Giovani Scrittori

Ciao a te, che probabilmente non sai cosa fare in questi lunghi giorni della tua vita.

Per caso ti piace leggere ma sei stanco dei classici testi che conoscono tutti?...Beh, sei nel posto giusto! Qui di seguito infatti troverai alcuni racconti scritti e inventati da noi. Non siamo scrittori, ma amiamo leggere e scrivere e magari un giorno ci piacerebbe esserlo. Speriamo dunque che ciò che scriviamo piaccia anche a te, sì proprio a te che stai leggendo in questo momento!

BUONA  LETTURA!

Un nuovo caso per la signora halvorsen

-il mistero di Benedicte Anderson-

“Sentiamo, su cosa vorresti ficcanasare questa volta?” mi chiese mio figlio, un po’ seccato.

Mi urtava il mondo in cui, a volte, si rivolgeva a me, ma non ci facevo mai troppo caso.

Sfilai dalla borsa un paio di occhiali turchesi con le rifiniture dorate, e me li infilai: “Il caso di Benedicte Anderson. Ho letto dalla bacheca all’ingresso che non ci sono indizi da cui iniziare un’indagine”.

Sebastian sbuffò: “Mamma, lo sai che non puoi piombare qui, nel mio posto di lavoro, e fare come ti pare, ci sono delle regole sai?”.

“Regole e regole…io ero venuta qui solo per far visita al mio figlioletto” risposi ruffiana, avvicinandomi a lui, con l’intento di abbracciarlo.

Lui mi scostò scuotendo le spalle: “Mamma, te l’ho già detto un milione di volte che non ti devi mettere in mezzo ai casi della polizia, potrebbe essere pericoloso!”.

Corrugai la fronte e, indignata, esclamai: “Guai a come mi parli signorino, e poi chi ti dice che questa volta io voglia ficcanasare?”.

Sebastian sospirò, massaggiandosi le tempie arrossate: “Sei prevedibile; per non parlare degli occhiali!”.

Lo guardai seriamente confusa, chiedendogli che c’entrassero in quel momento.

In risposta ricevetti una spiegazione molto dettagliata in cui Sebastian faceva presente come, il paio di occhiali che portavo, avessero le astine più leggere, di conseguenza erano più comodi da portare in giro se si voleva stare fuori casa tutto il giorno.

In conclusione arrivò ad affermare che prevedevo di indagare su un caso.

Un po’ mi aveva colpito il modo rapido con cui era arrivato alla soluzione.

Il bello era anche che non non aveva tutti i torti.

“Sì, va bene, hai ragione, però giuro che non faccio nulla di male!”.

Sebastian stava per controbattere, quando un omone che aveva tutta l’aria di una palla da bowling si avvicinò a noi, un po’ traballante.

“Allora, avete finito di litigare voi due?” tuonò, per poi calmarsi: “Halvorsen, il capo ti vuole nel suo ufficio, ora”.

Mio figlio annuì, sistemandosi la divisa bluastra facendo tintinnare tra loro i distintivi che portava sul cuore.

prima di uscire dalla stanza mi lanciò un’occhiata lacerante: “Non combinare altri guai; fai in modo che ti ritrovi qui al mio ritorno” si raccomandò, per poi avviarsi dove era stato richiesto.

Tirai un sospiro di sollievo e l’omone, che era rimasto a guardare la scena, rise di gusto: “A volte l’agente Halvorsen è troppo rigido, mi chiedo da chi abbia preso!”.

Trattenni a stento una risatina colpevole e l’uomo se ne accorse: “Non si preoccupi signora Halvorsen, suo figlio è un bravo ragazzo; vado a continuare il mio lavoro, arrivederci!”. 

Stavo per ricambiare il saluto quando, d’impulso, lo fermai: “Aspetti! cosa sa dirmi sul caso Anderson?”.

L’uomo si bloccò all’improvviso: “Anderson ha detto?” chiese, volgendo gli occhi al cielo, come in cerca di risposte: “Mhh…non molto in realtà: la poveretta è morta nel sonno, non ha sofferto”.

“Allora perché il suo nome è stato scritto nella lista delle morti sospette, nella bacheca all’ingresso?”.

“Beh…” cominciò l’omone: “In realtà grazie all’autopsia abbiamo scoperto che ha avuto un’ostruzione delle vie respiratorie a causa di un veleno fatto in casa”.

“Pensate al suicidio?” chiesi, ancora più intrigata dalla faccenda.

L’uomo scosse la testa: “Impossibile, quel genere di veleno agisce pochi minuti dopo essere stato ingerito”.

“E con questo? La donna potrebbe benissimo essersi avvelenata e poi essere andata a coricarsi” affermai, poco convinta della spiegazione che mi era stata data.

L’omone sbuffò: “E’ qui che sorge il dilemma che non ci permette di risolvere il caso”.

“Ovvero?”.

“Benedicte Anderson era paralitica! Dal collo fino alla punta dei piedi, riusciva solo a muovere la bocca per parlare; non sarebbe riuscita a mettere tutto in atto da sola!”.

Ora, nella mia testa, la faccenda si fece più chiara: “Chi aiutava la signora in casa?”.

L’uomo si grattò la nuca: “Aveva una domestica che, però, al momento della morte, era in visita ai suoi genitori fuori città; aveva pure un figlio che l’aiutava, ma si trovava a scuola”.

“Quindi, Benedicte Anderson, sarebbe dovuta trovarsi da sola in casa al momento dell’omicidio?”.

L’omone annuì, per poi guardarmi con occhi sospetti: “Posso chiederle perché le interessa tanto questo caso?”.

Inizialmente sentii una goccia di sudore percorrermi la schiena, ma non mi lasciai prendere dall’ansia: con noncuranza tirai indietro le spalle e risposi di averlo letto sul quotidiano quella mattina e di essermi incuriosita.

In effetti era vero.

Dopo un attimo, aprii di nuovo la bocca per chiedergli del figlio della signora Anderson di cui mi aveva accennato poco prima: “Potrei parlargli? sa, mi piacciono molto i bambini…” aggiunsi, cercando di risultare convincente.

L’uomo si guardò intorno un attimo: “Non lo so signora, l’agente Halvorsen le ha detto di rimanere qui e…”.

“La prego! Non lo verrà a sapere nessuno che lei è stato coinvolto nella mia piccola indagine”.

L’omone indietreggiò leggermente, probabilmente colpito dalla mia insistenza.

Non sembrava volesse aiutarmi, tuttavia, dopo qualche sospiro si lasciò abbindolare dalle mie suppliche e mi portò in una stanzetta con i muri crepati.

Lì, seduto su una panchina metallica, c’era un bambino di circa nove anni, con i tratti somatici tipici norvegesi e i pantaloni bucati all’altezza del ginocchio.

I suoi occhi scorrevano veloci tra le pagine di una copia alquanto ingiallita de “La divina commedia” (libro insolito per la sua età).

“Sia cauta, è orfano di padre e ora anche di madre” si raccomandò l’omone, prima di lasciarmi sola con il figlio di Benedicte Anderson.

Dopo un attimo di esitazione, decisi di avvicinarmi alla panchina.

“Posso sedermi qui?” chiesi.

Il bambino alzò la testa di scatto, quasi spaventato e, con occhi tristi, annuì, mettendo da parte il libro.

Sebbene avessi già in testa le domande da porgli, non sapevo come iniziare la conversazione.

Inspirai per farmi coraggio, poi iniziai a parlargli: “Dovrebbero ristrutturare questo posto, cade a pezzi!”.

“Già, a scuola mi hanno insegnato che è bene avere la casa ben coperta se non vogliamo che entrino gli spifferi”.

Aveva parlato.

Era già un buon inizio.

“Devi essere bravissimo a scuola per sapere queste cose” commentai sorridendo.

Il bambino sembrava essersi già ripreso dalla tristezza che lo assaliva poco prima: “Io sono quello con i voti più alti!”.

Mi complimentai con lui, per poi chiedergli come si chiamasse.

“Kristopher, Kristopher Anderson”.

“Che bel nome, io invece mi chiamo Johanne Halvorsen; e dimmi, Kristopher, ti piace andare a scuola?”.

Il bambino sembrava un po’ incerto su cosa rispondere; “Non molto in realtà”.

Lo guardai stupita: “Come mai? non ti piace vedere i tuoi amici?”.

“Non ho molti amici, in realtà nessuno...ci vado soprattutto per far contenta mia mamma” all’improvviso si rabbuiò e per un attimo mi sentii tremendamente in colpa: “Tua madre deve proprio essere una donna per bene” cercai di risollevare l’atmosfera.

“Mia madre è morta” mi rispose, trafiggendomi come con una pugnalata.

Per un attimo non sapevo più che dire.

“Oh cielo! è terribile” continuai con compassione: “Devi essere davvero distrutto dalla faccenda”.

Il bambino alzò le spalle: “in realtà non molto”.

Rimasi perplessa dalla risposta e Kristopher se ne accorse: “Non mi fraintenda signora Halvorsen” cercò di giustificarsi: “Io volevo bene a mia madre, ma l’unica cosa che faceva tutto il giorno era lamentarsi e chiedersi perché la vita era stata così ingiusta con lei; diciamo che me lo aspettavo”.

“Ti aspettavi che venisse uccisa?”.

Kristopher annuì: “Sì, e so anche chi è stato”.

Per un attimo mi venne un tuffo al cuore: “Lo hai detto agli agenti?”.

“Sì, poco prima che lei arrivasse sono venuti due poliziotti a chiedermi se sapessi qualcosa e gli ho detto di aver colto l’assassino con le mani nel sacco!”.

Chiesi chi era stato secondo lui e sembrò esitare prima di rispondere, ma poi cedette: “Ieri, mentre giocavo con i miei amici, ho visto una persona alquanto sospetta uscire da un negozio con in mano una boccetta di ginestra triturata; ho letto su un libro che è tossica e, guarda caso, mia madre è stata avvelenata!”.

Lo guardai poco convinta: “Tanta gente si compra la ginestra. e poi questa persona potrebbe perfino non conoscere l’esistenza di tua madre”.

Il bambino volse maleducatamente gli occhi al cielo: “Invece sì, perché si trattava della nostra domestica!”.

La spiegazione non mi convinceva ancora: “Perché avrebbe dovuto ucciderla?”.

Kristopher sorrise: “Semplice, l’ha sempre odiata, voleva togliersi il fardello”.

Ora era tutto chiaro.

E invece no, c’era ancora qualcosa che non mi tornava.

Continuai a rimuginare sull’intera faccenda, finché…

“Ho trovato!” esclamai tirandomi in piedi, sotto lo sguardo confuso del bambino: “Scusami ora devo andare!” dissi, camminando a passo spedito verso la porta.

Kristopher cercò di fermarmi: “Aspetta! ma come faceva a sapere che mia madre è stata uccisa? Io non gliel’avevo detto…”.

Decisi di ignorare prontamente la domanda e di continuare nella mia direzione.

Che stupida che ero stata!

Mi ero lasciata trasportare dal mio spirito investigativo e avevo dimenticato la mia “copertura”.

Lasciai perdere i rimproveri a me stessa, vedendo la sagoma furiosa di Sebastian venire nella mia direzione.

Era proprio lui che cercavo.

Appena fummo a pochi metri di distanza lui si mise ad urlarmi contro, ma io lo zittii: “Non sono del tutto sicura, ma credo di aver scoperto chi è l’assassino”.

Mio figlio mi rispose, con una risatina deridente: “Pensi che non ci siamo ancora arrivati? E’ stata Elin Reinhart, la domestica; grazie alla dichiarazione di Kristopher Anderson, il figlio, abbiamo trovato della ginestra nella sua borsa, in più il suo alibi era falso e…”.

“Certo che voi della polizia non avete proprio capito niente” sospirai, interrompendolo: “Io so chi è il VERO assassino di Benedicte Anderson”.

Ci fu un attimo troppo lungo di silenzio in cui mio figlio mi guardò ad occhi sbarrati.

Io risi tra me e me compiaciuta: “Ora hai intenzione di ascoltarmi Sebastian?”.

Mio figlio deglutì forte, per poi riassumere la sua espressione burbera: “Mamma, ti avevo detto di non immischiarti e qualunque cosa tu stia cercando di dirmi, sappi che non ti ascolterò”.

Sospirai irritata: “Sei proprio irragionevole Sebastian, possibile che non ti rendi conto di aver arrestato la persona sbagliata?”.

Il ragazzo scosse la testa e incrociò le braccia: “Smettila di insistere e vai a casa, quando dico no è…”.

“Eddai Halvorsen! Non mi sembra il modo di rivolgersi alla propria madre!” esclamò qualcuno che proveniva dalle mie spalle.

Voltandomi, mi resi conto che si trattava dell’uomo che sembrava una palla da bowling.

“I-ispettore! Non aveva detto che avrebbe staccato prima oggi?” chiese mio figlio con voce tremante, assumendo improvvisamente una posa molto più formale.

L’uomo rise a gran voce: “Lo stavo per fare! Ma poi ho udito per la seconda volta in questa giornata madre e figlio discutere, e ho deciso di venire a controllare che stesse succedendo”.

Abbassai la testa, mortificata: “Mi dispiace averla disturbata signor…”.

“Hansen! Non ci siamo mai presentati formalmente…Ora, signora Halvorsen, ci vuole rivelare quello che ha scoperto sul caso Anderson?”.

Annuii lievemente con la testa, mentre Sebastian guardava la scena esterrefatto: “Il capo non sarebbe molto contento”.

“Beh,” iniziò l’ispettore Hansen facendomi un’occhiolino “Il capo non lo deve per forza venire a sapere”.


Bergen, una settimana dopo…


“Oggi, è stato chiuso il caso sull’assassinio di Benedicte Anderson: gli agenti hanno affermato che la sua morte improvvisa è stata tutta un’incidente, dovuto probabilmente alla quantità elevata di medicine che doveva prendere giornalmente, tutta Bergen si è stretta intorno alla sua famiglia per confortarla; ora linea al meteo…” annunciò lo speaker alla radio mentre io ero intenta a ricamare un centrotavola.

“Chi se lo aspettava che alla fine saresti stata proprio tu, mamma, a scovare il colpevole!” esclamò Hanna, ultimogenita dei miei tre figli, facendo capolino nella stanza.

Io sorrisi: “Sai che mi riescono sempre bene queste cose…non riesco proprio a capire come Sebastian e gli altri agenti si siano potuti bere la storiella di un moccioso”.

“Più che moccioso, da come ne hai parlato tu, lui sembra proprio un piccolo genio del male: pensare che ha messo in scena tutto questo da solo...”.

“Già” esclamai " ma la sua storia faceva acqua da tutte le parti: prima di tutto mi dice che non andava d’accordo con nessuno in classe e poi che quando aveva visto il presunto assassino era insieme ai suoi amici; poi racconta che a uccidere sua madre era stata la domestica, ma dopo un breve interrogatorio si è venuto a sapere che la poveretta aveva mentito sul suo alibi, solo perché era andata ad un appuntamento con il suo amante, il quale ha confermato di essere stato in sua compagnia per tutta la giornata, e che Kristopher sarebbe rimasto a casa a badare sua madre al suo posto. Invece il moccioso aveva dichiarato di trovarsi a scuola durante l’assassinio; ma la cosa che, più di tutti, lo ha incastrato, è stato dirmi di aver letto su un libro che la ginestra serve a fare veleni: ci avrei scommesso che su quel libro c’era tutta la ricetta!”.

“Immagino la faccia di Sebastian quando gli hai dato questa spiegazione” rise Hanna: “Conoscendolo avrà storto il naso appena l'ha sentita”.

Appoggiai sul tavolino di fianco a me il centrotavola e, espirando, mi lasciai andare sulla sedia a dondolo: “Diciamo che non solo lui ha storto il naso, ma si sono dovuti ricredere quanto ho fatto confessare Kristopher con un interrogatorio degno del miglior detective!”.

“Tipico da te mamma” commentò la ragazza e io risposi: “Un bambino che legge la Divina commedia non è di sicuro uno stupido, ma è comunque un bambino…I superiori di Sebastian tuttavia hanno dovuto nascondere il caso ai giornali perché non se la sentivano di mettere alla gogna un bambino, ma io mi chiedo: cosa deve aver passato quel moccioso per aver deciso di uccidere la propria madre?”.

Hanna sospirò, mettendosi a sedere davanti a me: “E’ come hai detto tu mamma” cominciò scrocchiandosi le dita: “E’ pur sempre un bambino, e chi li capisce?”.

“Già” concordai sorridendo: “ma tutto bene quel che finisce bene: Kristopher ora seguirà un percorso di rieducazione in un carcere per minorenni, e per la povera Benedicte Anderson è stata fatta giustizia!”.

Ilenia Sambri 

Dolce Omicidio

In un paesino sperduto del centro Italia si era da poco trasferita una coppia di coniugi, i signori Volpi. La signora Volpi era uscita di casa per fare le sue commissioni e quando tornò, trovò il marito steso a terra con un coltello da cucina conficcato nel petto.

“Venite! Venite! Mio marito è stato assassinato!” disse la donna quando chiamò la polizia.

Poco dopo arrivò a casa il signor Landi, l’investigatore.

Dato che la moglie non aveva idea di chi potesse essere l’assassino, Landi aveva bisogno di informazioni, perciò contattò due persone:

il signor Carati che era anche un abilissimo orafo, oltre che un fidatissimo amico di famiglia che viveva nello stesso paese di provenienza della coppia, e la persona che più di tutti conosceva i pettegolezzi del paese, la signorina Barbara, la parrucchiera.

“Signore, lei sa chi può aver fatto ciò al signor Volpi?” disse Landi.

“No. Non ne ho veramente idea” rispose Carati “Ma… cos’ha là dentro?” disse indicando il sacchettino di plastica ermetico in mano all’investigatore.

“Oh, qui? E’ un anello che ho trovato accanto al cadavere. Perché, le fa venire in mente qualcosa?”

“Sì, ho prodotto io quell’anello. Lo aveva acquistato un’anziana signora che mi disse che quando sarebbe morta lo avrebbe dato in eredità a sua figlia che fa la pasticciera qui.”

“Sì, è vero!” intervenne Barbara, la parrucchiera “E’ della signorina Amelia, me lo mostrò una volta. So tutto di lei: viene da me spesso e una volta mi raccontò che da più giovane un uomo la mise incinta rovinandole la vita e lei si trasferì qui per cambiare vita. Ma sapete qual è il fatto più sconcertante? Quell’uomo era proprio il signor Volpi.”

Landi guardò con la coda dell’occhio la signora Volpi: era impassibile, come se sapesse già tutto.

Tutti gli indizi conducevano ad Amelia, la pasticciera, per questo Landi si diresse verso la sua bottega.

Aprì la porta ed entrò:

“Signorina Amelia?”

La donna annuì.

“Lei è in arresto per l’omicidio del signor Volpi.”

“Non so di cosa parla, signore.”

“Avanti signora, non menta! Sappiamo tutto della sua storia con il signor Volpi: quando l’ha messa incinta, rovinandole la vita, lei per cambiare vita è venuta qui, ma il rancore verso di lui non si è indebolito con gli anni e, una volta saputo che il signor Volpi si era trasferito qui, lei ha avuto la possibilità di vendicarsi. E’ andata a casa sua e lo ha accoltellato. In più abbiamo trovato il suo anello al lato del cadavere; deve averlo perso mentre lo accoltellava!” disse mostrandole l’anello.

“No! Il mio anello è qui, sulla mensola: è la prima volta che lo tolgo oggi, me lo aveva consigliato una persona.”

Landi guardò sulla mensola, niente anello, solo vasi con zucchero e farina.

“Per cortesia, signora” disse Landi “Arrestatela!” continuò rivolgendosi a due agenti.

Prima di uscire dalla bottega, Landi, preso dalla tentazione, afferrò uno dei pasticcini esposti, lo avvicinò alla bocca, lo morse e… per poco non si ruppe un dente!

“Aspettate!” esclamò.

Si diresse poi verso la casa dei Volpi. Quando entrò in casa non fu molto sorpreso di trovare lì oltre che la signora Volpi, anche Carati.

“Allora investigatore, ha arrestato quell’assassina?” disse in modo spregevole la signora Volpi.

“Basta fingere! Non era necessario uccidere un uomo per stare insieme” disse Landi “Ho capito tutto, la vostra relazione, l’anello.”

“Si sbaglia” disse Carati.

“Ah sì? E questo come lo spiega?” disse Landi mostrando due anelli. “Sono perfettamente identici, uno l’ho trovato sulla scena del crimine, l’altro invece in un pasticcino della signorina Amelia.

Lo ha anche detto, ha prodotto lei il primo anello e solo lei sarebbe stato in grado di farne una copia. Giusto Carati?” continuò “In quanto a lei, signora Volpi, sappiamo tutti dov’è andata la mattina del delitto: nella bottega della signorina Amelia! Lì le ha consigliato di togliersi l’anello e lo ha buttato nell’impasto dei pasticcini per incastrarla, sperando che io non lo trovassi.”

“Non è vero!” negarono entrambi.

“Conoscevate benissimo la storia della signorina Amelia e volevate sfruttarla per mettervi finalmente insieme.

Il signor Volpi non avrebbe mai accettato di divorziare, vero? Quindi avete preferito collaborare per farlo fuori! E’ andata così: mentre lei, signora Volpi, era fuori, il suo amato signor Carati uccise suo marito, giusto?”. Landi non ottenne risposta. “Bene, un altro caso risolto, arrestateli!” concluse rivolgendosi ai due agenti.