Sabato 22 e Domenica 23 giugno 2013
presso l'Istituto Lama Tzong Khapa, Pomaia (Pisa)
Ritiro di Consapevolezza nella tradizione del Ven. Thich Nhat Hanh
condotto da Diana Petech e dal Sangha laico
"Sarò felice quando…."
È una tendenza connaturata in noi esseri umani proiettare speranze e aspettative di felicità in un futuro nel quale, ci immaginiamo, saranno soddisfatte alcune condizioni che diamo per essenziali per poter essere felici.
La vita scorre, noi ci modifichiamo e maturiamo, ma quella proiezione e aspettativa di futura felicità si sposta via via in avanti, con il suo perenne carico di frustrazione e insoddisfazione, più o meno pesante. È un destino comune a molti di noi arrivare alla fine del proprio percorso di vita pieni di amarezza per le speranze non esaudite e le aspirazioni non realizzate.
Sulla base degli insegnamenti del Buddha osserveremo a fondo le condizioni che poniamo alla nostra felicità e impareremo ad ampliare lo sguardo, a prendere consapevolezza dei nostri “punti ciechi” e delle condizioni di felicità di cui già disponiamo al momento, e a riformulare con saggezza le nostre speranze e aspirazioni.
Diana Petech: insegnante di Dharma nella tradizione di Plum Village, è da diversi anni traduttrice dei libri di Thây e guida giornate di consapevolezza e incontri con il sangha italiano.
Discorsi di Dharma da scaricare (file formato MP3):
Tra non molto saranno disponibili anche le trascrizioni dei discorsi
Materiale del ritiro inviato da Diana:
Thich Nhat Hanh
La nostra idea di felicità
(estratto dal discorso di Dharma del 10 giugno 2009 a Plum Village)
...
[“Momento presente, momento meraviglioso”, si dice nella nostra tradizione.
Questa percezione] dipende molto dalla vostra idea di benessere, di felicità. Non è una cosa materiale, questa è una cosa mentale. Ognuno di noi ha un’idea sulla felicità. Pensiamo di dover ottenere questo per poter essere veramente felici . Pensiamo di dover ottenere quello per poter essere felici. Pensiamo che dobbiamo liberarci di questo per poter essere felici. Abbiamo molte idee: voglio quel diploma, voglio quella posizione, voglio questo e quello, avete un’idea su come essere felici. E un’intera nazione può fare la stessa cosa. L’intera nazione può pensare che questo corso politico, questa ideologia, è il solo modo per essere felici. Supponete di essere un comunista e pensate che il marxismo sia, che il marxismo-comunismo sia la sola strada per la felicità, e non accettate nessun altra ideologia. E quindi avete un’idea fissa, avete la convinzione che il marxismo sia la sola strada. Oppure se siete un buddhista e pensate che il buddhismo sia la sola strada, siete catturati nell’idea del buddhismo. Ma fortunatamente Buddha vi dice che il buddhismo è fatto solo di elementi non buddhisti. E durante la scorsa settimana abbiamo parlato di una cosa sola: di lasciar andare ogni genere di idee, di nozioni, di visioni, anche la visione del buddhismo.
Quindi voi avete un’idea sulla felicità, e può darsi che non siete stati capaci di essere felici a causa di quell’idea: lasciate andare quell’idea e la felicità può arrivare più facilmente. Supponete che ci siano molte porte attraverso le quali si accede alla felicità: se aprite ogni porta allora la felicità ha molti modi per arrivare da voi. Ma il fatto è che voi avete chiuso tutte le porte tranne una, ed è per questo che la felicità non può arrivare: a causa di quella porta la felicità non può passare. Quindi non chiudete le porte, aprite tutte le porte. Non impegnatevi su una sola idea di felicità: mettete da parte l’idea di felicità che avete e scoprirete che la felicità potrà arrivare questo pomeriggio, domani, in ogni istante. [In ogni istante potrete dire: “Questo è un momento meraviglioso”.]
Quindi con “lasciar andare” si intende lasciar andare un’idea; molti di noi sono prigionieri della propria idea di come si può essere veramente felici.
Allora se siete buoni praticanti, vi mettete seduti ed esaminate, o riesaminate, la vostra idea di felicità. Siamo attaccati a molte cose che pensiamo siano essenziali per il nostro benessere, benché ci abbiano fatto soffrire molto; ma non abbiamo il coraggio di lasciarle andare. Abbiamo pensato che non sarebbe stato prudente per noi lasciare andare una cosa; ma di fatto la verità può essere che abbiamo continuato a soffrire a causa proprio a causa di essa. Può essere una persona, può essere una cosa materiale, può essere una posizione nella società, può essere qualunque cosa. Abbiamo pensato che senza di essa non saremmo stati al sicuro, ed ecco perché ne siamo caduti prigionieri. Abbiamo bisogno di una vera visione profonda; quella intuizione ci darà coraggio. Solo con quel coraggio potremo lasciar andare quella cosa, e finalmente ci sentiremo liberi. Ecco, ci sentiamo liberi. La felicità è possibile. Allora davvero “questo è un momento meraviglioso”.
(...)
Supponete di volere qualcosa con tutti voi stessi e di essere convinti di non poter essere felici se non avrete quella cosa: siete prigionieri di quella idea. Ma in realtà anche altre persone non hanno quella determinata cosa eppure sono perfettamente felici. Perché voi no? Occorre che ci sia visione profonda. Così è la visione profonda, la retta visione che ci salva. Nella tradizione buddhista parliamo di salvezza, di emancipazione proprio tramite la visione profonda (...).
Lasciar andare [la propria idea di felicità] dunque è una tecnica che può generare gioia e felicità.
Così ognuno deve decidere per se stesso o se stessa. Questo è l’insegnamento del Buddha.
La consapevolezza è un altro metodo che genera gioia e felicità. Supponete di essere una persona giovane: potete praticare l’escursionismo, potete saltare, potete correre, potete fare molte cose, siete pieni di energia. Quindi essere giovani è una cosa meravigliosa. Molti di noi che possono più fare a quel modo, siamo troppo vecchi per farlo. Quindi voi inspirate e vi sentite pieni di energia, giovani: “Inspirando so che sono ancora giovane”, e questo porta felicità! Consapevolezza: “Inspirando sono consapevole dei miei occhi, espirando sorrido ai miei occhi”. Per un non praticante può sembrare una cosa sciocca, ma è questo che può portare visione profonda e felicità. Quando inspiro focalizzo la mia attenzione sui miei occhi, e arriva l’intuizione profonda che i miei occhi sono ancora abbastanza buoni, i miei occhi sono ancora in buone condizioni. È meraviglioso avere gli occhi ancora in buone condizioni: avete bisogno soltanto di aprire i vostri occhi per entrare in un paradiso di forme e colori. La primavera è qui, c’è un paradiso qui, e siccome avete occhi in buone condizioni potete entrare facilmente nel paradiso, non avete bisogno di fare nessuno sforzo, semplicemente aprire i vostri occhi. Per quelli di noi che hanno perduto la vista il paradiso non è più disponibile, e il loro desiderio più profondo è di recuperare la vista per vedere di nuovo il paradiso. Ma ora avete ancora occhi in buone condizioni! Quindi inspirando sono consapevole dei miei occhi: essi sono in buone condizioni e così viene la visione profonda che avete una condizione di felicità. Essa è qui e voi avete solo bisogno di aprire i vostri occhi per rendere il paradiso di forme e colori disponibile!
E questa è consapevolezza. La consapevolezza porta felicità, vi dice che siete ancora giovani, la consapevolezza vi dice che i vostri occhi sono ancora in buone condizioni.
“Inspirando sono consapevole del mio cuore”. Riconoscete il vostro cuore e sapete che il vostro cuore funziona ancora normalmente. È essenziale, è meraviglioso avere un cuore che funziona ancora normalmente. Fra noi c’è chi non ha un cuore che funziona bene, e che ha paura, in ogni momento può avere un attacco di cuore, vive nella paura. Voi non avete questo. Quindi ogni volta che siete consapevoli del cuore, un cuore che funziona normalmente, quello è un momento meraviglioso, e la felicità arriva proprio così, in un secondo, con la consapevolezza.
Quindi la consapevolezza ci aiuta a riconoscere le molte condizioni di felicità che sono dentro di noi e intorno a noi, ed è per questo che dobbiamo riconoscere che la consapevolezza è una fonte di felicità. Non avete bisogno di denaro, non dovete andare nel centro commerciale, avete solo bisogno di consapevolezza.
Ora siete capaci di lasciar andare, ora sapete essere consapevoli, ed essendo consapevoli entrate in contatto con le numerose condizioni di felicità che sono già disponibili. Magari abbiamo così tante condizioni per essere felici, ma non lo siamo! Altre persone ci invidiano, ci vedono come persone felici, ma noi non lo siamo. Abbiamo così tante condizioni di felicità, ma non le riconosciamo, non ne facciamo tesoro. Per questo motivo mettetevi seduti, usate un foglio di carta e scrivete le condizioni di felicità che avete. Avete bisogno di una pagina, ma dopo aver riempito una pagina, avete bisogno di un’altra pagina, e dopo due pagine pensate che avete ancora altre condizioni di felicità… continuate… avete bisogno di molte, molte pagine per scrivere questo! Così riconoscete le condizioni di felicità che avete. E se occorre potete chiedere a un amico: “Caro amico, quali condizioni di felicità ho adesso? Ti prego dimmelo, le ho dimenticate.” È come un gioco, ma questa è meditazione. Ritornate alle vostre condizioni e riconoscete ogni condizione di felicità che avete: i miei occhi in buone condizioni, il mio cuore funziona ancora normalmente, e migliaia, ancora decine di migliaia di condizioni come queste. Eppure non siamo felici se non le riconosciamo.
Così la consapevolezza è ricongiungere la vostra mente al vostro corpo, è essere pienamente presenti nel qui ed ora, e riconoscere che è meraviglioso. ‘Questo è un momento meraviglioso’. Io sono qui. Questo è il Regno di Dio, questa è la Terra Pura del Buddha, io posso starci ogni secondo e gioirne”. La felicità può essere più di quanta potete accogliere. È come se foste affamati e poteste entrare in una panetteria ed essere liberi di mangiare quel che vi pare… siete in imbarazzo, non sapete come cominciare.
Quindi vi prego di ricordare: la consapevolezza è una sorgente di felicità. Se avete consapevolezza riconoscete le molte condizioni di felicità che già avete. Non dovete correre e procurarvene altre. Smettete di correre, avete sufficienti condizioni di felicità. I francesi hanno una canzone su questo: perché aspettare, perché non essere felici proprio ora, “Qu’est ce qu’on attend pour etre hereux”… “Qu’est ce qu’on attend pour etre hereux”… Potete cantare la canzone?
“che cosa state aspettando, potete essere felici proprio ora”… Dovete cantarla più spesso!
b
Epicuro
Lettera sulla felicità
Meneceo,
non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l'età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani, quando saremo avanti con gli anni, in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato; e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c'è abbiamo tutto, quando on c’è facciamo di tutto per averla.
Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. (...)
Abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l'ingannevole desiderio dell'immortalità.
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. (...)
Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E' bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l'inutile è difficile.
I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno.
Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Chi suscita più ammirazione di colui che ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d'uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.
(...) La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Il saggio non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre analoghe, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali.
(Capitolo del serpente, Uragavagga, 2, Suttanipata)
«Ho cotto il riso, ho munto le vacche», disse il pastore Dhaniyo.
«Abito con la mia gente sulla riva del fiume Mahi.
La capanna è coperta, il fuoco arde,
quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«In me non c’è collera, né aridità mentale», disse il Beato.
«Dimoro per una sola notte sulla sponda del fiume Mahi.
La capanna è scoperta, il fuoco è spento;
quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Non ci sono tafani né zanzare», disse il pastore Dhaniyo.
«Nell’acquitrino l’erba cresce lussureggiante, e le vacche pascolano.
Esse sono in grado di sopportare anche l’arrivo della pioggia;
quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Una solida zattera è stata approntata», disse il Beato.
«Ho attraversato il torrente giungendo alla riva opposta.
La zattera, ora, non ha più utilità alcuna.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«La mia pastorella è fedele e non volubile», disse il pastore Dhaniyo.
«È attraente, e vive con me da lungo tempo.
E non ho notizia di alcuna sua mancanza.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«La mia mente è fedele e liberata», disse il Beato.
«Per lungo tempo è stata allenata e ben domata.
e ora in me non esistono mancanze.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Vivo con i miei guadagni», disse il pastore Dhaniyo.
«I figli mi sono vicini, in buona salute,
e non ho notizia di alcuna loro mancanza.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Di nessuno sono schiavo», disse il Beato.
«Con quel che mi procaccio vago il mondo tutto,
e non ho bisogno di ricevere compensi.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Possiedo vacche e vitelli», disse il pastore Dhaniyo,
«e giovenche prolifiche;
e anche un toro, signore delle vacche.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Non possiedo vacche né vitelli», disse il Beato.
«Non ho giovenche prolifiche,
e nemmeno un toro, signore delle vacche.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«I pali sono ben piantati e inamovibili», disse il pastore Dhaniyo;
«le cavezze di giunco son nuove e ben intrecciate,
e neanche i vitelli potranno romperle.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
«Avendo come un toro strappato i legami», disse il Beato,
«avendo come un elefante spezzato le liane,
non tornerò mai più a nascere da grembo di donna.
Quindi, o cielo, fai pure piovere, se lo desideri.»
Improvvisamente una gran nube iniziò a riversare pioggia copiosa,
colmando la piana e le alture.
Avendo udito il suono del cielo piovoso,
così esclamò il pastore Dhaniyo:
«Non poco, invero, abbiamo ottenuto
poiché noi vedemmo il Beato!
Noi prendiamo rifugio in te, o veggente.
Sia tu il nostro maestro, o grande saggio!
La mia pastorella ed io, fedeli,
condurremo una vita di purezza, nel Sangha,
e superando nascita e morte
porremo fine alla sofferenza».
«Colui che ha figli si rallegra per loro», disse Mara il malvagio,
«e colui che possiede vacche si rallegra per esse.
Il possesso, dunque, rappresenta per l’uomo la gioia.
Chiunque sia privo di possesso, non prova piaceri.»
«Colui che ha figli soffre per loro», disse il Beato,
«colui che possiede vacche soffre per esse.
Il possesso dunque rappresenta per l’uomo l’afflizione.
Chiunque sia privo di possesso non prova dolore.»