La normativa sul diritto d’autore

3. La normativa sul diritto d’autore

3.1. Diritti di utilizzo e sfruttamento e proprietà intellettuale. - Abbiamo visto come il GDPR e la legislazione nazionale italiana per la protezione dei dati personali condizionino profondamente l’utilizzo delle testimonianze orali, in modo particolare la pubblicazione on line. Vediamo ora come, parallelamente, anche la legislazione sulla proprietà intellettuale intervenga a condizionare l’utilizzo e la pubblicazione delle interviste.

È importante sottolineare come la normativa sul diritto d’autore agisca in modo totalmente indipendente dalle norme sulla tutela della riservatezza perché riguarda specificatamente gli aspetti economici dell’utilizzo e il ruolo autoriale dell’intervistatore.

La legge 22 aprile 1941, n. 633 Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio impone infatti ulteriori vincoli che, anche se nella pratica si traducono in una serie di limitazioni simili a quelle dettate dal GDPR, vanno inquadrati in termini completamente diversi, perché trattano la definizione del ruolo autoriale e soprattutto la tutela economica dei diritti di utilizzo e sfruttamento.

La legge, inoltre, protegge le opere di ingegno di carattere creativo. In particolare, nell’articolo 2 il testo specifica quali produzioni rientrino nella protezione: le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, le composizioni musicali, le opere drammatico-musicali coreografiche e pantomimiche, fotografiche, cinematografiche, architettoniche, i prodotti delle arti figurative e del disegno industriale, i programmi per elaboratore e le banche di dati.

Nell’elenco, le interviste non sono nominate. La giurisprudenza concorda tuttavia nel ritenere che nelle interviste l’attività creativa da sottoporre a tutela morale ed economica sia da ricondurre all’intervistatore che stabilisce la scaletta dell’incontro, le domande da porre e l’impostazione del colloquio, delineando così un periodo storico, un evento o il profilo di un personaggio.

La sentenza del Tribunale di Milano n. 8088/2015 recita infatti: “nel caso delle interviste a personaggi noti la creatività va ricercata nell’attività posta in essere dall’intervistatore, in quanto la connotazione di creatività che consente la tutela del diritto d’autore deve essere individuata nell’elaborazione dei testi, nella conduzione finalizzata alla caratterizzazione della personalità dell’intervistato, nell’individuazione dei dati salienti ed ‘interessanti’ di essa e non nel mero fatto narrativo registrato (nello stesso senso, Trib. Milano 23 ottobre 2014, Trib. Roma 11 dicembre 2002 e Trib. Bologna 17 marzo 2011). Dunque, la qualifica di autore spetta, di regola, all’intervistatore, ove l’intervista stessa soddisfi i presupposti di creatività richiesti per l’accesso alla tutela propria del diritto d’autore, salvo che si verifichino, in fatto, situazioni che comportino l’assoluta autonomia e creatività delle dichiarazioni dell’intervistato rispetto al contributo effettivo dell’intervistatore (Trib. Milano 23 ottobre 2014).”

Come si vede, fanno eccezione quei casi in cui le affermazioni dell’intervistato presentino completa autonomia rispetto al contributo dell’intervistatore.

In particolare, se l’intervista contiene espressioni letterarie, musicali, elementi di folclore o altre espressioni con caratteristiche creative, la legge tutela l’intervistato quando ne è l’autore, ma soprattutto, con l’articolo 80 e segg., lo tutela in quanto artista interprete ed esecutore per 50 anni dalla data di registrazione, dando a lui la facoltà di autorizzare qualsiasi forma di riproduzione, di comunicazione o di messa a disposizione del pubblico delle registrazioni.

Inoltre, gli artisti interpreti ed esecutori hanno diritto di richiedere l’equo compenso anche quando l’utilizzazione del materiale non è a scopo di lucro; solo per l’utilizzo a scopi didattici e nell’ambito della comunicazione istituzionale non è previsto alcun compenso.

Infine, anche l’immagine dell’intervistato, se si tratta di un personaggio noto, è protetta dalla legge sul diritto d’autore (art. 96 e 97).

Per queste ragioni, anche se di fatto l’intervistatore è il proprietario del materiale registrato durante l’intervista, è utile inserire nella liberatoria per l’intervistato la clausola di cessione dei diritti all’utilizzazione, e – se ritenuto opportuno – anche allo sfruttamento economico, dell’immagine e dell’opera dell’ingegno.

In particolare, nelle ricerche di storia orale si riconosce grande valore alla co-autorialità di intervistato e intervistatore per la natura dialogica della fonte orale: “l’intervista è una narrazione dialogica alla quale partecipano sia l’intervistatore che l’intervistato; titolare della registrazione dell’intervista è colui che l’ha effettuata”. Inoltre, nei principi generali della Buone pratiche per la storia orale l’intervista viene definita “un dono” e “un’esperienza di apprendimento”.

L’intervistatore è dunque il fulcro dei complessi rapporti tra i soggetti legali coinvolti nell’intervista, sia a monte, dove sono le istituzioni che progettano la ricerca e commissionano le interviste, gli enti che finanziano i progetti e le biblioteche/archivi audiovisivi che gestiscono la conservazione e la consultazione, che a valle, dove è il pubblico, i fruitori dell’intervista.

Bisogna inoltre tenere presente che alcuni aspetti della normativa sul diritto d’autore fin qui esposta non sono da considerarsi definitivi e restano in attesa di ulteriori aggiornamenti in quanto l’Italia, con la legge 22 aprile 2021, n. 53: Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 (21G00063) ha recepito la Direttiva Europea 2019/790 sul diritto d'autore nel mercato unico digitale, che prevede importanti novità nell’ambito dell’utilizzo delle risorse da parte degli Istituti culturali, alcune delle quali potrebbero riguardare anche l’uso e il riuso delle fonti orali.

In particolare, la legge delega si propone di rivedere la disciplina delle opere orfane e di meglio definire il livello di diligenza richiesto per poter dichiarare che sono stati compiuti i «massimi sforzi» nella ricerca delle autorizzazioni alla pubblicazione da parte degli aventi diritto; ciò fornirebbe qualche certezza in più a coloro che utilizzano questo tipo di materiale. Inoltre, è possibile che l’Italia applichi in senso restrittivo l’art. 5 della Direttiva Europea che prevede una revisione delle possibilità di utilizzo, da parte degli istituti culturali e di formazione, dei materiali da essi conservati.


3.2. Interviste e committenza. - I rapporti tra l’intervistatore e le istituzioni committenti o gli archivi che gestiscono la conservazione delle registrazioni non sono invece regolati da norme standard; per questo motivo è necessario redigere un contratto dettagliato per l’ingaggio del ricercatore al momento della programmazione della ricerca.

Di regola quando un istituto o un archivio audiovisivo commissiona o finanzia una serie di interviste acquisisce i diritti di utilizzazione economica del prodotto, ovviamente sempre nei limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto. Invece i diritti morali, ovvero la paternità dell’opera, restano al ricercatore perché sono per legge inalienabili.

L’istituto che detiene l’intervista, anche se ne ha acquisito i diritti di sfruttamento, non ne può disporre liberamente perché il ricercatore conserva la paternità e in quanto autore mantiene la facoltà di opporsi a eventuali tagli o altre forme di riadattamento da parte di altri; di fatto l’istituto non può applicare le licenze Creative Commons che comportano modifiche dell’opera senza l’assenso dell’autore.


3.3. Interviste e consultazione. - Attorno alla raccolta di interviste esiste un considerevole apparato tecnico-concettuale che ne consente la fruizione e la ricerca, ormai quasi sempre strutturato sotto forma di base di dati (database).

I termini di indicizzazione e i dati catalografici attribuiti ai documenti audiovisivi o ai loro segmenti temporali e il relativo apparato informatico costituiscono un patrimonio di proprietà dell’istituto.

La legge sulla proprietà intellettuale considera le basi dati come opere dell’ingegno di carattere creativo e stabilisce che “Salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro” (art. 12 bis), dove l’istituto è libero di disporre della struttura informatico-concettuale, mentre le interviste vengono tutelate in modo indipendente secondo i principi che abbiamo visto.

È facile intuire il contributo dell’ingegno di chi progetta una banca dati, definisce un thesaurus, attribuisce i termini di indicizzazione ai documenti, ma al di là dell’azione creativa le basi dati sono protette dall’articolo 102 bis e ter, anche come frutto di investimenti finanziari, di tempo o di lavoro con l’assunzione dei relativi rischi.