Interviste

Intervista ad Alessandra Favoriti

di Claudia Tazza, 3H - 22/05/2024


Abbiamo intervistato la dottoressa Alessandra Favoriti, nostra concittadina, ex medico della Nazionale femminile di pallavolo e medico sportivo della Ternana calcio. Un esempio di determinazione e tenacia nel lavoro e nello sport, che le ha portato grandi successi. 

Credo che la pallavolo mi sia sempre piaciuta. Ci ho giocato da subito, sin da piccolina,  perché basta una palla, uno spazio aperto come un cortile o un parco, qualcuno con cui fare due scambi. Non nego inoltre l’influenza di un cartone animato (un cult!) cioè Mila e Shiro, e quindi in realtà ci ho sempre giocato fin da piccolina, ma la prima volta che mi sono iscritta a una squadra di pallavolo avevo 12 anni, visto che prima avevo praticato atletica leggera. 

Ho iniziato a giocare alla Bosico, quindi alla squadra dell’oratorio Don Bosco di San Francesco, dove sono rimasta a giocare fino a quando non mi sono trasferita a Narni. In seguito sono stata per breve tempo alla squadra “Azzurra” di Terni e finalmente ho avuto la possibilità di lottare per vincere il campionato di serie B con la maglia della mia città, la Ternana del Presidente De Simoni. È  stata probabilmente, insieme alla maglia di Narni, l’esperienza che mi ha dato più soddisfazioni e gioie. Dopo la Ternana sono andata a giocare a Spoleto con la maglia della Monini. Poi sono tornata a Terni con una squadra che si chiamava “Acqua Azzurra”, che era una fusione tra l’Azzurra e Acquasparta. Poi ho smesso, a causa del COVID. Quest’anno ho dato per un breve periodo un aiuto alla squadra del San Gemini Volley.

Ho studiato a Terni dalle elementari alle superiori. Ho sempre avuto una passione per le materie scientifiche, quindi ho sempre amato la biologia, le scienze naturali. All’ultimo anno ho scoperto questa passione per la fisiologia del corpo umano e quindi mi sono detta: perché non provare a entrare a Medicina? Senza troppo stress, ho provato, sono entrata.  I 6 anni di Medicina li ho fatti all’Università di Terni. Ho fatto una tesi (di laurea ndr) che era un ibrido tra ortopedia e medicina dello sport perché trattava del “ginocchio del saltatore” cioè delle patologie che riguardano ginocchio degli atleti che praticano sport in cui il salto è dirimente; la pallavolo mi ha accompagnato quindi anche nello svolgimento di questa tesi. Ho fatto poi il test per Medicina dello Sport che ho frequentato per 5 anni a Roma, all’Università La Sapienza.

I miei genitori sicuramente mi hanno sempre supportata, sono i miei fan numero 1, miei tifosi, per rimanere in tema di sport! E sono sicura che senza di loro non ce l’avrei mai fatta, perché al di là del supporto economico, per frequentare un’Università così lunga ci vuole anche tanto supporto psicologico, nel senso che avere i genitori accanto che ti aiutano è fondamentale. In più, anche vederli orgogliosi del mio percorso è il regalo più grande che possiamo farci. 

Non è stato semplice scegliere perché io comunque in 6 anni di Medicina ho avuto tanti “colpi di fulmine”; mi sono piaciute sempre tante cose, però probabilmente mi ha guidato più l’istinto e lo sport, questa incredibile passione per lo sport che non ho mai abbandonato neanche durante gli anni dell’Università e che mi ha poi guidata su questa strada.

L’esperienza come medico della Nazionale è nata in modo molto semplice, perché la Nazionale ha contattato la mia Università di specializzazione per cercare un medico che potesse seguire il settore giovanile e così è iniziata la mia avventura, cominciando dalla juniores e pre-juniores, fino ad arrivare nel 2018 ad avere la proposta di essere medico della prima squadra. 

L’esperienza a Tokyo è stata fantastica, credo di aver vissuto un sogno. Credo che per uno sportivo andare alle Olimpiadi sia il coronamento di un sogno, di qualcosa che va oltre il semplice gioco. Mi sarebbe piaciuto farla da atleta ma non ho avuto queste capacità, però farla da medico è stato bellissimo! Ho conosciuto tantissime persone, ho avuto la possibilità di vedere da vicino atleti di tutto il mondo e di tutte le specialità, vivere nel villaggio olimpico è stata un’emozione grande. Chiaro, un’Olimpiade particolare perché sotto COVID, quindi tutti i giorni tamponi; non abbiamo avuto la possibilità di andare a vedere altre gare o di partecipare alle cerimonie di apertura; non c’è stato il pubblico. È stata un’Olimpiade particolare, ma la ritengo sicuramente una delle esperienze di vita più belle che abbia vissuto. 

Per me ha significato smettere di giocare a pallavolo, perché il tempo è passato, i palazzetti erano chiusi, io sono cresciuta e quindi ho abbandonato la carriera sportiva anche per quello. È stato molto difficile, più che altro perché chi ama lo sport come me ha sofferto; soprattutto a livello locale era veramente impossibile per le società amatoriali, che sono la base della piramide dello sport in Italia, organizzare allenamenti o partite con le leggi che c’erano. All’epoca ero il medico della Ternana e con la Società siamo riusciti a scavalcare questo periodo e abbiamo anche vinto il campionato. Il COVID da questo punto di vista ci ha portato fortuna! Ringrazio lo sport ancora una volta che mi ha aiutato a superare questo momento, che altrimenti avrei vissuto in solitudine e invece mi ha dato la possibilità di continuare a girare l’Italia e il mondo. 

Nella pallavolo l’infortunio cronico da gestire tutto l’anno è quello legato al gesto, quindi la patologia infiammatoria di spalla, di ginocchio, di schiena. Per quanto riguarda i traumi, invece, sono molto comuni le distorsioni di caviglia e la lesione del crociato anteriore del ginocchio. Questa è una cosa che accomuna la pallavolo al calcio, in cui ci possono essere cambi di direzione, salti. Nel calcio in più c’è lo scontro. Nel calcio le patologie più comuni sono le lesioni muscolari e i traumi.

Vestire la maglia della Nazionale è una cosa che mi emoziona ancora oggi, e un privilegio. Averlo vissuto da giovane è stato da una parte molto bello, perché penso che l’ho vissuto con la spensieratezza della mia età, e dall’altra non nego che a volte non ci ho dormito la notte, quando per esempio eravamo dall’altra parte del mondo e dovevo gestire degli infortunati importanti il giorno prima di una finale. Però è stata ed è una delle emozioni più grandi che si possano vivere: sentire l’Inno d’Italia indossando quella maglia in palazzetti pieni, con la responsabilità della salute di quelle stesse atlete che un tempo erano i tuoi idoli!

La maglia della mia città l’avevo già indossata come giocatrice e già mi rendeva estremamente orgogliosa. Ormai sono 6 anni che sono medico della Ternana, responsabile medico da 2 anni, ed è una cosa che vivo con ancora più passione di quando indossavo la maglia della Nazionale. 

13. È felice del suo lavoro?

Sì, soprattutto del percorso fatto fino ad oggi. Se mi guardo indietro e vedo quello che ho fatto neanche riesco a rendermi conto se è la mia vita. Non avrei mai pensato di diventare medico, tra i miei sogni c’era quello di diventare insegnante. Probabilmente ho sempre avuto questa indole di cercare di aiutare gli altri, e sono entrata un po’ per caso a Medicina, mi ci sono appassionata pian piano e ho scoperto dei lati di me che non conoscevo tra cui questa voglia di prendermi cura degli altri. Sono una perfezionista e ce la metto sempre tutta per fare meglio e spero di sbagliare il meno possibile e di trasmettere questa gioia che ho nel fare il mio lavoro. 

14. Se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa del suo percorso?

Tornando indietro qualcosa avrei fatto di diverso probabilmente: avrei fatto ancora più corsi, sto cercando di recuperarli, di farne più possibile perché la Medicina è una disciplina in continua evoluzione quindi non si finisce mai di studiare. A volte vorrei avere più tempo per aggiornarmi rispetto al tempo che dedico al lavoro. Comunque tornando indietro rifarei tutto, magari cercando di viverlo con più leggerezza. E mi direi “Brava!” un po’ più di volte.

15. Cosa consiglia ai giovani come noi che devono scegliere la propria strada?

Il mio consiglio è di seguire il proprio istinto, i propri sogni e quello che ci piace fare. A chi non ha le idee chiare, dico di non sentirsi incompleto rispetto a chi è già sicuro del proprio percorso. Consiglio di cercare sempre di dare il massimo nell’attimo che si sta vivendo, e cercare sempre di migliorare. L’importante è impegnarsi nello studio, cercando di vivere bene, di dedicarsi anche allo sport, ai propri hobby. Lo studio e il lavoro sono importanti però è anche bene viversi la vita ed essere felici. Pensare a sé stessi senza vivere nelle ombre delle aspettative degli altri, l’importante è fare quello che vogliamo noi. Avere degli obiettivi è importante ma lo è anche essere capaci di accettare la sconfitta se qualcosa non viene subito bene come vogliamo. Ogni strada se è quella che piace a noi è la strada giusta. Non esiste un lavoro migliore di un altro, esiste il lavoro giusto per noi.

Intervista a Fajar

di Chiara Diamante Battisti - 2F


IL MIO ARRIVO IN ITALIA 

                                             

Quando e perché sei venuta in Italia? 

Io vivevo in Pakistan. Sono venuta in Italia nel 2018 perché il mio papà lavorava a Terni già da due anni.

Come è stato l’incontro con il tuo papà?

Ero molto emozionata, felice di poterlo rivedere e abbracciare. 

Cosa hai fatto i primi giorni e come ti sentivi? 

Appena arrivata uscivo poco, tutto mi sembrava diverso dal mio paese, non capivo l’italiano, non conoscevo Terni e non avevo amici. Mi sentivo sola e mi annoiavo molto. 

Cosa sapevi di Terni e come immaginavi che fosse?

Non sapevo nulla di Terni, immaginavo che fosse una bella città. Ero contenta di venire in questa città per stare insieme al mio papà e alla mia mamma.

Cosa ti è piaciuto e cosa hai visto?

Di Terni mi sono piaciute soprattutto le pizzerie e la pizza. Ho visitato la Cascata delle Marmore e ne sono rimasta affascinata.

Quali sono state le prime parole di italiano che hai imparato?

Le prime parole che ho imparato sono state “Ciao”, “arrivederci”, “buongiorno”.

Quando e dove hai cominciato la scuola?

I primi due anni non sono andata a scuola perché c’era il Covid. Dopo ho iniziato a frequentare la quinta elementare alla scuola Renato Donatelli.

Come ti sei sentita all’inizio a scuola?

Il primo giorno è stato difficile: ero preoccupata perché non capivo la lingua e non conoscevo nessuno.

Cosa facevi in classe quando non capivi la lingua?

All’inizio provavo a tradurre le parole con l’aiuto della maestra che mi dava delle schede. Poi ho imparato a usare Google traduttore. 

Cosa facevi di pomeriggio dopo le lezioni?

Passavo i pomeriggi con mia sorella che mi aiutava a fare i compiti. Alcune volte, uscivo con la mamma e ho iniziato a conoscere la città. A me piacciono molto i negozi e i centri commerciali.

Cosa ti manca maggiormente del tuo Paese? 

Mi mancano molto gli amici, mia nonna e i vestiti tradizionali del Pakistan, come il Kurta che a Terni non riesco a trovare.

Cosa speri per il tuo futuro?

Io vorrei continuare a studiare, frequentare l’università e diventare medico.

Intervista allo storico Alessandro Barbero

di Francesco Mesiano, 3H - 25/03/2024

Questo mese abbiamo avuto l’onore di poter intervistare Alessandro Barbero. Ma chi è Alessandro Barbero? Nato il 30 aprile 1959, è un famoso storico, divulgatore e scrittore specializzato in storia medievale, che ha insegnato all’università del Piemonte orientale fino a poco fa, quando ha tenuto l’ultima lezione tra gli applausi dei suoi studenti. Barbero è conosciuto anche grazie alla partecipazione a molti programmi tv, ai suoi video sui social, di cui il più visto ha superato 2,5 milioni di visualizzazioni, e ai podcast. Tra questi ricordiamo “Chiedilo a Barbero”, dove lo storico soddisfa le tante curiosità che gli chiedono gli ascoltatori sulla storia. Barbero spiega in modo sempre molto chiaro, divertente e appassionato e sa trasmettere  ai giovani l’amore per la storia. Qui di seguito l’intervista, che ci ha cortesemente concesso.

Lei ha scelto di specializzarsi nella storia medievale, come mai quest’epoca che per molti è considerata meno affascinante di altre?

Ma io non credo che siano in molti a considerare il Medioevo un'epoca poco affascinante. Anche quelli che continuano a credere a un Medioevo oscuro, barbarico e superstizioso lo trovano comunque affascinante, tant'è vero che questo periodo immaginario continua a essere popolarissimo!

In un’epoca che verrà sempre più dominata dall’ia, la divulgazione e gli storici svaniranno?

Beh, dipende. Se spariranno i poeti, i romanzieri, i registi di cinema o di serie televisive, gli autori di fumetti, i filosofi, allora, certo, spariranno anche gli storici e i divulgatori. Ma per quanto l'intelligenza artificiale possa progredire, nel migliore dei casi potrà produrre ancora altri romanzi, poesie o libri di storia, buoni quanto quelli che scrivono gli esseri umani, non migliori: e dunque perché mai gli esseri umani dovrebbero smettere di scriverli, dato che scrivere non lo si fa per dovere, come andare a buttare via la spazzatura, ma perché amiamo farlo?

Secondo lei gli storici che ruolo hanno nella società di tutti i giorni?

Hanno il ruolo di ricordare a tutti che il mondo è com'è non per caso, ma perché è diventato così, che tutto quello che vediamo intorno a noi è il risultato di una trasformazione, e si sta ancora trasformando; e che per capirlo, questo mondo, è utile anche sapere come e perché è diventato così.

Oltre ad essere stato professore universitario, è anche uno scrittore e divulgatore in tv e sul web. Quale di queste attività l’appassiona di più?

Senza alcun dubbio la ricerca, e la scrittura di libri e articoli scientifici, non c'è niente di più eccitante e appassionante!

La De Filis racconta...

Queste interviste servono a conoscere bene le abitudini e le tradizioni dei paesi in cui gli intervistati sono nati e hanno vissuto. Ogni cultura è diversa da un’altra ed è interessante capire quali tradizioni sono praticate e tramandate . Oggi i ragazzi e le ragazze spesso si lasciano condizionare dalle mode e dalle tendenze dei social.

Intervista a Fajar Pakistan, 2F

di Chiara Diamante Battisti,


Quando e perché sei venuta in Italia? 

Io vivevo in Pakistan. Sono venuta in Italia nel 2018 perché il mio papà lavorava a Terni già da due anni.

Come è stato l’incontro con il tuo papà?

Ero molto emozionata, felice di poterlo rivedere e abbracciare. 

Cosa hai fatto i primi giorni e come ti sentivi? 

Appena arrivata uscivo poco, tutto mi sembrava diverso dal mio paese, non capivo l’italiano, non conoscevo Terni e non avevo amici. Mi sentivo sola e mi annoiavo molto. 

Cosa sapevi di Terni e come immaginavi che fosse?

Non sapevo nulla di Terni, immaginavo che fosse una bella città. Ero contenta di venire in questa città per stare insieme al mio papà e alla mia mamma.

Cosa ti è piaciuto e cosa hai visto?

Di Terni mi sono piaciute soprattutto le pizzerie e la pizza. Ho visitato la Cascata delle Marmore e ne sono rimasta affascinata.

Quali sono state le prime parole di italiano che hai imparato?

Le prime parole che ho imparato sono state “Ciao”, “arrivederci”, “buongiorno”.

Quando e dove hai cominciato la scuola?

I primi due anni non sono andata a scuola perché c’era il Covid. Dopo ho iniziato a frequentare la quinta elementare alla scuola Renato Donatelli.

Come ti sei sentita all’inizio a scuola?

Il primo giorno è stato difficile: ero preoccupata perché non capivo la lingua e non conoscevo nessuno.

Cosa facevi in classe quando non capivi la lingua?

All’inizio provavo a tradurre le parole con l’aiuto della maestra che mi dava delle schede. Poi ho imparato a usare Google traduttore. 

Cosa facevi di pomeriggio dopo le lezioni?

Passavo i pomeriggi con mia sorella che mi aiutava a fare i compiti. Alcune volte, uscivo con la mamma e ho iniziato a conoscere la città. A me piacciono molto i negozi e i centri commerciali.

Cosa ti manca maggiormente del tuo Paese? 

Mi mancano molto gli amici, mia nonna e i vestiti tradizionali del Pakistan, come il Kurta che a Terni non riesco a trovare.

Cosa speri per il tuo futuro?

Io vorrei continuare a studiare, frequentare l’università e diventare medico.

Intervista a Sophia Magallanes

di Anna Rubini, 3B

Di dove sei originaria?

Sono originaria del Venezuela, vicino alla Colombia. 

Da quanto tempo sei in Italia?

Da circa 5 anni.

Ti piace stare qua o vorresti tornare nel tuo paese natale? 

Mi piace molto l’Italia, trovo che sia un paese bellissimo, solo che sono legata molto alla mia cultura, alle mie radici…  quindi se potessi scegliere, ritornerei. 

I tuoi genitori di dove sono? 

Sempre del Venezuela. 

Hai parenti che si trovano ancora nel tuo paese natale? 

Sì, la maggior parte.
Hai imparato velocemente la lingua o hai avuto difficoltà? 

Non ho avuto molte difficoltà poiché ero piccola. Mi hanno aiutato maestre, amiche e vicini di casa. 

Ti sei trasferita per lavoro o altre ragioni?
Mi sono trasferita perché mia madre ha avuto una malattia che non si poteva curare facilmente in Venezuela, quindi prima è venuta qua lei e poi siamo venuti anche noi. 

Resterai in Italia quando crescerai?
Per adesso vorrei rimanere soprattutto se la situazione in Venezuela non migliorerà.

Ti manca il tuo paese?

Sì molto, mi manca il clima, ci sono solo due stagioni: l’inverno in cui si sfiorano i 20 gradi e l’estate, mi mancano il cibo, i parenti.

Appena arrivata hai cambiato spesso scuola o ti sei stabilita in una e ti sei trovata bene?

Mi sono stabilita subito in una scuola e ho fatto tutte le elementari lì.

Grazie Sophia.

Grazie a te.

Intervista ad Angelo Castro, 1H

di Eula Tabuelog, 3B


Da dove vieni?

Vengo da Santo Domingo ma sono nato a Livorno.

Quando sei arrivato in Italia quali emozioni hai provato?

Quando sono arrivato in Italia non sapevo parlare l’italiano, e c'era una bambina che si chiama Viena che mi ha aiutato a parlare l’italiano

Con chi sei arrivato in Italia?

Sono arrivato in Italia da solo.

Avevi già dei parenti che vivono qui in Italia?

Sì, i miei genitori

Cosa ti manca di Santo Domingo?

Mi mancano gli amici  

Ti sei subito sentito a tuo agio nel parlare italiano?

No, ero un po' a disagio a parlare l’italiano

Come ti trovi a scuola?

Mi trovo bene, prima prendevo 4 ma adesso prendo 7 o 8. 

Cosa ti è piaciuto dell’Italia? 

Il cibo

Hai fatto nuove amicizie?

Sì, tutti i miei compagni di classe e anche il mio vicino di casa.

Cosa ti piace di più di Terni?

Mi piace di più la scuola perché ci sono i miei compagni. 

Cosa vuoi fare da grande?

Voglio diventare uno scienziato. 

Quanti fratelli hai?

Ho 4 di sangue e 5 da parte di padre. 

Grazie per il tuo tempo.

Grazie a te!

 febbraio 2023 - n. 3

Il metodo Caviardage: intervista alla prof.ssa Claudia Sillani

di Elena Barbini e Mheg Masangcay, 2H


La professoressa Sillani insegna alla defilis da circa 10 anni e si trova molto bene ma vorrebbe cambiare qualcosa delle aule e del metodo scolastico, come ad esempio usare una didattica laboratoriale, avere un ambiente più accogliente e colorato.

La professoressa Sillani utilizza in tutte le sue classi il metodo di scrittura creativa del Caviardage: si lavora con le parole di un testo, si scelgono parole o frasi che colpiscono e che evidenziano lo stato d’animo di chi scrive. Questa tecnica aiuta a far esprimere anche chi ha difficoltà a farlo verbalmente.

La professoressa è una delle poche persone nel nostro Istituto ad utilizzare metodo del Caviardage per insegnare, perché secondo lei si lavora meglio e crea un'atmosfera migliore tra alunni e insegnanti.

La prof. Sillani ci terrebbe tanto che questo metodo venisse utilizzato da più persone e spera che non venga preso con superficialità.


Come si trova in questa  scuola?

Molto bene; mi piacerebbe che venissero rinnovati gli arredi in modo che siano più funzionali e più inclusivi.

Che cos’è il metodo caviardage?

E’ un metodo di scrittura creativa che si basa su delle caratteristiche: segue un progetto ben definito, non si utilizza un foglio bianco ma si usa una pagina scritta presa a caso da un libro da macero. La finalità è comporre una propria poesia utilizzando parole prese dal testo e scelte di pancia.

Quando è nato questo metodo?

Il Caviardage è nato nel 2009, creato da Tina Festa, una docente di Scuola Primaria di Matera); attualmente è possibile seguire un percorso per diventare insegnanti certificati. 

Da dove è nata questa idea?

L’ho scoperta per caso in internet e da quel momento ho approfondito sul sito ufficiale e ho deciso poi di fare il primo corso di formazione per imparare. Dopo aver seguito il corso di primo livello per insegnanti durante il lockdown,  ho lavorato con il Caviardage in maniera costante. 

Perché ha deciso di utilizzarlo?

Perché penso che sia molto utile a far tirare fuori le emozioni dei ragazzi e a superare il blocco del foglio bianco; è anche un modo per connettersi con quello che si prova. 

Come si utilizza?

Si può utilizzare come semplice scrittura creativa o per presentare una poesia ai ragazzi ancora sconosciuta, per parlare di giornate particolari come la Giornata della Memoria. Si possono anche mischiare più poesie dello stesso autore.

Quali sono gli aspetti che ritiene più importanti nell’uso del caviardage?

Recuperare il senso della bellezza delle parole che si "illuminano", leggere il proprio pensiero agli altri, allenare la condivisione.


Grazie alla prof.ssa Sillani!

Il dott. Roberto Tazza

I giovani e il fumo

di Claudia Tazza, 2H


Anche se non se ne parla più molto, il fumo tra i ragazzi, anche giovanissimi, è certamente molto diffuso. La disponibilità di sigarette “alternative” sta aumentando rapidamente e probabilmente c’è confusione sul reale impatto sulla salute di queste nuove tipologie di fumo.

Per avere le idee più chiare a riguardo e qualche dato utile a comprendere il fenomeno, abbiamo intervistato il Responsabile della Struttura di Pneumologia della USL Umbria 2 di Terni, dr. Roberto Tazza.


Buongiorno dottore, può dirci quale è oggi la situazione del fumo tra i giovani?

Purtroppo i giovani fumano moltissimo e il numero tende a salire.

Si stima che tra i 13 e i 15 anni circa un ragazzo su 5 (e più tra le ragazze) sia fumatore, con un numero di sigarette al giorno ovviamente variabili. Questo dato è molto simile a quello del fumo in generale (compresi gli adulti). 

Un ulteriore problema è che ci sono sempre più ragazzi tra gli 11 e i 13 anni che provano a fumare.

Una percentuale sempre in aumento, triplicata negli ultimi anni, è quella dei ragazzi che fumano le “nuove” sigarette

Che differenze ci sono tra le sigarette comuni e quelle “nuove”?

Le “nuove” sigarette possono essere di due tipi:

A liquido vaporizzato.

A tabacco riscaldato.

E’ necessario chiarire subito che entrambe contengono nicotina e cioè la sostanza che induce dipendenza e quindi il mantenimento dell’abitudine (vizio) di fumare.

Nel primo caso, non essendoci tabacco, il liquido, oltre alla nicotina, contiene degli aromatizzanti.

Nel secondo il gusto è legato al riscaldamento di tabacco, anche in questo caso spesso a sua volta aromatizzato.

In entrambi i casi non vengono aspirati i prodotti della combustione del tabacco e della carta (nel caso del tabacco riscaldato si raggiungono i 350 °C mentre la sigaretta normale brucia a circa 900°C).

Ma allora dottore, il fumo fa veramente male?

Il fumo è la più importante causa di morte evitabile che esista. Il suo utilizzo è correlato a una grandissima quantità di malattie, neoplastiche e non, che rappresentano le più importanti cause di morte. Tra le malattie tumorali ci sono il cancro del polmone, dello stomaco, della vescica e delle alte vie aeree. Tra le malattie non tumorali ci sono la Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), l’infarto cardiaco, l’ictus cerebrale, etc.

Chiunque sostenga che tanto queste malattie si manifestano lo stesso, dice cose false perché gli studi a riguardo sono numerosissimi e inconfutabili.

Ma è vero che queste nuove sigarette fanno meno male rispetto alle altre?

Prima di tutto bisogna chiarire cosa significa far male. La dipendenza da nicotina è una caratteristica comune per tutte le tipologie e rappresenta da solo un problema molto importante in quanto altera il comportamento delle persone inducendo un bisogno, fisico e psicologico, che può alterare la qualità e il controllo della vita quotidiana.

Non esistono poi studi di confronto tra le varie tipologie. Gli effetti dell’inalazione di sostanze nocive a livello polmonare possono indurre conseguenze anche a molti anni di distanza e quindi non è possibile valutare le conseguenze delle nuove sigarette in quanto prodotte solo da pochi anni.

E’ certo comunque che trovare qualcosa di più dannoso delle sigarette normali, con le loro migliaia di sostanze tossiche, tra cui molte decine che possono causare il cancro, è veramente difficile!

Si può comunque ipotizzare che la sigaretta a vaporizzazione sia quella che si associa all’assunzione del numero minore di sostanze estranee e potenzialmente tossiche. Il tabacco riscaldato, non apportando sostanze sviluppatesi con la carbonizzazione del tabacco e della carta, si può ipotizzare sia meno “velenosa” della sigaretta comune. Esistono comunque dati che mostrano come anche nel fumo del tabacco riscaldato si possono ritrovare molte sostanze tossiche e cancerogene.

Quindi si può concludere che il fumo, qualunque esso sia,  fa comunque male, sia allo spirito che al corpo.

E’ possibile utilizzare le nuove sigarette per smettere di fumare?

I dati attuali non sono a favore di questa affermazione.

Il primo motivo è che entrambe le tipologie contengono nicotina e quindi la dipendenza non viene minimamente combattuta.

C’è inoltre da dire che, essendo le nuove tipologie di sigaretta meno “gradevoli” rispetto alla tradizionale, c’è il rischio di un consumo maggiore e quindi di peggiorare la situazione o comunque del ritorno alle sigarette tradizionali. Questo è maggiormente possibile con i sistemi a vaporizzazione. L’utilità delle sigarette alternative per la disassuefazione dal fumo non viene riconosciuta da nessuna delle Società Scientifiche di riferimento.

Cosa può consigliare allora ai ragazzi che fumano e a quelli che non fumano?

Non esistono ovviamente sistemi semplici, non saremmo a questo punto altrimenti, né esistono soluzioni vincenti in assoluto.

Fondamentale sarebbe non cominciare perché poi smettere è veramente complicato.

La cosa più importante, come per tante altre situazioni, è certamente l’informazione e l’esempio. 

L’informazione deve essere precisa e trasparente, fare terrorismo non serve a nulla.

Sarebbe utile poi che non si fumasse in casa.

Utili i divieti di fumare in luoghi pubblici e, auspicabile, anche nei parchi.

Insegnare ai ragazzi ad avere un proprio punto di vista e cercare di evitare “dipendenze” psicologiche da modelli negativi.

Ma purtroppo l’unico metodo che sembra aver portato a notevoli riduzioni dell’incidenza di fumatori in alcuni paesi è stato il drastico aumento del costo delle sigarette (fino a 3-4 volte le attuali).


Grazie al dott. Tazza per la sua disponibilità.

Intervista a due astri nascenti del pianoforte

di Francesco Mesiano, 2H


Due ragazzi della De Filis si mettono in mostra nel mondo della musica.

In un bellissimo edificio storico di Spoleto, Palazzo Leti Sansi, si è svolto dal 24 al 27 novembre scorso il concorso pianistico internazionale “Città di Spoleto”, dove due nostri compagni di scuola, Agata Foschi e Gabriele Nicolardi della 2 B, hanno ottenuto entrambi uno strepitoso secondo posto, rispettivamente con 93 e 91 punti su 100. Davvero un motivo di orgoglio per la scuola media “De Filis” e per la loro insegnante Svijetlana Karabuva, anche perché il concorso è aperto a musicisti di ogni nazione e in soli 10 minuti i ragazzi della loro categoria dovevano far vedere la loro preparazione a una giuria molto esperta.


Ne abbiamo parlato con loro.

Agata Foschi

Che brani avete presentato?

Io ho presentato un valzer di Chopin: opera 64 n 2, il primo movimento di una sonata di Beethoven e l’Invenzione n 14 di Bach.


Come li avete scelti?  

Chopin perché è il mio compositore preferito, Beethoven perché vorrei fare il terzo movimento di quella sonata, ma è ancora difficile e così ho iniziato dal primo e Bach perché…  è proprio bello.


Quali sono i vostri autori preferiti?

Chopin.


Cosa si prova a suonare in un concorso così importante davanti a maestri di quel  livello? 

Come ha detto Gabriele un po’ d’ansia all’inizio c’è, i maestri non si conoscono, è un concorso importante e difficile, poi però la paura del pubblico passa e ti resta la concentrazione.


Quando avete scoperto questa passione?

Io più o meno 3-4 anni fa.


Pensate che vi accompagnerà sempre ?

Certamente.  


Quali sono i vostri progetti futuri?

Vorrei diventare una concertista che gira il mondo.

Gabriele Nicolardi

Che brani avete presentato?

Gabriele: ”Io invece ho portato l’Invenzione n 8 di Bach, la fantasia in re minore di Mozart, il preludio di Chopin opera 28 n 4.


Come li avete scelti?  

Perché mi piacevano molto i brani, specialmente le invenzioni di Bach.


Quali sono i vostri autori preferiti?

Mozart.


Cosa si prova a suonare in un concorso così importante davanti a maestri di quel  livello? 

E’ una sensazione strana perché all’inizio si ha molta ansia, però più si va avanti più la paura ti passa, comunque è un’emozione davvero bella.


Quando avete scoperto questa passione?

Poco prima del Covid.


Pensate che vi accompagnerà sempre ?

Sì, sicuramente.


La vita senza musica sarebbe…

Una tristezza. Anche un film senza colonna sonora non avrebbe senso.


Quali sono i vostri progetti futuri?

Vincere il concorso Chopin, diventare anch’io un grande concertista e magari dirigere la mia orchestra classica personale.

E di certo questo non sarà l’ultimo dei loro concorsi, infatti loro studiano sempre per prepararsi a queste importanti occasioni.

Concludiamo con un ringraziamento alla prof.ssa di Agata e Gabriele, Svijetlana Karabuva.

 dicembre 2022 - n. 1

Interviste speciali

di Domenico Mascio, 3G

De Filis Times ha intervistato due punte di diamante della nostra squadra cittadina, la Ternana Calcio: il capitano Antonio Palumbo e l’(ormai ex) allenatore Cristiano Lucarelli. L’intervista concessaci da Lucarelli è l’ultima rilasciata dall’allenatore livornese, quando era ancora nelle sue funzioni. Quindi per noi è un onore e un’esclusiva.

Intervista a Carlo Lucarelli

Intervista ad Antonio Palumbo


 maggio 2022 - n. 5



Intervista alla Giornalista Elena Baiocco di Radio Rai 1


Foto di Dmitry Demidov da Pexels

La guerra in Ucraina: il racconto di una giornalista coraggiosa

di Gabriele Nicolardi, 1B

La giornalista Elena Baiocco della redazione cronaca, del Giornale Radio Rai ha gentilmente concesso un’intervista al De Filis Times. 

Ecco cosa ci ha raccontato sulla guerra in Ucraina.


“È la prima volta che lei viene inviata in una zona così vicina alla guerra?”

“Si, è la prima volta. Sono un'inviata di cronaca e la maggior parte delle mie trasferte si sono svolte in Italia, negli ultimi due anni mi sono occupata principalmente di Covid.”

“Quando le hanno affidato questo incarico era spaventata o onorata?”

“Direi pronta e determinata per questa nuova sfida: raccontare un qualcosa che nel 2022 nessuno avrebbe mai immaginato potesse accadere nel cuore dell'Europa.”

“Lei dove stava esattamente?”

“Nel primo periodo a Medyka, Przemysl e Rzeszow, località al confine tra Polonia e Ucraina per documentare il dramma dei profughi. Poi mi sono spostata a Varsavia per l'arrivo del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Successivamente ho raccontato l'Ucraina occidentale da Leopoli.”

“Durante lo svolgimento del suo incarico da inviata ha mai temuto per la sua vita?”

“No, anche se a Leopoli c'era uno stato di allerta costante: almeno due volte al giorno risuonavano le sirene antiaeree e l'atmosfera era quella di una città sospesa.”

“C’è qualcuno dei profughi che ha conosciuto che l’ha particolarmente colpita? Può raccontarci la sua storia?”

“Sì, la storia di Alina. L'ho incontrata all'ospedale pediatrico di Leopoli. Sua figlia Diana era ricoverata nel reparto oncologico. Erano scappate da Kherson dove - mi ha raccontato - le persone sparivano se manifestavano contro l'occupazione russa. Lì non c'erano più medici né possibilità di cure specifiche. Mi hanno colpita il suo sguardo e la sua determinazione nell'affrontare un lungo viaggio per dare a sua figlia una speranza di vita migliore.”

“Una volta arrivati in Polonia come venivano accolte queste persone ed in particolare i bambini?”

“Mamme e bambini, ovvero coloro che possono fuggire poiché la legge marziale impone agli uomini tra i 18 ed i 60 anni di combattere, erano accolti soprattutto da famiglie. Ho visitato diversi campi d'accoglienza, intere sale di stazioni, monasteri e sedi di associazioni che offrivano loro ospitalità. La macchina dell'accoglienza si regge soprattutto sull'impegno e la dedizione di tanti volontari.”


“Da pochi mesi io sto collaborando con il giornale della mia scuola, che consigli si sente di darmi per coltivare al meglio questa mia passione?”

“Leggere molto, ascoltare, farsi una propria opinione in base ai fatti ed essere equilibrati, osservare la realtà con i propri occhi, raccontare quello che vedi.”

“Grazie per il suo tempo”.

“Grazie a te”.

 febbraio 2022 - n. 3

Andrea Oliva: intervista al primo flautista dell'Accademia Santa Cecilia 

di Aurora Pastura, Giulio Menghini, Giulia Palermo, Giulia Sbrenna e Noemi Mustafa, 2F


Andrea Oliva è il primo flautista dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. E' uno dei più talentuosi flautisti, tra i migliori in Italia.


“Buongiorno”

“Ciao ragazzi”

“Volevamo farle alcune domande sulla sua vita artistica. Una delle tante che ci incuriosisce, è la seguente: come portava avanti lo studio scolastico nella scuola secondaria di primo grado?”

“Purtroppo non mi sono trovato bene. Rispetto alle elementari c'erano molte materie nuove. Inoltre, proprio in quel momento, avevo deciso di interrompere lo studio del pianoforte che avevo iniziato all’età di sei anni, per iniziare a suonare il flauto dolce. Proprio per questi due motivi non andavo molto bene a scuola, ad esclusione della musica, ovviamente. Facevo parte anche del coro della scuola.”

“Oltre alla musica classica, le interessano anche altri generi musicali?”

“Sì, ascolto molti generi musicali. Ovviamente il genere musicale che mi affascina di più è quello classico, ma ascolto volentieri anche gli altri, tranne il jazz.”

“Quando era giovane pensava di diventare così noto in Italia?”

“No, non pensavo a questo. Sicuramente però quando avevo quattordici anni ho cominciato da zero a studiare flauto traverso e mi sono detto: - Vorrei essere tra i numeri uno in questo strumento -. Pensavo che se volevo farlo, dovevo farlo al meglio. Tutto questo era abbastanza duro perché in quell'epoca avevo tanti interessi: c’è stato un periodo in cui volevo iscrivermi all’Istituto Alberghiero per cucinare e diventare un professionista, però poi ho pensato che la musica era l’unica cosa che mi piaceva veramente e che avrei potuto fare al meglio. Non ho pensato alla fama che avrei potuto ottenere e nemmeno ai soldi, poiché se ti piace fare una cosa la fai perché ti piace e ti fa stare bene e non per il denaro che ti viene dato.”

“Che consiglio darebbe a un neofita che ha iniziato a suonare questo strumento?”

“Il consiglio che darei è di seguire la propria passione e fare quello che veramente ti piace. Già dal primo approccio e dai primi mesi capisci se ti piace o meno. Di sicuro, se senti che quello che fai è la tua passione, anche se all’inizio ci sono delle difficoltà, sarà la scelta giusta. Quindi consiglio di tenere duro e provarci.”

“La vita professionale incide molto su quella personale?”

“Sì. La vita professionale, essendo piena di impegni, incide molto sulla vita personale. Inoltre una parte del tuo privato diventa pubblico, quindi non si sa mai quanto è veramente personale. Bisogna trovare il giusto equilibrio e trovare una partner che sia in grado di accettare questo tipo di situazione. Quando si trova un giusto equilibrio, tutto è più semplice ed è anche bello staccare un pò dalla vita professionale e stare con le persone che ami.”

“Grazie mille della sua disponibilità. E’ stato un piacere parlare con lei e grazie molte anche per i consigli che ci ha dato.”

“Non c’è di che ragazzi. Ciao e buon lavoro.”

 gennaio 2022 - n. 2

Foto di Stefano Principi da https://www.calcioternano.it/

Intervista a Marino Defendi

di Filippo Colasanti, 1H

In questo periodo in cui la Ternana è molto attiva e combattiva, il suo capitano, Marino Defendi, ci ha concesso qualche minuto per raccontarci qualche curiosità in più, sia su di lui che sulla sua squadra.

“Che ruolo ha nella squadra?”

“Nella squadra, per quanto riguarda il ruolo di gioco, sono terzino destro. Sono anche il capitano e questo mi rende molto orgoglioso”

“In quali altre squadre ha giocato?”

“Ho iniziato a giocare a calcio nel settore giovanile dell’Atalanta, a Bergamo, che poi è la città dove sono nato. Poi ho vestito le maglie di Chievo, Lecce, Grosseto, e Bari. Nell’Atalanta ho vestito anche la maglia della prima squadra, in Serie A. Ho anche giocato con la Nazionale, fino all’Under 21”

“A che età ha iniziato a giocare?”

“Ho iniziato a giocare a 9 anni.”

“Da quanto tempo gioca con la Ternana?”

“Gioco nella Ternana dal 2016”

“Le piace stare in questa squadra?”

“Stare alla Ternana mi rende felice, sto bene con i compagni, con l’ambiente, con i tifosi. Mi piace tantissimo lavorare con i dipendenti ed i collaboratori della prima squadra, spero quindi di restare ancora a lungo in questa società”

“Ha stretto qualche rapporto di amicizia particolare con qualche compagno di squadra?”

“In realtà non con un compagno in particolare con cui ho legato; siamo tutti molto affiatati e andiamo molto d’accordo soprattutto in questa stagione” 

“Quali sono le sue aspettative e speranze per i prossimi anni?”

“Anzitutto spero di continuare a giocare ancora qualche anno, anche se ne ho 36, perché mi sento bene. Poi sarebbe bello terminare la carriera in rossoverde”

“Se non avesse fatto il giocatore che lavoro avrebbe voluto fare?”

“Non ci ho mai pensato in effetti perché mi sono sempre concentrato sul calcio che, oltre ad essere diventato il mio lavoro, ha rappresentato sempre una grande passione. Ho altre passioni, questo sì. Mi piace la musica e adoro pescare, anche se i miei momenti preferiti sono quelli che passo con i miei due figli” 

Foto di Luca Pagliaricci da https://www.calcioternano.it/

Intervista a Cesar Falletti

di Francesco Giorgi, 1H

“De Filis Times” intervista Cesar Falletti, calciatore professionista della Ternana molto apprezzato, che è tornato in italia per vivere esperienze insieme ai suoi tifosi.


“Come ti chiami?”

“Mi chiamo Cesar Alejandro Falletti Dos Santos”


“Che lavoro fai?”

“Faccio il calciatore per la Ternana”


“In quali squadre hai giocato prima di venire alla Ternana?”

“Ho giocato con il Cerro, con il Bologna, con il Palermo e con il Club Tijuana”


“Dove sei nato?”

“Sono nato ad Artigas, in Uruguay”


“Hai mai giocato in nazionale?”

“Sì, dal 2010 al 2012 in “Under 20”, ha avuto 5 presenze nel Mondiale del 2011 in Colombia; invece dal 2012 al 2014 ho giocato nell'”Under 21”.


“Perché nella stagione 20/21 sei voluto tornare alla Ternana invece di restare con il Bologna in serie A?”

“Sono tornato qui per le emozioni che mi provoca giocare con questa squadra e per questi tifosi”


“Quali sono i tuoi obiettivi per questa stagione?”

“Aiutare la Ternana a confermarsi in serie B e, perché no, migliorare il mio score personale”.



 23 maggio 2021 - n. 4

Foto di Ylanite Koppens da Pixabay

Niente può fermare l'amore.

di Lucia Bisceglia, Anastasia Cianchetta, SimonLuca Laurenti, Aurora Pileri, 2H-2G


Redazione: “Eccellenza buongiorno.”

San Valentino: “Non chiamatemi Eccellenza, diamoci del tu, io sono Valentino. Nostro Signore ci ha insegnato a volerci bene come fratelli. E dovete sapere che ho rischiato la vita più volte per diffondere la parola del Vangelo.”

Redazione: “Be' grazie Eccell... ehm Valentino. Allora noi siamo Aurora, Lucia, Simonluca e Anastasia.”

San Valentino: “Piacere di conoscervi. Mi presento anch'io. Sono San Valentino, conosciuto da tutti come patrono degli innamorati. Nasco a Interamna Nahars nel 176 d.C., e mi converto al Cristianesimo nel 197. Nello stesso anno vengo ordinato da San Feliciano vescovo di Interamna Nahars.”

Redazione: “Interamna cosa? Scusa?”

San Valentino: “Nahars. Interamna Nahars. Oggi la chiamate Terni.”

Redazione: “Già. Scusaci. Siamo alle medie. Ancora non abbiamo fatto latino”.

San Valentino: “ Be' allora vi racconto un po' della mia vita in italiano: nel 270 mi ritrovai a Roma con l’intento di convertire i pagani al Cristianesimo. Già al mio arrivo, Claudio II, l'imperatore, cercò in tutti i modi di farmi cambiare idea, ma senza riuscirci. E nonostante tutto ciò, tentai anche di convertirlo. Claudio rifiutò, ma questo non fu una disgrazia per me, anzi, ricevetti in quel frangente il rispetto e la grazia del sovrano. Poi aumentò la mia popolarità, così venni arrestato e decapitato nel 273 d.C.”

Redazione: “Spero che Sua Ecc.. che tu Valentino, vorrai perdonare la dolorosa parentesi che stiamo per aprire, ma avremmo il desiderio di conoscere dalla tua viva voce la vicenda relativa alla persecuzione e al martirio a cui fosti implacabilmente condannato.”

San Valentino: “Siete solo dei ragazzi e racconterò volentieri la storia che mi condusse all’estremo sacrificio; la vostra giovane fede necessita di essere rafforzata dall’esempio di tutti coloro che per difendere la parola di Gesù Cristo, hanno pagato con la propria vita.”

Redazione: “Grazie per la tua disponibilità, staremo qui ad ascoltare senza perdere nemmeno una parola del tuo racconto.”

San Valentino: “La mia fede in Gesù Cristo è stata così ardente da sentire sempre vivo il desiderio di diffondere il suo insegnamento e lo feci anche quel giorno in cui l’imperatore Claudio II il Gotico mi venne a cercare. Mi volle imporre di sospendere immediatamente la funzione che stavo celebrando. Di tutta risposta, infiammato dall’ardore della fede, non solo continuai a celebrare, ma invitai l’imperatore in persona ad unirsi a noi, a lasciarsi andare al Vangelo e a convertirsi.”

Redazione: “In tempo di feroci persecuzioni ai danni dei cristiani, il tuo gesto fu davvero molto audace considerando che ti stavi trovando al cospetto dell’imperatore.”

San Valentino: “No piccoli fratelli, non fui audace, fui solo un comune discepolo di Gesù pronto a portare come Lui il peso della croce. Comunque in quella prima circostanza, Claudio mi graziò e mi affidò ad una nobile famiglia.”

Redazione: “E poi cosa accadde?”

San Valentino: “Molto tempo dopo accadde che provai ad annunciare la buona novella a Cratone, un filosofo romano molto illustre; questo evento non sfuggì ai nostri uomini politici che sapevano che la mia popolarità stava crescendo e che molte pecorelle si erano unite al mio gregge. Il mio avvicinamento agli uomini di cultura non poté essere perdonato giacché le nuove leggi prevedevano che il proselitismo cristiano potesse essere tollerato solo se fosse stato destinato ai plebei romani, ma non ai patrizi.”

Redazione: “E a quel punto vi furono ritorsioni nei tuoi confronti?”

San Valentino: “Certo, le ritorsioni non si fecero attendere. Mi condussero davanti ad un procuratore che mi chiese di abiurare la fede cristiana. Io ovviamente non lo feci ed accettai la pena che mi fu comminata: la condanna a morte. I sodati mi catturarono e mi condussero fuori città, sulla via Flaminia. Qui accettai la flagellazione e morii il 14 febbraio dell’anno 273 d.C.”

Redazione: “Avesti paura?”

San Valentino: “Ebbi la stessa paura di tutti gli uomini condannati alla tortura e alla morte, la stessa che ebbe anche nostro Signore quando fu torturato e crocefisso sul Golgota, ma fui certo che Gesù mi sarebbe stato accanto nella morte così come aveva fatto durante la vita.”

Redazione: “Quindi sei morto il 14 febbraio. Ma qui una domanda sorge spontanea. Cosa c'entra la tua morte con la Festa degli Innamorati?”

San Valentino: “In realtà questa festività, il 14 febbraio Festa degli Innamorarti, ha origini più antiche, infatti erano dei riti celebrati dai Romani nel mese della fertilità. Si chiamavano lupercalia, ed erano dati in onore del dio pagano della fertilità Luperco. Si svolgevano dal 13 al 15 febbraio ed erano sfrenati, molto in contrasto con la nostra idea cristiana di amore. Vi si tenevano cose che a voi ragazzi è anche meglio non ricordare, o raccontare. Nel 496 d.C. Papa Gelasio I sostituì questi riti, romani e pagani, con la mia festa, la festa di San Valentino. È così che sono diventato protettore degli innamorati. Gelasio I ebbe l'idea di sostituire i lupercalia con una festa ispirata alla mia idea d’amore. A proposito, saluto Gelasio in caso leggesse questo articolo dalla sua comoda postazione in Paradiso.”

Redazione: “Quindi, se abbiamo ben capito, San Valentino, tu sai cosa è successo dopo la tua morte.”

San Valentino: “Certo che lo so! Dal Paradiso posso vedere tutto ciò che accade sulla Terra!!!”

Redazione: “Bene, vorremmo sapere come si sono svolti i fatti una volta che tu sei morto.”

San Valentino: “Con molto piacere! Io sono riconosciuto come patrono dell’amore anche perché Geoffrey Chaucer, uno scrittore inglese nato nel 1343, mi dedicò, nel 1386, un poema di 700 versi in onore delle nozze del re Riccardo e Anna Boema avvenute nel 1382.”

Redazione: “Ci puoi raccontare di questo poema a te dedicato?”

San Valentino: “Certo. Innanzitutto il poema si chiama “Il parlamento degli uccelli”. È un po' meno famoso de “I racconti di Canterbury”, dello stesso autore, ma comunque molto importante. Il Dio dell’amore pagano, Cupido, viene trasformato nella mia persona, protettore degli innamorati cristiano.”

Redazione: “Ecco, a proposito di quest’ultima cosa che hai detto vorremmo sapere se nel Medio Evo la festa degli innamorati era già sentita e diffusa.”

San Valentino: “Con molto piacere. La tradizione medievale associava metà febbraio all’inizio del risveglio della primavera e quindi all’inizio degli accoppiamenti, esaltando così il rimando all’amore. Come ho detto la nomina di protettore degli innamorati mi era già stata data nel 496 da papa Gelasio I.”

Redazione: “Grazie mille San Valentino! Arrivederci e mi raccomando, continua a far mettere insieme le persone, anche durante il Covid!”

San Valentino: “Certamente! Niente può fermare l’amore!”

 aprile - maggio 2021 - n. 3 

Intervista ad Antonio Vivaldi

di Marco Martelli, Gaia Pino, Elisa Poli, 2E


Buongiorno signor Vivaldi, potremmo farle alcune domande per il nostro giornalino scolastico?

Certo… basta che siate veloci perché devo andare ad esibirmi in un mio concerto.

Maestro, dove e quando è nato?

Sono nato a Venezia il 4 marzo 1678.

Com’è avvenuta la sua formazione?

Mi sono formato inizialmente grazie a mio padre nella mia infanzia, poi ho cominciato a seguire lezioni presso il Legrenzi, un noto compositore appartenente al barocco veneziano.

Per un certo periodo ho ricoperto diversi incarichi musicali presso il Pio Ospedale della pietà di Venezia dove insegnavo alle orfanelle, poi sono stato impresario d’opera al teatro Sant’Angelo.

Abbiamo saputo che le hanno dato un soprannome, il “prete rosso”, come mai?

Mi hanno sempre soprannominato “prete rosso” perché intrapresi la strada da sacerdote e anche se ora indosso la parrucca, sotto, i miei capelli naturali sono di colore rosso acceso.

Girano voci che lei sia molto vanitoso?

Non è che io mi vanti, sono semplicemente l’autore di musiche da concerto più famoso; e il più veloce a comporre, nella mia epoca.

Parliamo ora della sua musica… quale strumento la rappresenta maggiormente?

Lo strumento che mi rappresenta di più è il violino, infatti dei 450 concerti che ho scritto, 250 sono dedicati alla famiglia degli archi.

Come si esprime in musica?

Il mio talento consiste nel comporre una musica non accademica, chiara ed espressiva, tale da poter essere apprezzata dal grande pubblico e non solo da una minoranza di specialisti.

C’è stato un modello a cui si è ispirato nelle sue opere?

Sicuramente la mia guida è stata  Johann Sebastian Bach. Ho arricchito sistematicamente la mia trama dal punto di vista contrappuntistico, ed è stato determinante anche per l'evoluzione del mio stile.

Se dovesse scegliere una in particolare tra tutte le sue opere, quale preferirebbe?

Be’, se proprio devo sceglierne una sceglierei “La primavera” da “Le quattro stagioni”.

Potrebbe affascinarci con una breve descrizione di questa sua opera?

Ovvio che sì, la primavera è un concerto solista per violino e orchestra facente parte delle “Quattro stagioni”. Si ispira ad un sonetto:

Allegro 

Giunt' è la primavera

e festosetti la salutan gl'augei con lieto canto,

e i fonti allo spirar de' zeffiretti

col dolce mormorìo scorrono intanto.

Vengon coprendo l'aer di nero manto

e lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti.

Indi tacendo questi, 

gl' augelletti tornan di nuovo al lor canoro incanto.

Adagio

E quindi sul fiorito ameno prato

al caro mormorio di fronde e piante 

dorme 'l caprar col fido can' à lato.

Allegro 

Di pastoral zampogna al suon festante 

danzan ninfe e pastor nel tetto amato

di primavera all' apparir brillante.


I tre movimenti (allegro-adagio-allegro) corrispondono ai tre momenti descritti nel sonetto della stagione.


Grazie mille per averci dedicato il suo tempo!

Foto di Heart Rules da Pexels

Il mondo dello sport al tempo della pandemia.

di Vania Bizzaglia, Lucrezia Tofanelli, Zakaria Boudaas, 3A


L: Benvenuti a tutti in questa favolosa intervista a due sportivi agonistici. Con loro scopriremo come viene praticato lo sport al tempo della pandemia.

Salutiamo Vania Bizzaglia e Zakaria Boudaas, una ragazza e un ragazzo che praticano due magnifici sport a livello nazionale: il nuoto ed il calcio.

V: Ben trovati a tutti! Buonasera Lucrezia, sono lusingata di essere qui con voi questa sera.

Z: Salve! Troppo gentili, troppo gentili!

L: Benvenuti a voi, come state? Tutto bene?

V: Sì benissimo!

Z: Tutto bene grazie!

L: Bene! Allora cominciamo subito, dato che i nostri spettatori sono curiosi di sapere come vi siete organizzati con le vostre squadre durante il primo lockdown: siete stati costretti ad una pausa coatta? 

V: Be' devi sapere che noi agonisti non abbiamo mai smesso di nuotare perché lo Stato ci ha definiti “di interesse nazionale”, quindi anche quando c'era la zona rossa in tutta Italia, potevamo andare ad allenarci e se ci fermavano, o ci fermano tuttora, abbiamo permessi speciali.

Z: Sì vero, noi siamo riusciti ad allenarci ed è stata una fortuna.

L: WOW! Fortunati non siete dovuti stare tutto il giorno a casa!

Z: Sì, tuttavia anche noi in un primo periodo abbiamo dovuto sospendere per qualche settimana.

V: Sì e in quei giorni i nostri dirigenti hanno preparato tutto l'occorrente per essere pronti a qualsiasi evenienza… per tornare ad allenarci.

L: Come vi siete organizzati?

V: Il primo mese, durante l'estate, dato che le piscine dello Stadio hanno una vasca esterna con il giardino, ci siamo sistemati fuori, così stando all'aria aperta sarebbe stato più sicuro. Dopo di che quando è cominciato a far più freddo, ci siamo trasferiti nella piscina interna sistemandoci con le borse sui gradoni, dove di solito si sistemano i genitori, dato che gli spogliatoi non si possono utilizzare.

L: Ma come fate a stare con la mascherina anche in acqua?

V: Noi utilizziamo sempre la mascherina all'entrata e all'uscita. Ce la possiamo togliere solo quando dobbiamo entrare in vasca dove, grazie al cloro, possiamo stare tranquilli… ma… dobbiamo comunque disporci lungo tutta la corsia per tenerci distanti.

L: Sicuramente non è facile, ma cosa non si fa per la propria passione! Non avete mai avuto problemi?

V: Be’ di problemi ce ne sono stati e anche molti! Per due o tre volte per esempio non ha funzionato la caldaia, quindi non si poteva nuotare, per questo abbiamo fatto ginnastica online, in videochiamata, con tutta la squadra e gli allenatori. Spesso è mancata l'elettricità, ma abbiamo continuato a nuotare anche senza luce. 

L: Oh mamma mia e com'è nuotare al buio!?

V: Quando scatta la luce tutti esultano perché è stupendo è come un sogno e la sensazione è magnifica, non si può descrivere a parole.., 

L: Per quanto riguarda le competizioni?

V: Sì, noi possiamo gareggiare. Lo sai cos’è ancora più strano? Ci hanno divisi maschi e femmine per giorni, così che ci potessero essere meno persone, e in camera di chiamata ci si può andare soltanto quando è ora di fare la propria gara. Mascherina sempre e temperatura misurata ogni giorno!

Ogni squadra ha la propria postazione e gli spogliatoi possono essere utilizzati solo per il bagno, i lavandini per sciacquare il costume e i phon per asciugare i capelli. Io credo che sia un sistema corretto perché finora nessuna persona di tutte le squadre ha contratto il Covid 19, quindi ho meno ansia e più adrenalina, anche se sarei stata felice di avere i miei genitori come sostenitori, ma in questo momento non è possibile avere pubblico.

L: E voi Zakaria?

Z: Noi in un primo momento abbiamo continuato con le partite, ma siamo costantemente sottoposti al controllo con il tampone e crea un po’ d’ansia, ma i controlli sono necessari perché nel calcio mantenere il metro di distanza è impossibile. Come diceva Vania i genitori non possono esserci per ragioni di sicurezza e quindi nemmeno da noi c’è il tifo che ti dà più adrenalina!

L: Sicuramente, i genitori e il supporto del pubblico sono importanti

L: Ringraziamo Vania e Zakaria per la loro disponibilità e vi attendiamo alla prossima intervista.

 febbraio 2021 - n. 2 

Celebriamo i 250 anni dalla nascita del M° Ludwig van Beethoven lasciando la parola a un Maestro contemporaneo: Massimiliano Ferrati.

di Eleonora Moscetti e Ludovica Metopio, 2B e Raffaella Palumbo



Si è da poco concluso il 2020, un anno importante per il mondo musicale che ha celebrato i 250 anni dalla nascita del “Gigante” della storia della musica occidentale: Ludwig van Beethoven. Dal compositore tedesco non abbiamo ereditato solo le famose Nove Sinfonie (….e tanto altro!), ma un vero e proprio stile di vita! Fu il primo a pensare alla musica come un linguaggio utile ad esprimere appieno concetti difficili da esternare a parole, un linguaggio quindi universale, portatore di messaggi profondi per l'intera umanità. Beethoven supera la figura del musicista “impiegato”, costretto a comporre solo per cerimonie e festeggiamenti, diventando così pioniere di un nuovo modo di concepire la musica negli anni a seguire, della libertà di comporre per se stessi e poter parlare agli altri delle proprie emozioni e sentimenti attraverso le note.

Questo è tutt'oggi per noi il significato della musica, e cosa c'è di più bello e di più intimo al mondo se non il rapporto che va ad instaurarsi tra musicista e pubblico? Purtroppo il 2020 è stato anche l'anno di inizio di una profonda crisi culturale, la pandemia ha costretto la chiusura di teatri e sale da concerto, i musicisti si sono visti privati del loro pubblico limitando la fruizione dell'arte tramite web, social e dirette di ogni genere. Allora ci siamo chieste: è questo il destino della musica, anticipato da Beethoven dalle veementi quattro note che aprono la sua Quinta Sinfonia? Una diretta streaming genera le stesse emozioni che offre un concerto dal vivo? Come vivono questa situazione i musicisti di professione? Questo e tanto altro lo abbiamo chiesto tramite un'intervista al pianista M°Massimiliano Ferrati, docente di Conservatorio, grande interprete della musica di Beethoven, nonché ex docente del nostro Istituto.

Il M° Massimiliano Ferrati: «Chi fa musica è un privilegiato» 

di Eleonora Moscetti e Ludovica Metopio, 2B


Perché ha scelto di suonare il pianoforte?

Quando ero piccolo, dai tre ai cinque anni circa, i miei genitori vedevano il mio desiderio di fare musica. Mi compravano strumenti giocattolo ed io, con passione, riproducevo le mie canzoni preferite con essi, quando poi, il giorno della Befana, a cinque anni e mezzo, arrivò a casa una tastiera, io rimasi letteralmente folgorato. Iniziai quindi a prendere lezioni di pianoforte, e questo ancor prima di iniziare la scuola elementare. Quella piccola tastiera di tre ottave rimase la mia prima compagna di viaggi musicali fino al mio ingresso in Conservatorio con la prima media annessa.

Sa suonare altri strumenti?

Ho studiato per tre anni il violino al liceo musicale e da piccolo mi divertivo anche con il flauto dolce, l’armonica a bocca e la chitarra, ma sempre a livello dilettantistico.

Quando ha cominciato a suonare, perché?

Come dicevo da piccolo amavo qualsiasi strumento musicale, quindi si può dire che ho iniziato molto presto a suonare ad orecchio, ma ho iniziato a studiare musica a cinque anni. Ricordo che riprodurre dei suoni che riportassero in vita le canzoni che ascoltavo alla radio o le arie d’opera che ascoltavo a teatro (i miei erano appassionati di opera lirica), era proprio un desiderio fortissimo ed il riuscirci una fonte di soddisfazione che non aveva pari. Tanto che in poco tempo avevo acquisito un repertorio interessante, purtroppo suonato con la sola mano destra sulla tastiera, ma che ebbi l’occasione di esibire in un primo “concerto” pubblico a cinque anni. Credo che in quell’occasione i miei siano stati consigliati di iniziarmi allo studio del pianoforte.

Cosa l’ha spinta a continuare gli studi dello strumento?

Penso che alla base della spinta a continuare gli studi col pianoforte ci sia l’amore e la passione per questo strumento e per la musica in generale, passione che alimentavo giornalmente ascoltando ogni genere musicale, principalmente musica classica. Ai miei tempi non esisteva YouTube e se volevo conoscere un particolare brano musicale suonato da un interprete preferito, avevo a disposizione RadioTre (grazie alla rivista “Radiocorriere TV” potevo conoscere la programmazione settimanale e scegliere cosa registrare per incrementare il mio archivio) ed il mio negozio di fiducia di dischi e cassette (dove per ricevere un ordine si poteva attendere anche 15-20 giorni). Credo che ascoltare, scegliendo con attenzione l’interprete, sia stato il primo passo per formare il mio gusto musicale e incrementare il mio desiderio di migliorarmi tecnicamente per arrivare a suonare anche i brani che potevano sembrarmi allora inarrivabili. Quando poi ho iniziato a partecipare ai primi concorsi nazionali e internazionali, confrontandomi con una realtà più ampia e non prettamente circoscritta a quella della mia città natale o del mio Conservatorio, ho capito che per essere competitivo dovevo incrementare il mio studio. Ricordo di essere arrivato a studiare 7 ore al giorno per preparare bene un concorso durante la terza media. Alla fine sono arrivati i primi risultati, le prime vittorie, quelle conferme che mi fecero credere di essere sulla giusta strada: avevo la possibilità di trasformare in professione una cosa che facevo con grande piacere, la mia grande passione per il pianoforte. 

Ha mai pensato di lasciare il pianoforte, come mai ha continuato?

Non ho mai pensato di lasciare il pianoforte, anzi più avanti andavo con lo studio e più mi offriva possibilità di relazione con altri musicisti e l’occasione di viaggiare e conoscere e visitare posti nuovi. Tutto ciò era estremamente stimolante; non mi è mai passato per la testa di smettere. 

Cos’è per lei la musica?

La musica è la mia vita, è il linguaggio universale per eccellenza, non è necessario conoscere un codice particolare o un alfabeto per comprendere ed emozionarsi di fronte ad un brano musicale. Con la musica possiamo esprimere tutto, i compositori ce lo hanno ampiamente dimostrato, ma anche la natura stessa, il canto degli uccelli non è musica secondo voi? E non cambiano il loro canto in Cina rispetto all’Italia o al Brasile. Quanti compositori si sono ispirati alla natura per le loro composizioni? La musica è vita, è gioia, è dolore, è tragedia, è morte, è spirito! Quando ascoltiamo un brano gioioso ci viene naturale di sorridere e anche di muoverci nello spazio a tempo di musica, quasi danzando. Se invece ascoltiamo un brano drammatico o scuro, tendiamo a pietrificarci, a restare immobili. Credo che la musica sia un mezzo meraviglioso che il buon Dio ci ha dato per poter vivere meglio e comunicare più facilmente tra di noi, essere più uniti, ed infine anche per elevarci verso di lui. Chi fa musica è assolutamente un privilegiato, come dimostrano anche molti studi scientifici sull’utilizzo del cervello di chi suona uno strumento musicale. Pensate che alcuni esperimenti, hanno evidenziato che le mucche producono più latte ascoltando la musica di Mozart ad esempio. Un caso? Non credo!!!

Perché ha scelto Beethoven come repertorio?

Beethoven è un compositore che mi regala una infinità di sensazioni con la sua profondità musicale. Ha avuto una vita molto difficile, sia sul piano umano, sia per il periodo storico-politico-culturale vissuto e per finire sul piano della salute per la perdita dell’udito, ma è un uomo rimasto fedele ai suoi più nobili ideali e ad una fortissima spiritualità. Il fatto di scrivere per l’umanità intera e non per se stesso, gli ha permesso di scrivere opere che parlano al cuore della gente. Non è facile arrivare al cuore delle persone, ma Beethoven è sempre stato in grado di aprire abissi, voragini in profondità, trattando argomenti come la natura, l’amore, la passione, l’eroicità, il divino, il destino, la tragedia, l’esaltazione, ecc. Io non riesco a vivere un solo giorno senza suonare o ascoltare la sua musica, ed è proprio nei momenti di maggiore fedeltà mia nei suoi confronti, che lui mi permette di sfiorare e di percepire per un attimo il suo mondo segreto ed i suoi pensieri più profondi. Quando questo succede vi assicuro che è commozione pura e pace interiore. Perché non dovrei sceglierlo come repertorio? Si sta tanto bene in sua compagnia! Ascoltatelo, fatevelo amico, non resterete delusi.

Da quanti anni insegna?

Ho iniziato ad insegnare il pianoforte circa a 17 anni, dapprima privatamente e poi, l’anno dopo del diploma, a 22 anni, nella scuola pubblica (scuola media ad indirizzo musicale), successivamente sono entrato ad insegnare in Conservatorio e così via in tante altre occasioni come Masterclass sia in Italia che all’estero. Insegnare mi ha sempre affascinato, è un momento di grande responsabilità ma anche di grande gratificazione, perché mi permette di trasmettere il mio mondo musicale vissuto diventato esperienza, alle nuove generazioni. Ma sapete qual è la cosa più bella? Scoprire che noi insegnanti impariamo tantissimo da voi e per questo dobbiamo ringraziarvi. L’insegnamento non è mai un senso unico, è una condivisione e quindi una crescita garantita in entrambe le direzioni.

Quanti anni ha insegnato nella nostra scuola?

Sono stato alla De Filis otto anni dal 2001 al 2009. Sono stati anni meravigliosi sul piano umano, molto faticosi sul piano concertistico perché ero obbligato a spostarmi rapidamente con aerei o viaggi di notte per tenere i concerti lontani da Terni e rientrare a scuola per le lezioni il pomeriggio successivo, ma le persone che ho incontrato in quegli anni non le dimenticherò ma: studenti straordinari con i quali mi scrivo ancora oggi, genitori meravigliosi sempre pronti a sostenere i loro figli con grande consapevolezza e senso di responsabilità, colleghi preparatissimi e sempre schierati dalla parte dei ragazzi come vere guide e punti di riferimento nei momenti di debolezza tipici della vostra età e sempre propositivi con nuovi stimolanti progetti, quali esibizioni pubbliche o feste e rassegne musicali, dove potersi confrontare con altre realtà scolastiche anche fuori provincia. Tengo particolarmente a menzionare la compianta Preside Carla Riccardi che resterà sempre nel mio cuore per avermi sostenuto nei momenti più importanti della mia crescita professionale.

Qual è stata la situazione del musicista durante la pandemia?

Tutte le categorie sono state letteralmente travolte da questa pandemia. La grande sfida è stata reinventarsi, trovare il modo di portare avanti il proprio lavoro nonostante il distanziamento sociale. I musicisti hanno visto chiudere le sale da concerto e i teatri. A me personalmente molti concerti sono saltati, fortunatamente la maggior parte rinviati, così pure per le giurie dei concorsi delle quali avrei dovuto far parte, le Masterclass, le lezioni in Conservatorio, ecc. L’alternativa è stata riversare nella videoconferenza le lezioni, le Masterclass, le giurie e persino i concerti. Abbiamo imparato ad usare la tecnologia nel migliore dei modi per non perdere tempo chiudendoci nelle nostre case e al resto del mondo, ma imparando un diverso modo di condividere le informazioni e anche la formazione.

Come crede che sarà la vita dei musicisti dopo questa crisi?

Io mi auguro che tutto possa tornare come prima anche se ci porteremo dietro sicuramente degli strascichi. Ci manca tanto il contatto umano, penso sia la cosa che ci possa segnare maggiormente, ma credo nell’essere umano e nelle sue immense risorse più sensibili. Abbiamo un cuore che si nutre di emozioni che vanno ricercate nei contatti umani e non nei rapporti virtuali. La mia speranza è quella di poter tornare presto a gustare la bellezza di un abbraccio o di una stretta di mano, senza bisogno di cercare su uno schermo l’emoticon corrispondente. Spero che la voglia di mettersi in gioco torni ad accendere i nostri sorrisi e con energia irrefrenabile ci riporti più che mai a ritrovare noi stessi, i nostri ruoli, le nostre mission, le nostre sfide che ogni giorno accettavamo di affrontare e che abbiamo dovuto invece soffocare e parcheggiare a causa del Covid. Voi ragazzi sarete i protagonisti del futuro della nostra società: non scoraggiatevi in questi momenti di crisi passeggere, anzi, cercate sempre di vivere diffondendo in ogni modo i valori più alti della vita e, se utilizzerete anche la musica per questo fine, sappiate che sarete sempre nella giusta direzione per portare la bellezza nel mondo.

E’ d’accordo con la diffusione della musica, ma più che altro del concerto, tramite social o streaming?

La musica ha bisogno di un interprete per esistere, l’interprete ha bisogno di emozionarsi per fare musica, l’emozione avviene solo quando l’essere umano si confronta con un altro essere umano, il pubblico. Non potrà mai esserci lo stesso livello di arte musicale se manca il contatto tra l’artista ed il suo pubblico. Inoltre il suono si propaga nell’aria per una serie di vibrazioni, le onde sonore. Il pubblico in una sala da concerto riceve queste onde direttamente dalla sorgente (lo strumento musicale, la voce, l’orchestra) al proprio orecchio senza il filtro di un microfono e di un altoparlante o di una cuffia come avviene invece per lo streaming.

Purtroppo in questo periodo abbiamo dovuto usufruire della tecnologia per permettere la diffusione della musica e della fruizione da parte del pubblico da casa, ma questo mi auguro non possa mai sostituire il concerto dal vivo. Lo streaming di alta qualità può comunque essere a supporto della divulgazione dell’evento, ma non sostituirsi alla magia che si compie solo quando viviamo un concerto in presenza, di questo dobbiamo essere consapevoli.

 gennaio 2021 - n. 1 

Interviste in città

Personaggi impegnati attivamente nella comunità della nostra città ci offrono il loro punto di vista sugli argomenti più vari

Lavorare al tempo del Covid: la parola agli esperti!

di Emma Colasanti, 3H
dicembre 2o20

In un momento in cui il mondo intero si trova ad affrontare la pandemia da Covid19, abbiamo chiesto a chi lavora in prima linea di raccontare la propria esperienza; ecco cosa ci ha detto Francesco Paparo, Dirigente Medico, Chirurgo Maxillofacciale presso l’Ospedale “Santa Maria” di Terni e Segretario Sindacale Aziendale dell’ANAAO.

Da quanto tempo lavora qui a Terni?
Lavoro qui a Terni esattamente dal primo agosto 2008, quindi sono poco più di 12 anni.
Ha mai affrontato un periodo così complicato durante la sua carriera?
Decisamente mai. Ma credo sia una sensazione di tutti coloro che non hanno visto la Guerra!
Teme di contrarre il Covid-19?
Certo che lo temo. Anche se non sono considerato soggetto a rischio di conseguenze gravi; si tratta di un virus ancora non del tutto conosciuto, per il quale abbiamo pochissime cure e la cui reale pericolosità non è stata ancora determinata con esattezza.
Quali misure sono state prese per permettervi di lavorare in sicurezza?
In una pandemia è difficile lavorare in totale sicurezza. Gli infetti sono ovunque e spesso chi contrae il virus non ha sintomi. L’Azienda comunque limita gli accessi all’utenza, accessi riservati solo a casi gravi e urgenti. Siamo dotati quotidianamente di dispositivi di protezione individuale e le procedure ci aiutano a non commettere imprudenze durante la nostra attività.
Sono sufficienti, secondo lei? Sente di lavorare protetto?
Più di questo attualmente non siamo in grado di fare per proteggerci. Dovremmo tuttavia incrementare al massimo il numero dei tamponi per individuare i soggetti infetti, isolarli ed impedire loro di essere strumento di diffusione del COVID.
Avrebbe qualche suggerimento da dare alla sua dirigenza per migliorare il vostro lavoro, chiaramente nell’ottica di un servizio migliore per l’Utenza.
Con il COVID dobbiamo conviverci. Anche se arriverà un vaccino, probabilmente non risolveremo totalmente il problema, come accade d’altra parte con il virus dell’influenza. L’ospedale si dovrebbe riorganizzare nel tempo in maniera stabile al fine di mantenere degli spazi “non- COVID” nei quali si possa proseguire regolarmente l’attività clinica e chirurgica senza ridursi sempre a “contrastare l’emergenza”.
Quale effetto ha avuto su di lei e sui suoi colleghi questo modo di lavorare?
Siamo costretti alla distanza. Gli spazi professionali sono ridotti. C’è carenza di personale medico ed infermieristico.  Il dialogo con la Direzione dell’Ospedale è scarso. Queste situazioni generano stress, frustrazione e conflitti. Il clima non è certo sereno ma ognuno di noi sta facendo del suo meglio per fronteggiare l’emergenza.§La prima cosa che farebbe se fosse al posto del Presidente del Consiglio dei Ministri?
La prima cosa che farei, nel mio ambito, è certamente restituire la competenza sulla Sanità allo Stato. Attualmente le Regioni, che gestiscono la Sanità, non hanno dimostrato capacità sufficienti. Toglierei anche la Gestione degli  Ospedali alla Politica perché non possono essere più strumento di campagne elettorali. 
E cosa non avrebbe fatto?
In questa emergenza avrei evitato di allentare l’attenzione sul COVID durante i mesi estivi. Se il Governo non avesse dato l’impressione di “emergenza finita” ed avesse continuato a vigilare sul rispetto delle regole, adesso probabilmente non saremmo a questo punto.

Grazie per avere risposto alle nostre domande.

Interviste impossibili

Eroi e personaggi del passato tornano in vita grazie alle abili penne della De Filis.

A passeggio con i grandi della Storia: Stalin, Churchill, Roosvelt

di Domenico Mascio, 1G
gennaio 2020


“Buongiorno, signori.”

Iosif Stalin: Добрый день [Dobriy diegn (Buon pomeriggio)].

Winston Churchill: Good afternoon (Buon pomeriggio).

Franklin Delano Roosevelt: Good afternoon (Buon pomeriggio).


“Per prima cosa, potete gentilmente dire che lavora fate, per i lettori che non lo sanno?”

Iosif Stalin: Я советский революционер, политик и военный [YA sovetskiy revolyutsioner, politik i voyennyy (Io sono un rivoluzionario, politico e militare sovietico)].

Winston Churchill: I’m a British politic, historical, journalist and military (Io sono un politico, storico, giornalista e militare britannico).

Franklin Delano Roosevelt: I’m a American politic (Io sono un politico americano).


“Passando alle domande, come avete vissuto la seconda guerra mondiale e cos’è l’epidemia di Sars-Cov 2 in confronto ad essa?”

Iosif Stalin:С начала, опасаясь замены, я поступил правильно: сослал или убил нескольких своих политических оппонентов; затем, во время войны, я использовал конфликты, чтобы объединить Советы и напомнить им о русских и славянских ценностях. На мой взгляд, этот вирус не совсем сопоставим с войнами, которые я пережил [S nachala, opasayas' zameny, ya postupil pravil'no: soslal ili ubil neskol'kikh svoikh politicheskikh opponentov; zatem, vo vremya voyny, ya ispol'zoval konflikty, chtoby ob"yedinit' Sovety i napomnit' im o russkikh i slavyanskikh tsennostyakh. Na moy vzglyad, etot virus ne sovsem sopostavim s voynami, kotoryye ya perezhil (All’inizio, avendo paura di essere sostituito, ho fatto la cosa giusta: ho esiliato o ucciso diversi miei avversari politici; poi, durante la guerra usai i conflitti per riunire i sovietici e fargli ricordare i valori russi e quelli slavi. Secondo me, questo virus non è proprio paragonabile alle guerre che ho vissuto)].

Winston Churchill: At the first I contacted Mussolini to propose an agreement which he rejected; at that moment I used everything in my power, contacting France, the United States and the Soviet Union, to win the war and restore peace to England. Seeing the numbers of the pandemic, it is clear that it is a serious matter, but war is another thing (All’inizio ho contattato Mussolini per proporre un accordo che ha rifiutato; in quel momento ho usato tutto quello che era in mio potere, contattando Francia, Stati Uniti e l'Unione Sovietica per vincere la guerra e riportare la pace in Inghilterra. Vedendo i numeri della pandemia si capisce che è una cosa seria, ma la guerra è un’altra cosa).

Franklin Delano Roosevelt: In the first moments I went to war mainly against Japan, then I joined together with the Soviet Union and England to fight Nazi-fascism. In my opinion, war and covid are practically the same as they block the market and prevent you from working (Nei primi momenti sono entrato in guerra soprattutto contro il Giappone, poi mi unii insieme a Unione Sovietica e Inghilterra per combattere il nazifascismo. Secondo me la guerra ed il covid sono praticamente due cose uguali poiché bloccano il mercato ed impediscono di lavorare).


“Cosa ne pensate dei governi: stanno controllando bene o male l’epidemia?”

Iosif Stalin: По моему мнению, правительства совершенно неправы, закрывая всех, потому что вирусы передаются естественным путем, не закрывая людей дома; люди должны вернуться к работе и дождаться исчезновения Ковид [Po moyemu mneniyu, pravitel'stva sovershenno nepravy, zakryvaya vsekh, potomu chto virusy peredayutsya yestestvennym putem, ne zakryvaya lyudey doma; lyudi dolzhny vernut'sya k rabote i dozhdat'sya ischeznoveniya covid (Secondo me i governi stanno sbagliando completamente, chiudendo tutti, perché i virus passano in modo naturale non chiudendo le persone in casa; le persone dovrebbero tornare a lavorare e aspettare che il covid sparisca)].

Winston Churchill: Some governments are wrong to loosen the lockdown on Christmas days, because if you want to save a country you have to suffer and respect the rules; this is the only way to go on (Alcuni governi stanno sbagliando ad allentare il lockdown nei giorni di Natale, perché se si vuole salvare un paese bisogna soffrire e rispettare le regole; solo così si può andare avanti).

Franklin Delano Roosevelt: For me, the government is doing what it can best, because it has been caught off guard (Per me il governo sta facendo quello che meglio può, perché è stato preso alla sprovvista).


“Vorrei fare una domanda a Stalin, cosa pensa della partecipazione attiva della Russia per la ricerca di un vaccino?”

Iosif Stalin: Я считаю, что это пустая трата времени и денег, потому что вирус обязательно уйдет сам [YA schitayu, chto eto pustaya trata vremeni i deneg, potomu chto virus obyazatel'no uydet sam (Io penso che è solo una perdita di tempo e di soldi, perché il virus è destinato a passare da solo)].


“Invece signor Roosevelt, cosa ne pensa delle recenti elezioni americane?”

Franklin Delano Roosevelt: I'm glad Biden won, because I really like PD, and I put a hand on the fire that Trump actually knows he's lost, but doesn't want to publicly admit it (Sono contento che Biden abbia vinto, perché mi piace molto il PD, e metto una mano sul fuoco che Trump in realtà sa di aver perso, ma non lo vuole ammettere pubblicamente).


“Grazie dell’intervista, arrivederci”

Iosif Stalin: До скорого [Do skorogo (Arrivederci)].

Winston Churchill: See you later (Arrivederci).

Franklin Delano Roosevelt: Bye! (Arrivederci!)

Credo che la pallavolo mi sia sempre piaciuta. Ci ho giocato da subito, sin da piccolina,  perché basta una palla, uno spazio aperto come un cortile o un parco, qualcuno con cui fare due scambi. Non nego inoltre l’influenza di un cartone animato (un cult!) cioè Mila e Shiro, e quindi in realtà ci ho sempre giocato fin da piccolina, ma la prima volta che mi sono iscritta a una squadra di pallavolo avevo 12 anni, visto che prima avevo praticato atletica leggera. 

Ho iniziato a giocare alla Bosico, quindi alla squadra dell’oratorio Don Bosco di San Francesco, dove sono rimasta a giocare fino a quando non mi sono trasferita a Narni. In seguito sono stata per breve tempo alla squadra “Azzurra” di Terni e finalmente ho avuto la possibilità di lottare per vincere il campionato di serie B con la maglia della mia città, la Ternana del Presidente De Simoni. È  stata probabilmente, insieme alla maglia di Narni, l’esperienza che mi ha dato più soddisfazioni e gioie. Dopo la Ternana sono andata a giocare a Spoleto con la maglia della Monini. Poi sono tornata a Terni con una squadra che si chiamava “Acqua Azzurra”, che era una fusione tra l’Azzurra e Acquasparta. Poi ho smesso, a causa del COVID. Quest’anno ho dato per un breve periodo un aiuto alla squadra del San Gemini Volley.

Ho studiato a Terni dalle elementari alle superiori. Ho sempre avuto una passione per le materie scientifiche, quindi ho sempre amato la biologia, le scienze naturali. All’ultimo anno ho scoperto questa passione per la fisiologia del corpo umano e quindi mi sono detta: perché non provare a entrare a Medicina? Senza troppo stress, ho provato, sono entrata.  I 6 anni di Medicina li ho fatti all’Università di Terni. Ho fatto una tesi (di laurea ndr) che era un ibrido tra ortopedia e medicina dello sport perché trattava del “ginocchio del saltatore” cioè delle patologie che riguardano ginocchio degli atleti che praticano sport in cui il salto è dirimente; la pallavolo mi ha accompagnato quindi anche nello svolgimento di questa tesi. Ho fatto poi il test per Medicina dello Sport che ho frequentato per 5 anni a Roma, all’Università La Sapienza.

I miei genitori sicuramente mi hanno sempre supportata, sono i miei fan numero 1, miei tifosi, per rimanere in tema di sport! E sono sicura che senza di loro non ce l’avrei mai fatta, perché al di là del supporto economico, per frequentare un’Università così lunga ci vuole anche tanto supporto psicologico, nel senso che avere i genitori accanto che ti aiutano è fondamentale. In più, anche vederli orgogliosi del mio percorso è il regalo più grande che possiamo farci. 

Non è stato semplice scegliere perché io comunque in 6 anni di Medicina ho avuto tanti “colpi di fulmine”; mi sono piaciute sempre tante cose, però probabilmente mi ha guidato più l’istinto e lo sport, questa incredibile passione per lo sport che non ho mai abbandonato neanche durante gli anni dell’Università e che mi ha poi guidata su questa strada.

L’esperienza come medico della Nazionale è nata in modo molto semplice, perché la Nazionale ha contattato la mia Università di specializzazione per cercare un medico che potesse seguire il settore giovanile e così è iniziata la mia avventura, cominciando dalla juniores e pre-juniores, fino ad arrivare nel 2018 ad avere la proposta di essere medico della prima squadra. 

L’esperienza a Tokyo è stata fantastica, credo di aver vissuto un sogno. Credo che per uno sportivo andare alle Olimpiadi sia il coronamento di un sogno, di qualcosa che va oltre il semplice gioco. Mi sarebbe piaciuto farla da atleta ma non ho avuto queste capacità, però farla da medico è stato bellissimo! Ho conosciuto tantissime persone, ho avuto la possibilità di vedere da vicino atleti di tutto il mondo e di tutte le specialità, vivere nel villaggio olimpico è stata un’emozione grande. Chiaro, un’Olimpiade particolare perché sotto COVID, quindi tutti i giorni tamponi; non abbiamo avuto la possibilità di andare a vedere altre gare o di partecipare alle cerimonie di apertura; non c’è stato il pubblico. È stata un’Olimpiade particolare, ma la ritengo sicuramente una delle esperienze di vita più belle che abbia vissuto. 

Per me ha significato smettere di giocare a pallavolo, perché il tempo è passato, i palazzetti erano chiusi, io sono cresciuta e quindi ho abbandonato la carriera sportiva anche per quello. È stato molto difficile, più che altro perché chi ama lo sport come me ha sofferto; soprattutto a livello locale era veramente impossibile per le società amatoriali, che sono la base della piramide dello sport in Italia, organizzare allenamenti o partite con le leggi che c’erano. All’epoca ero il medico della Ternana e con la Società siamo riusciti a scavalcare questo periodo e abbiamo anche vinto il campionato. Il COVID da questo punto di vista ci ha portato fortuna! Ringrazio lo sport ancora una volta che mi ha aiutato a superare questo momento, che altrimenti avrei vissuto in solitudine e invece mi ha dato la possibilità di continuare a girare l’Italia e il mondo. 

Nella pallavolo l’infortunio cronico da gestire tutto l’anno è quello legato al gesto, quindi la patologia infiammatoria di spalla, di ginocchio, di schiena. Per quanto riguarda i traumi, invece, sono molto comuni le distorsioni di caviglia e la lesione del crociato anteriore del ginocchio. Questa è una cosa che accomuna la pallavolo al calcio, in cui ci possono essere cambi di direzione, salti. Nel calcio in più c’è lo scontro. Nel calcio le patologie più comuni sono le lesioni muscolari e i traumi.

Vestire la maglia della Nazionale è una cosa che mi emoziona ancora oggi, e un privilegio. Averlo vissuto da giovane è stato da una parte molto bello, perché penso che l’ho vissuto con la spensieratezza della mia età, e dall’altra non nego che a volte non ci ho dormito la notte, quando per esempio eravamo dall’altra parte del mondo e dovevo gestire degli infortunati importanti il giorno prima di una finale. Però è stata ed è una delle emozioni più grandi che si possano vivere: sentire l’Inno d’Italia indossando quella maglia in palazzetti pieni, con la responsabilità della salute di quelle stesse atlete che un tempo erano i tuoi idoli!

La maglia della mia città l’avevo già indossata come giocatrice e già mi rendeva estremamente orgogliosa. Ormai sono 6 anni che sono medico della Ternana, responsabile medico da 2 anni, ed è una cosa che vivo con ancora più passione di quando indossavo la maglia della Nazionale. 

13. È felice del suo lavoro?

Sì, soprattutto del percorso fatto fino ad oggi. Se mi guardo indietro e vedo quello che ho fatto neanche riesco a rendermi conto se è la mia vita. Non avrei mai pensato di diventare medico, tra i miei sogni c’era quello di diventare insegnante. Probabilmente ho sempre avuto questa indole di cercare di aiutare gli altri, e sono entrata un po’ per caso a Medicina, mi ci sono appassionata pian piano e ho scoperto dei lati di me che non conoscevo tra cui questa voglia di prendermi cura degli altri. Sono una perfezionista e ce la metto sempre tutta per fare meglio e spero di sbagliare il meno possibile e di trasmettere questa gioia che ho nel fare il mio lavoro. 

14. Se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa del suo percorso?

Tornando indietro qualcosa avrei fatto di diverso probabilmente: avrei fatto ancora più corsi, sto cercando di recuperarli, di farne più possibile perché la Medicina è una disciplina in continua evoluzione quindi non si finisce mai di studiare. A volte vorrei avere più tempo per aggiornarmi rispetto al tempo che dedico al lavoro. Comunque tornando indietro rifarei tutto, magari cercando di viverlo con più leggerezza. E mi direi “Brava!” un po’ più di volte.

15. Cosa consiglia ai giovani come noi che devono scegliere la propria strada?

Il mio consiglio è di seguire il proprio istinto, i propri sogni e quello che ci piace fare. A chi non ha le idee chiare, dico di non sentirsi incompleto rispetto a chi è già sicuro del proprio percorso. Consiglio di cercare sempre di dare il massimo nell’attimo che si sta vivendo, e cercare sempre di migliorare. L’importante è impegnarsi nello studio, cercando di vivere bene, di dedicarsi anche allo sport, ai propri hobby. Lo studio e il lavoro sono importanti però è anche bene viversi la vita ed essere felici. Pensare a sé stessi senza vivere nelle ombre delle aspettative degli altri, l’importante è fare quello che vogliamo noi. Avere degli obiettivi è importante ma lo è anche essere capaci di accettare la sconfitta se qualcosa non viene subito bene come vogliamo. Ogni strada se è quella che piace a noi è la strada giusta. Non esiste un lavoro migliore di un altro, esiste il lavoro giusto per noi.