Buddismo e cristianesimo

Il dolore e la via d'uscita

Da bambini, Siddhartha e Gesù si resero entrambi conto che la vita è piena di sofferenza. In giovane età il Buddha raggiunse la consapevolezza della pervasività della sofferenza. Gesù dovette avere lo stesso genere di intuizione, perché entrambi compirono ogni sforzo per offrire una via d'uscita. Anche noi dobbiamo apprendere a vivere in modi che limitino la sofferenza universale. La sofferenza è sempre presente, intorno a noi e dentro di noi, e dobbiamo trovare le vie che la allevino e la trasformino in benessere e pace.

Monaci e monache, in entrambe le tradizioni religiose, si avvalgono delle medesime pratiche: la preghiera, la meditazione, la deambulazione consapevole, i pasti in silenzio e molti altri metodi per cercare di superare la sofferenza. È una sorta di lusso essere monaco o monaca, riuscire a sedere tranquillamente e avere una visione profonda della natura del dolore e della via d'uscita. Sedere e avere una visione profonda del corpo, della coscienza e degli stati mentali è come essere una chioccia che cova le sua uova. Un giorno l'intuizione nascerà come un pulcino. Se monaci e monache non hanno gran cura del tempo che dedicano alla pratica, non avranno nulla da offrire al mondo.

Quando si fece monaco, il Buddha aveva ventinove anni, e dunque era alquanto giovane, e all'età di trentacinque anni raggiunse l'illuminazione. Anche Gesù trascorse un certo periodo di tempo da solo sulla montagna e nel deserto. Tutti noi abbiamo bisogno di riflettere e di ristorarci.

Per coloro che non sono monaci, né monache, può essere difficile trovare il tempo per meditare o pregare, ma è importante farlo. Durante un ritiro, apprendiamo come tenere in serbo la consapevolezza di ogni cosa che facciamo, e allora possiamo continuare la pratica nella nostra vita quotidiana. Se agiremo così, avremo una visione profonda della natura del nostro dolore e troveremo una via d'uscita. È quanto il Buddha disse nel suo primo sermone al Parco del Cervo a Sarnath: "Penetra la natura del dolore per cogliere le cause della sofferenza e la via d'uscita". Tutti possono attuare questa pratica, monaci e laici.

Io sono la via

La scuola Theravada del buddhismo sottolinea l'insegnamento autentico del Buddha storico, il Buddha che visse e morì. In seguito, l'idea del Buddha vivente venne sviluppata nell'ambito del buddhismo delle scuole settentrionali, il buddhismo Mahayana. Al momento del trapasso del Buddha, molti Suoi discepoli erano sconvolti dal fatto ch'egli non fosse più con loro. Così egli li riassicurò dicendo: "Il mio corpo fisico non sarà più qui, ma il mio corpo dottrinale, Dharmakaya, sarà sempre con voi. Prendete rifugio nel Dharma, la dottrina, costruendo un'isola per voi stessi". Le istruzioni del Buddha sono chiare. Il Dharma è l'isola del rifugio, la torcia che illumina il nostro cammino. Se possediamo la dottrina, non abbiamo di che preoccuparci. Un monaco che era molto malato espresse il suo dispiacere per non essere in grado di vedere il Buddha in persona, ma il Buddha gli inviò un messaggio: "Il mio corpo fisico non è la cosa più importante. Hai con te il corpo del Dharma, se hai fiducia nel Dharma, se pratichi il Dharma, io sono sempre con te". Anche Gesù disse: "...dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sono io in mezzo a loro".

Sono sempre presente per voi

Dopo il trapasso del Buddha, l'amore e la devozione nei suoi confronti crebbero a tal punto che l'idea di Dharmakaya si mutò dal corpo della legge nel Buddha glorioso ed eterno che espone sempre il Dharma. Secondo il buddhismo Mahayana, il Buddha è ancora vivo, continua a offrire i suoi sermoni sul Dharma. Se siete abbastanza attenti, riuscirete a udire i suoi insegnamenti dalla voce di un ciottolo, di una foglia o di una nube nel cielo. Il Buddha permanente è divenuto il Buddha vivente, il Buddha della fede. Grande è la somiglianza con il Cristo della fede, il Cristo vivente. Il teologo protestante Paul Tillich descrive Dio come il fondamento dell'essere. Anche il Buddha viene a volte descritto come il fondamento dell'essere.

Vedere la via è vedere me

Si dice che incontrare un vero maestro o maestra valga quanto un secolo di studio della sua dottrina, perché in una simile persona assistiamo a un esempio vivente di illuminazione Come possiamo incontrare Gesù o il Buddha? Dipende da noi. Molti di coloro che guardano dritto negli occhi del Buddha, o di Gesù, non sono capaci di vederli. Un uomo che voleva vedere il Buddha aveva una tal fretta che finì per non occuparsi di una donna in condizioni di bisogno incontrata lungo la via. Quando arrivò al monastero del Buddha, fu incapace di vederlo.

Che siate o meno in grado di vedere il Buddha dipende da voi, dallo stato del vostro essere.

Sono comprensione, sono amore

Al pari di molti grandi uomini il Buddha aveva il carisma di un santo. Quando vediamo persone simili sentiamo in loro la pace, l'amore e la forza, e anche in noi stessi. I cinesi dicono: "Quando nasce un saggio, l'acqua del fiume si fa più limpida e le piante e gli alberi dei monti diventano più verdi". Essi descrivono l'atmosfera che circonda un uomo santo, o una donna santa.

Quando una persona saggia è in mezzo a voi e sedete accanto a lei, percepite la pace e la luce. Se doveste sedere accanto a Gesù e guardarLo negli occhi - anche senza vederLo - avreste una opportunità molto più grande di essere salvati che non tramite la lettura delle Sue parole. Ma quando Egli non è presente, i Suoi insegnamenti sono quanto c'è di meglio, soprattutto quelli della Sua vita.

Libertà dalle nozioni

Leggendo qualsiasi scrittura, cristiana o buddhista, tengo sempre presente che qualunque cosa abbiano detto Gesù o il Buddha era rivolta a una persona, o a un gruppo, particolari in una circostanza particolare. Cerco di comprendere a fondo il contesto in cui essi parlano al fine di intendere veramente il significato delle loro parole. Quanto dicono può essere meno importante di come lo dicono. Quando capiamo questo, siamo prossimi a Gesù o al Buddha. Ma se analizziamo le loro parole per scoprirne il significato più profondo senza comprendere le relazioni fra chi parla e chi ascolta, forse mancheremo il bersaglio. A volte i teologi dimenticano ciò.

Quando leggiamo la Bibbia, osserviamo l'enorme coraggio di Gesù nel tentativo di trasformare la vita della sua società. Quando leggiamo i sutra, notiamo che anche il Buddha era una persona molto forte. La società indiana all'epoca del Buddha era meno violenta di quella in cui nacque Gesù, di conseguenza si può ritenere che il Buddha manifestasse reazioni meno estreme, ma solo perché nel suo ambiente era possibile un'altra via. La sua reazione alla corruzione fra i sacerdoti vedici, per esempio, fu risoluta.

Il concetto di Atman, Sé, che era al centro delle credenze vediche, era in gran parte la causa dell'ingiustizia sociale dell'epoca - il sistema delle caste, il terribile trattamento riservato agli intoccabili e la monopolizzazione degli insegnamenti spirituali da parte di coloro che godevano delle migliori condizioni materiali e tuttavia non erano praticamente per nulla religiosi. Per reazione, il Buddha diede risalto alla dottrina del non-Atman (non-sé).

Egli affermava: "Le cose sono vuote di un sé separato e indipendente. Se cercate il sé di un fiore, vedrete che è vuoto". Ma quando i buddhisti cominciarono a venerare l'idea di vuoto, egli disse: "Se vi fate prendere dal non-sé di un fiore è peggio che credere nel sé di un fiore".

Il Buddha non presentò una dottrina assoluta. Il suo insegnamento del non-sé veniva impartito nel contesto della sua epoca. Era uno strumento di meditazione. Ma, numerosi buddhisti da allora sono stati attratti dall'idea di non-sé. Costoro confondono i mezzi e il fine, la zattera e la sponda, il dito che indica la luna e la luna. C'è qualcosa di più importante del non-sé. È la libertà dalle nozioni, sia di sé, sia di non-sé. Per un buddhista essere attaccato a una qualche dottrina, persino a una dottrina buddhista, è tradire il Buddha. Importanti non sono le parole, o i concetti. Importante è la nostra intuizione profonda della natura della realtà e il nostro modo di rispondere alla realtà. Se il Buddha fosse nato nella società in cui nacque Gesù, credo che anch'egli sarebbe stato crocifisso.

Vedere la via, imboccare il sentiero

Quando Gesù disse: "Io sono la via", intendeva dire che per avere un'autentica relazione con Dio, è necessario praticare la Sua via. Negli Atti degli Apostoli i cristiani delle origini parlavano della propria fede chiamandola "la Via". Secondo me, "Io sono la via" è un enunciato più significativo di "Io conosco la via". La via non è una strada asfaltata. Ma, dobbiamo distinguere fra l'"Io" detto da Gesù e l'"Io" cui di solito pensano le persone. L'"Io" nel Suo enunciato è la vita stessa, la Sua vita, che è la via. Se non guardate veramente alla Sua vita, non riuscirete a vedere la via. Se vi accontentate di venerare un nome, foss'anche il nome di Gesù, questo non è praticare la vita di Gesù. La nostra pratica deve consistere nel vivere profondamente, nell'amare e agire con carità se davvero desideriamo onorare Gesù. La via è Gesù stesso e non semplicemente qualche idea di Lui. Un'autentica dottrina non è statica, non consiste di pure parole, ma della realtà della vita. Molti che non posseggono né la via, né la vita cercano di imporre agli altri ciò ch'essi credono sia la via. Ma, queste sono solo parole che non hanno rapporto con la vita vera, o una vera via. Quando comprendiamo e pratichiamo in modo profondo la vita e gli insegnamenti del Buddha, o la vita e gli insegnamenti di Gesù, penetriamo per la porta ed entriamo nella dimora del Buddha vivente e del Cristo vivente, e innanzi a noi si presenta la vita eterna.

Il vostro corpo è il corpo di Cristo

Nel buddhismo noi personifichiamo le caratteristiche cui aspiriamo, quali la consapevolezza (Sakyamuni Buddha), la comprensione (Manjusri Bodhisattva) e l'amore (Maitreya Buddha), ma anche se Sakyamuni, Manjusri e Maitreya non sono qui presenti, è ancora possibile raggiungere la consapevolezza, la comprensione e l'amore. Gli stessi discepoli del Buddha sono una continuazione del Buddha. Consapevolezza, comprensione e amore si possono manifestare attraverso le persone della nostra stessa epoca, anche attraverso noi stessi. Non dobbiamo tanto credere alla resurrezione dei Buddha e dei bodhisattva quanto alla generazione di consapevolezza, comprensione e amore in noi stessi.

Il Cristo vivente è il Cristo dell'Amore, momento dopo momento. Quando la chiesa manifesta comprensione, tolleranza e amorevolezza, Gesù è presente. I cristiani devono contribuire al manifestarsi di Gesù Cristo con la loro condotta di vita, mostrando a coloro che stanno loro intorno che amore, comprensione e tolleranza sono possibili. Ciò non si compirà soltanto grazie a libri e sermoni; deve realizzarsi con il nostro modo di vivere.

Nell'ambito del buddhismo anche noi affermiamo che il Buddha vivente, colui che insegna l'amore e la compassione, deve manifestarsi attraverso il nostro modo di vivere.

Grazie alla pratica di innumerevoli generazioni di buddhisti e di cristiani, l'energia del Buddha e quella di Gesù Cristo sono giunte sino a noi. Noi possiamo entrare in contatto con il Buddha vivente e con il Cristo vivente. Sappiamo che il nostro corpo è la continuazione del corpo del Buddha e che è parte integrante del corpo mistico di Cristo. Abbiamo una stupenda occasione per contribuire alla continuazione del Buddha e di Gesù Cristo: grazie ai nostri corpi e alle nostre vite, la pratica è possibile. Se odiate il vostro corpo e pensate che sia soltanto una fonte di tormento, che contenga soltanto le radici dell'ira, dell'odio e del desiderio, non comprendete che il vostro corpo è il corpo del Buddha, che il vostro corpo è parte del corpo di Cristo.

Godete d'essere vivi

È meraviglioso respirare e sapere d'essere vivi. A cagione del fatto che siete vivi, ogni cosa è possibile. Il Sangha, la comunità di pratica, può continuare.

La chiesa può continuare. Vedete di non sprecare un solo momento. Ogni momento è un'occasione per infondere vita nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha.

Ogni momento è un'occasione per manifestare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

"C'è una persona la cui comparsa sulla terra è volta al benessere e alla felicità di tutti. Chi è quella persona?". Questo è un interrogativo tratto dall'Anguttara Nikaya. Per i buddhisti quella persona è il Buddha. Per i cristiani quella persona è Gesù Cristo. Tramite la vostra vita quotidiana potete contribuire alla continuazione di quella persona. Basta soltanto che camminiate nella consapevolezza, che muoviate dei passi pacifici e felici sul nostro pianeta.

Respirate a fondo e godete del vostro respiro. Siate consapevoli che il cielo è azzurro e i canti degli uccelli sono bellissimi. Godete d'esser vivi e contribuirete alla continuazione del Cristo vivente e del Buddha vivente per molto tempo a venire.

Entrare in comunione con il Cristo vivente

Quando invochiamo il nome del Buddha, evochiamo le stesse qualità del Buddha in noi stessi. Ci dedichiamo alla pratica per far sì che il Buddha diventi vivo dentro di noi, così da poter avere sollievo dalle afflizioni e dagli attaccamenti. Ma diverse persone che invocano il nome del Buddha lo fanno senza cercare veramente di raggiungere i semi del Buddha in loro stesse.

Si racconta la storia di una donna che invocava il nome del Buddha centinaia di volte al giorno senza mai attingere l'essenza di un Buddha. Dopo una pratica di dieci anni, traboccava ancora di collera e irritazione. Il suo vicino osservava la circostanza e un giorno, mentre ella stava invocando il nome del Buddha, bussò alla sua porta e gridò: "Signora Ly, aprite la porta!". La donna era molto seccata d'essere disturbata, suonò la sua campana molto forte affinché il vicino udisse che stava salmodiando e smettesse di disturbarla. Ma costui continuava a chiamarla: "Signora Ly, signora Ly, signora Ly, ho bisogno di parlarvi". La donna s'infuriò, gettò la sua campana a terra e scalpitò verso la porta esclamando: "Non vedete che sto invocando il nome del Buddha? Perché m'importunate ora?". Il vicino replicò: "Ho chiamato il vostro nome solo dodici volte e guardate come siete andata in collera. Immaginate come debba essere in collera il Buddha dopo che avete invocato il suo nome per dieci anni!".

I cristiani possono fare esattamente come la signora Ly se seguono soltanto meccanicamente i rituali o pregano senza essere veramente presenti. Ecco perché sono stati spronati dai maestri cristiani a praticare la "Preghiera del Cuore". Nel cristianesimo, come nel buddhismo, molte persone nella loro pratica ottengono poca gioia, sollievo, distensione, liberazione o grandezza d'animo. Anche se continuano per centinaia d'anni in quel modo, non entreranno mai in comunione con il Buddha vivente o il Cristo vivente. Se i cristiani che invocano il nome di Gesù sono presi solamente dalle parole, possono perdere di vista la vita e l'insegnamento di Gesù. Praticano solo la forma non la sostanza. Quando praticate la sostanza, la mente vi si schiarisce e raggiungete la gioia. I cristiani che pregano Dio devono anche apprendere a fondo l'arte di vivere del Cristo se vogliono penetrare nei suoi insegnamenti. È annaffiando i semi delle qualità ridestate che sono già in noi, praticando la consapevolezza, che entriamo in comunione con il Buddha vivente e il Cristo vivente.

La luce che rivela

Quando Giovanni Battista aiutò Gesù a entrare in comunione con lo Spirito Santo, il Cielo si aprì e lo Spirito Santo scese come una colomba e penetrò nella persona di Gesù. Egli si recò nel deserto e per quaranta giorni si esercitò a rafforzare lo Spirito dentro di Sé. Quando in noi germoglia la consapevolezza, dobbiamo continuare a praticarla se vogliamo consolidarla.

Ascoltando veramente il canto di un uccello o osservando veramente un cielo azzurro, tocchiamo il seme dello Spirito Santo dentro di noi. Per i bambini non è molto difficile riconoscere la presenza dello Spirito Santo. Gesù diceva che per entrare nel regno di Dio dobbiamo farci fanciulli. Quando l'energia dello Spinto Santo è in noi, siamo veramente vivi, siamo capaci di comprendere l'altrui sofferenza e motivati dal desiderio di contribuire a trasformare la situazione. Quando l'energia dello Spirito Santo è presente, sono presenti il Padre e il Figlio.

Discutere di Dio non è il migliore uso che possiamo fare della nostra energia. Se entriamo in contatto con lo Spirito Santo, ci accostiamo a Dio non quale concetto bensì quale realtà vivente. Nel buddhismo non parliamo mai del nirvana, perché nirvana significa estinzione completa di nozioni, concetti, discorsi. La nostra pratica consiste nell'attingere la consapevolezza in noi stessi sedendo in meditazione, camminando in meditazione, mangiando consapevolmente e così via. Osserviamo e apprendiamo a occuparci del corpo, del respiro, delle sensazioni, degli stati mentali e della coscienza. Vivendo nella consapevolezza, diffondendo la luce della nostra consapevolezza su tutto ciò che compiamo, entriamo in contatto con il Buddha e la nostra consapevolezza cresce.


La consapevolezza è il Buddha

Il Buddha fu un essere umano che si risvegliò e, di conseguenza, non fu più incatenato alle numerose afflizioni della vita. Ma allorché alcuni buddhisti affermano di credere nel Buddha, esprimono la loro fede nei meravigliosi Buddha universali, non nell'insegnamento o nella vita del Buddha storico. Credono nella magnificenza del Buddha e ritengono che sia sufficiente. Ma di estrema importanza sono gli esempi delle vite reali del Buddha e di Gesù, perché quali esseri umani essi vissero in modi che anche noi possiamo vivere.

Quando leggiamo: "Il cielo si aperse e lo Spirito Santo scese su di Lui come una colomba", possiamo renderci conto che Gesù era già illuminato. Era in contatto con la realtà della vita, la sorgente della consapevolezza, della saggezza e della comprensione nel Suo intimo, e ciò Lo rendeva diverso dagli altri esseri umani. Quand'Egli nacque nella famiglia di un falegname, era il Figlio dell'Uomo. Quando aperse il Suo cuore, Gli venne aperta la porta del Paradiso. Lo Spirito Santo discese su di Lui come una colomba, ed Egli si manifestò come il Figlio di Dio: santissimo, sapientissimo e grandissimo. Ma lo Spirito Santo non è un'esclusiva di Gesù: è per tutti noi. Secondo una prospettiva buddhista, chi non è figlia o figlio di Dio?

Sedendo sotto l'albero della Bodhi, innumerevoli, magnifici e santi semi sbocciarono ulteriormente nel Buddha. Egli era umano ma, al tempo stesso, si fece espressione del più elevato spirito dell'umanità. Quando siamo in contatto con il più elevato spirito in noi stessi, anche noi siamo dei Buddha, ricolmi di Spirito Santo, e diveniamo molto tolleranti, molto aperti, molto profondi e molto comprensivi.


Più porte per le generazioni future

Matteo descrive il Regno di Dio come fosse un minuscolo granello di senape. Ciò significa che il seme del Regno di Dio è dentro di noi. Se sappiamo come piantarlo nel terreno umido delle nostre vite quotidiane, quel seme crescerà e diverrà un grande arbusto su cui molti uccelli potranno trovare rifugio. Non dobbiamo morire per giungere alle porte del Paradiso.

Dobbiamo invece vivere veramente. La pratica consiste nello stare in profondo contatto con la vita in modo tale che il Regno di Dio divenga una realtà. Non è questione di devozione, si tratta di una questione di pratica. Il Regno di Dio è a disposizione qui e ora. Numerosi passi dei vangeli confortano questa visione. Leggiamo nel Padre Nostro che non andiamo nel Regno di Dio, ma che è il Regno di Dio a venire da noi: "Venga il Tuo regno...". Gesù disse: "Io sono la porta". Egli descrive Se stesso come la porta della salvezza e della vita eterna, la porta del Regno di Dio. Poiché Dio il Figlio è fatto dell'energia dello Spirito Santo, è per noi la porta d'ingresso al Regno di Dio.

Anche il Buddha viene descritto come una porta, un maestro che ci mostra la via in questa vita. Nel buddhismo una simile porta speciale è tenuta in profonda considerazione, perché quella porta ci permette di entrare nel regno della consapevolezza, dell'amorevolezza, della pace e della gioia. Si dice che esistano ottantaquattromila porte del Dharma, porte dell'insegnamento.

Se siete abbastanza fortunati da trovare una porta, non sarebbe molto buddhista affermare che la vostra è l'unica. In realtà, dobbiamo aprire un numero ancor più grande di porte per le generazioni future. Non dovremmo temere un maggior numero di porte del Dharma: se mai dovremmo temere che non se ne aprano più. Sarebbe un peccato per i nostri figli e i loro figli se ci ritenessimo soddisfatti con soltanto ottantaquattromila porte già disponibili. Ciascuno di noi, con la sua pratica e la sua amorevolezza, è in grado di aprire nuove porte del Dharma. La società è in evoluzione, la gente cambia, le condizioni economiche e politiche non sono le stesse dei tempi del Buddha o di Gesù. Il Buddha fa assegnamento su di noi perché il Dharma continui a svilupparsi come un organismo vivente, non un Dharma superato ma un autentico Dharmakaya, un vero "corpo della dottrina".


Estratti dal libro: IL BUDDHA VIVENTE IL CRISTO VIVENTE di Thich Nhat Hanh


Il Padre nostro di Thich Nhat Hanh

La preghiera secondo Thich Nhat Hanh

Una tradizione può rivelarne un'altra

Seminario Vescovile di Pistoia, in via Puccini Giovedì 11 aprile ore 21

BUDDISMO E CRISTIANESIMO: INTESA POSSIBILE?

con Luciano Mazzocchi (associazione Vangelo e Zen) e Roberto Carifi (saggista)

Al cuore del libro Il Vangelo e lo Zen, di Luciano Mazzocchi e Annamaria Tallarico, è posto un confronto tra l’essenza del cammino cristiano e l’essenza del cammino zen. Per ognuno dei due percorsi vengono individuati tre elementi: l’aspetto esteriore protettivo (la buccia del frutto), quello intermedio nutritivo (la polpa del frutto) e quello centrale, l’essenza vera e propria (il seme come principio vitale).

Per il cristianesimo, l’elemento esteriore è l’eucaristia, perché intorno ad essa si forma la comunità; l’ambiente, per così dire, nutritivo è la Pasqua di risurrezione, cammino e passaggio; il principio vitale è il regno dei cieli, ove unica legge è l’amore. Dopo questa rivelazione, che costituisce il culmine della Parola, non rimane che l’esperienza della vita eterna.

Per lo zen, il primo aspetto è costituito dallo zazen, il corpo e lo spirito unificati nel silenzio, inazione e rinuncia ai propri pensieri, quello stato che si raggiunge con la nota posizione delle gambe incrociate e la mano sinistra nella destra con i pollici a formare un cerchio: la posizione della consapevolezza. L’elemento nutritivo, poi, è l’applicazione della nostra energia vitale, presenza ed abbandono al contempo, direzione non controllata. Il principio vitale, infine, è la Via, la Via incommensurabile, la Via indescrivibile, la Via che tutto abbraccia.

“Personalmente respiro le due essenze praticando ogni giorno l’eucaristia e lo zazen, con il massimo della dedizione”, confida don Mazzocchi. Uno dei principali testi magisteriali della storia recente sui rapporti tra cristianesimo e altre religioni, il documento Dialogo e annuncio, sottolinea l’importanza delle varie forme del dialogo interreligioso ed elenca: con il Patrocinio di “Il dialogo della vita, dove le persone si sforzano di vivere in uno spirito di apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umane; il dialogo delle opere, dove i cristiani e gli altri collaborano in vista dello sviluppo integrale e della liberazione della gente; il dialogo degli scambi teologici, dove gli esperti cercano di approfondire la comprensione delle loro rispettive eredità religiose e di apprezzare i valori spirituali degli altri; il dialogo dell’esperienza religiosa, dove persone radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio per ciò che riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e la ricerca di Dio e dell’Assoluto”.

Discorso integrale di Luciano Mazzocchi (PDF)