Galileo di Joseph Losey (1975)

La vicenda di Galileo Galilei e quella della sua abiura. Per non essere condannato dall'inquisizione, dovette rinunciare pubblicamente alle sue teorie sul movimento della terra e del sole, in formale contrasto con certi passi della Bibbia. Joseph Losey, ormai stanco, realizza il suo sogno di mettere in immagini il dramma di Bertolt Brecht da lui realizzato in teatro in anni giovanili. Ma l'ispirazione non sorregge il regista, che riesce solo a farne un dignitoso spettacolo, ottimamente recitato.

Il gran libro della natura è scritto in caratteri matematici...

Il film è tratto dal dramma Vita di Galilei di Bertolt Brecht, di cui si hanno 3 versioni dal 1939 al 1955, e prende in esame alcuni episodi nella vita del celebre scienziato pisano, rappresentato ora come un combattente per la libertà intellettuale, ora come capostipite degli odierni scienziati atomici asserviti al potere. Dopo aver messo in scena il dramma a Los Angeles nel 1947 con Charles Laughton, protagonista nella sua prima edizione americana, J. Losey tentò di trovare un equivalente cinematografico allo stile teatrale di B. Brecht, applicando le sue idee al mezzo diverso. Anche a causa del basso costo che gli impose tempi strettissimi per le riprese, la trasposizione riuscì soltanto in parte, tanto più che, a causa dell'estrema fedeltà al testo, il film è molto parlato. Affiancato da un cast illustre che comprende anche John Gielgud, Patrick Magee, Margaret Leighton, l'attore-cantante ebreo Topol è un Galileo insolito e imponente. Abbastanza fedele è la ricostruzione degli ambienti e l’aderenza all’opera di Brecht.

Per Brecht il teatro deve assolutamente essere collegato alla realtà sociale in modo che lo spettatore sia in grado di giudicare criticamente la rappresentazione stessa e di conseguenza vedere il più chiaramente possibile i legami con il mondo in cui si vive. Le sue opere sono estremamente didascaliche e volontariamente prive di coinvolgimento diretto dello spettatore che non deve mai sentirsi emotivamente coinvolto nel dramma.

La fase più prolifica del lavoro di Brecht non a caso è racchiusa tra la fine degli anni '20 e i primi anni '50, più schematicamente tra l'avvento al potere del Nazismo e il conseguente scoppio della Seconda Guerra Mondiale e lo sgancio delle prime bombe atomiche.

Con Vita di Galileo assistiamo dunque alla messa in scena di una denuncia ambientata nell'Italia del '600 che si rispecchia totalmente nell'Europa della prima metà del '900. Brecht riprende e modifica diverse volte il dramma fra il 1938 e il 1955, appunto perché al testo seguono le vicende storiche che

cambieranno il Mondo.

Galileo Galilei è lo scienziato per eccellenza che si vede costretto a rinnegare le sue dottrine che dimostrano che è la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa come prima si andava pensando. Piccolo problema, la Chiesa non condivide la teoria dell'uomo, nonostante il cannocchiale dimostri

palesemente la validità della nuova dottrina. Galileo, poichè rischia la tortura della Santa Inquisizione, abiura e termina la sua indaffarata vita a studiare clandestinamente i movimenti degli astri e dei pianeti. La verità fa male alla Chiesa e al suo potere, perché mai Dio avrebbe deciso anche per la Terra un destino identico a tanti altri insignificanti astri del firmamento? Meglio fingere che la realtà sia ben diversa, mettendo in piedi una bella facciata di cartapesta sorretta da fragilissimi supporti impregnati di ignoranza e paura della verità che la scienza ci sbatte d'un tratto sul muso.