SPUNTI LESSICALI

COPIA (v.564.): Enea volge lo sguardo intorno a sé e considera la “copia” di quelli che erano i suoi compagni: gran parte di essi è fuggita, altri sfiniti e affranti, volontariamente, si sono gettati nel fuoco. L’eroe è ora solo. Ed è questa situazione di abbandono che Virgilio magistralmente enfatizza tramite la scelta del termine “copia”, solitamente “abbondanza” ora contrapposto allo stato d’animo del protagonista e per di più utilizzato al singolare. Si noti il differente significato del termine, al singolare “quantità, abbondanza”, al plurale “truppe, esercito”, di cui il poeta riesce a servirsi al meglio, sottintendendo la natura bellica del vocabolo, e focalizzandosi sulla sua prima valenza. L’uso insolito di questo numero in riferimento ad una “quantità plurale” e “militare” viene, secondo quanto riportato da Servio, ripreso da Sallustio (†“ com Sertorios neque rumperet an levi copiam avibus”.). Il termine ricorre solo otto volte nel testo virgiliano.


DESERUERE (v.565): La voce verbale terza persona plurale, con terminazione del perfetto arcaica in -ere, al posto dell’usuale -erunt, è correlata ai seguenti misere e dedere ed evidenzia la pietas di Enea che, persino abbandonato da tutti, non cede all’ira né al disprezzo verso i compagni. Questi, anzi, vengono difesi dall’attributo “defessi” e ne viene descritta disperazione. Il verbo deseruere, in questa forma, ricorre quattro volte nell’Eneide.


LIMINA VESTAE (v.567): L’espressione, secondo Alessandro Fo, potrebbe alludere alla presenza di un tempio dedicato alla dea Vesta (forse precedentemente citato a II 296-97), simbolo di evidente romanizzazione dell’ambiente troiano da parte dell’autore. D’altra parte, il culto della dea, leggendariamente, era stato introdotto a Roma proprio dallo stesso eroe. Domenico Musti ritiene infine che l’espressione sia da leggere con valenza metonimica in riferimento al focolare domestico. L’espressione in questo ordine e con l’accostamento dei due sostantivi ricorre solo in questo verso.


ERRANTI (v.570): L’interpretazione del participio riferito all’eroe troiano è di dubbia interpretazione: alcuni sostengono sia indice dello spostarsi di Enea sul tetto, altri, ravvisando ulteriori incongruenze del passo con il testo precedente e successivo, lo riferiscono ad un vagare per la città in fiamme. Il participio ricorre in questo caso due volte nel poema.


COMMUNIS ERINYS (v.573): L’appellativo di “Erinni comune” riferito a Elena, allude alla possibile vendetta contro la Tindaride da entrambe i fronti, in quanto causa provocatrice dello scontro, ma anche dallo stesso marito abbandonato, Menelao. La connotazione di “violenza” nella battaglia, legata all’immagine di Erinni, prevale nettamente nel poema (se ne attesta l’uso per ben tre volte), questa invece l’unica attribuzione dell’“epiteto” a Elena. L’aggettivo communis riccore nove volte all’interno del poema, in casi differenti.


PATRES NATOSQUE (v.579): Elena abbandonerà Ilio da regina e non da schiava, sorte invece riserbata alle altre donne troiane. Rivedrà i suoi patres, termine qui utilizzato con la valenza generica di parenti, e i natos, tornata in Grecia avrebbe infatti avuto un secondo figlio dopo Ermione, Nicostrato. I termini, nei rispettivi casi, ricorrono rispettivamente otto e sei volte.