Piacere Pesce

(Arrapaho)

 

Il brano trasuda anni ottanta, offrendosi come esemplare testimonianza del periodo storico in cui fu prodotto grazie agli innumerevoli riferimenti storici e pubblicitari. Più pubblicitari che storici, forse, ma questa, in fondo, è una chiara dimostrazione del potere che la réclame andava assumendo a partire da quei terribili anni.

Il titolo è decisamente fuorviante, risultando comprensibile solo al termine dell'ascolto del brano, così come peraltro accade in altri brani dell'album Arrapaho (uno su tutti l'ineffabile Black and Decker).  In realtà la vicenda narrata si situa in piena guerra fredda e affronta il tema dello spionaggio nei paesi dell'Europa dell'est, in particolare in Bulgaria, tema già da un paio d'anni sulla cresta dell'onda in seguito all'attentato a Papa Woityla (i cui responsabili si cercarono all'interno dei servizi segreti bulgari) e caldo almeno fino al 1992, anno in cui venne celebrato dal più famoso Pipppero di Elio e Le Storie Tese - con tanto di coro delle voci bulgare.

In questo clima di sospetto e mutua diffidenza, un rappresentante del clero, Don Bairo degli Scappellati di Viareggio (omaggio ad un celebre amaro di quegli anni, noto come l'Uvamaro e pubblicizzato dai celebri caroselli con protagonista Cimabue, il frate che fa una cosa e ne sbaglia due) si reca a Sofia affrontando un viaggio pieno di efelidi per arrivare al mar del Caspio. Evidentemente le efelidi ne compromettono l'orientamento, dato che la Bulgaria affaccia sul mar Nero; ma a Don Bairo vanno riconosciute quanto meno le attenuanti generiche: privo di mezzo di locomozione, riesce ad arrivare a destinazione solo grazie ad un passaggio offerto da tale Budroski Balmiro, nell'ordine: camionista russo, panza di vermo e senza gambe. Come lo guidava questo camion? è la domanda che si pone Don Bairo, pure conscio dell'assurdità del suo stesso autostop, mancandogli del tutto la mano in quanto monco.

I due storpi in tutta allegria stanno per attraversare la frontiera (ribattezzata con soprassalto di assoluta genialità: corteccia di ferro), quando ad un posto di blocco li fermano due rappresentanti dell'ordine costituito (la famigerata VolksPolizei) che fermamente chiedono, nel tipico gergo democratico tedesco: documenda. Ma come? Anni e anni di leggende sulla Stasi, sulle deportazioni in Siberia, sull'impenetrabile cortina (no corteccia) di ferro, e che ti fanno i Vopos? Come qualsiasi carabiniere da barzelletta chiedono i documenti.

E qui, vuoi l'emozione, vuoi la paura, vuoi una centomilalire, i due si impapocchiano. Don Bairo, nientedimeno, produce un intero rotolo di carta igienica (tipica attrezzatura da viaggio, specie negli anni '80) mentre il camionista svela il suo scheletro nell'armadio. Trattasi di un nano ghiacciato (ancora un carosello, stavolta un vino bianco dotato di lieve perlàge prodotto dalla Sanpellegrino) e pure infortunato, che viene fuori da un rimorchio ingiustificatamente lungo per dover ospitare un nano (si scopre infatti che il camion è in realtà un long vài-col) che, oltretutto, assomiglia a Cesare Ragazzi (e questo è l'ultimo dei caroselli, il più famoso) ma nello stadio pre-trapianto, essendo il nano senza capelli.

Evidentemente la situazione deve risultare completamente nuova ai Vopos, forse imberbi giovanotti, che lasciano passare il long vài-col che, però,  si ferma nuovamente dopo appena sette chilometri in quanto si schiattarono contemporaneamente sei ruote su quindici. Lo stupore viene non già dall'improbabilità dell'evento (che in altri contesti fantascientifico-umoristici avrebbe causato un balzo iperspaziale - cfr. D.Adams, Guida Galattica per gli Autostoppisti) ma dalla presenza di un numero di ruote dispari. Possiamo tuttavia supporre che Don Bairo conti nel novero anche la ruota di scorta, perché il prelato ci sembra un tipo preciso, anzichenò: di lì a poco, infatti, computerà con esattezza il numero di denti cariati di uno dei Vopos testé incontrati, il numero di telefono della zia di Riccione (che sia la famosa Wallèr?) e tutta l'offerta alberghiera della suddetta.

Ma quando la matematica cede il passo alla cronaca Don Bairo si imbroglia un poco, perché l'evento decisivo di tutto il racconto riguarda ancora i Vopos che, però, a regola dovrebbero essere stati lasciati sette chilometri addietro. L'unica possibilità che non comprometta la coerenza della struttura narrativa (non esattamente la cifra stilistica dei nostri) è che Don Bairo, Budroski Balmiro e il Nano siano stati nuovamente fermati da altri due Vopos. E, come nel primo caso, emerge un nuovo scheletro dall'armadio, anzi dalla ruota di scorta (cosa che conferma la supposizione aritmetica di cui sopra): dietro la stessa si nasconde una spia che i poliziotti, inspiegabilmente, tentano di scambiare con il nano ghiacciato. Non si capisce bene cosa preferiscano i Vopos: se la spia, per senso del dovere, o il nano ghiacciato, per farsi un cicchetto. Fatto sta che Don Bairo, lo scopo del cui viaggio era portare il messaggio evangelico oltre cortina e la pace tra le spie - per la precisione farli far pace, anzi farle far pace o, meglio ancora, farlate far pace perché, come è noto, la spia non hasésso - Don Bairo, dicevamo, si oppone come un sol uomo a questo scambio e tira fuori l'asso nella manica: si garena dietro la sua tonaca.

E qui tutti i protagonisti devono rimanere stupefatti perché non è ben chiaro in cosa consista l'atto. Cosa vorrà dire, esattamente, garenarsi? Se escludiamo che sia un refuso di incatenarsi, possiamo trovare solo due verbi simili nella lingua italiana:carenare e arenare. E, indipendentemente da quale dei due si voglia assumere per buono, con entrambi entriamo finalmente nell'affascinante mondo marino evocato nel titolo e mai più ripreso nella narrazione, con la parziale eccezione del Mar Caspio che, però, pareva solo l'utile traino per il successivo: e che Caspio!

E dunque Don Bairo, sacerdote positivo, stranamente risparmiato dal consueto mangiapretismo dei nostri, ormai garenato dietro alla sua tonaca, può finalmente portare le sue parole di pace in un Europa dell'est ormai prossima al crollo del comunismo e, dunque, alla fine di un'importante epoca storica. E riprendendo le parole apocrife dell'apostolo di cui non ci sovviene il nome, ma del quale abbiamo ben presente il messaggio, afferma: spia si nasce, non si cresce. Testimonianza così fondamentale e decisiva che il Vopos non può altro che banalizzare e svilire, in ossequio ai dettami anticlericali del regime nel quale vive, con la rima cristallizzata nelle parole del titolo.

La fama imperitura segue percorsi strani e imprevedibili: il povero Don Bairo credeva di essersi guadagnato l'immortalità con la sua massima dalla metrica perfetta e dal contenuto ineccepibile, e invece a passare alla storia è la triviale risposta del gendarme.

O tempora, o Vopos...



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