Il dialetto dentro

Note introduttive


Secondo la divisione proposta dal filologo Bruno Migliorini, il dialetto contiglianese dovrebbe appartenere ai dialetti dell'area mediana della penisola italiana, cioè di quell'area che comprende Marche, Umbria e Lazio; più precisamente farebbe parte del gruppo cicolano-reatino-aquilano. Altri studiosi (come il Pellegrini) preferiscono parlare di dialetti centro-meridionali, entro i quali si collocherebbero i mediani centrali (umbro, marchigiano centrale, laziale e reatino-aquilano). Va precisato che, all'interno di qualsivoglia suddivisione, l'italiano costituisce comunque una derivazione dal latino, al pari di altri idiomi, i quali, dunque, debbono essere considerati indipendenti dalla lingua ufficiale parlata attualmente in Italia.

Per caratteristiche fonetiche, il contiglianese è a metà strada tra il ternano ed il reatino; deve comunque essere annoverato tra i vernacoli secondari, nati in un'area geografica, la Sabina, storicamente sottoposta a continue trasformazioni socio-politiche ed esposta ad influssi culturali diversi. Si deve infatti ricordare che i territori nei quali Contigliano è inserita hanno subìto varie modificazioni politiche a partire dalla crisi dell'impero romano, quando le incursioni delle popolazioni d'oltralpe introdussero abitudini, forme di governo e modalità di insediamento alternative.

La costituzione del Ducato di Spoleto, ad opera dei Longobardi nella seconda metà del VI sec. d.C., con l'accorpamento delle attuali Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, all'interno del quale Rieti era uno dei dieci gastaldati che lo suddividevano, modificò decisamente un assetto territoriale che risaliva all'organizzazione romana delle province (basti pensare al sistema della fare, rinvenibile in alcuni toponimi), ed incise notevolmente sull'orientamento culturale delle popolazioni, anche quando, decaduto il Regno longobardo (774 d.C.), i Franchi assunsero il controllo del territorio (sotto il cui governo le incursioni saracene lasciarono il segno, almeno nella memoria popolare, come si desume dal tema delle Moresche di Contigliano e Paganico Sabino) e quando questo subì l'annessione alle terre pontificie.

Linguisticamente è indubbio che influssi e contaminazioni entrarono nei dialetti cicolano-reatini soprattutto nel periodo longobardo, durante il quale il latino iniziava a subire con più incisività l'erosione della volgarizzazione, fino a mantenere i canoni della classicità solo come lingua colta e clericale. Non va sottovalutato, infine, che sulle terre sabine, proprio con lo sfaldamento dei Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, iniziò a pesare l'incertezza territoriale legata ai confini con i regni costituitisi nel Meridione, fino al più recente Regno delle Due Sicilie; sono testimonianza di ciò alcuni vocaboli contiglianesi nei quali si percepisce la corrispondenza con i dialetti campani e quelli abruzzesi.

Caratteristiche specifiche

Una caratteristica comune a tutti i dialetti dell'area mediana è l'apocope degli infiniti, ossia il troncamento delle forme verbali al modo infinito e la conseguente accentazione della vocale residua (ad esempio, il corrispondente dialettale dell'italiano dormire è dormì). I contiglianesi usano frequentemente questa forma di troncamento, in genere dovuta ad una certa povertà nella coniugazione delle forme verbali: jémo a magnà = andiamo a mangiare; te stai a cecà = stai diventando cieco. A questo tipo di troncamento è collegato quello di alcuni nomi, sia propri che comuni: Giuà (Giovanni), Marì (Maria), parè (parente), compà (compare), commà (comare) ecc.

Comune è anche la tendenza a sostituire la vocale finale U, retaggio del latino, laddove in italiano si trova la O: mondo / munnu; morto / mórtu. Tale tendenza coinvolge soprattutto la formazione dei participi passato: caduto / caùtu; salito / salitu.

Il raddoppiamento consonantico, che nella lingua italiana costituisce un espediente grafico per indurire i suoni, nel dialetto contiglianese scritto, come nel reatino, viene esteso a vari vocaboli (camminu = camino; sàbbatu = sabato; commare = comare ecc.); frequente è anche il raddoppiamento fonosintattico, ossia il raddoppiamento, in fase di pronuncia, della consonante iniziale di una parola legata alla precedente, che accentua qualche avverbio di luogo (jemo llà = andiamo là; dimme ddo vai = dimmi dove vai) e le preposizioni (stracciu dde scemu = pezzo di scemo); queste ultime, a seconda del tono della conversazione, possono essere trascritte in due modi: 'u somaru de 'u compare (l'asino del compare), è ìta llà dda 'a sìa (è andata dalla zia); si raddoppiano, in qualche caso, anche le iniziali sensibilmente accentuate dal parlato: Ddio = Dio; Ddimenica = Domenica; t'ha dda sbrigà = devi sbrigarti; je stéa rreto = gli stava dietro.

Una sorta di raddoppiamento può essere considerata l'assimilazione consonantica dei nessi ND, MB, LD. Questa caratteristica, comune ai dialetti dell'area abruzzese e campana, trasforma in doppia consonante ciò che nella lingua italiana è reso con due consonanti distinte: quando vieni? = quanno vié?; ho fatto le ciambelle = ho fattu 'e ciammelle; è duro come il piombo = è tóstu come 'o piummu; quant'è caldo! = qunat'è callu!. In qualche termine, nel nesso LD la consonante L viene sostituita dalla R: senza soldi = senza sordi.

- Quanto al nesso NG l'assimilazione è evidente nelle forme verbali e comporta l'inversione consonantica (GN), con elisione della vocale I in presenza del dittongo ia: piangeva sempre = piagnéa sempre; lo spingeva da dietro = 'u spignéa dda rrèto; ho mangiato i fagioli = hajo magnàtu i facióli.

- Il nesso GL viene contratto nel segno grafico J, con assorbimento, in molti casi, della vocale i: un carretto con la paglia = un carrìttu co' 'a paja; litigava con la moglie e con la figlia = quistionàva co' 'a moje e co' 'a fija; raccoglie l'aglio = recoje ll'àju; aveva una lingua taglia e cuci = tenéa 'na léngua taja e cuci.

- Il nesso LT si trasforma in RD: era alto = era ardu; lo aveva tagliato con il coltello = ll'éa tajatu co' 'u cortéllu.

Gli accenti tonici di molti vocaboli risultano talvolta invertiti rispetto ai corrispondenti in lingua italiana, ossia le accentazioni aperte diventano chiuse e viceversa. La variazione è particolarmente evidente in quei termini scritti pressoché nella stessa maniera in entrambi gli idiomi: sole (chiusa) / sòle (aperta); collo (aperta) / cóllu (chiusa); morto (aperta) = mórtu (chiusa); monello (aperta) = monéllu (chiusa).

Le elisioni coinvolgono le consonanti negli articoli determinativi e le vocali in quelli indeterminativi: 'u = lo; 'a = la; 'e = le; 'na = una; 'nu = uno.