(pubblicato su www.blogfoolk.com del 05-13-20 aprile 2017)
La chitarra acustica con corde di metallo è oggi certamente lo strumento popolare per antonomasia. Comunemente considerato uno strumento di accompagnamento, possiede invece un vasto repertorio come strumento solista, grazie all'opera di alcuni musicisti pionieri del genere ma soprattutto in virtù dell’impiego di accordature diverse da quella standard (Mi Si Sol Re La Mi), che nascono da una tradizione tutta nord-americana con precise origini nella musica popolare nera, nel blues e nel ragtime.
Quella che segue è una breve storia dell’evoluzione della musica strumentale per chitarra acustica dalle origini alla realtà contemporanea.
L’invenzione della chitarra acustica moderna
Le origini e il blues
Jazz, ragtime & fingerpicking
L’eclissi degli anni ’40 e ’50 - Il bluegrass
Il Blues Revival e la rinascita degli anni ’60
Gli anni ’70
Gli anni ’80 – oltre la tradizione
Chitarristi contemporanei
In Italia
Considerazioni attuali
Discografia consigliata
Bibliografia
Internet e riviste
La chitarra classica come strumento solista ha una sua lunga tradizione, questo grazie (o a causa) della difficoltà nel potere essere impiegata in orchestra dato il ridotto volume che può emettere. Per questo motivo possiede un repertorio, anche se piuttosto vasto, spesso marginale o nullo nei grandi compositori, che è stato però rinverdito grazie all'opera di alcuni illustri interpreti, Andrés Segovia (1893-1987) sopra tutti, che ne hanno nobilitato il repertorio anche con adattamenti di brani originariamente composti per altri strumenti. Ma come è avvenuto per la musica colta in generale, anche la musica per chitarra classica ha dovuto subire il rapido e progressivo mutare del gusto del pubblico contemporaneo, divenendo musica di non facile fruizione per un pubblico non "preparato", spesso relegandosi a musica ad uso e consumo dei soli chitarristi.
Nel 1833 Christian Frederick Martin, un liutaio tedesco immigrato negli Stati Uniti, inventa l’X bracing, cioè l’incrocio a x di due coppie di listelli di legno sotto la tavola armonica. Ciò permette di rinforzare la tenuta dello strumento, capace adesso di montare corde di metallo dalla tensione molto più alta e non più di budello. Nasce così la chitarra acustica, detta anche folk[1]. La chitarra classica con corde di budello (oggi in nylon) ha una tensione delle corde bassa ed un attacco delle note sempre morbido, un timbro piuttosto omogeneo e rotondo, inoltre la durata (sustain) delle note è piuttosto limitata[2]; la tecnica esecutiva ne risente e fa spesso uso di note puntate e del tocco appoggiato, stili che richiedono una certa precisione da parte dell'esecutore, oltre ad una buona dose di esercizio per essere dominati. La chitarra acustica con corde di metallo possiede una tensione delle corde più alta ed un attacco delle note più immediato, restituisce un volume maggiore, un timbro e una dinamica sostanzialmente diverse e molto più ricco di sfumature, inoltre in un certo senso "perdona gli errori" nel senso che si può più facilmente suonare in modo soddisfacente anche senza un'impostazione delle mani particolarmente raffinata. Tutti questi motivi, ma soprattutto il maggiore volume di suono ottenibile, lo rendono lo strumento popolare (folk appunto) per eccellenza.
Nel 1800 gli schiavi neri del Sud-Est degli Stati Uniti, ormai più o meno consciamente memori delle loro origini africane, portano a compimento una propria tradizione orale di canti popolari. Canti corali sono le work song, i "canti da lavoro" degli operai o dei contadini nei campi di cotone: carichi di critica sociale e di miti contemporanei (come quelli che compongono la saga attorno ai lavori per la costruzione della ferrovia da Est a Ovest) o dal contenuto sovversivo, oppure semplicemente lamentoso, ma sempre legati al contesto e alle miserie della vita dei neri. Canti a solo sono le ballad, spesso lunghe molti versi e in una forma quasi epica, tramandate oralmente e spesso ripetute non uguali, bensì modificate e allungate ogni volta dall’improvvisazione del singolo interprete[1]. Gli spiritual invece sono canti religiosi protestanti cantati a solo nei quali è più chiara l'ascendenza dalla musica africana e dai suoi ritmi. La tradizione degli spiritual si riversa poi e si tipicizza nel gospel, un canto corale derivato dalla tradizione melodica inglese e con testi di argomento sacro, spesso veri e propri passi biblici musicati. I gospel sono veri e propri inni sacri, intonati nelle chiese protestanti battiste o metodiste e molto popolari tra gli schiavi neri, grazie anche ad un proselitismo spesso incoraggiato dagli schiavisti prima[2] e poi dai proprietari terrieri, che nell'ossequio religioso dei neri trovavano spesso un buon metodo per evitare disordini. Molti sono anche i neri che diventano pastori di queste chiese, e molti sono i musicisti di strada, solitamente chitarristi (talvolta ciechi o comunque inabili al lavoro), che chiedono elemosine cantando brani religiosi per strada, all’uscita dalle fabbriche o dalle chiese. Del tutto particolare è il minstrelsy, una forma di teatro popolare musicale e improvvisato da bianchi con la faccia dipinta di nero, e in seguito dagli stessi neri, basato sulla caricatura degli schiavi neri, con vere e proprie maschere tipiche come il Sambo (il nero tonto) e Jim Crow (lo schiavo sottomesso). Quest’ultimo personaggio diventa la metafora stessa dell'oppressione sui neri e il protagonista di mille canzoni[3]. Parallelamente alla musica di sacra, più probabilmente derivata da ballads e worksongs, se ne sviluppò un’altra di argomento profano/popolare, e spesso anche allusiva e volgare: il blues. Il blues ha una struttura armonica fortemente formalizzata[4], i testi dei canti blues rievocano il lavoro nei campi oppure la dura vita quotidiana, solitamente con accenti crudi e realisti, e molto spesso l'abbandono e/o il tradimento da parte di una donna.
Il primo genere musicale squisitamente "nero" ad ottenere un grande successo è il ragtime, una musica essenzialmente pianistica suonato su un tempo binario (2/4) e con una melodia fortemente sincopata, abbastanza veloce e ballabile. Un ritmo da ballata popolare che occasionalmente aveva fatto capolino anche nella musica classica[1]. Il più famoso tra i suoi esponenti è certamente Scott Joplin (1867-1917) che ebbe un successo grandissimo, tanto che si può dire che "intorno al 1900 tutti suonavano il ragtime"[2], e che fu rievocato anche dai più illuminati compositori contemporanei come Stravinsky e Debussy[3].
Nel sud degli Stati Uniti la città di New Orleans, nello stato francofono della Louisiana[4], vi è un notevole incrocio di razze e culture: quella afro-americana e haitiana degli schiavi, inglese, francese, spagnola e pure italiana. La cultura cattolica degli abitanti, se fu anche più dura nel trattamento degli schiavi e dei servi rispetto a quella protestante di altri stati, si dimostra invece più tollerante rispetto alla loro cultura, che comprende danze e canti, ma anche una forte religiosità pagana infarcita di riti tribali detti voodoo. A differenza di altre zone si crea qui una popolazione creola meticcia, generatasi per lo più dai figli di uomini bianchi e delle loro schiave e serve nere[5], la cui condizione di mezzo-sangue consente loro a volte di potere studiare e affrancarsi dalla condizione di servi od operai. Si forma in questo modo una "borghesia creola", spesso doppiamente ghettizzata perché non integrata coi padroni bianchi e contemporaneamente rifiutata dai loro servi neri, però più istruita per la necessità di emanciparsi e capace di fondere ad un livello più alto di cognizione teorica e formale la cultura e la musica anglofona-statunitense, francofona-europea e afro-americana. Proprio qui a cavallo tra il 1800 e il 1900, secondo una tradizione ormai affermata anche se probabilmente non del tutto corretta, nasce il jazz, il risultato cioè della fusione della tradizione musicale afroamericana, soprattutto blues e ragtime, con la cultura musicale filo-europea della borghesia mulatta, colta ed orchestrale. Questa musica si poteva sentire ovunque, per strada e nei locali e soprattutto nelle fanfare delle bande dei cortei funebri. Questa musica è incarnata quasi fisicamente dalla popolazione creola meticcia di New Orleans.
A New Orleans dal 1907 esiste un intero quartiere tutto dedito alle bische per il gioco d'azzardo, all'alcool e alla prostituzione, questo quartiere si chiama Storyville[6]. Nelle case di appuntamenti di Storyville spesso si esibiscono gruppi di musicisti jazz, che con la loro musica svolgono il doppio compito di intrattenere i clienti in attesa e di coprire il rumore non proprio edificante dell'ambiente della maison. Nel 1917 il quartiere viene sgomberato, e i musicisti sono costretti a trovare impieghi nelle altre città dell’Unione, seguendo l'onda più generale delle migrazioni verso le grandi fabbriche del Nord, per sopperire alla mancanza di manodopera bianca impegnata nella Prima Guerra Mondiale. Tra questi vi è anche il trombettista Louis Armstrong (1901-1971) che, emigrato da New Orleans, diventa la prima stella del jazz delle origini.
Da questo momento le storie “sociali” del blues e del jazz, che fino a quel momento convivevano e avevano condiviso un ambiente ed un pubblico abbastanza simile, imboccano due strade diverse per non incontrarsi più, se non nella contaminazione di singoli artisti. Il blues, con la sua armonia semplice ed immediata, più facile da comporre ed interpretare oltre che più facile da tramandare a memoria grazie alla sua struttura fortemente canonizzata, resterà ancora per un trentennio una forma di musica popolare nera, tipica dell'ambiente rurale delle campagne del Sud, o almeno così voleva essere percepita dagli ascoltatori bianchi e da chi raccoglieva e pubblicava le registrazioni. Il jazz invece si legherà sempre più alle forme della musica colta orchestrale bianca, diventando con lo swing, e grazie alla radio, la prima forma moderna di musica commerciale di massa, per poi ancora rinnovare sé stesso e la sua tradizione sulla base di nuove forme di improvvisazione strumentale (bebop etc.)
Nel 1920 negli Stati Uniti iniziano le trasmissioni Radio e nasce di conseguenza anche il mercato delle produzioni discografiche (di proprietà naturalmente di imprenditori bianchi) per il pubblico nero, soprattutto a New York e Chicago: i cosiddetti race records. Grazie al business, ma anche all'intraprendenza di alcuni ricercatori ed etno-musicologi sul campo (spesso proprio "tra i campi" a cercare i musicisti) come John Lomax e il figlio Alan, oppure John Hammond Senior, nascono le prime star dell'industria discografica "di razza" come la cantante Bessie Smith (1894-1937) e incidono i primi chitarristi di blues rurale, cioè il blues delle origini contadine (detto anche downhome blues), come Charlie Patton (1891-1934) e Robert Johnson (1911-1938); una musica che spesso però serve anche per assecondare il gusto esotico della borghesia urbana bianca. Ancora una volta molti di questi chitarristi/cantanti sono ciechi, e spesso infatti hanno l'appellativo blind "cieco" anteposto al nome: Blind Willie Johnson (1897-1945), Blind Lemon Jefferson (1893-1929), Blind Blake (1893ca.-1933), Blind Willie McTell (1901-1959).
Il Ragtime aveva influenzato tantissimo lo stile dei chitarristi, e questi creano uno stile di Ragtime applicato alla chitarra che viene detto fingerpicking. In questo stile il pollice della mano destra svolge in pratica la funzione che era della mano sinistra per il pianista mentre la melodia è eseguita dalle altre dita[7]. Questo stile viene quindi applicato anche al blues e ai temi e melodie tradizionali sacre o profane. I più raffinati interpreti di questo stile sono probabilmente Mississipi John Hurt (1892ca.-1966) e Reverend Gary Davis (1896-1972), anch’egli cieco e che era pure pastore battista. Nasce così il primo vero stile originale della chitarra acustica, anche se oggi il termine fingerpicking (o fingerstyle) è spesso usato semplicemente come sinonimo di chitarra acustica suonata con le dita.
Tutti i bluesmen utilizzavano e si tramandavano delle accordature diverse da quella standard, per essi infatti, privi di qualunque istruzione musicale che non fosse orale o per imitazione, questa accordatura doveva essere piuttosto ostica. Nasce così l’uso accordare la chitarra in modo che le corde suonate a vuoto diano subito un accordo definito, le cosiddette open tunings (accordature aperte). Un approccio molto più intuitivo e pragmatico quindi che permette di suonare subito i blues con tre sole posizioni di barré fondamentali[8]. Dall’idea di un barrè mobile (cioè le corde premute tutte insieme allo stesso tasto) si sviluppa la tecnica dello slide, cioè di un coltello o di un collo di bottiglia[9] fatto scivolare sulle corde per creare quell’effetto conosciuto come tipico della chitarra hawaiana[10]. Tutte queste possibilità tecniche e stilistiche permettono, anche se in una struttura tipica e canonica come quella del blues o delle altre forme musicali tradizionali, una notevole varietà esecutiva, e talvolta anche la composizione brani interamente strumentali per sola chitarra[11].
Negli anni '40 il nuovo blues elettrico e il rhythm 'n' blues, per il solito problema del volume, ridimensionano di molto l'uso della chitarra acustica, incapace di competere con strumenti come contrabbasso, batteria e fiati. Negli anni '50 la rivoluzione del rock 'n' roll esalta tutto il fascino timbrico, ed anche glamour, della chitarra elettrica che diventa ora, e per sempre, la regina degli strumenti rock ed il simbolo stesso di un genere musicale. Allo stesso tempo ciò determina l'eclissi della chitarra acustica relegata per lo più in una posizione di semplice accompagnamento, incapace, anche per la tecnologia delle registrazioni dell’epoca, di competere con i "nuovi" strumenti elettrici.
Nel 1939 il mandolinista Bill Monroe (1911-1996) fonda i Blue Grass Boys e con questo gruppo, e con Earl Scruggs al banjo, crea un nuovo stile che dal nome del gruppo si chiamerà bluegrass: questo genere viene identificato dai più come un particolare stile di country[1], di cui riprende il repertorio basato sulle antiche ballate popolari degli immigrati irlandesi, scozzesi e inglesi. Il bluegrass non è un genere vero e proprio, ma piuttosto uno stile esecutivo che si nutre di una tradizione popolare precedente, old-time, country, jazz, blues. Tipico di questo stile è però il tempo binario spesso molto veloce, o comunque abbastanza sostenuto e ballabile. Negli anni '60 con Doc Watson (1923-2012) la tradizione del bluegrass viene reinterpretata sfruttando le potenzialità della chitarra come strumento principe, ma è Clarence White (1944-1973) che coi Kentucky Colonels emancipa definitivamente la chitarra acustica dalla funzione esclusiva di accompagnamento e la trasforma in uno strumento solista. Questo stile raggiunge forse il suo livello più alto con la Nitty Gritty Dirt Band, che nel disco Will the Circle be Unbroken (1972) riunisce due generazioni a confronto, ognuna coi suoi stili. Questi chitarristi hanno applicato lo stile del bluegrass alla chitarra acustica e hanno creato la tecnica flatpicking: le corde sono suonate sempre con una pennata alternata, riprendendo forse inconsapevolmente lo stile gipsy che era stato di Django Reinhardt (1910-1953)[2]. Negli anni '70 Dan Crary (1939) e Norman Blake (1938) per primi, grazie anche ad una superiore capacità tecnica, si cimentano in brani strumentali per chitarra sola, più spesso per due chitarre, ma è certamente Tony Rice (1951) che riesce a portare al punto più alto le possibilità della chitarra acustica di matrice bluegrass riuscendo a miscelare anche elementi jazz. A proposito merita di essere segnalato il nostro Beppe Gambetta che è riuscito nell'impresa di "vendere il ghiaccio agli eschimesi", diventando un rispettatissimo chitarrista bluegrass, lui italiano di Genova, in America.
Per la storia della chitarra acustica solista è però di certo più importante l'ondata di blues revival che investì i primi anni '60 quando, grazie ad un rinato interesse per le radici della cultura americana e quindi anche di quella musicale nera, un manipolo di volenterosi etnomusicologi, talvolta un po' improvvisati ma certamente carichi di tanto entusiasmo (come Tom Hoskins, Bill Barth o Henry “Sunflower” Vestine) riporta alla ribalta i protagonisti della musica nera delle origini, come Skip James e Mississippi John Hurt, talvolta andandoli a ritrovare nelle campagne in cui erano tornati a lavorare dopo le incisioni degli anni '20-'30 (per le quali tra l'altro non avevano avuto alcun compenso da diritto d'autore da parte dell'industria musicale "bianca"). Tra questi c'era pure un giovane appassionato di blues rurale che lavorava in una pompa di benzina a Langley Park nel Maryland, e che un giorno decise con l'amico Ed Denson di partire per il sud per ritrovare il vecchio Bukka White (1909-1977) e fargli reincidere un disco. Questo ragazzo era John Fahey (1939-2001). John Fahey è sicuramente l'artefice della vera grande innovazione della musica per chitarra acustica solista, anzi, se non si può dire che ne sia stato l'inventore, è certamente stato quello che ha dato dignità artistica al genere, dimostrando come la chitarra, partendo dalle basi e dagli stili tradizionali americani, potesse aspirare a diventare uno strumento totalmente autosufficiente e, come talvolta con forse troppa enfasi si dice oggi, una vera e propria orchestra su sei corde, pure teorizzando e definendo i principi e l'estetica di quella che lui stesso chiamò American Primitive Guitar[1]. Anche se non si può parlare di una vera e propria scuola, l'esempio di Fahey spinse presto altri musicisti sulla sua stessa strada e lui stesso ne produsse alcuni con l'etichetta da lui fondata, la Takoma. Tra questi ad esiti diversi e pure notevoli giunge Robbie Basho (1940-1986), che partendo dagli stili della tradizione americana nutre la sua musica di suggestioni orientalizzanti. Parallelamente in Gran Bretagna qualcosa di simile accade laddove Davy Graham (1940-2008) per primo comincia a riproporre in chiave solista brani ispirati alla tradizione folk inglese[2], seguito subito da Bert Jansch (1941-2011) ma soprattutto da John Renbourn (1944-2015) il quale, dotato di una tecnica esecutiva certamente più raffinata, pur nella diversità dell'ispirazione, per il posto che occupa come modello di approccio musicale e per la notevole influenza su tantissimi chitarristi successivi si può in un certo senso considerare il Fahey inglese o europeo.
Negli anni '70 un altro chitarrista esce dalla scuderia di Fahey, Peter Lang (1948), mentre la musica per chitarra acustica, in modo abbastanza imprevisto, comincia pure a conquistarsi un suo spazio nel mercato discografico. Il chitarrista che per primo raggiunge un successo quasi pop è ancora un prodotto di Fahey e della Takoma, Leo Kottke (1945), che all'approccio faheyano aggiunge una superiore abilità tecnica sullo strumento, oltre ad utilizzare spesso in modo assai originale la chitarra dodici corde. In questi stessi anni sono comunque attivi lo stesso John Fahey e Robbie Basho che, pure appartenendo cronologicamente alla generazione precedente, producono ancora adesso alcune tra le loro opere migliori.
Dalla metà degli anni '70, passata la generazione dei vecchi padri del blues, e forse proprio per questo, col tentativo di conservare e perpetuare la memoria di un genere che è ormai sentito come un patrimonio culturale, nasce un nuovo revival del blues acustico. Il migliore interprete è certamente Stefan Grossman (1945), buon chitarrista ma più famoso per le innumerevoli pubblicazioni didattiche in cui, tramite libri o registrazioni di sue interpretazioni, descrive e "insegna" a suonare nello stile degli interpreti del blues rurale e del fingerpicking. Grossman è certamente un grande divulgatore (oltre che un abile businessman) e si deve molto anche a lui se nasce un vero e proprio "mercato" intorno alla chitarra acustica, grazie anche alle pubblicazioni della sua etichetta discografica Kickin’ Mule, fondata assieme al già citato Ed Denson. Il suo esempio fa proseliti anche in Italia, dove pure vivrà per un periodo, e le pubblicazioni, a volte davvero pionieristiche, di Andrea Carpi, Giovanni Unterberger e Reno Brandoni ne sono certamente l'eredità più importante: una serie di manuali su cui si formerà una intera generazione di chitarristi e appassionati italiani. Va aggiunto la grande popolarità che grazie a Grossman ottiene l'intavolatura [1], capace di rendere fruibile ad un pubblico più vasto un grande repertorio di brani tradizionali e non, ma che nel contempo ha anche alimentato una conoscenza un po’ dilettantesca della "forma" musicale. Infatti pur coi grandi meriti che gli si devono riconoscere, la “grande colpa” di Grossman è però quella di avere diffuso in questo modo un'analisi senza un'estetica, sfociata sovente in molti suoi epigoni in una sorta di "classicismo manierista" del fingerpicking.
Alla fine degli anni '70 e per tutti gli anni ’80 il posto che era stato della Takoma viene preso dalla casa discografica Windam Hill, fondata dal chitarrista William Hackerman (1949). La Windam Hill sarà la casa dei più importanti chitarristi di questo periodo: Alex De Grassi (1952) e Michael Hedges (1953-1997) sopra tutti, ma anche di altri ottimi musicisti come Michael Gulezian (1957). In essi la tecnica sullo strumento mostra ancora un deciso passo in avanti, mentre la complessità compositiva, che si stacca ormai nettamente dalle radici del blues acustico, rivela ora le influenze della musica colta e del jazz, nel tentativo di creare una sorta di “forma orchestrale su sei corde”. Caratteristica comune a molti chitarristi di questa generazione è anche lo sviluppo di quegli stili percussivi sullo strumento che sono oggi corredo di quasi ogni chitarrista acustico e, grazie anche alle migliori tecniche di registrazione e amplificazione, lo sviluppo anche sulla chitarra acustica della tecnica del tapping, che proprio in quegli anni si diffonde ma che fino a quel momento era prerogativa dei soli chitarristi elettrici[1]. A parte va citato il caso del chitarrista francese Pierre Bensusan (1957), che a soli 17 anni si rivela al pubblico come talento precoce. La sua musica segue un percorso molto personale, legato più alla cultura del folk europeo, senza seguire troppo l'onda dello sviluppo tecnico sullo strumento, ma privilegiando piuttosto uno spiccato lirismo compositivo.
Negli ultimi anni lo sviluppo degli approcci compositivi segna una battuta d’arresto. I chitarristi dell’ultima generazione, indicativamente dagli anni’90 in poi, sono tutti per lo più degli stilisti: virtuosi dello strumento che esaltano e perfezionano approcci musicali che non sono però del tutto originali. Il livello di raffinatezza come esecutori ormai è sempre notevole e raggiunge i vertici con Peppino D’Agostino (1951) e Preston Reed (1955) e che mostrano tutta l’eredità della scuola Windham Hill. Woody Mann (1953) è invece il più legato al fingerpicking classico mentre Tommy Emmanuel (1955), dopo una prima parte della propria carriera come chitarrista elettrico, si è poi definitivamente convertito alla chitarra acustica diventando ad oggi certamente il chitarrista più popolare ed ammirato, anche per una notevole abilità tecnico-percussiva.
Già dalla fine degli anni '70 assistiamo alla formazione di una piccola ma dignitosissima schiera nostrana di chitarristi acustici. Oltre al già citato Peppino D’Agostino, che è ormai da considerarsi a tutti gli effetti statunitense, i nomi più importanti sono quelli di: Maurizio Angeletti, il più legato all'esperienza di Fahey e della sua "scuola" insieme a Roberto Menabò; Riccardo Zappa che, animato da un vivace eclettismo, arriva spesso a sperimentare le più diverse sonorità; Franco Morone lirico e arioso, il più vicino al modello di Renbourn assieme a Giuseppe Leopizzi; il già citato Beppe Gambetta, il campione del bluegrass nostrano.
Dalla metà degli anni ’90 la più recente schiera di chitarristi italiani si è notevolmente infoltita grazie anche al contributo di numerosi chitarristi che talvolta arrivano da esperienze musicali diverse: Paolo Giordano, Stefano Nobile, Armando Corsi, Giovanni Pelosi, Daniele Bazzani, Pino Forastiere, Luca Francioso, Roberto Dalla Vecchia, Walter Lupi e molti altri.
Negli ultimi anni le reali novità paiono veramente poche e lo sviluppo creativo della musica per chitarra acustica solista sembra purtroppo essersi fermato[1]. Molti dei musicisti di oggi possiedono un livello tecnico ottimo ed invidiabile, ma troppo spesso manca loro un'autentica spinta innovativa, magari capace di rileggere la tradizione per guardare avanti. Troppi musicisti infatti si relegano nella riproposizione degli stessi stilemi, sempre più raffinati e stilizzati fino al parossismo, scadendo però a volte in una sorta di paradossale "pop acustico"! La musica per chitarra acustica rischia, e purtroppo spesso già accade, di diventare una musica ad uso "esclusivo" dei chitarristi, incapace di rivolgersi ad un pubblico più ampio e "non preparato", a volte un'esibizione compiaciuta di tecnica e acrobazie percussive spettacolari che, seppure sul momento possono incantare il pubblico, di fatto sacrificano la melodia e la composizione all'effetto spettacolare e alla lunga allontanano invece l’ascoltatore da una musica che si mostra troppo "altra" e "poco musicale" in senso stretto. Un esercizio di stile e tecnica insomma che può mascherare una povertà di idee compositive anche drammaticamente profonda.
All'origine di ciò sta probabilmente un malinteso. Il tentativo di ampliare le possibilità espressive della chitarra porta di fatto a costringere approcci non chitarristici sullo strumento che, se non sapientemente dosati, sacrificano la composizione all'effetto timbrico e ritmico, o addirittura puramente “scenico”. Forse si dovrebbe piuttosto accettare che la chitarra è uno strumento intrinsecamente limitato in alcune possibilità, soprattutto armoniche, e che invece entro quei limiti è da ricercare, e si spera qualche volta "trovare", la massima creatività ed espressività.
Credo vada considerato pure un fatto strettamente economico: suonare la chitarra da sola “costa poco”. L’ingaggio di un musicista per una esibizione dal vivo è certamente inferiore a quanto sarebbe avendo altri musicisti al seguito, mentre pur con un ingaggio ridotto il margine di guadagno per il singolo musicista può risultare anche maggiore, il che, unito ad un impegno organizzativo sia tecnico-pratico che orchestrale praticamente nullo, attrae alcuni musicisti verso la forma del “concerto solo” di chitarra acustica, e non necessariamente, a mio avviso, per una scelta squisitamente artistica. Ciò è più evidente in quei chitarristi che non si riconoscono, o comunque non mostrano nella propria musica, una dimestichezza con la dimensione propriamente "acustica" dello strumento, e che provengono per lo più da esperienze e tradizioni musicali diverse, classica, jazz, rock o addirittura pop, ma che trovano nella chitarra acustica uno mezzo idoneo allo sviluppo di una personale dimensione artistica, e sfruttano appieno invece le potenzialità dei più recenti sistemi di amplificazione e di conseguenza anche le tecniche mutuate dalla chitarra elettrica.
Questa discografia non vuole essere né completa per i generi, né esaustiva per la produzione dei singoli artisti. Altro non è che una guida minima che traccia i momenti fondamentali della musica per chitarra acustica attraverso i protagonisti citati. Una guida quindi volutamente non completa, ma comunque abbastanza ampia, capace di dare il senso dell'evoluzione di un genere attraverso i dischi, a mio avviso, più importanti. Il semplice curioso che vorrà avere un'idea di cosa sia la musica per chitarra acustica troverà qui elencati i dischi più rappresentativi dei singoli artisti nei diversi generi trattati. Chi invece si dovesse appassionare a questa musica troverà un punto di riferimento iniziale per approfondire in seguito le personalità dei singoli protagonisti.
Robert Johnson
King of the Delta Blues Singers - Columbia 1961
Mississipi John Hurt
Worried Blues - Rounder 1963
Today - Vanguard 1966
Last Sessions - Vanguard 1972
Rev. Gary Davis
Harlem Street Singer – Prestige Bluesville 1960
Say No to the Devil - Prestige Bluesville 1961
Doc Watson
Doc Watson – Vanguard 1964
Southbound – Vaguard 1966
Clarence White
- con i Kentucky Colonels
Long Journey Home – Vanguard 1964
Appalachian Swing – Rounder 1964
- solista
33 Acoustic Guitar Instrumentals – Sierra 2000
Nitty Gritty Dirt Band
Will the Circle Be Unbroken - EMI 1972
John Fahey
Dance of Death and Other Plantation Favourites - Takoma 1964
The Transfiguration of Blind Joe Death - Takoma 1965
Vol. 4: The Great San Bernardino Birthday Party - Takoma 1966
Requia & Other Compositions for Guitar Solo - Vanguard 1967
The Voice of the Turtle - Takoma 1968
The Yellow Princess - Vanguard 1969
America - Takoma 1971
Live in Tasmania - Takoma 1981
Robbie Basho
The Seal of the Blue Lotus - ACE 1965
The Grail and the Lotus - Takoma 1966
Venus in Cancer - Tompkins Square 1969
Vision of the Country - Windham Hill 1979
Leo Kottke
6&12 String Guitar - Takoma 1969
Greenhouse - Capitol 1972
My Feet are Smiling (live) - Capitol 1973
Peter Lang
The Thing at the Nursery Room Window - Takoma 1973
Lycurgus - Flying Fish 1975
John Renbourn
John Renbourn - Transatlantic 1965
Bert & John [con Bert Jansch] - Transatlantic 1966
Another Monday – Castle Music 1967
Sir John Alot of – Shanachie 1968
Faro Annie - Transatlantic 1971
The Hermit - Shanachie 1976
The Black Balloon - Shanachie 1979
Bert Jansch
Bert Jansch - Transatlantic 1965
It don't Bother Me - Transatlantic 1965
Jack Orion - Transatlantic 1966
Nicola - Transatlantic 1967
Birthday Blues - Transatlantic 1969
Rosemary Lane - Transatlantic 1971
Norman Blake
Back Home in Sulphur Springs – Rounder 1972
The Fields of November - Flying Fish 1974
Wiskey Before Breakfast – Rounder 1976
Dan Crary
Bluegrass Guitar – Sugar Hill 1970
Lady’s Fancy – Rounder 1977
Guitar – Sugar Hill 1983
Tony Rice
Skaggs & Rice - Sugar Hill 1980
Backwaters – Rounder 1980
Church Street Blues – Sugar Hill 1983
Alex De Grassi
Turning: Turning Back - Windham Hill 1978
Slow Circle - Windham Hill 1979
Clockwork - Windham Hill 1981
Southern Exposure - Windham Hill 1984
Michael Hedges
Breakfast in the Field - Windham Hill 1981
Aerial Boundaries - Windham Hill 1984
Taproot - Windham Hill 1990
Oracle - Windham Hill 1996
Michael Gulezian
Unspoken Intentions - Takoma 1980
Distant Memories and Dreams – CD Baby 1992
Pierre Bensusan
Pres de Paris – Cezame 1975
Pierre Bensusan 2 – Cezame 1977
Musiques - Cezame 1979
Solilaï - CBS 1981
Spices - BFM 1988
Intuite - Dadgad Music 2001
Peppino D’Agostino
Acoustic Spirit – Shanachie 1987
Close to the Heart - Mesa 1994
A Glimpse of Time Past - Acoustic Music Records 1999
Woody Mann
Stories - Greenhays 1994
Stairwell Serenade - Acoustic Music Records 1995
Preston Reed
Metal - Solid Air Records 1995
Tommy Emmanuel
Midnight Drive - Higher Octave 1997
Only - Southbound 2000
Endless Road - Favored Nations 2005
Maurizio Angeletti
Windows Over the Stream - Old Tennis Shoes 1981
Go Fly a Kite – Moondance 1983
Roberto Menabò
A bordo del Conte Biancamano – Cocò Dischi 1985
Riccardo Zappa
Celestion – Divergo 1977
Chatka – Divergo1978
Trasparenze – DDD 1980
Beppe Gambetta
Dialogs – Brambus 1988
Good News from Home – Green Linnet 1995
Traversata – Acoustic Disc 2001
Blu di Genova - Gadfly 2002
Franco Morone
Stranalandia – DDD 1990
Guitarea – Acoustic Music 1994
The South Wind – Acoustic Music 1996
Melodies of Memories - Acoustic Music 1998
Giuseppe Leopizzi
- con gli Aes Dana
The Far Coasts of Sicily – Hi Folks 1987 (rist. The Far Coasts… & Lost Tracks Folkclub Ethnosuoni 2008)
- come Licia Consoli & Giuseppe Leopizzi (arpa e chitarra)
Nierika – DDD 1990
Esistono in commercio molti manuali di chitarra acustica che affrontano lo strumento da un punto di vista tecnico pratico, ma manca parallelamente pubblicazioni con un approccio di tipo storico e teorico musicale realmente divulgativo. Questi manuali spesso forniscono analisi dettagliatissime sui particolari esecutivi, ma non è sempre facile così ricostruire il senso del progresso storico delle tecniche e degli stili, tralasciano del tutto i principi compositivi degli autori originali o la tradizione formale alla base degli standards. Ho preferito quindi indicare pochissimi titoli, non tutti facili da trovare in verità, che rappresentano però a mio avviso un sincero e riuscito tentativo di trattare un'arte non colta come un'arte nobile, con una sua specifica estetica e dignità artistica.
Mario Baroni, Enrico Fubini, Paolo Petazzi, Piero Santi, Gianfranco Vinay, Storia della Musica, Milano – Einaudi 19993.
Arrigo Polillo, Jazz, Milano – Mondadori 19832 (rist. con aggiornamenti a cura di Franco Fayenz).
Amiri Baraka (Leroi Jones), Il Popolo del Blues. Sociologia degli Afroamericani Attraverso il Jazz. Milano - Shake 1994 (tit. or. Blues People. The Negro Experience in White America and the Music that Developed from it, New York – Morrow & Co. 1963).
Paul Oliver, La Grande Storia del Blues, Milano – Anthropos 1986, (tit. or. The Story of The Blues, London - Barrie & Jenkins 1969). Questa traduzione purtroppo non è stata mai più ristampata; attualmente è disponibile La Grande Storia del Blues, Milano – Polo Books 2002, che è però una versione ridotta e rimaneggiata dell’originale, decisamente sconsigliata anche per alcuni evidenti refusi di stampa.
I seguenti libri sono ormai piuttosto difficili da reperire, ma per il loro valore, anche a distanza di tempo, meritano ancora di essere segnalati per chi avesse la fortuna di trovarli.
Fabrizio Venturini, Sulle Strade del Blues, Milano – Gammalibri 1984.
Maurizio Angeletti, American Guitar, Milano – Gammalibri 1984.
Roberto Menabò, John Fahey, Bologna – Lapis Lapsus 2002.
Per chi non conosce l'inglese i siti e le riviste in italiano veramente interessanti sono pochi. La conoscenza dell’inglese dà la possibilità di accedere certamente ad una quantità di informazioni enormemente maggiore, e spesso non mediate.
Qui una selezione necessariamente ridotta rispetto al mare magnum di informazioni che è possibile trovare in rete.
La rivista di settore più autorevole, pubblicata negli Stati Uniti. Interventi sempre autorevoli e approfonditi, tanto nelle recensioni quanto negli articoli e nelle prove degli strumenti. Un punto di riferimento. Da avere sempre sott’occhio per stare al passo ed essere aggiornati con le ultime novità.
In un certo senso il corrispettivo inglese di Acoustic Guitar. Rivista molto ben curata in tutti i suoi aspetti, naturalmente con un occhio di riguardo per i musicisti di casa (Europa) nostra.
Questo è un sito generalista. Le schede dei singoli musicisti sono però vastissime e sempre molto curate. Ricchissimo di informazioni e con la possibilità di ritrovare la discografia. Generalmente molto affidabile ma, come tutte le informazioni che si trovano in rete, non è da prendere con certezza assoluta.
Il sito fondato da Reno Brandoni è ormai la “casa virtuale” dei chitarristi acustici italiani. È possibile trovare articoli, recensioni, prove di strumenti, materiale didattico e quant’altro. Inoltre attivo nella promozione di attività e incontri musicali. Strettamente correlata al sito è la rivista Chitarra Acustica.
Dal sito di Stefan Grossman segnalo il forum, frequentatissimo, dove potrete trovare probabilmente una risposta a qualunque domanda vi passi per la mente, dai musicisti agli strumenti alla tecnica e quant’altro.