Informazioni e raccomandazioni generali

2. Informazioni e raccomandazioni generali

Di norma, il soggetto conservatore di un archivio orale coincide con lo stesso ricercatore (o istituto di ricerca) autore delle registrazioni.

Nel caso in cui questi decida di consegnare l’archivio a un centro specializzato, sarà opportuno che chi lo ha prodotto predisponga e consegni anche una scheda di presentazione del progetto, ovvero un resoconto della ricerca: vi saranno indicati i committenti o finanziatori, i collaboratori, gli obiettivi, la metodologia, i risultati e i prodotti finali della ricerca, e ogni altra informazione che possa essere utile a rendere comprensibile il materiale raccolto a un utente futuro che non abbia partecipato direttamente alla ricerca. Sarebbe utile che la scheda di presentazione del progetto contenesse anche un elenco di parole-chiave dei temi trattati e un indice dei nomi dei soggetti coinvolti (per esempio dei testimoni e delle persone citate). In ogni caso, limiti e condizioni di accesso e utilizzo dei documenti depositati da parte di terze persone dovranno essere concordati tra il ricercatore e i responsabili del centro, e definiti in una scheda di versamento.

Come non sono infrequenti i casi in cui, per diverse ragioni, istituti pubblici o privati acquisiscano archivi prodotti, in tempi più o meno recenti, da altri soggetti, non sono – purtroppo – rari i casi in cui, in situazioni di urgenza, gli istituti archivistici si trovino ad accettare consegne di fatto, cioè non precedute né contestuali alla formalizzazione di atti di donazione o deposito, anche se si tratta di azioni molto rischiose dal punto di vista giuridico, da sanare quanto prima con la stipula di atti formali.

In linea generale, per l’acquisizione di fonti orali sono valide le raccomandazioni utili per qualsiasi altra tipologia d’archivio: i complessi documentari devono essere consegnati nella loro interezza, evitando smembramenti, e corredati degli strumenti di consultazione, ove presenti.

In prima battuta occorre dunque evitare consegne parziali e, più in generale, scongiurare che la cessione dell’archivio possa divenire occasione per una sua frammentazione e dispersione tra più istituti di conservazione diversamente interessati alle varie parti di un unico complesso. Per gli archivi dichiarati di interesse storico particolarmente importante vi è, tra l’altro, un esplicito divieto di smembramento sancito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma la raccomandazione di preservare l’archivio nella sua interezza è ovviamente valida per tutti i fondi, cui fare eccezione solo in presenza di particolari esigenze di conservazione, alle quali non si riesca a far fronte diversamente. In tutti i casi in cui non sarà possibile preservare l’integrità di un complesso documentario, sarà la descrizione archivistica a restituire, sebbene solo come rappresentazione “sulla carta”, l’unità dell’archivio.

Problemi particolari possono essere posti, su questo versante, dai beni in comproprietà. Sul tema, l’orientamento dell’Amministrazione archivistica è quello di sconsigliare l’accettazione in dono di quote pro indiviso di un complesso archivistico, pur senza precluderne del tutto la possibilità. Occorre tuttavia valutare attentamente la convenienza ad accettare la donazione, sia in base all’importanza dell’archivio in sé considerato sia in rapporto al materiale documentario già presente nell’istituto, e considerare la compatibilità di una eventuale comunione tra pubblico e privato in rapporto alla destinazione del bene, avendo sempre a mente il divieto di smembramento degli archivi di interesse culturale.

Quelle appena esposte sono linee di indirizzo a cui anche gli istituti non statali possono fare riferimento, pur rilevando che, in caso di pericolo di dispersione dell’archivio, l’Amministrazione archivistica può sempre disporre la custodia coattiva dell’intero complesso presso un istituto pubblico, possibilità ovviamente preclusa ad altri soggetti. In forza dell’art. 43, comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la Soprintendenza archivistica può infatti far trasportare e temporaneamente custodire in istituti pubblici gli archivi o i documenti privati dichiarati di interesse storico particolarmente importante, al fine di garantirne la sicurezza e assicurarne la conservazione. Si evidenzia che, nell’ambito delle funzioni di vigilanza, la Soprintendenza può intervenire in tal senso anche in favore di archivi non ancora dichiarati, purché possano presentare un interesse storico particolarmente importante e versino in condizioni di rischio. In questi casi, il Soprintendente avvia il procedimento di dichiarazione e, nelle more del suo svolgimento, può immediatamente attuare in via cautelare tutte le misure di protezione applicabili ai beni già dichiarati. La custodia coattiva è pertanto una misura eccezionale e di carattere temporaneo, cui tuttavia si ricorre non di rado per fronteggiare i più vari pericoli a cui possono essere esposti gli archivi privati quali, a mero titolo esemplificativo, l’inidoneità dei locali adibiti alla conservazione della documentazione, l’eventualità che gli archivi possano restare “orfani” (ad esempio in caso di morte del proprietario senza eredi) o le molteplici circostanze che ne possono determinare lo smembramento (come si è visto, nei casi di comproprietà ma anche ad esempio nel caso di archivi di imprese poste in liquidazione fallimentare).

Analoghe misure possono essere adottate anche rispetto ad archivi storici degli enti pubblici, in favore dei quali il Ministero può disporre il deposito coattivo in Archivio di Stato, ovvero imporre l’istituzione di una separata sezione d’archivio presso lo stesso ente inadempiente (art. 43, comma 1bis del Codice).

Per procedere a qualsiasi forma di cessione è indispensabile disporre di un inventario, quantomeno sommario, della documentazione, quale necessaria parte integrante dei contratti. Pertanto, qualora non si disponga di alcuno strumento di descrizione del bene, si dovrà appositamente realizzare un elenco, preferibilmente redatto da personale con specifica esperienza archivistica. Pur in considerazione dei tempi e delle risorse disponibili, si raccomanda la massima accuratezza, in particolare rispetto alla descrizione della consistenza fisica e dello stato di conservazione dei materiali, segnalando – ove immediatamente rilevabile – l’eventuale presenza di documentazione danneggiata. Gruppi di documenti che richiedano interventi di sanificazione o restauro possono essere precauzionalmente isolati dagli altri, anche attraverso l’impiego di mezzi di fortuna come carta da pacchi o fogli di giornale. Tanto più dettagliato sarà l’elenco, tanto meglio sarà possibile verificare, alla scadenza di contratti temporanei, la restituzione dell’intero materiale e la corretta conservazione dei beni.

Una problematica peculiare delle fonti orali risiede nella difficoltà di identificare e acquisire anche la documentazione cartacea e i materiali di ricerca a esse collegati. Tali documentazioni eterogenee, spesso conservate separatamente dai supporti sonori e audiovisivi, sono molto spesso “vittime” di scarti poco ragionati, mentre, come si è più volte ripetuto, sono estremamente utili a ricostruire il contesto di produzione e la storia dell’archivio, nonché a documentarne i diritti. Si dovrà quindi prestare particolare cura a raccogliere anche questa documentazione correlata alle fonti, se esistente.

Con la definitiva alienazione di un archivio (per vendita, donazione, legato), il vecchio proprietario cessa dal suo ruolo di responsabile del trattamento dei dati, nel quale subentra il nuovo proprietario. Negli istituti culturali, pubblici o privati, la funzione di responsabile del trattamento dei dati è di norma svolta dal direttore/dirigente dell’Istituto.

Le Regole deontologiche per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca fanno espressamente obbligo agli archivi che acquisiscono fonti orali di richiedere all’autore dell’intervista una dichiarazione scritta dell’avvenuta comunicazione degli scopi perseguiti nell’intervista stessa e del relativo consenso manifestato dagli intervistati. Il consenso è di norma rilasciato sulla base di un determinato progetto di ricerca e per usi specifici ma, come si è visto, il GDPR – in deroga ai principi generali di “limitazione delle finalità” e di “limitazione della conservazione” – consente ulteriori trattamenti a fini di archiviazione nel pubblico interesse o di ricerca scientifica o storica (art. 5.1 e). Ove possibile, è comunque consigliabile acquisire copia del consenso al trattamento.

Occorrerà inoltre definire le questioni inerenti il diritto d’autore: è infatti importante sottolineare che la donazione di un archivio trasferisce la mera proprietà dei supporti fisici ma non implica automaticamente la cessione dei diritti d’autore sui contenuti dei documenti, che quindi deve essere oggetto di specifici accordi. L’eventuale cessione da parte del donante dei diritti di utilizzazione economica a lui spettanti è auspicabile per favorire il riuso e la valorizzazione delle fonti e può essere conclusa sia inserendo apposite clausole nell’atto di donazione sia in un momento successivo, con un separato accordo. Se il donante non è l’autore dei documenti, è comunque opportuno che l’istituto che li riceve raccolga presso di lui ogni utile informazione circa l’esistenza di diritti d’autore e diritti connessi sul materiale donato.

Appare utile fare specifica menzione degli archivi dichiarati di interesse storico particolarmente importante, per ricordare che si tratta di beni culturali a tutti gli effetti e come tali soggetti alla disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi del quale il proprietario/possessore/detentore di un archivio dichiarato ha, tra gli altri, l’obbligo di denunciare alla competente Soprintendenza, entro 30 giorni dall’atto, l’eventuale trasferimento della proprietà dell’archivio (art. 59, commi 1-5), nonché, in caso di cessioni temporanee, l’obbligo di richiedere l’autorizzazione della Soprintendenza per rimuovere l’archivio dalla propria sede (art. 21, commi 1-2).

Infine, ai soggetti che stiano valutando di cedere il proprio archivio orale a un Archivio di Stato, sarà utile sapere che la stipula di ogni atto di acquisizione da parte dei direttori degli archivi è soggetta alla preventiva autorizzazione ministeriale, concessa dalla Direzione generale Archivi al termine di un procedimento istruito a cura dell’Archivio di Stato al quale è stata presentata l’istanza. Per espressa previsione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, gli Archivi di Stato possono accettare in deposito soltanto gli archivi degli enti pubblici, a titolo oneroso per il depositante. A differenza della precedente normativa, il Codice preclude quindi ai privati la possibilità di stipulare accordi di deposito volontario per mere finalità conservative ma, a determinate condizioni, è loro concessa la facoltà di accedere a contratti di comodato finalizzati alla pubblica fruizione della documentazione. Si ricorda tuttavia che per comprovate esigenze di sicurezza e conservazione l’Amministrazione archivistica può disporre la custodia coattiva dei beni in Archivio di Stato.

Giova porre in evidenza che gli archivi e i singoli documenti acquisiti da Archivi di Stato e altri istituti pubblici, anche qualora non fossero già dichiarati di interesse storico particolarmente importante, sono ipso facto riconosciuti come beni culturali, entrando nell’ambito di tutela del Codice non solo per i profili conservativi ma anche per quelli inerenti la fruizione; a essi si applicheranno pertanto le norme e i termini sulla consultazione stabiliti al Titolo II, Capo III (artt. 122-127). Il principio generale è quello della libera consultabilità di tutti i documenti conservati negli Archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici, a eccezione di quelli che, in ragione del loro contenuto, soggiacciono a termini particolari, calcolati a partire dalla data del documento: 70 anni per documenti contenenti dati idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o rapporti riservati di tipo familiare; 40 anni per quelli contenenti dati relativi a provvedimenti di natura penale o altri “dati sensibili” (nell’attuale terminologia del GDPR: “categorie particolari di dati personali”); 50 anni per documenti relativi alla politica estera o interna dello Stato, dichiarati di carattere riservato ai sensi dell’art. 125. C’è comunque la possibilità di richiedere la consultazione anticipata dei documenti riservati per scopi storici (art. 123). I depositanti e coloro che donano o vendono o lasciano in eredità o legato i documenti agli Archivi di Stato e agli archivi storici degli enti pubblici hanno inoltre facoltà di stabilire la condizione della non consultabilità di tutti o di parte dei documenti dell’ultimo settantennio (art. 122, comma 3). Particolari limitazioni alla consultabilità della documentazione possono essere introdotte per analogia anche in ambito privato, sfruttando l’istituto della donazione modale regolato dall’art. 793 del Codice civile che recita: La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.