COMMENTO

Commento Matteo Bortolotto

Cassandra è conosciuta come la sacerdotessa che profetizza eventi nefasti che non sono ascoltati come per scaramanzia di chi li ascolta. Una scaramazia che è tipica anche ai giorni nostri, quando si ascolta una persona predire un evento considerato cattivo dalla maggioranza pubblica, sia argomentando con basi scientifiche, sia predicendo il futuro basandosi sull’ignoto e sul misterioso.

Essa è stata creduta solo da Laocoonte come ci racconta l’Eneide che scagliò la lancia sul cavallo di troia perché temeva i Danai anche quando fanno doni. Quindi la folla non ascoltava queste profezie vere perché, come sostiene lo studio sulla psicologia delle folle, era troppo presa dal pensiero della pace sotto forma di cavallo che non accettava qualsiasi nozione contraria.

C’è un giro di parole che descrive la scena: “…tunc etiam fatis aperit Cassandra futuris…” “…allora anche Cassandra apre la bocca ai fati futuri…” il momento in cui anche lei tra i pochi fa una predizione giusta. Poi lei è oggetto di un’altra mancanza di rispetto questa volta maggiore “…ecco che trascinavano Cassandra, la vergine di Priamo…” gli Achei usciti dal cavallo assediano e incendiano la città, e fanno quello che sempre succede negli assedi: Cassandra è una bella donna e vergine, così la mente maligna e indomata di Aiace viene catturata da queste caratteristiche di Cassandra. In seguito sembra che i troiani abbiano un minimo di rispetto per lei, forse sensi di colpa, ma molto più probabilmente per il senso di giustizia verso il sacrilegio: “…tum Danai gemitu atque ereptae virginis ira undique collecti invadunt, acerrimus Aiax…” “…e i Danai, per l’ira e il dolore della vergine tolta , da ogni parte ci assalgono in forze, il terribile Aiace…”. Insomma, non si può sapere cosa abbia fatto di male Cassandra per meritare tutto questo male nel corso della sua vita: da neonata abbandonata dai genitori, screditata dal popolo almeno due volte per le sue profezzie, stuprata e poi portata via come bottino di guerra e uccisa in grecia. Se semplicemente fosse stata ascoltata però probabilmente troia sarebbe rimasta salva, o frose no, perché il destino ha deciso la sua caduta.


Commento Daniele Bellanova

La coppia di versi 246-247 esprime con efficace brevità la triste sorte di Cassandra, costretta, dei iussu, a fare previsioni del futuro senza mai essere creduta. La bocca (ora), lo strumento che Cassandra utilizza per rivelare agli altri il futuro, non a caso è posta in enjambement, quasi a segnalare la netta distanza tra la sua effettiva capacità di prevedere gli eventi futuri e l’incapacità degli altri di crederla.

La seconda sezione di versi (402-419) si apre di nuovo con un’espressione breve e pregnante, di carattere quasi gnomico, atemporale. Gli uomini non possono sperare in nulla, se hanno gli dei contro: questo stacco tra la volontà divina e le ambizioni e i desideri terreni è segnalato dall’uso del termine fas, (già più ampiamente trattato nella sezione di spunti lessicali) che indica la volontà, il diritto divini, che si trovano in posizione di superiorità rispetto allo ius degli uomini. I versi proseguono (403) con un ecce, sapientemente usato per delineare la nitida e icastica immagine di Cassandra trascinata via dai penetrali del tempio di Minerva (adytisque, anche questi analizzati negli spunti lessicali). Della fanciulla Virgilio nomina qui due elementi fisici: i capelli, sparsi al vento, e gli occhi (lumina); e questi sono messi in particolare risalto dal poeta, che li definisce ardentia (aggettivo collegato all’idea del fuoco, del calore) e li riprende, dandogli particolare rilievo, in epanalessi (v. 405-406). Al v. 407 appare poi Corèbo; il personaggio, creato dall’epica post-omerica, è follemente innamorato di Cassandra, e questa sua passione amorosa lo porterà, mente furiata, alla morte (v. 424-425). La risolutezza d’intervento del troiano è sottolineata dal Non tulit iniziale, con negazione e verbo messi in posizione enfatica; il furor da cui è colpito il guerriero è un moto dell’animo inarrestabile, non lascia certo il tempo di pensare: si passa dall’offesa (la propria amata portata via) alla reazione, immediata (gettarsi periturus in agmen). La sequenza di versi dal 409 al 415 ha come unico tema la guerra, che domina non solo per i gesti e le scene raccontati, ma anche per la ripresa - che non ritengo affatto casuale, in quanto particolarmente insistita - di termini inerenti al combattimento alla fine di ogni verso (agmen, armis, telis, caedes, iubarum, con caedes in grado minore ma pur sempre ricollegabile agli effetti prodotti dalla guerra). Al v. 416 parte un’evocativa similitudine, che però non inizia direttamente con l’elemento che dovrebbe introdurla (ceu), ma con adversi rupto, forse per ottenere una maggiore scenicità: inizia col botto della tempesta, e il lettore è colto impreparato; subito dopo parte la similitudine. Similitudine che nomina in questo caso ben tre dei venti che si scontrano (confligunt) e producono fischi sugli alberi (stridunt silvae): Zefiro, Noto ed Euro. Poi il dio marino Nereo, che solitamente è invece rappresentato come un vecchio benevolo e mansueto, completa l’opera col suo tridente, agitando il mare (ciet aequora).



Commento Lara Villa

I versi del secondo libro dell'Eneide presentano la figura di Cassandra la quale ritornerà poi anche nel terzo libro (vv. 182-187) e nel decimo (v 68): questa figura risulta essere un esempio di stratificazione del mito e proprio in quanto tale offre la possibilità di spaziare in diversi autori e opere cogliendo le differenze che emergono a seconda dei diversi contesti. La storia che caratterizza la profetessa emerge già dalla presunta origine etimologica del nome: Cassandra infatti non è un nome greco ma probabilmente è stato attestato in alcun tavolette micenee. La sua forma grecizzata è Alessandra, nome nel quale possono essere riconosciute le parole αλεξω e ανηρ dunque "colei che respinge l'uomo": ciò appare essere un chiaro riferimento allo stupro di Aiace oltre che all'oltraggio che la sacra vergine subisce da Agamennone. Questi due episodi sono ricorrenti in tutte le versioni del mito indipendentemente dal contesto culturale e storico, ciò che invece si rivela essere più problematico è il tema della capacità mantiche, del tutto assenti in Omero. Nonostante ciò alcuni commentatori nel corso dei secoli hanno cercato di ravvisare comunque dei riferimenti alla peculiare capacità di Cassandra sfociando però in una lettura inesatta e anacronistica dal momento che che si cercò di attribuirle il dono profetico sulla base di un aspetto consolidato nella tradizione posteriore a Omero. La figura di questa celebre profetessa è stata però in grado di oltrepassare tutte le incertezze sulla sua vicenda, tutte le barriere temporali influenzando e anzi ponendosi come una figura di riferimento anche nei secoli successivi: è questo il caso di Ugo Foscolo. Nei Sepolcri l'ultima parte corrisponde infatti alla sezione mitologica dove il mito viene adoperato come simbolo di valori ideali che non possono essere distrutti né dalla morte né dall'avanzare del tempo: in particolare nei vv. 233-234 viene ricordata l'opera di Omero che ha permesso di tramandare non solo lo splendore delle gloriose imprese dei vincitori ma anche il doloro e lo strazio dei vinti come Cassandra e Ettore. La condizione della profetessa diviene simbolo di una condizione umana che sfugge ai limiti del tempo assumendo forza e valenza universale.