i quali, lungi dal voler riproporre le forme della vecchia basilica, rifiutavano l’idea di una falsa ricostruzione del monumento. Da questi progetti scaturirono due versioni di una medesima impostazione planimetrica a pianta centrale, del tipo a croce greca. Valadier aveva inoltre previsto di riutilizzare il rimanente spazio delle navate e i resti di esse per creare un vasto quadriportico colonnato, di cui aveva studiato varie soluzioni (fig. 2). Di contro, il “partito” degli archeologi, eruditi e antiquari si opponeva alla soluzione innovativa di Valadier, proponendo un nostalgico ripristino della basilica nelle sue forme perdute.
Alla fine prevalse quest’ultima corrente, contraria al Valadier, e, il 18 settembre 1825, il Pontefice Leone XII dettò i criteri della ricostruzione: «Niuna innovazione dovrà introdursi nelle forme e proporzioni architettoniche e niuna negli ornamenti del risorgente edificio se ciò non sia per escludere alcuna cosa che in tempo posteriore alla sua primitiva fondazione poté introdurvisi dal capriccio dell'età seguente». In tal modo si attuò il desiderio di riavere le forme originarie della basilica paleocristiana, i cui lavori, affidati a Pasquale Belli, iniziarono nel 1831, quando divenne Papa Gregorio XVI.
Alla morte del Belli fu chiamato a S. Paolo l'architetto Luigi Poletti, che condusse i lavori per oltre 35 anni, dal 1833 al 1869. A lui può quindi attribuirsi la fredda ricostruzione neoclassica che costituisce oggi l’aspetto generale della chiesa, che neppure la ricchezza dei nuovi rivestimenti marmorei, i nuovi ritmi architettonici, i grandiosi cassettonati lignei, i mosaici e le grandi pitture riescono a ravvivare (fig. 3).
La Basilica di San Paolo f.l.m. fu quindi ripristinata nel suo presunto assetto originario paleocristiano e non in quello antecedente l’incendio, segnato da aggiunte e modifiche che avevano “attualizzato” il monumento nel corso della sua lunga storia.
Nonostante il desiderio di riportarla alle sue forme iniziali abbia reso la basilica un monumento impersonale e privo del suo reale valore storico, l’intervento su di essa può essere considerato come la prima codificazione del restauro “stilistico” (inteso come reintegrazione dell’aspetto originario), prevalente in Europa per tutto il XIX secolo e anche oltre. (Elena Frustaci)
1 maggio 2023