m) - 1797 / 1826 : Luca si trasferisce a Viterbo

Il prosecutore della stirpe, Luca Laurenzio Ludovico Liborio, figlio del notaio Nicola,  si trasferì nel febbraio del 1797 nell’Alto Lazio. Analogamente all’avo Gregorio I (rimasto orfano in tenera età e trasferitosi a Rotella), anche per Luca si può supporre che fossero sorti dissidi con la matrigna.

In quegli anni il Generale Napoleone Bonaparte, al comando dell’impresa militare in Italia,  invase le terre dello Stato Pontificio, istituendo nel Piceno il Dipartimento del Tronto. Con il trattato di Tolentino nel 1797 il Papa fu costretto a cedere la regione delle  Marche, che venne saccheggiata dei beni artistici. L’insurrezione di Montalto, capeggiata dal brigante Giuseppe Costantini, detto Sciabolone, segnò l’inizio della rivolta contro il dominio Francese, che terminerà il 13 novembre 1799, con la capitolazione di Ancona.E' quindi nel corso (e quasi certamente anche a causa) di questi eventi bellici, aggravati da una delle ricorrenti carestie, che Luca decise di trasferirsi dapprima a Montalto di Castro, nei pressi di Viterbo, non ancora provincia, forse incuriosito dall'omonimia con la natia Diocesi, poi a Corneto (attualeTarquinia) ed infine, nel dicembre del 1797, a Viterbo, dove si stabilì definitivamente in pieno centro commerciale (Parrocchia di S. Angelo in Spatha), dedicandosi all’attività di ristorazione e divenendo il capostipite del ramo Viterbese (e, a questo punto, unico) della casata, che diventerà così, da Picena a Etrusca.

Viterbo era già all'epoca una fiorente cittadina, dal passato illustre, già sede papale, circondata da circa 4 Km di poderose mura medioevali, le cui porte venivano chiuse di notte, e dove fervevano le attività artigianali e gli scambi commerciali. Ubicata ai piedi dei monti Cimini (mt 327), sulla Via Cassia (parte terminale della Via Francigena) Viterbo era passaggio obbligato per chi dal nord si recava nella capitale dello Stato Pontificio da cui dista 50 miglia. 

Allora la vita a Viterbo (come altrove) era permeata di religiosità; tutto si svolgeva nell'ambito delle 80 chiese che la città contava, ognuna col suo Santo patrono. Sedici di queste chiese erano organizzate (fin dal medioevo) in Confraternite, il cui statuto prevedeva opere di pietà e di mutua assistenza; Luca era membro di una di queste (v. appresso). Tra i principali compiti delle Confraternite c’era l’assistenza spirituale ai condannati a morte, tramite i “Fratelli Confortatori”, incappucciati. La domenica i viterbesi si affollavano per assistere alle esecuzioni capitali, che avvenivano in Piazza della Rocca.

Il trasporto della “macchina di S. Rosa” (la sera del 3 Sett.) era (ed è) un altro importante evento della vita cittadina, iniziato con voto solenne nel 1657 al termine della terribile pestilenza; nel 1801 si ebbe la sua tragica caduta (che causò 22 vittime, calpestate dalla folla) per cui la manifestazione venne soppressa; verrà ripristinata nel 1810 per volontà di Napoleone I, Re d’Italia.

Viterbo costituì quindi per Luca un ambiente ideale per sfruttare le sue doti di intraprendenza, avviando una attività di oste. Subito dopo il suo arrivo a Viterbo, Luca ebbe subito e nuovamente a che fare con le truppe francesi le quali, al comando del generale Kellerman, abbatterono a cannonate Porta Romana e presero possesso della città (1798).

Dal certificato di "Stato Libero" rilasciato a Luca dalla Curia Vescovile di VT il 30 gen. 1799 (10 Piovoso), si rileva che egli, ormai trentenne, era in procinto di sposarsi (4 feb. 1799) con la ventunenne Regina Napoleoni del fu Valentino, della Parrocchia di S. Simeone.

E' anche da tale documento che si è potuto risalire (dopo lunghe ricerche) alla origine Marchigiana di Luca. Numerose altre informazioni relative a Luca sono state in seguito reperite, per lo più nell'Archivio di Stato di Viterbo.

In un rapporto del 22 Agosto 1813 del “concierge ” del carcere detto “Sallupara” (di Piazza della Rocca a VT) indirizzato al “Maire della Commune de Viterbe”, è scritto:

 “Eccellenza. Questa mattina alle ore nove di Francia è stato condotto in queste Prigioni Luca Minissi figlio di Niccola di anni 43, Marcheggiano, dimorante in Viterbo di Professione Oste. Questo ritrovasi astretto a disposizione di Vostra Eccellenza e tradotto nelle medesime dal Sig. Fornetti del quale se ne fa menzione”. Non si conosce il motivo dell’arresto.

Il rapporto di arresto di Luca Minissi
(22 agosto 1813)

Nello stesso rapporto si citano due detenuti messi in castigo nelle Segrete perché sorpresi a giocare a carte in chiesa, durante l’orazione (questo documento è in possesso di Mario Minissi, che lo ha reperito presso l’antiquario Mauro Galeotti, che lo ha citato nel suo volume “Un pensiero da Viterbo” del 1994).

Nell’agosto 1822 Luca acquista dalle sorelle Andreucci un’osteria in Vicolo del Macel Gattesco n.44, per scudi 726 (Atto rogato dal Notaio L. Mascini, Rep. n.176); Luca aveva già in affitto da alcuni anni questo locale, che gestiva insieme ai figli.

Tale osteria esisteva già dal 1603 col nome di “Tre Corone”; nel 1622 fu sostituita l’insegna con “Tre Re”, tuttora esistente, e agli inizi del 1700 le venne annessa una locanda (probabilmente quella che poi diventerà l’Antico Angelo, vedi appresso); il tributo da pagare all’ Eccell.ma Comunità per “l’appalto della gabella della foglietta” era di  24 Scudi. Il locale era anche gravato da un “laudemio” di scudi 10, pagato alle suore del Convento di San Domenico “capitolarmente costituite a suon di campanella claustrale avanti le grate ferree del parlatorio”.

Dal 1826 Luca viene più volte citato negli atti del notaio Giulio Vecchi (prot. 2491) come “secondo assistente” rappresentante della Venerabile Confraternita di Maria S.S.ma del Suffragio.

Con rogito notarile del 1830, Luca compra dalla Sig.ra Pagnotta vedova Iaconti uno stabile, sempre in Via del Macel Gattesco, per scudi 115 (Notaio Fr. Guerra, Reg. N. 2°/7210); Luca viene qui definito "possidente", mentre nel precedente atto era qualificato come "oste".

Il Giudice tutelare delle donne e dei minori aveva infatti autorizzato la Sig.ra Pagnotta a vendere l’immobile dovendo pagare al “capo maestro Giacomo Zei la somma di scudi 50 per lavori di muratura” fatti nel di lei Caffè di Piazza delle Erbe.

Lo Scudo dello Stato Pontificio era una moneta d'argento di gr. 26,4 circa , composta da 100 bajocchi di rame, analoga a simili monete già coniate in Francia. Per avere un'idea del suo valore, all'epoca una libbra romana di prosciutto costava baj. 17, una di formaggio baj. 12, un boccale d'olio baj. 64, per cui lo si può stimare in 100.000 Lire attuali (50 Euro). A seguito della unificazione d'Italia, lo Scudo verrà sostituito dalla moneta di  Lire 5, mentre il bajocco, di 5 quattrini, verrà sostituito dal soldo di 20 centesimi.                  

Monete viterbesi usate da Luca Minissi : in alto Bajocchi cinque (detta Madonnina) di Papa Pio VI (anno 1797), sotto  Bajocchi due e mezzo (detti Sampietrini - anno 1796)

Il 4.12.1839 Luca prende in enfitèusi dal Principe Doria Pamphili per anni 99 un locale adiacente, “con annessa grotticella ossia cantinozza” per ampliare l’osteria. Nel rogito del Notaio Francesco Guerra (Rep. 1329) è specificato che ”trovandosi in occasione di scavo nel fondo enfiteutico qualche tesoro, statue, argento, oro, metallo monetato o non, ovvero altre cose di valore di qualsiasi genere, saranno tenuti gli enfiteuti a denunciarlo a S.E. ”.Il 24.5.1895 viene effettuata una “ricognizione in dominum” al fine di trasferire detta enfiteusi agli eredi di Luca (v. prot. n 775, Notaio Costantino Guerra, figlio di Francesco).

Pianta dei locali e firma autografa di Luca Minissi nell'atto del 4 dicembre 1839

La vita dell’oste a quei tempi non doveva essere molto tranquilla, dal momento che il 18.8.1823 il Delegato Apostolico è costretto a vietare, nei locali pubblici, “cansoni oscene, urli, strepiti, clamori e il gioco della morra” ; proibisce, inoltre, a contadini ed artigiani, “di portare indosso nelle osterie gli strumenti dell’arte loro perché puot’essere cagione di gravi inconvenienti e di rissa nella circostanza di qualche festa alterata dal vino”.

Il 13 gennaio 1843 Luca fa testamento (notaio L. Mascini, Rep. 1523) nominando eredi i due figli maschi, ma usufruttuaria "...la diletta consorte Regina Napoleoni, la quale colle sue fatiche, vigilanza ed indefessa assistenza, ha tanto contribuito per vantaggiare li miei interessi, assolvendola da qualunque inventario e rendimento di conti essendomi troppo noto il di lei attaccamento per l'intera famiglia". In calce al testamento, stilato dal notaio, si firma con grafia malferma: "Luca Minissi ò come cognito come sopra" .

Firma autografa di Luca Minissi in calce al proprio testamento (13 gennaio 1843)

Luca muore, quasi settantacinquenne, il 28.6.1844, e viene sepolto presso il Convento dei Padri Carmelitani Calzati di S. Giovanni Battista degli Almadiani a Ponte Tremoli, come da sua volontà (costo del “funere”: scudi 20).

Morte di Luca Minissi

La moglie Regina muore oltre dieci anni dopo,  il 31 gennaio 1855,  “...annorum aetatis septuaginta septem, omnibus ecclesiae sacramentis munita, animam Deo reddidit”.

Del fratello germano di Luca, Saverio S. Pacifico, e del fratellastro Gaetano C. Serafino e del nipote Nicola di Macerata, come pure dei rami di Force e Palmiano, non si ha notizia di successori: o sono rimasti celibi o sono anch'essi emigrati dando probabilmente origine alle famiglie Mandolini, Miniussi, Minisci...  anche a seguito di errate trascrizioni del cognome, all'epoca frequenti (anche negli atti ecclesiali reperiti a Viterbo spesso risulta scritto Menissi e addirittura Milissi...). Qualcuno avrà anche abbracciato la vita religiosa (oltre al canonico Nicola) sistema all’epoca abbastanza diffuso per sbarcare il lunario. Di fatto, già dal 1860 circa, non risultano più Minissi residenti nell'area Picena, mentre si sviluppa il ramo Viterbese.

Con l’inizio di questa nuova era (che possiamo definire Etrusca) e che, come l’era Picena di Force, durerà un paio di secoli, è opportuno fare un rapido bilancio sugli antenati: Luca è l’undicesimo della serie, preceduto da Nicola, Gregorio II, Pietro, Gregorio I, Luzio, Felice, Filominisso, Angelo e Valente.

Luca e Regina come abbiamo visto si sposarono il 4 febbraio 1799 e procrearono otto figli, battezzati presso la chiesa collegiata di S. Angelo in Spatha (ex Angelus cum spatha) o nella dipendente S. Giovanni Battista degli Almadiani, in Viterbo:

 a)- Pietro III (VT 8.2.1800-VT ante 1844), primo nato a Viterbo, ma certamente deceduto in tenera età. Prende il nome del trisnonno, essendo il nonno ancora vivo (Nicola) ed avendo il bisnonno un nome un po’ ostico (Gregorio).

 b)- Andrea (VT 30.11.1803-VT ante 1844), prende il nome del santo del giorno. Muore anche lui prematuramente.

 c)- Vincenzo I Valentino Giacinto (VT 9.5.1806-VT 13.9.1881), vedi capitolo seguente,

 d)- Rita (VT 30.4.1808-VT 8.5.1878). Prende il nome della nonna paterna. Sposa F. Tosoni (dote scudi 100, più arredi e gioie) ma resta presto vedova; si risposa in tarda età (1861) con Tommaso Savini di Bolsena. Il 24 nov. 1876 Rita, previa “autorizzazione maritale” rinuncia alla  sua quota di usufrutto lasciatale dal fratello Nicola (v. sotto), a favore del nipote Pietro IV (Rep. 4163, Not. C. Guerra). Tale cessione al nipote avviene “per l’affezione che gli porta, e per compensarlo così in parte delle premure ad essa prestatele, e non altrimenti, al prezzo di Lire settanta, che dichiara di aver ricevute”. Il 25.11.1877 Rita fa testamento: “... Quando nel 1867 ebbe luogo la divisione tra me e mia cognata Teresa (Bevilacqua) vedova Minissi, la quota a me appartenente ascese alla somma di Napoleoni 780 in tanti mobili, argenteria e biancherie. Tali effetti io li immisi per l’andamento della locanda dell’Angelo... Pertanto “...ordino che la somma di Napoleoni 50 sia ritenuta dallo stesso mio marito e disposta a favore ed in suffragio dell’anima mia nel modo come meglio crederà....mentre alla figlia Anna Maria maritata Capozzi andranno 415 Napoleoni e 315 alla nipote Caterina figlia dell’altra mia figlia Vincenza in De Paolis...” precisando che qualora figlia e nipote non fossero d’accordo, l’intera eredità sarebbe andata al marito. Rita muore dopo cinque mesi, l’8 maggio, ma la lapide cimiteriale riporta erroneamente la data del 13.5. (data dell’inumazione), mentre i registri del cimitero di Viterbo, in ordine cronologico, confermano l'8 maggio. Su detta lapide è scritto: "Esempio di sposa e madre provvida, amorosa, pia. Morta nel bacio del Signore. Tommaso Savini marito inconsolabile pose". Tale tomba risulta acquistata dal Savini solo il 1° apr. 1901, ossia 23 anni dopo la morte dell’anziana moglie... questo potrebbe spiegare l’errore della data.

Come riportato nello “straccifoglio” del cronista viterbese Carlo Morini: “Addì 14 giugno 1863 fu aperta la grande locanda del Angelo nella piazza dell’erba in Viterbo, li affittuarie sono due donne vedove Teresa (n.d.a. moglie di Nicola) e Rita Minissi..... Nella apertura il vino si vendeva un pavolo il fiasco e 5 baiocchi il fiaschetto di una foglietta...”. All’epoca le “locande” non godevano di buona reputazione, ed erano gestite, in genere, da forestieri. A seguito dell’apertura dell’adiacente albergo “Nuovo Angelo” (in Via dell’Orologio Vecchio), l’Angelo diventerà “Antico Angelo”, ora chiuso.

e)- Nicola II (VT 12.4.1810-VT 10.11.1855), prende il nome del nonno paterno (da poco deceduto). Cresimato insieme alla sorella Rita il 1° mag. 1818, si sposa con Teresa Bevilacqua, ma non ha figli. Dal suo testamento “nuncupativo”, dettato in procinto di morte l’8 nov. 1855, per “infirmitatis cholerae morbi” al notaio F. Guerra, (Prot. 1297), risulta anche lui "oste possidente" (essendo succeduto al padre) e che, non avendo prole, nomina eredi i sei nipoti, figli sopravvissuti del "germano" Vincenzo, ed usufruttuarie la moglie Teresa e la sorella Rita (vedova), raccomandandosi "...di condurre il locale con tutta onestà ed avvedutezza, onde non pregiudicarne l'avviamento ed il credito". Autorizza altresì alle usufruttuarie “...la facoltà di potere alienare i soli oggetti ed effetti mobili, senza che per tale distrazione possano essere in conto alcuno molestate dai suoi nipoti eredi proprietari, poiché così e non altrimenti”. Il testamento non viene firmato da Nicola, essendo giacente a letto ed impedito dalla malattia (tra i testimoni figura il Portoghese Alessandro De Sosa).

 f)- Valentino (VT x.x.1813/4-VT 20.12.1846). Prende il nome del nonno materno. Cresimato il 12.06.1821 “annorum octo”; inizia a frequentare a 16 anni la scuola di disegno  con il celebre maestro Domenico Costa. Vince due premi di pittura e, a seguito di richiesta del padre (“...affine di essere un giorno di gloria alla Patria e di vantaggio per se stesso”), il 19.9.1833 gli viene concesso dal Gonfaloniere della Comunità di VT un sussidio di scudi 6 mensili per poter proseguire gli studi a Roma.

Nel verbale di delibera è anche scritto:, “... ponga la palla del sì chi si contenta e chi non si contenta la ponga del no. E date le palle, e quelle raccolte furono trovate palle del sì dieciotto e del no quindici. Dunque la proposizione rimane vinta”  (Deleg. Apost. busta 786, cc. 959-963, Arc. Stato). Muore prematuramente: "...juvenis pictor annorum triginta duorum post longam comsumptionis infirmitatem". E’ sepolto nella chiesa della S.S. Trinità.

 g)- Giacinta (VT 30.1.1820-VT ante 1844), finiti i nomi dei parenti, finalmente Luca si può sbizzarrire,  e

 h)- Corintia (VT 7.2.1826-VT 28.4.1895), Cresimata il 26.5.1833 e sposatasi diciassettenne  con Sebastiano Giusti (nel 1843); ebbe in dote la casa di Via del Macel Gattesco (acquistata nel 1830 per 115 scudi) più gioie ed arredi.  Muore vedova per “apoplexia diu decumbens”.

 Le date di morte "ante 1844" sono dovute al fatto che non è stato reperito il "Liber mortuorum ab anno 1803 usque ad 1844" della Parrocchia di S. Angelo (zona di residenza dei Minissi), senza che si siano trovate registrazioni nei libri successivi, inclusi quelli anagrafici del Comune di VT, che decorrono dal 1871. A volte, inoltre, le nascite seguite dai decessi nell’arco di pochi giorni, non venivano affatto registrate all'anagrafe; di alcune di queste, infatti (ad es.: di Maria IV e Maria V di Luigi), ho trovato traccia nei soli libri ecclesiastici di S. Sisto.

Presso il cimitero San Lazzaro di Viterbo (realizzato nel 1872 su progetto dell’architetto Vespignani) sono conservati i registri dei decessi, che decorrono dal 1876.(Con la costruzione di questo cimitero, sulla via Cassia, Viterbo si adeguava, seppure tardivamente,all’editto di Saint Cloud del 1804, che prevedeva che le sepolture avvenissero al difuori dei centri abitati).