"Ognuno apprende la sua arte da qualcun altro, in passato come adesso. Non è facile infatti trovare porte di parole non dette"
Bacchilide Paean. 5 Snell-Maehler
In questo sguardo al passato mi piace ripensare alle tappe della mia formazione e ritrovare il nome di chi ha concorso a realizzarla. Mi guardo all'indietro, sforzandomi di ricordare che cosa ho imparato e da chi. Questi nomi non diranno nulla a chi li leggerà; tuttavia chi mi abbia conosciuto saprà che attraverso di me, in qualche modo, avrà incontrato ciascuno di loro.
Se qualcosa di buono ho mai fatto, datene merito a chi, prima di me, me ne ha fornito l'esempio.
Per me, e per sempre, semplicemente Il Maestro. Angelo Formica, quando ancora vigeva la tradizione del maestro unico elementare. Un burbero socialista di cui mai potrò dimenticare la mano vigorosa e i sonori, quanto meritati, sganassoni (altri tempi, un'altra Italia, un'altra morale pubblica). Ancora oggi la figura di insegnante che ho amato di più e che ricordo con l'affetto e la commozione che solo la memoria di un bambino, in una mente ormai adulta, può suscitare. Un uomo capace di affrontare qualunque argomento con la leggerezza ma anche con la competenza e la solidità che solo un sapere realmente enciclopedico gli consentiva; sostenuto da un'innata abilità artistica nel disegno e nella scultura con la creta; opere che si trasformavano poi in meravigliosi esperimenti e dimostrazioni da realizzare in classe per noi. Ai miei occhi di bambino, una sorta di genio universale a là Leonardo da Vinci.
Sapeva tutto, assolutamente tutto.* Una personalità realmente eccezionale, la cui azione non smette di affascinarmi a distanza di tanti anni, anche solo nel ricordo. Non studiavo per me, studiavo perché volevo essere come lui. Alla fine dei conti, ancora oggi non faccio altro che replicare quello che gli ho visto fare in quei cinque, ormai lontani e meravigliosi, anni.
Serbo un affettuoso ricordo della mia insegnante di lettere delle medie, la professoressa Liliana Leotta. Severa quando necessario, ma in realtà un animo gentile prestato all'insegnamento; una brava persona prima di tutto. Se l'amore per la scrittura e per lingua è nato in qualche momento, quel momento si è realizzato lì, nelle letture antologiche, nella guida attenta e garbata ai miei scritti, nelle lezioni di grammatica che, per qualche strano motivo, non mi dispiacevano.
Il destino ha voluto che la sua vita si interrompesse troppo presto. In qualche modo mi piace pensare che viva ancora in alcuni miei modi di fare, spero all'altezza del suo esempio mai dimenticato.
Giuseppe Grillo o "la forza della logica". Istrionico e torrenziale nella idee come nei gesti, competitivo prima di tutto con se stesso e la propria razionalità, nelle sfide intellettuali rispetto alla materia e, per questo, indimenticabile; sempre alla ricerca di nuove soluzioni per problemi e teoremi: Non è giusto perché lo dice il professore Grillo. Il professore Grillo lo dice perché è giusto. Impossibile non essere toccati in qualche modo dalla sua personalità. Il rigore del metodo, un intero quadrimestre del primo anno dedicato alla logica proposizionale (ben prima che citare Kurt Gödel diventasse di moda); i calcoli sul moto che dovevamo essere capaci di applicare all'invisibile trenino di piazza San Rocco...; l'assunzione di responsabilità nel fate esercizi! che dovevamo liberamente scegliere senza costrizione alcuna e che, in fondo, si rivelava un manifesto di civismo politico culturale. Studiare perché si vuole studiare, e non perché qualcuno te lo imponga.
Due soli anni, indimenticabili, per capire in fine che lingua e matematica sono in realtà sorelle, figlie di una grande madre logica.
Giuseppe Luccisano o "la forza del metodo". Un uomo integerrimo, dalla inscalfibile moralità, seconda solo alla correttezza e all'assoluto rigore logico richiesto a se stesso prima ancora che agli alunni, senza sconti o facilitazioni di alcun tipo. Con lui, molto banalmente, ho imparato veramente a studiare. Le sue interrogazioni di Storia e Filosofia, a ripensarle oggi, si sono rivelate talvolta più difficili di più di un esame universitario. Una severissima, ma insostituibile e allenante palestra.
Nozioni fondamentali apprese sui banchi di scuola, mai più dimenticate, che mi accompagnano ancora oggi nel definire la mia identità civile e di πολιτικὸν ζῷον. Difficilmente avrei potuto superare le sfide di ciò che sarebbe stato dopo se non avessi affrontato, superandolo, questo preliminare percorso di studio e formazione storico-filosofica.
Cesare Auddino. Mio padre, ma anche il mio insegnante di latino e greco al liceo. Lo "zio Cesare" per tutti gli altri, in un'epoca in cui la legge ancora non imponeva di sospettare del ruolo e della buona fede delle persone. A scuola mi ha insegnato che l'uomo, i sentimenti e le persone, vengono prima di qualsiasi arte, quale che ne sia la grandezza. Una conoscenza assoluta di qualunque forma linguistica latina/greca, la solidità intellettuale forgiata da maestri come Augusto Rostagni, Antonio Maddalena, Nicola Abbagnano, Aristide Colonna; il meglio che l'Italia potesse offrire negli anni della sua formazione. Eppure senza mai perdere la forza del buon senso, del non prendere troppo seriamente quel che si fa o innamorarsi dello studio fine a se stesso. La sana bonarietà che discende dalla reale competenza sull'argomento, che permette sempre di immedesimarsi nelle difficoltà di chi non comprende senza giudicare la persona.
La forza del sorriso più forte di qualunque rimprovero. La filologia è la rivincita dell'intelligenza sull'arte diceva. Mi ha insegnato soprattutto che la cultura non ha alcun valore, né si trasmette veramente, senza l'umanità di cui si nutre e da cui trae ispirazione e forma.
L'Università è stata il primo corso di Maria Cannatà sulle Nemee di Pindaro il cui commento ho visto nascere praticamente in diretta insieme ai miei compagni di corso. Una babele di informazioni che si accavallano nella mia mente, la poesia analizzata in una maniera che non immaginavo neppure esistesse tra varianti, loci paralleli, manoscritti, papiri e quant'altro la tradizione dei testi antichi potesse offrire. Il battesimo del fuoco, senza sconti. L'occasione, più unica che rara, di poter seguire un vero percorso di ricerca su un testo di assoluta complessità sin dalla sua primigenia formazione. Un severissimo seminario filologico su Bacchilide su cui applicare subito tutto quello che stavo imparando.
Una esempio, una formazione, che mi è rimasta attaccata addosso come un felice imprinting e di cui mai ho dimenticato il modello.
Troppo tardi ho scoperto il valore della letteratura umanistica, che si è rivelata per me il vero trait d'union tra il mondo antico e il mondo contemporaneo. Un'epoca che avevo sempre colpevolmente sottostimato e il cui fascino, la cui grandezza e complessità, si sono svelati ai miei occhi grazie all'insegnamento di Vincenzo Fera. Mi ha fatto comprendere l'importanza dell'opera, a tratti eroica, di studiosi e autori che hanno dedicato la propria vita a salvare il passato per costruire un nuovo futuro.
Il rigore interpretativo, il "rispetto" per il testo senza scivolare nell'attualizzazione banale di chi vuole leggere ciò che ha già deciso di trovare.
La filologia classica "raccontata" da Antonino Zumbo, un "insegnante" nel senso più proprio del termine, capace di rendere fruibili anche gli argomenti più ostici senza mai cedere alla banalizzazione o alla mistificazione. Un lungo viaggio nella storia e nei metodi della filologia classica, un mondo che giudicava e correggeva se stesso. Problemi testuali, varianti interpolazioni etc... materia apparentemente arida ma che prendeva vita nell'immagine di un copista distratto, di un foglio strappato, di una pergamena persa e ritrovata, di un recentior non deterior, di una verità da ricostruire e, in definitiva, riportare in vita nella sua vera forma.
Giovan Battista d'Alessio o "la perfezione del metodo". Lezioni frontali di assoluta complessità, ricchissime di presupposti dati per scontati, di nozioni e di metodo applicato, scienze sussidiarie e contributi in tutte le lingue. Argomenti impegnativi, senza alcuna facilitazione di sorta (come solo un Normalista può fare e pretendere) in quelle che dopo poco non erano più lezioni, ma il lavoro di un vero gruppo di ricerca. L'esame finale non era più la cosa più importante, ma scoprire "la verità", salvo avere l'onestà intellettuale di "buttare a mare" giorni di lavoro e congetture perché una pista si era rivelata errata, scrollarsi l'inchiostro di dosso e ricominciare tutto daccapo.
Tre anni di lavoro per la tesi di laurea più enciclopedica (e pazza) che potessi accettare. La più formativa palestra che potessi frequentare. Mi sono sempre considerato il peggior allievo dell'insegnante migliore. Di tale "peggiorità" rimango convintamente orgoglioso.
I tanti colleghi che ho incontrato lungo la strada, compagni di viaggio a cui ho rotto le scatole con mille domande, che ho visto lavorare da vicino e da cui, più o meno direttamente, ho imparato (scil. rubato) tutto quello che potevo anche solo guardando: la stanza 509 del V piano e tutti i lavori che ho visto passare tra le mani di Claudio Meliadò e Giuseppe Ucciardello; il buon Fyodor Montemurro e le nostre filologiche follie anglo/fiorentine.
Ancora una volta, il compagno peggiore degli studiosi migliori.
E va bene così.
Alla fine, forse, con Jonathan Swift: I love good creditable acquaintance; I love to be the worst of the company .