b) - Le Origini : Una storia semi vera e semi seria...

Le prime notizie preistoriche sugli antenati dei Minissi (ante litteram) risalgono all'età della pietra (Paleolitico Inferiore) e si riferiscono ad alcuni resti fossili di Pithecantropus, rinvenuti dal paleo-antropologo L. Leakey nella Rift Valley (Kenya), risalenti ad oltre tre milioni di anni, nel Pleistocene (cfr. "Origini", Ed. Laterza).

Alcuni di questi ominidi, una volta assunta la stazione bipede e divenuti "Homo Erectus Minissiensis”, circa un milione di anni fa si trasferirono in Europa (dalle parti di Neanderthal) dove risultano essersi dedicati con successo alla lavorazione degli strumenti in selce, e riuscendo, in soli 100.000 anni, a passare dalla amigdala abbevilliana usa e getta (a margine tagliente sinuoso) all'amigdala acheuleana (pr. asceleana) a bordo lineare, guadagnandosi così l'appellativo di "Homo Abilis". Sopravvissuti a varie glaciazioni, grazie, soprattutto, all'invenzione della "grattachecca" e divenuti, nel frattempo, "Homo Sapiens-Sapiens", ritroviamo i Minissoidi nel Paleolitico Superiore, specializzatisi nella decorazione delle caverne (30-10.000 a.C.).

E' doveroso, a questo punto, citare lo scienziato teologo Jerry Pizzabbiocca il quale (ispirandosi al "best seller" La Bibbia) cònfuta con vigore tale tesi evoluzionista e fa invece risalire la ascendenza (non solo dei Minissi) a certo Noè, di professione Ingegnere Navale e zoofilo ambientalista, in una non meglio precisata epoca "Alluvionale".

Interpellato per avere maggiori ragguagli in merito, Jerry si è però limitato a commentare: "Il diluvio? Acqua passata!", chiudendosi poi in un dignitoso riserbo.

In epoca Mesolitica, i Protominissi attraversano le Alpi (imbattendosi nell’ uomo di Similaun, antenato di Bea) e si sparpagliano per il centro della Penisola, dedicandosi, nel corso del Neolitico (c.a 5.000-2.000 a.C.), all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame e costituendo i vari nuclei degli Appenninici-Villanoviani, in seguito definiti autoctoni.

Nell’ età del Ferro ( IX sec. a.C.) inizia la loro pacifica integrazione coi "Rasenna-Thyrsenoi" (leggasi: Etruschi), venuti via mare dal vicino oriente (Lidia) (cfr. "Le Storie" di Erodoto), assimilandone la superiore cultura, che provvederanno poi a diffondere in Europa, anche tramite gl’invasori Latini, che ne furono i principali beneficiari (“Etruria capta ferum victorem coepit”).

In un sarcofago etrusco del VI sec. a.C. di Cervèteri (l'antica Caere) appare per la prima volta inciso il termine MINIS, colui che osserva il volo degli uccelli, auspice, da cui deriverà il patronimico della stirpe dei Minis-si (genitivo etrusco), in seguito latinizzato in Minicius.

In epoca romano-repubblicana (310 a.C.) Arnth Minishi si sacrifica nella eroica difesa del villaggio fortificato di Surrena (in seguito detto Vicus Elbii, da cui Viterbium) contro le falangi romane, guidate dal Console C. Fabio Rutiliano, nel corso della loro ormai inarrestabile avanzata nell'Etruria meridionale. Un suo pronipote, Marus, lo vendicherà in occasione della battaglia del Trasimeno (217 a.C.- II guerra Punica) dove gli Etruschi, alleati coi Cartaginesi di Annibale, inflissero una dura sconfitta al comune nemico Romano (cfr “Ab Urbe Condita Libri” di T. Livio , L. XXII, cap. VII). Lo storico viterbese Staccolino afferma che un Velth Minissius è stato Lucumone nel villaggio etrusco di Acqua Rossa e che un suo discendente, Avil, di professione "zilath" (architetto?), dopo la caduta di Acqua Rossa si sia rifugiato con la famiglia nella vicina Ferentium dove avrebbe collaborato per la costruzione del locale teatro e risultando implicato in una bustarella di sesterzi (accusa peraltro sdegnosamente respinta). In epoca romano-imperiale, durante la persecuzione dei cristiani, in una locandina dell'anfiteatro Flavio (Colosseo) è riportato un Caius della Gens Minicia tra i martiri sacrificati; il suo nome non appare però nel martirologio avendo dichiarato, prima della condanna a morte, che si rifiutava di abiurare semplicemente "per tigna" (per inciso risulta che il leone che lo sbranò sia morto per indigestione). In pieno medioevo (1172) troviamo il condottiero Niccolò Minissi (detto Raganetto) alla testa di un drappello di valorosi armigeri difendere strenuamente Ferentium dal proditorio attacco portato dalle città di Viterbo e Vitorchiano (cfr. "Storia della città di Viterbo" di C. Pinzi).

A seguito della disfatta, Felice, primogenito dei Minissi Ferentini si insedia a Viterbo, in località Gabbia del Cricco, con vista sul rio Urcionio (l'antico Arxones), dedicandosi al lavoro dei campi; dalle cronache del luogo risulta che un discendente, di professione enologo, avendo scoperto che il vino poteva essere fatto anche con l'uva, abbia gettato il bastone alle ortiche e si sia dedicato a vita monastica, in un convento dei frati benedettini Farfensi.

Nelle sue cronache Nicolò della Tuccia cita un Guidobaldo Minissi (detto Mazzatosta) quale leader della fazione Ghibellia (Weibelingen) in contrapposizione alla Guelfa (Welfen), mentre lo storico viterbese Scarciofoletto tramanda nelle sue memorie che il Capitano del Popolo Raniero Minissi, detto "Stiticone", ispiratore della nota segregazione (cum clave) nel palazzo Papale dei cardinali nel corso del Conclave del 1268-1271, per sfuggire alle ire del clero abbia preso parte all'ultima crociata in Terra Santa, in veste di Templare.

Sulla via del ritorno, rimase però a terra nel porto di Yafo (odierna Jaffa), essendosi attardato per soddisfare una esigenza corporale. Dei suoi discendenti, rimasti in Palestina, si ha recente notizia di certo Alì Minissin, sorpreso in un kibbutz mentre iniettava anilina nei pompelmi israeliani, mentre, in precedenza (1389), altri posteri, ormai arabizzati, avevano preso parte all’invasione dei balcani. Le popolazioni locali, sotto l’incalzare dei Saraceni, si rifugiarono sulle coste adriatiche dell’Italia, integrandosi con le popolazioni del Piceno. Un loro discendente, Luca, si trasferirà in seguito in Etruria, riallacciando i legami con la stirpe originaria. Infine, secondo la storiografa russa Galyna Kocimelova, nel tardo Medioevo, durante la tirannia di Galeotto Malatesta ad Ascoli, un rappresentante del ramo Piceno, certo Corradino Minissi da Force (detto Masticabrodo) figurava tra gli annunci economici dell’epoca quale stampatore di incunaboli a basso costo (da lui definiti “pocket books”) grazie alla sua geniale invenzione dell’inchiostro di sambuco.