Frida Kahlo nacque il 6 luglio 1907 (il suo nome completo è Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón) a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico. Il padre di Frida, Guillermo Kahlo Kaufmann (nato Carl Wilhelm Kahlo), era un fotografo tedesco emigrato in Messico nel 1891. La madre, Matilde Calderón y González, era invece una benestante messicana di origini spagnole. La coppia ebbe quattro figli, ma Frida fu quella più ribelle e passionale, mostrando un’indole indipendente e forte. Sentendosi figlia della Rivoluzione messicana, disse, per lungo tempo, che era nata nel 1910, anno in cui cominciò la rivoluzione. A soli tredici anni militò nella Gioventù comunista e negli anni della scuola superiore fece parte di un gruppo di ragazzi che sostennero le idee socialiste-nazionaliste. In questo periodo Frida amò vestirsi come le soldaderas, ovvero come le leggendarie donne che combatterono in prima fila durante la rivoluzione messicana.
Il primo incontro con il futuro marito Diego Rivera avvenne nel 1922 nell’anfiteatro Simón Bolívar di Città del Messico (inaugurato nel 1910), mentre il pittore stava dipingendo il primo murale della sua carriera artistica, La Creazione. Rivera e Frida si sposarono sette anni dopo, nel 1929, inconsapevoli del fatto che stavano per diventare una delle coppie più emblematiche del Novecento.
Nel 1925 avvenne un episodio traumatico: Frida, mentre stava tornando da scuola in autobus, fu coinvolta in un incidente terribile. La ragazza riportò ferite gravissime alla schiena, alle gambe e alle spalla e il periodo di infermità fu per lei una tortura lunga e silenziosa. In questo periodo di convalescenza i genitori le regalarono pennelli e tele per farle trascorrere meglio il tempo, così Frida iniziò a dipingere e a sviluppare un linguaggio artistico suggestionato dalla sua solitudine. Utilizzò sé stessa come modello: il proprio corpo, le proprie ferite e le proprie emozioni. Durante questo periodo realizzò un autoritratto, il primo di una lunga serie, che regalò ad Alejandro, il fidanzato di allora. Grazie alle lettere che la giovane pittrice mandò al fidanzato è possibile rendersi conto della malinconia e della disperazione da cui fu afflitta. Poco alla volta cominciò per Frida una lenta guarigione che le consentì di ritrovare l’allegria di un tempo: cominciò a cercare un impiego, continuò a coltivare la sua passione per l’arte e si impegnò nella lotta comunista. Verso la fine degli anni Venti, Frida conobbe la fotografa Tina Modotti, con la quale instaurò un’amicizia molto intima.
Durante una cena a casa dell’amica, Frida rivide Diego Rivera, che tornò in Messico dopo tanti anni passati in Europa. I due iniziarono e frequentarsi e nel 1929 si sposarono al municipio di Coyoacán, nonostante Frida fosse a conoscenza dei continui tradimenti a cui sarebbe andata incontro. I giovani sposi presero una casa nel centro di Città del Messico che ben prestò diventò meta obbligatoria per artisti, intellettuali, poeti e rivoluzionari. Nel 1930 si trasferirono negli Stati Uniti, dove Rivera venne invitato a dipingere il muro all’interno del Rockefeller Center di New York e alcuni affreschi a San Francisco. Durante il soggiorno statunitense Frida rimase incinta, ma a causa dell’incidente non riuscì mai a portare a termine la gravidanza. La donna non ebbe mai figli, e questo fu uno dei suoi dispiaceri più grandi, più volte espresso anche nelle sue opere. Frida ebbe molti amanti, sia uomini che donne, tra questi anche il rivoluzionario russo Lev Trockij, che ottenne l’asilo politico in Messico nel 1929. La coppia Frida-Rivera poté quindi considerarsi “aperta”, anche se in realtà Frida soffrì molto dei continui tradimenti del marito, soprattutto quando scoprì che Rivera la tradì con la sorella minore, Cristina.
Nel 1937 il poeta e intellettuale surrealista André Breton arrivò in Messico per incontrare Trockij e per tenere un ciclo di conferenze sul nuovo movimento surrealista. Breton apprezzò fin da subito le tele della pittrice messicana definendola “surrealista”, suggerendole di tenere una mostra personale a Parigi. La mostra ebbe realmente luogo solo grazie all’intervento decisivo di Marcel Duchamp e nonostante, non ebbe un particolare successo commerciale, Frida ottenne un riconoscimento da parte di artisti dal calibro di Pablo Picasso, Vasilij Kandinskij, Joan Miró e Yves Tanguy. Nel 1939 Diego Rivera e Frida Kahlo divorziarono, ma le vicende politiche si incrociarono con la vita privata della coppia, così i due l’anno successivo si sposarono nuovamente. A questo secondo patto matrimoniale Frida impose due vincoli: l’artista avrebbe provveduto da sola al proprio mantenimento e non avrebbe più avuto rapporti sessuali con il marito. L’ultimo decennio di Frida si caratterizzò per un crescente peggioramento delle sue condizioni di salute e fu costretta ad indossare dolorosissimi busti ortopedici. Alla sofferenza fisica si affiancò anche la completa affermazione pubblica del suo lavoro da pittrice, che sfociò in molte esposizioni internazionali. Nel 1950 l’artista subì un ricovero di sette mesi in cui venne operata sette volte, senza, tuttavia, un incisivo miglioramento. Nel 1953 il Messico omaggiò la sua artista più grande con una mostra personale nella capitale, capendo che non sarebbe vissuta ancora a lungo. Dopo l’amputazione alla gamba destra, avvenuta nel 1953, Frida tentò più volte il suicido, sperando di mettere fine ad ogni tortura e dolore che l’accompagnarono per tutto il corso della sua vita. La morte sopraggiunse il 13 luglio 1954 a seguito di un embolia polmonare che venne trascurata.
"Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio."
L’opera “Le due Frida” è un autoritratto di Frida Kahlo che mostra due personalità dell’artista. Si tratta di un dipinto ad olio datato 1939. E’ un’opera che rappresenta, più di ogni altra, ciò che il compagno Diego Rivera ha rappresentato per la pittrice messicana.
Nel 1939 Frida Kahlo intraprende un viaggio in Europa, dove incontra i Surrealisti, a Parigi, dei quali rimane nauseata e infastidita. La guerra è alle porte e si respira un clima di tensione e di difficoltà che incide profondamente sullo stato d’animo dell’artista.
A destra la donna amata e rispettata da Rivera, che indossa un tradizionale abito messicano e tiene in mano una piccola immagine di Rivera da piccolo. Accanto appare una Frida più europea, in abito bianco di pizzo. E’ la Frida che Rivera ha abbandonato.
Entrambe le Frida hanno il cuore posto in evidenza sul loro petto, un simbolo del dolore di Frida e che la pittrice aveva già utilizzato in altri dipinti. Le due Frida si tengono per mano e una vena, che parte dalla foto di Diego e attraversa i due cuori, le unisce in questo passaggio doloroso. La vena, però, non è chiusa e zampilla sul vestito della Frida europea.
Quest’ultima vi ha posto una forbice chirurgica per saturare la vena, ma il sangue zampilla lo stesso macchiandole il vestito. La Frida abbandonata rischia di morire dissanguata, anche se non si è arresa e ha cercato di chiudere il suo dolore contenendo il sangue che fluisce inesorabilmente.
Anche il cuore della Frida sofferente è aperto ed esposto al lutto della separazione. Non c’è nessuno che la possa consolare, se non l’altra Frida che ancora conserva il ricordo del marito. Le nubi dietro alle due donne sono agitate e fosche, come il periodo che la pittrice sta vivendo.
Uno degli autoritratti più intensi dell'artista messicana, in cui esprime tutto il suo dolore fisico e psicologico.
Conservato al Museo Dolores Olmedo, a Xochimilco, quartiere di Città del Messico, il dipinto esprime in maniera esemplare lo stato emotivo e psicologico di Frida Kahlo a seguito dei continui problemi alla schiena causato dal grave incidente.
Pochi giorni prima di realizzare La Colonna Rotta, infatti, Frida Kahlo aveva subito l’ennesima operazione alla colonna vertebrale, per cercare di correggerne la posizione e lenire i suoi cronici dolori. La pittrice messicana non può dunque far altro rappresentare attraverso la sua arte la sofferenza fisica a cui è sottoposta: la Kahlo dipinge sé stessa con il busto coperto solo dalle fasce bianche del suo corsetto, rimanenza dell’avvenuta operazione; l’epidermide è contrappuntata da chiodi di varie dimensioni, mentre dai fieri occhi che si rivolgono allo spettatore scendono lacrime di colore bianco.
Il dolore provato dall’artista messicana viene impresso ancor di più negli occhi di chi guarda dalla raffigurazione della colonna vertebrale. Una apertura nel corpo ritratto dell’artista mostra la sua colonna vertebrale, rappresentata, però, come una colonna ellenica, palesemente fratturata, che si impianta nel busto della pittrice arrivando fino al mento.
Il paesaggio alle sue spalle è arido ed increspato, le incrinature montuose alle spalle della Kahlo contrastano con la sua postura che, nonostante la sofferenza, è fiera come il suo sguardo, a riprova della intensa volontà d’animo dell’artista.
La struttura della composizione ha fatto sospettare ad alcuni critici e studiosi la volontà della Kahlo di legarsi alla tradizione pittorica occidentale della rappresentazione di San Sebastiano nella storia dell’arte. Questo comporterebbe una personalissima rivisitazione in chiave allegorica dell’immagine del santo, la cui morte trafitto da una sequela di frecce è emblematica nella storia dell’arte. L’artista messicana, secondo questa lettura, si paragonerebbe alla figura biblica: i chiodi che scalfiscono la pelle della pittrice sostituirebbero le frecce che perforano il corpo del santo. Tuttavia, mentre Sebastiano, poco prima di morire, guarda in alto, rivolgendosi a Dio, lo sguardo della Kahlo è fisso sullo spettatore, fiero ma anche consapevole che il suo dolore non ha uno scopo salvifico, di redenzione.