Vorrei salire al più presto su un aereo diretto per Giacarta, per visitarla prima che scompaia. Perché tutta questa fretta, vi chiederete? Perché Giacarta è una delle molte città del mondo che rischiano di scomparire per sempre. Purtroppo fino ad adesso sono riuscito a visitarne solo alcune di queste, tutte italiane. Vi sembro troppo catastrofista? Non credete che molte città italiane ed europee rischiano di scomparire per sempre? Per convincervi di ciò che scrivo vi dico che, secondo uno studio della facoltà di geologia dell’Università di Zurigo, nei prossimi 20 anni Venezia, Roma, Verona e molte altre città più periferiche sprofonderanno tra 9,2 cm e 13,4 cm. E non è finita qui: in altri posti del mondo la situazione è molto più grave. Torniamo quindi a Giacarta. Stando a uno studio dell'Ipb Universitas di Giava occidentale le varie aree di Giacarta solo nell’anno 2020 sono sprofondate tra gli 1,8 e i 10,7 cm: cifre pazzesche per una megalopoli che ospita 10 milioni di abitanti ed é la seconda città più visitata dell’Indonesia dopo Bali.
Ma perché questa e molte città italiane stanno sprofondando? Inutile dire che la crisi climatica causata dagli uomini sta contribuendo alla scomparsa di intere città. Inquinamento, surriscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai sono solo alcune delle cause che portano molti centri storici ad "affogare". Il caso di Giacarta, oltre ad essere il più tragico, è molto particolare e merita un approfondimento.
Partiamo col dire che a Giacarta non ci sono molti modi per ricavare acqua potabile: una delle poche soluzioni, se non l'unica fattibile, consiste nel prelevare l'acqua che sgorga dalle falde acquifere. E dove si trovano queste falde? Qui nasce il problema. Quando J.P. Coen, il governatore olandese delle Molucche, nel 1619 fondò la fortezza di Jakarta non sapeva che sotto le fondamenta della sua costruzione ci fossero numerose falde acquifere.
Nei primi anni Quaranta, durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Indonesia, che era stata fino ad allora colonia olandese, venne occupata dal Giappone, alleato della Germania nazista. Le forze occupanti ovviamente bloccarono i commerci provenienti dall' Olanda. Gli abitanti di Giacarta si trovarono senza i beni di prima necessità come ferro, carbone, argento ma soprattutto acqua potabile, che fino ad allora arrivavano dall’Olanda. Quindi si videro così costretti a trovare al più presto un modo per ricavare acqua potabile e la prima soluzione che trovarono furono estrarla dalle falde acquifere che scorrevano sotto Giacarta. Da allora continuarono a ricavare acqua nello stesso modo fino ai primi anni 2000, quando la città iniziò a sprofondare non di millimetri, come negli anni precedenti, ma di centimetri fino ad arrivare alle stime di oggi, citate sopra.
A peggiorare la situazione della capitale l'innalzamento dei mari: di conseguenza, essendo una grande città che sorge su un'isola, se le acque continuano ad aumentare è destinata a scomparire. Credete che Giacarta sia l'unica città che corre questo pericolo?Purtroppo no e, come detto, anche numerosi centri italiani rischiano lo stesso destino. Che cosa aspettiamo allora per deciderci di cambiare? Che cosa aspettiamo a trattare il Pianeta come si dovrebbe? Abbiamo un dovere: evitare catastrofi ambientali simili a quella di Giacarta!
Filippo Bernardi
Il cambiamento climatico è un argomento che tocca tutti quanti, soprattutto me in prima persona e tutti quelli che si trovavano a Modena il 22 giugno 2019.
Io, mio padre e mia sorella stavamo andando a vedere il nuovo film della Disney, “Aladdin”. Stava andando tutto bene: del resto il viaggio da casa mia al cinema è molto breve. Finché, tutto ad un tratto, scoppiò una fortissima grandinata: chicchi di acqua gelata grandi quanto macigni cominciarono a cadere dal cielo. Papà non era preoccupato, diceva di averne vista tanta di grandine, poi però si intravide una crepa sul vetro della macchina. Da lì in poi fu il delirio.
Io ero in preda ad un attacco d’ ansia, mia sorella si era messa a piangere e mio padre cercava di guidare verso il riparo più vicino. Ma il peggio doveva ancora venire. Quando siamo arrivati al cinema non si poteva accedere alle sale perché la grandine le aveva rovinate tutte. Starete pensando: “La grandine è un agente atmosferico, è normale che avvenga”.
Vero, ma è una condizione meteorologica tipica della fascia climatica tropicale, che di certo non è quella dell’Emilia Romagna a giugno.
Proprio per questo credo che grandi e piccini debbano sapere cosa potrebbe accadergli se nei prossimi anni non si cominci a cambiare atteggiamento e fermare il cambiamento climatico.
Quindi, come prima cosa, informiamoci un po’.
QUALI SONO LE CAUSE E GLI EFFETTI?
Il fenomeno del cambiamento climatico è causato dall’effetto serra antropico, in parole semplici la produzione di gas che servono a mantenere caldo il nostro pianeta, soltanto in modo eccessivo.
Con la rivoluzione industriale l’uomo ha iniziato a produrre tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra tutti depositati nella nostra atmosfera.
La temperatura della terra, dunque, si sta alzando e non è un bene.
Le stime degli scienziati dicono che se la crescita non verrà rallentata, o del tutto fermata, dal 2030 al 2050 la temperatura globale potrebbe salire di 1,5°C .
L’impatto di questa crescita non è affatto benevolo: i ghiacci marini artici stanno diminuendo e, in conseguenza, la temperatura e livello dell’acqua stanno aumentando, causando il rallentamento della Corrente del Golfo. La siccità aumenta in alcune zone della terra e il caldo provoca fenomeni, come le “stagioni degli incendi”, e lo sviluppo di eventi meteorologici, come cicloni e alluvioni.
Ormai usare il termine cambiamento climatico non rende l’idea: si tratta proprio di una crisi climatica.
Le attività umane influenzano sempre maggiormente il clima e a provocare questi mutamenti sono soprattutto l’utilizzo di petrolio, gas e carbone, insieme all'abbattimento di foreste (la maggior fonte di ossigeno), l’allevamento eccessivo e l’uso di fertilizzanti.
COME POSSIAMO RIMEDIARE?
Nel 2015 le Nazioni Unite hanno deciso di firmare l’Accordo di Parigi in cui i governi firmatari si sono impegnati nel tentare di raggiungere la decarbonizzazione, quindi di limitare l’aumento della temperatura i 2°C.
Ma anche noi possiamo, nel nostro piccolo, limitare i danni. Come? Ad esempio cercando di usare il meno possibile televisori, lampadari, computer e altri; oppure usare la bicicletta negli spostamenti urbani.
Asia Marchesini
I trasporti fanno parte della nostra vita quotidiana. I mezzi di trasporto permettono di portarci da una parte all’altra di una città, di uno stato o di un continente. Possono essere pubblici o personali e svolgono un ruolo fondamentale nell'urbanizazzione di un paesaggio, anche se non è quello che ci si aspetta. Ad esempio New York, tutti conoscono i grattacieli, lo skyline o il ponte di Brooklyn. Io ci sono stato, di questi non ricordo molto. Le uniche cose che mi rimangono in mente vengono dal sottoterra, dalla metropolitana. Vagoni grigi con all’interno gente di ogni etnia o cultura, tante linee colorate su uno sfondo bianco o nero. Mi ricordo i musicisti sulle panchine che suonavano e cantavano canzoni che a malapena comprendevo.
Ora, però, lasciamo da parte i sentimenti e affrontiamo l’argomento da un punto di vista più razionale. Cosa preferire tra mezzi pubblici e mezzi personali?
In questa situazione di covid, certo, i mezzi pubblici sono i meno sicuri, visto che è presente molta gente in spazi chiusi dove è più probabile che il virus circoli. D’altra parte, però, una metropolitana, un tram o un autobus costano meno di un’automobile a cui, oltre al prezzo alto, bisogna pensare all’assicurazione e alle eventuali multe.
Però anche un mezzo personale ha delle comodità: ad esempio una macchina è sempre a disposizione e si può usare ad ogni ora, mentre per prendere la metropolitana bisogna prima raggiungere la stazione.
I mezzi pubblici, però, sono meno inquinanti dei mezzi personali: infatti in molte città del mondo (quasi la metà) è obbligatorio disporre di autobus, tram e metropolitane elettriche o a carburante organico.
Esiste, però, un modo per inquinare meno: il car sharing. Grazie ad un'applicazione, delle persone condividono un’unica macchina facendo lo stesso viaggio, dividendosi le eventuali spese. Questa idea, nata in Svizzera, ha l'obiettivo di usare meno mezzi possibili facendo diminuire il rilascio eccessivo di gas proveniente dalle macchine.
Più persone, che potrebbero usare più macchine, si ritrovano ad usare una sola macchina, avendo una sola fonte di fuoriuscita di gas.
Infatti non bisogna dimenticare che l’argomento su cui ci si concentra tutt'oggi è l’inquinamento. Ogni giorno noi usciamo da casa e inspiriamo aria piena di smog e anidride carbonica. Alla fin fine però il più grande car sharing sono i mezzi pubblici, che per me restano la scelta migliore, e allora mi torna in mente l’odore di sottoterra della metro della grande mela, seguito dalla brezza di quando il treno arriva in stazione, il sapore dell’indipendenza e di un viaggio, perché in fin dei conti questo è quello che è.
Cesare Bertini
Ciao amici di GGNEWS, siamo tre ragazze di terza F: Sara, Denisa e Laura. Prima dell'emergenza sul Coronavirus abbiamo girato un video su un problema che ci riguarda da vicino: l'inquinamento. Era un compito di geografia in cui abbiamo cercato di illustrare i diversi problemi del nostro pianeta Terra: l'aria inquinata a causa degli scarichi delle industrie e dello smog prodotto dalle automobili, la plastica nei mari che forma delle vere e proprie isole chiamate trash vortex, i rifiuti che sommergono le strade e i parchi e tanto altro...
Poi attraverso delle interviste abbiamo cercato di farvi capire i punti di vista delle persone chiedendo loro che cosa ne pensavano di questo fenomeno.
Con questo video speriamo di avervi trasmesso un messaggio positivo e di avervi fatto capire qualcosa in più su questo problema che affligge il nostro pianeta.
A cura di Denisa Burcea, Laura Natali e Sara Zannito
Il sole a Delhi non splende come un tempo, l’aria assomiglia sempre di più a nebbia, densa e fitta.
Il mio viso, qui a Rio, non vede da tempo il ciel sereno.
Ogni respiro in questa periferia londinese mi pare l’ultimo: mi sembra di soffocare. L’aria è pesante, sono in affanno.
Milano. A ciascun passo i miei piedi pestano rifiuti: dalla plastica al cibo sprecato di chi ne ha troppo. Ogni edificio, ogni casa è completamente immersa nello smog. Raccolgo una bottiglia piena e ne bevo l’acqua restante. Mi siedo su un muretto e mi guardo intorno cercando di riprendere fiato.
Da lontano vedo l’ultimo albero che squarcia il confine fra cielo e terra, cadere e sparire, mangiato dalla nebbia. Tante persone camminano e scompaiono nel grigiore, nessuno sa dove debbano andare. Le persone che riesco a vedere hanno chiari segni di intossicamento da smog.
Ultime notizie dalla penisola di Capo York, Australia: oggi, è ufficiale, i koala si sono estinti funzionalmente, cioè non possono più svolgere un ruolo significativo nel nostro ecosistema, non riuscendo più a riprodursi in modo rilevante. Le poche specie rimaste in Australia, sono sottoposte e colpite a un clima secco e caldissimo e così si sono ridotte dell’80%.
E ora che anche l’ultimo albero è stato abbattuto, a poco a poco, cadremo anche noi con la stessa rapidità con cui ogni giorno vengono disboscate foreste, con la stessa rapidità con cui ogni giorno migliaia di specie animali si estinguono. Cadremo con la stessa velocità con cui ogni giorno, i grandi potenti del mondo bruciano combustibili fossili, arricchendo le loro già interminabili ricchezze e diminuendo però la possibilità dell’esistenza di un futuro per questa terra.
Molti suppongono che stia iniziando una nuova era, come una sorta di “Era Bollente”, credo che invece la Terra stia solo diventando un enorme ammasso di rifiuti. Nel nostro pianeta ci sono già sei isole di plastica, di cui una è più estesa degli USA e una più estesa della Francia. Queste isole vengono chiamate “Trash Vortex” (letteralmente vortice di immondizia), in sostanza delle grandi chiazze di immondizia nel Pacifico. La domanda che in tanti si pongono è: non dovrebbe già essersi biodegradata tutta quella spazzatura? Ebbene no, poiché la gran parte dei componenti dei vortici di rifiuti, sono rottami marini e plastica non biodegradabile che, con la luce solare, si distrugge in pezzi ancor più piccoli che si disperdono nel mare. Le tartarughe, i pesci, gli uccelli, ogni giorno muoiono per colpa di questi minuscoli pezzettini.
Crediamo tutti di non potere fare nulla. Ma non è così. Se l’uomo vuole davvero fare qualcosa, trova il modo e i mezzi in tempi più che rapidissimi. Tra qualche anno, vedremo tutto ciò che amiamo di questo pianeta distruggersi come la barriera corallina e la primavera. La natura cerca di risolvere ogni danno umano, e noi, umani, continuiamo a danneggiarla facendo sì che essa non riesca più a correggere i nostri errori
Ora che vedo persone passare, alberi cadere, smog che ci fa soffocare e rifiuti che ci faranno sparire, mi rendo conto che non c’è nulla a cui tengo di più della mia Terra, del mio pianeta, del nostro pianeta.
Sofia Palmisano e Greta Magnoni
Benvenuti a tutti nella mia rubrica. Mi chiamo Lorenzo Cocchi e approfitto di questo spazio per parlarvi di alcune piante molto grandi e importanti per me. Vi chiederete perché parlo di questo argomento, e allora, prima di dare spazio alla descrizione delle piante, dovrò raccontare qualcosa di me. Fin da piccolo sono stato appassionato di alberi grazie al lavoro di mio padre: il taglialegna. Lui lavora per i boschi, giardini e parchi di tutta la regione ed è sempre a contatto con motoseghe, cippatori (macchine per macinare la legna), e scavatori: strumenti e macchinari del mestiere. Fin da quando ero bambino ho potuto osservare, assieme a mio fratello, mio padre all’opera. È difficile trovare le parole per descrivere come è nata e come continua a esistere questa passione. Spero allora che attraverso i miei articoli io possa trasmettere un po’ di questo mio interesse per le piante giganti, come il platano che vi sto per presentare.
Nell’ottobre appena passato ci sono state giornate particolarmente ventose: appresa la notizia di grandi onde in mare, io e la mia famiglia abbiamo deciso di metterci in macchina per andare ad assistere a questo spettacolo autunnale. Quando viaggiamo sulla nostra Volvo, siamo sempre alla ricerca di chiome e tronchi molto grandi, ai lati della strada. Così, sull’autostrada A14, all’altezza dell’uscita di Forlì, abbiamo visto un platano veramente grande. Sicuri di poterlo individuare di nuovo durante il viaggio di ritorno ci siamo diretti alla spiaggia. Purtroppo i nostri calcoli erano sbagliati: non abbiamo trovato il platano durante il ritorno a casa e la ricerca di quell’albero ci è costata altri viaggi. Abbiamo guidato più o meno 250 chilometri intorno alla zona di Forlì, ma alla fine lo abbiamo trovato.
Si tratta di un platano orientale della circonferenza di 7,73 metri (se misurato ad un metro di distanza dal suolo). Esattamente si trova a Carpinello (un paesino in provincia di Forlì). Ha una chioma enorme ed è alto circa 25 metri. Nella classifica delle piante più grandi dell’Emilia Romagna è terzo (anche se dovrebbe essere quinto perché non vengono nominati 2 pioppi in provincia di Bologna della circonferenza, misurata ad un metro di altezza, di 8,30 metri e 7,90 metri). Ha circa 300 anni ed è ancora bellissimo e verdissimo. La sua particolarità è che avendo tagliato i rami più bassi, (più o meno tra i 50 e i 70 anni fa), si sono create moltissime bugne nel tronco che hanno ingrandito ulteriormente la circonferenza del tronco.
Lorenzo Cocchi